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Piano Concerto - Forum pianoforte

Bianca

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Tutto postato da Bianca

  1. Il pezzo è scritto per un organo specifico, di cui ti metto i registri in allegato. Per suonarlo su un organo differente occorre ovviamente stabilire la corrispondenza dei registri. L'audio finale è realizzato con Hauptwerk. StAnnesOrganInfo.pdf
  2. Anche se immagino non ce ne sia bisogno, consiglio l'uso delle cuffie, altrimenti non credo si possa percepire molto dai diffusori del pc... Buon ascolto Bianca
  3. Giulio Cesare, nel libro sesto della Guerra gallica, descrive i druidi e la loro usanza di vietare la codifica mediante scrittura della loro dottrina. Poiché parla di un’iniziazione di vent’anni possiamo immaginare che questa richiedesse uno sforzo di apprendimento notevole. Tale usanza, dice Cesare, aveva un duplice scopo: evitare la divulgazione della loro dottrina e delle loro formule e impedire l’infiacchimento della mente (“…accade a tutti, infatti, che potendosi avvalere dello scritto, ci si applichi meno nello studio…”) Ho un collega, che non è certo Giulio Cesare, ma che da sempre si rifiuta di utilizzare la calcolatrice per svolgere la maggior parte dei conti, come invece quasi tutti facciamo. Il motivo è semplice: dice che preferisce tenere allenato il cervello. Ora, il fatto di avere a disposizione quasi tutte le informazioni in tempo reale è un problema molto complesso e di grande portata, che forse non si può liquidare in poche righe. Fai comunque una semplice prova: quante volte ti è capitato di dover ricercare una cosa che già avevi cercato? E il motivo non è solo perché non te la ricordi più, ma forse perché non ti ricordi più nemmeno del modo in cui l’avevi capita: “non fa scienza, senza lo ritenere, avere inteso” La scuola da sempre deve formare più che informare e questo lo si sa, ma troppe volte fallisce ed ha fallito in questo scopo. Paradossalmente oggi (e in questo integro quanto dice Simone, che condivido), dove più grande sembra il rischio, gli stessi insegnanti hanno un’opportunità in più rispetto al passato per dimostrare di essere in grado di realizzare questa loro funzione. E qui ovviamente ritorna l’importanza di saper sviluppare e coltivare memoria e giudizio. È anche chiaro che bisogna distinguere tra informazione e comprensione, chiunque può trovare e leggere il teorema di Chauchy, ma non per questo lo capisce, e compito di un insegnante è spiegarne il significato e l’uso. Anche se è pur vero che in rete si può trovare chi o cosa ad un insegnante si sostituisce, e parti di questo forum ne sono un esempio. Qui allora arriviamo ad un punto che nell’articolo non mi sembra sia toccato: l’importanza sociale della scuola e degli insegnanti. Sociale, non “social”. Io credo infatti che quand’anche tutti gli altri aspetti della formazione e dell’istruzione possano essere trasformati e fagocitati da un fenomeno come la rete, quello dell’importanza del rapporto sociale e umano che la scuola e l’insegnante reale introduce, rimangano per definizione ancora insuperabili.
  4. Che dire Frank? Ogni volta che ascolto un brano suonato dall'autore, rimango abbastanza perplessa. Parlo ovviamente di autori per cui già esiste una consuetudine. Se ascolti per esempio la Pavane di Ravel suonata da Ravel e la confronti con quella suonata da interpreti contemporanei, capisci cosa voglio dire. Probabilmente siamo anche influenzati (o viziati) dalla "pulizia" del suono registrato. Questa ha almeno il vantaggio che di solito non la si ascolta al piano solo, per cui... Trovo però che lo staccato alla mano sinistra renda meno bene che nella versione orchestrale. Ovviamente parere personale, suscettibile di revisioni Comunque, tutto sommato, fa sempre effetto ascoltare un pezzo registrato tempo fa.
  5. Grazie Simone per le tue bellissime parole, che forse neppure merito... E grazie ancora a tutti gli altri per aver condiviso.
  6. Grazie per l'apprezzamento... Daniele, tutto sommato Frank ci ha visto giusto anche questa volta
  7. Bentornato! era da un po' che mi chiedevo che fine avessi fatto
  8. Grazie Daniele. Anche se un grazie è poco. Vedi, se anche fosse una sola la voce che risponde, questo sarebbe già abbastanza, o forse addirittura tutto quello di cui abbiamo bisogno. D’altra parte credo che una sola risposta sincera abbia un valore ineguagliabile da tutti gli applausi di questo mondo, pieni o vuoti di giudizio essi siano. E grazie anche a tutti quelli che hanno letto, che abbiano condiviso o meno.
