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Piano Concerto - Forum pianoforte

Elaborazione, narratività e conseguenzialità nella musica


Zaccaria
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Bianca wrotes : Tuttavia personalmente credo che il rapporto tra narratività e consequenzialità in musica abbia dinamiche del tutto indipendenti da quelle reperibili in letteratura, proprio perché la musica non è letteratura.

 

 

Faresti qualche esempio oppure approfondiresti il tuo pensiero? Trovo molto interessante ciò che hai detto in questo post ( non solo l'estratto, l'intero)

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Voglio ripetermi ed essere volutamente semplicistico. Essere narrativi, a prescindere dall’ambito, è quella capacità essere ricordati.

 

La letteratura non è tutta narrativa, ci sono molti esperimenti costruiti su anagrammi di parole…che nessuno ricorderà mai, o se li si ricorda qualcosa (interessante il cosa e per effetto di cosa?)…sicuramente non avviene per proprietà meramente linguistico/grammaticali/lessicali.

 

Idem per la musica…se uno riesce a ricordare e quindi a ”riprodurre” un determinato elemento o brano che sia…è narrativo, altrimenti non narra e passivamente bisogna lasciare che scorra…. In questo caso probabilmente non lascia neppure niente all’ascoltatore, non ricordabile, non “riproducibile”, … non narrante.

 

“Riproducibile” lo metto fra virgolette perché non vorrei ridurre il discorso a canticchiare una melodia, ma proprio la sua capacità di essere ricordato e appunto “rieseguito” …anche interiormente.

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Bianca wrotes : Tuttavia personalmente credo che il rapporto tra narratività e consequenzialità in musica abbia dinamiche del tutto indipendenti da quelle reperibili in letteratura, proprio perché la musica non è letteratura.

 

 

Faresti qualche esempio oppure approfondiresti il tuo pensiero? Trovo molto interessante ciò che hai detto in questo post ( non solo l'estratto, l'intero)

 

Scusa se vedo solo ora la tua domanda, ma purtroppo frequento il forum un po’ a folate :)

Ci posso provare anche se non è facile in questa sede. Spero in serata.

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Faresti qualche esempio oppure approfondiresti il tuo pensiero? Trovo molto interessante ciò che hai detto in questo post ( non solo l'estratto, l'intero)

 

Come ho già detto a me pare che a volte si rischia di analizzare l’oggetto musicale (e già qui ci sarebbero da sbrodolare parole per volumi interi) con strumenti non del tutto propri. Gli strumenti della narratologia, per esempio (e non sono certo gli unici ad essere usati) sono strumenti storicamente elaborati avendo come riferimento non la musica, ma un’altra forma di espressione. Di per sé ciò non sarebbe problematico una volta fatte le opportune tarature, sino a che almeno non si incontrano alcuni nodi. Uno di questi, a mio parere, è il ruolo del significato nella musica. Dico ciò non per prendere una posizione, ma perché tutta l’analisi della letteratura non fa mai e non può fare a meno del significato, è imperniata su di esso. Questo perché la letteratura non è basata sul calcolo. Parlare di caratteristiche narrative senza parlare di significati è un nonsenso. Ora, per molti secoli, proprio il calcolo in certo modo è stato visto come ciò che può e deve fare a meno del significato per il fatto che il significato ha una caratteristica che il calcolo vuole assolutamente evitare, ossia la necessità di essere interpretato. Il calcolo no, esso funziona se i suoi passaggi sono consequenziali, formalmente corretti, a prescindere dall’interpretazione che gli si voglia attribuire.

Premesso questo mi chiedo: secondo quali categorie posso comprendere un oggetto musicale? Se tali categorie sono in grado di descriverlo e distinguerlo in modo soddisfacente da altri oggetti allora probabilmente sono categorie valide, altrimenti forse no.

Certamente dovrò utilizzare un concetto di significato più specifico, un concetto di conseguenza più specifico, un concetto di narratività più specifico, e via dicendo, non dimenticando però che queste categorie dovranno stare insieme nella descrizione e non cozzare l’una con l’altra.

Per esempio quando in italiano dico “rosso”, il suo significato può essere (interpretazione) il colore rosso come proprietà cromatica di tutte le cose che ci appaiono in un certo modo. Queste cose sono tantissime.

Se dico “fiore” “rosso”, il suo significato sarà l’insieme dei fiori di quel colore, che saranno pur tanti, ma meno delle cose rosse di prima. Se poi dico “fiore” “rosso” “spinoso”, penserò magari alle rose rosse. Evidentemente ho semplificato molto, ma quello che volevo mostrare è come il significato si specifichi quanto più uso proposizioni che chiudono il cerchio alle possibili interpretazioni. Ora come posso declinare un simile procedimento nella musica? Proviamo: quando dico “la”, il suo significato può essere ogni ipertono suonato da qualunque strumento. Se dico “la” “del diapason”, il suo significato può essere l’ipertono puro a 440 Hz, e via dicendo. Attenzione però! In questa procedura c’è qualcosa che assolutamente non va! In questo modo io sto facendo un’operazione identica a quella fatta in precedenza per il rosso, ovvero sto facendo un’operazione linguistica. Per fare un’operazione musicale si dovrà suonarla questa nota e verificare semmai il significato a livello psicoacustico, per esempio. È d’altra parte evidente che se poi vogliamo codificare la procedura, la dovremo comunque scrivere, con la consapevolezza però che staremo utilizzando un linguaggio di altro ordine rispetto a quello che analizziamo.

L’esempio, nella sua banalizzazione, ci può dire alcune cose. Per esempio che i significati potrebbero non essere soltanto quelli il cui senso è un segno linguistico. Inoltre ci ricorda che un modo per produrre significati è anche legato al calcolo. Il modo in cui ci ricorda questo è una cosa piuttosto complicata da spiegare, comunque è forse intuitivo capire che se noi riusciamo in qualche modo a tradurre le proposizioni “fiore”, “rosso” e “spinoso” in un linguaggio che si presti ad essere calcolato, allora le sue proposizioni saranno suscettibili di interpretazione, ossia di attribuzione di significato. Una scoperta che non finirà mai di destare la mia ammirazione è la possibilità di ammettere, sotto opportune condizioni, l’equivalenza tra un calcolo e il procedimento di deduzione inferenziale del pensiero umano. Ciò che mi preme sottolineare è che il processo inferenziale , consequenziale, è un processo di attribuzione di significato, ossia un processo semantico, mentre il calcolo è un processo puramente sintattico. Se a questo punto dobbiamo tornare alle nostre categorie di analisi di un oggetto musicale, dobbiamo chiederci come e se possano essere specificati questi concetti nella musica. Quando qualcuno parla di coerenza o di incoerenza, di consequenzialità, di correttezza formale o meno, a proposito di un pezzo musicale, in un modo o nell’altro o sta utilizzando una categoria semantica o una categoria sintattica o entrambe, ovvero o sta attribuendo un significato o sta facendo un calcolo. Si tratta di scoprire di che tipo di semantica e di sintassi si tratta. A proposito della sintassi è facile correre un rischio: dare per scontato che tali regole siano quelle dell’armonia e del contrappunto o magari quelle della narratività.

Per inciso vorrei far notare un’altra differenza che credo sia sostanziale tra l’interpretazione di un brano letterario e quella di un brano musicale. Parlo di letteratura in generale, a prescindere che si tratti di narrativa, di drammaturgia o altro. Sostanzialmente i principi sintattici sui quali un brano letterario viene ricevuto sono gli stessi o sono omologhi a quelli sulla base dei quali viene prodotto, a parte eventuali differenze di grado o di perizia. I principi sintattici sulla base dei quali un brano musicale viene ricevuto, in genere, sono fondamentalmente differenti da quelli sulla base dei quali viene prodotto. Un compositore dell’epoca romantica, ad esempio, in genere non scriveva pensando che il suo pubblico dovesse avere per forza competenze di composizione. Questo forse accade più facilmente oggi, dove capita che ci sia un notevole distacco tra le risposte che si possono suscitare presso un pubblico generico o presso la cerchia dei colleghi (ho fatto un intervento in proposito in un altro topic, ma non è stato raccolto). Un matematico invece quando scrive una teoria, lo fa sulla base delle stesse regole di chi la legge, non può farne a meno.

Vorrei dunque fare un secondo esempio, o sarebbe meglio dire un esperimento mentale. Le note sulla tastiera del pianoforte sono quasi un centinaio. Supponi di voler calcolare in quanti modi possono essere combinati tenendo pure conto che la loro durata possa variare un numero limitato di volte. Qualcuno ha già tentato questo calcolo e, anche per un numero di ottave ridotto, il valore risulta immenso. È tuttavia suggestivo pensare che in mezzo ci stanno anche tutte le combinazioni che corrispondono alla musica effettivamente scritta finora. Supponi tuttavia di costruire un insieme di regole tali per cui tra tutte le combinazioni solo alcune risultino valide e non tutte. Il numero certamente sarà ancora straordinariamente grande, ma di alcuni ordini di grandezza inferiore a prima. Immagina ancora di aggiungere altre regole, un po’ come avevamo fatto per il rosso, in modo da restringere il campo a piacimento. A questo punto avrai un insieme di regole, che possiamo chiamare teoria, di cui armonia e contrappunto saranno probabilmente solo una piccola parte, o magari non saranno neppure contemplate, il che dipenderà molto dal ciò che vuoi ottenere, dal mondo che vorrai descrivere. Se questa teoria funziona allora la potrai applicare, ma in che modo? Potresti pensare di generare automaticamente tutte le musiche che ne derivano, oppure potresti pensare di generarne solo qualcuna, oppure potresti prendere una musica già scritta e verificare se rispetta tutte quelle regole, o altro. Il primo caso, a meno che tu non abbia costruito una teoria inutile, con ogni probabilità sarà ancora irrealizzabile praticamente, nel secondo caso invece dovrai avere un criterio esterno, non sintattico, per scegliere che cosa generare. In tutti e tre i casi comunque potrai parlare di consequenzialità. Nota infine che, nonostante la codifica di questa teoria, nessuno ti vieterà di violarla, semplicemente il risultato non sarà corretto rispetto alla teoria stessa. Nessuno in fondo chiede, come avviene nella geometria, che la teoria debba essere applicata sempre rigorosamente. O forse no? Esiste forse una proprietà o una caratteristica non della teoria, ma dell’intelletto che in qualche modo forza la mano anche nella musica? D’altra parte nessuno crede che le opere musicali siano riuscite tutte allo stesso modo, e che non ce ne siano alcune più valide di altre, e se questo è vero allora dovrà pur esserci un criterio che non sia la mera casualità. A parte le sue difficoltà e la sua estremizzazione, questo esperimento richiama nuovamente l’attenzione sul legame inscindibile che esiste tra calcolo e significato, qualunque siano gli ambiti a cui vengano applicati, poiché sono modi di leggere la realtà propri del cervello umano. In fondo poi questo esperimento non è neppure tanto avulso dalla realtà. Al giorno d’oggi quasi ogni compositore ha la propria teoria, il proprio codice, e le musiche che scrive ne discendono quasi sempre in modo consequenziale, anche se all’orecchio dell’uditore possono anche non apparire tali. Il problema sta allora forse nella scelta e nell’individuazione della teoria migliore, fermo restando che ciononostante molti codici oltre che non efficaci possono anche essere non corretti? Poco fa avevo scritto che l’equivalenza tra quello che può essere dedotto inferenzialmente e quello che può essere calcolato è data sotto particolari condizioni, condizioni che il calcolo deve rispettare. E in effetti nell’esperimento appena fatto io ho parlato di teorie, omettendo di parlare di calcolo, la funzione del quale in questo contesto dovrebbe essere proprio quella di stabilire il modo in cui una teoria si dipana, come uno stato (nel nostro caso una qualunque delle innumerevoli combinazioni) sia legato ad un altro. È in effetti una distinzione sottile e che di rado viene sottolineata ma che è bene non mettere da parte.

Nota infine che in tutto questo discorso non ho mai parlato di estetica. L’ho fatto volutamente, non perché non attribuisca importanza a questa categoria, ma perché ho voluto concentrare l’attenzione su altro.

A questo punto non posso certo dire che i concetti di “calcolo musicale”, “significato musicale”, di “narratività musicale”, di “conseguenza musicale” o di “teoria musicale” siano ben specificati e riescano a caratterizzare un qualsivoglia “oggetto musicale” né che siano le sole categorie utili o sufficienti. Semplicemente affermo che è lecita una prospettiva diversa rispetto a quella più tradizionale e che se non si riesce a definire un senso specifico per ciascuno di essi non ha senso neppure che vengano utilizzati.

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Ho letto lo scritto di Bianca, troppa roba e a quotare non finirei più di replicare. Mi limito a dare qualche focus su alcune questioni:

 

- Leggo spesso la parola "significato", ma per la musica vale più senso, connotazione.

 

- Negli esempi del calcolo combinatorio applicato ai tasti del pf, bisognerebbe però fare una riduzione del discorso tenendo conto del numero delle mani (direi non più di 3 pianisti, per cui 6 mani e 30 dita) a disposizione...e le limitaizoni relative ad intrecci vari impraticabili nel caso di più pianisti.

 

- La musica è soprattutto estetica, per cui concentrarsi su altro vuol dire non parlare di musica

 

Poi ci sarebbe molto altro...ma servirebbe troppo tempo.

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Cara Bianca, questo è uno degli argomenti più interessanti che si possano immaginare, ma mi sembra infinitamente complesso (senz'altro troppo complesso per essere affrontato, come si deve, in un blog!). A ogni modo, se permetti un'osservazione, o meglio un'opinione, ti posso dire che penso che l'impostazione del problema sia sbagliata: ovvero che la consequenzialità non sia una proprietà intrinseca di un brano, quanto una modalità di ascolto.

 

Mi si obietterà: ma la musica del periodo classico si basa proprio sul concetto di consequenzialità, mentre tale concetto viene più volte messo in crisi, vuoi in un certo Romanticismo, vuoi soprattutto nel secondo dopoguerra (anni Sessanta). Vero. Eppure una cosa mi sorprende. A volte ascolto certi Beethoven - soprattutto se suonati male - in cui ho la netta impressione che domini l'incoerenza, la mancanza di nesso. Al contempo, so che tale incoerenza non è intrinseca a quel certo brano di Beethoven, quanto magari è determinata da una pessima esecuzione, o da una mia mancanza di concentrazione.

 

Se però prendi il brano più consequenziale (più narrativo?? mah, non lo so...) che io riesca a immaginare, ovvero Partiels, e mi chiedi "in cosa consiste la consequenzialità?", ebbene non saprei risponderti se non in modo intuitivo, per sensazioni, per metafore. Sento la consequenzialità, in altre parole lo seguo senza che la mia attenzione si distolga un attimo, dall'inizio alla fine (questa, fra parentesi, è secondo me la linguisticità della musica... ma magari sono il solo a pensarla così).

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Però così tu parli di aspetti differenti, per te è conseguente per ragioni emozionali mentre la consequenzialità di cui si parlava in precedenza è naturalmente quella logica, quella a cui tu giustamente fai riferimento parlando del classicismo. Nella musica spettrale la consequenzialità di questo tipo credo si possa comunque rilevare nello sviluppo dello spettro armonico, non in maniera così lineare come nel classico discorso tonale ma direi che c'è .

Ad ogni modo, concordo con te quando parli di modo d'ascolto e con Bianca quando dice che sono terminologie difficili da accettare, se non si hanno dei criteri più precisi per poterle determinare con chiarezza.

E concordo anche quando dici che è un argomento estremamente complesso, proprio per questo trovo difficile avere in merito delle certezze!

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Mah! L'aspetto emozionale ha senz'altro il suo peso, in Beethoven come in Grisey. Ma mi colpisce che utilizzi la parola logica: è proprio la parola che vorrei utilizzare per Partiels, dove un evento segue un altro con una consequenzialità inarrestabile, talmente limpida che non ha bisogno di essere spiegata, poiché è chiara di per sé.

 

La consequenzialità dello sviluppo dello spettro armonico? Certamente è determinante, ma credo soprattutto a livello costruttivo (il tavolo del compositore). A livello percettivo (la sala da concerto, oppure il cd) credo che pochi ascoltatori siano in grado di dire quando e come le parziali del MI del contrabbasso vengono distorte, ecc..., ma questo non impedisce di ascoltare il pezzo... con emozione! Analogamente: non so se tutti coloro che si godono beatamente il primo movimento dell'op. 31 n. 3 di Beethoven sono ben consci della straordinaria costruzione dei suoi piani armonici.

 

PS ovviamente quando dico non ha bisogno di essere spiegata, so bene di sprofondare nel reame del soggettivo. Ma temo sia inevitabile dato il mio presupposto (la consequenzialità come modalità di ascolto).

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il problema è uno: se valuto un pesce per le sue capacità di arrampicarsi sugli alberi avrò parlato di tutto tranne che del pesce.

Gran parte dei termini usati da Bianca vanno precisati e adattati alla musica. Ma ancora di più si dovrebbe capire se il discorso sulla "logica" della musica abbia senso, o no, o in che misura e in che modalità possa avere senso.

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Cara Bianca, questo è uno degli argomenti più interessanti che si possano immaginare, ma mi sembra infinitamente complesso (senz'altro troppo complesso per essere affrontato, come si deve, in un blog!).

Proprio così, anche perché, come ho detto, a condensare troppo si rischia di perdersi molte cose. Ma è comunque utile, almeno per me, nel senso che esponendosi ad un dibattito in tempo quasi reale è più facile evidenziare eventuali carenze o errori nel ragionamento che si vuole portare avanti.

A questo proposito voglio solo precisare alcune cose.

Le categorie di cui ho parlato, sono pensate innanzi tutto come potenziali. Poi essendo intese per la caratterizzazione di un oggetto musicale, dovranno essere senz’altro anche categorie interpretative per cui, come dici, sono una modalità di ascolto, non una caratteristica intrinseca. Tuttavia dal mio punto di vista sono anche una modalità di produzione. Col che continuo a sottolineare che produzione e ascolto, in musica, diversamente da letteratura o matematica, stanno su piani nettamente differenti, almeno dal punto di vista sintattico, cosa che secondo me non è trascurabile

 

Se però prendi il brano più consequenziale (più narrativo?? mah, non lo so...) che io riesca a immaginare, ovvero Partiels, e mi chiedi "in cosa consiste la consequenzialità?", ebbene non saprei risponderti se non in modo intuitivo, per sensazioni, per metafore. Sento la consequenzialità, in altre parole lo seguo senza che la mia attenzione si distolga un attimo, dall'inizio alla fine (questa, fra parentesi, è secondo me la linguisticità della musica... ma magari sono il solo a pensarla così).

 

Forse confonderà le idee in merito a cosa penso, ma per estremizzare, parlando di consequenzialità, né lo spettralismo né la musica ... non mi viene il termine onnicomprensivo (diciamo tipo Stockhausen, Xenakis, ecc... e non solo il serialismo), dal mio punto di vista, colgono il senso della consequenzialità musicale, proprio perché utilizzano categorie proprie di altri generi, rispettivamente fisica e algebra. Non dico che non si possa percepire in esse consequenzialità, rigore, coerenza, eccetera, ma solo che tale percezione proviene da qualcosa che non è originariamente musicale. Discorso analogo a quanto detto per la narratività, se vogliamo. Sul rapporto tra matematica e musica ci sarebbe poi da aprire un'altra discussione mastodontica...

 

Ma ancora di più si dovrebbe capire se il discorso sulla "logica" della musica abbia senso, o no, o in che misura e in che modalità possa avere senso.

 

Giusto. Io ho cercato di non utilizzare il termine logica, proprio perché tra tutti è il più forte e più compromettente nello stesso tempo. Voglio però ricordare che la logica, sebbene possa sembrare strano, non è una sola, anzi. Di bibliografia in merito alla logica nella musica qualcosina c'è, ma più che altro di carattere filosofico. Anche qui, ovviamente, si aprirebbe un altro dibattito monumentale. Credo solo che affermare che un oggetto musicale sia concepibile in modo esclusivamente estetico (l'estetica... "sorella minore" della logica), sia un po' riduttivo.

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Forse confonderà le idee in merito a cosa penso, ma per estremizzare, parlando di consequenzialità, né lo spettralismo né la musica ... non mi viene il termine onnicomprensivo (diciamo tipo Stockhausen, Xenakis, ecc... e non solo il serialismo), dal mio punto di vista, colgono il senso della consequenzialità musicale, proprio perché utilizzano categorie proprie di altri generi, rispettivamente fisica e algebra. Non dico che non si possa percepire in esse consequenzialità, rigore, coerenza, eccetera, ma solo che tale percezione proviene da qualcosa che non è originariamente musicale.

 

Non sono d'accordo. I brani di Stockhausen, di Xenakis ecc., come quelli di Grisey, e come quelli di Bach, sono oggetti che vanno ascoltati. A prescindere dal modello che utilizzano. Si parla del modello dell'oratoria in Bach, ma io posso seguire il decorso di una Fuga pur senza conoscere Quintiliano. Le mie cognizioni di fisica sono abbastanza scarse, ma questo non mi impedisce di seguire Grisey dall'inizio alla fine.

 

E com'è?

 

Lo ho solo sfogliato, un po' di tempo fa: mi è sembrato interessante. Parla del concetto di logica musicale in Bach, nelle teorie classiche di Koch (se non ricordo male), in Schöenberg. Con argomenti del genere si potrebbe parlare di tutto, e non mi sarebbe dispiaciuto leggere qualcosa a proposito del secondo dopoguerra... ma una limitazione del campo di ricerca era inevitabile!

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Bianca, continui a mettere carne sul fuoco, ma ste bistecche se non le cuoci tu non le cuoce nessuno!

Siamo a 5 pagine di discussione e

1) non ho capito cosa intendi con "significato"

2) non ho capito cosa intendi con "consequenzialità"

3) non ho capito cosa intendi con "narrazione".

Di fatto hai messo in campo un problema, noi abbiamo provato a tirar fuori ANCHE delle soluzioni, ma tu ti sei limitata al problema...

Sporcati un po' le mani, su...

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Non sono d'accordo. I brani di Stockhausen, di Xenakis ecc., come quelli di Grisey, e come quelli di Bach, sono oggetti che vanno ascoltati. A prescindere dal modello che utilizzano. Si parla del modello dell'oratoria in Bach, ma io posso seguire il decorso di una Fuga pur senza conoscere Quintiliano. Le mie cognizioni di fisica sono abbastanza scarse, ma questo non mi impedisce di seguire Grisey dall'inizio alla fine.

 

Allora sei d’accordo! ;)

Secondo te è possibile produrre una musica che rappresenti perfettamente una serie di proposizioni consequenziali il cui risultato appaia all’ascolto totalmente insensato e incoerente?

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Bianca, continui a mettere carne sul fuoco, ma ste bistecche se non le cuoci tu non le cuoce nessuno!

Siamo a 5 pagine di discussione e

1) non ho capito cosa intendi con "significato"

2) non ho capito cosa intendi con "consequenzialità"

3) non ho capito cosa intendi con "narrazione".

Di fatto hai messo in campo un problema, noi abbiamo provato a tirar fuori ANCHE delle soluzioni, ma tu ti sei limitata al problema...

Sporcati un po' le mani, su...

 

a me piace la parte comoda... :D

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Secondo te è possibile produrre una musica che rappresenti perfettamente una serie di proposizioni consequenziali il cui risultato appaia all’ascolto totalmente insensato e incoerente?

 

Temo di non capire fino in fondo i risvolti della domanda! :)

 

Comunque, se posso metterla in questi termini, non riesco a immaginare una qualsiasi ipotetica composizione, per quanto eterogenea e sconnessa, che non possa essere ascoltata come un tutto coerente: è "sufficiente" (si fa per dire!) inventare nuovi tipi di ascolto (e questa, fra parentesi, era la genialità di Stockhausen). E quando si fonda un nuovo tipo di ascolto, si fonda una nuova estetica, per cui le regole sintattiche prima vigenti sono da riscrivere, da aggiustare, ecc. Per questo credo che il discorso della coerenza e della consequenzialità non si basi su regole interne alla composizione musicale, ma piuttosto sulle modalità di ascolto.

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Temo di non capire fino in fondo i risvolti della domanda! :)

 

Comunque, se posso metterla in questi termini, non riesco a immaginare una qualsiasi ipotetica composizione, per quanto eterogenea e sconnessa, che non possa essere ascoltata come un tutto coerente: è "sufficiente" (si fa per dire!) inventare nuovi tipi di ascolto (e questa, fra parentesi, era la genialità di Stockhausen). E quando si fonda un nuovo tipo di ascolto, si fonda una nuova estetica, per cui le regole sintattiche prima vigenti sono da riscrivere, da aggiustare, ecc. Per questo credo che il discorso della coerenza e della consequenzialità non si basi su regole interne alla composizione musicale, ma piuttosto sulle modalità di ascolto.

 

Su questo non siamo d’accordo :)

In questi termini allora tutto finisce per essere indifferenziato. A prescindere dal fatto che la coerenza e la conseguenza non sono la stessa cosa, e anche se qui capisco cosa intendi alla fine la distinzione è forse importante. Quello che però non capisco è però come, se ciò che dici è vero, sia possibile distinguere un oggetto musicale tramite la categoria (eventuale) della conseguenza musicale, o anche se vuoi chiamarla così, della coerenza musicale. Se qualunque oggetto musicale può diventare coerente allo stesso modo (a meno che non vuoi distinguere diversi gradi di coerenza, ma così siamo punto accapo), allora diventa indistinguibile sotto questo aspetto. D’altro canto se un nuovo tipo di ascolto viene inventato, questa invenzione chi la propone? Non credo intendessi ogni singolo ascoltatore e gli ascoltatori nel loro insieme, ma il produttore stesso dell’oggetto musicale, anche se mediante un contesto. Tuttavia il tuo commento esprime secondo me una cosa molto vera e importante: ossia il fatto che “un nuovo tipo di ascolto” si può instaurare anche contro un’estetica consolidata. Solo che questo nuovo tipo di ascolto, dal mio punto di vista, e qui sta la nostra divergenza credo, non può essere instaurato in modo totalmente arbitrario, altrimenti, come dicevo, si cade nell’indifferenziato dove tutto vale, purché qualcuno sia in grado di promuoverlo nel modo giusto o in qualche modo farlo passare come valido. Col che ovviamente nessuno e nessuna legge può indurre qualcuno a non avere il proprio giudizio estetico arbitrario. Ma ogni giudizio singolo, per quanto autorevole, rimane singolo.

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Se qualunque oggetto musicale può diventare coerente allo stesso modo (a meno che non vuoi distinguere diversi gradi di coerenza, ma così siamo punto accapo), allora diventa indistinguibile sotto questo aspetto. D’altro canto se un nuovo tipo di ascolto viene inventato, questa invenzione chi la propone? Non credo intendessi ogni singolo ascoltatore e gli ascoltatori nel loro insieme, ma il produttore stesso dell’oggetto musicale, anche se mediante un contesto.

Capisco cosa intendi dire. Però ... Nel mio intervento ho messo il "sufficiente" fra virgolette perché l'invenzione di un "nuovo tipo di ascolto" (e quindi di una nuova estetica) è forse la cosa più difficile che un compositore possa fare.

In secondo luogo, hai usato una parola che avrei voluto usare io. Contesto. Questo ha un'importanza fondamentale. Faccio un esempio. Se non sbaglio, ma potrei ricordare male, la discussione sulla consequenzialità e sulla coerenza è nata dopo che avevi postato sul forum una tua Fuga, e io sono intervenuto per notare una certa sua mancanza di coerenza. C'è un aspetto che trovo decisivo (a prescindere da qualsiasi valutazione sul tuo brano!). La sezione del forum sulla quale è apparso il tuo brano è intitolata "Laboratorio composizione". Un laboratorio nel quale ci si esercita su forme storiche costituisce un contesto che orienta le modalità di ascolto. In tale contesto, io ascolto il tuo brano e automaticamente lo pongo nel settore "Fuga scolastica", oppure lo accosto a modelli che possono andare da Bach a Franck... Ed è a partire da tali presupposti che osservo la mancanza di consequenzialità.

Forse se il brano si presentasse come una "Rapsodia fugata" (dico la prima cosa che mi viene in mente!) il discorso potrebbe cambiare... Ma non di molto, temo, poiché bastano poche note per evocare una moltitudine di riferimenti stilistici ed estetici, che poi vanno a delineare un contesto di ascolto.

si cade nell’indifferenziato dove tutto vale, purché qualcuno sia in grado di promuoverlo nel modo giusto o in qualche modo farlo passare come valido.

In astratto potrei condividere questo timore, ma in concreto vorrei sapere a cosa ti riferisci. Con l'inizio di Partiels, Grisey propone un modo di ascolto inaudito... perché lo si ricorda? Perché egli è stato un abile promotore di sé stesso?

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Forse se il brano si presentasse come una "Rapsodia fugata" (dico la prima cosa che mi viene in mente!) il discorso potrebbe cambiare... Ma non di molto, temo, poiché bastano poche note per evocare una moltitudine di riferimenti stilistici ed estetici, che poi vanno a delineare un contesto di ascolto.

 

 

non riesco a immaginare una qualsiasi ipotetica composizione, per quanto eterogenea e sconnessa, che non possa essere ascoltata come un tutto coerente

 

Delle due l'una :rolleyes:

Vedi allora che non basta neppure il contesto, ma vi deve essere una caratteristica dell'oggetto musicale.

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