  9. Dopo qualche indecisione ho cercato di raccogliere l’invito di Frank e… non avendo un giornale a cui spedirla l'ho messa qui “Cara nipote, visto che non potrei mai occupare più di un underscore sull’acrobatica linea della tua esistenza, men che mai vorrei sprecare l’occasione di farne un segno che tu possa allegare alle tue raccolte di nomi e interpretare, quando la strada ti appare più tortuosa. Il mondo in cui io vivo forse ti apparirà un mondo passato, come a me già ora pare passato quello in cui sono cresciuta e potrai ritenere che a nulla servano i consigli di chi è vissuto in circostanze che sono totalmente dissimili da quelle in cui ti troverai. E sarà la tua una convinzione del tutto conforme a quella che ciascuna generazione ha sempre nutrito nei confronti delle trascorse, fino a che non è diventata, essa stessa, la generazione precedente. Però, ascoltami, la tua opinione di adesso, è davvero l’opinione corretta: tu vivi probabilmente in un mondo diverso, di cui la maggioranza di noi può avere solo poca contezza e per il quale potrebbe essere completamente inadatta. Invecchiando, non cadere negli errori e nelle lusinghe della memoria, che a volte si trasforma in nostalgia, altre in pura fantasia. E non cadere neppure nell’errore opposto, pensando che il tuo presente sia predestinato a creare un futuro migliore: già troppe volte questa speranza è divenuta un pretesto. Rendi migliore il tuo presente, per quanto puoi. Vedi, per il genere umano, la realtà attuale, passata e futura è come un sontuoso banchetto, opulento e sterminato e pieno di ogni prelibatezza, così come di sorprese amare, ma è imbandito una volta soltanto. Non si approvvigiona ed esaurisce le proprie dovizie man mano che il tempo passa. Quelli che sono giunti prima, sono stati certamente più fortunati, non necessariamente migliori, perché hanno avuto più vasta scelta a disposizione. Poco alla volta hanno consumato le vivande gustose, quelle a portata di mano e poco alla volta i seguenti sono stati costretti ad esplorare i confini lontani per trovare ancora qualcosa di appetibile. Sebbene il convito possa apparire inesauribile, nella speranza di trovare nuove delizie dovremo spingerci sempre più verso remoti estremi e affrontare rischi crescenti. Per questa ragione la tua impresa comincerà con un verso certamente più eroico del mio. Tuttavia le rime che seguiranno, la storia che vorrai raccontare e l’esito che avranno, quelle spetteranno a te e a te soltanto e dipenderà dalla tua capacità di affrontare il presente se il tuo futuro interiore si manifesterà oscuro o sereno. Decifrare la realtà si rivela un’opera impegnativa che richiede attrezzi speciali e molti saranno quelli che proveranno a venderti il loro pacchetto di soluzioni, alcuni in buona altri in mala fede. Prendili tutti in considerazione sapendo già in partenza che di molti non ne potrai comunque fare a meno. Non mostrarti superba, perché la superbia non ti aiuterà, però non rinunciare mai a scoprire da te la via, a costruire da sola l’aratro per coltivare la tua terra e lo scafo per navigare i tuoi mari, a scrivere le canzoni per cullare i tuoi bimbi. Non sarà facile e ti farà sentire spesso probabilmente sola. Dedicherai buona parte della vita a costruire le fondamenta e i pilastri dell’intera tua esistenza. Si tratta dell’insieme delle regole che da un certo momento in poi caratterizzeranno il tuo gioco e che distingueranno la tua personalità dalle altre, dei principi che, una volta consolidati, ti sarà difficile se non impossibile trasgredire: in una parola, della tua morale. Devi capire che la foggia con cui queste colonne sono edificate è varia, il materiale differente, il numero e la disposizione mutevoli, ma unico è il modo con cui esse prendono forma, per qualsiasi animale dotato di un intelletto, e tale modo è l’abitudine. Il momento in cui questo insieme raggiunge una struttura stabile, è il momento della maturità. Il momento in cui questo insieme cessa di evolvere e non è più in grado di adattarsi, quello è il momento della vecchiaia. Comunque vada questo sistema ti sarà indispensabile per vivere nel mondo e l’aspetto che gli avrai dato sarà fondamentale per i risultati che potrai ottenere. Non fraintendere però la funzione dell’abitudine con un atteggiamento passivo, poiché saranno necessarie curiosità, intraprendenza e tutta la tua intelligenza per compiere un’opera così imponente. Ti troverai di fronte a scelte, le sbaglierai e ricalibrerai il tuo progetto fino a che non ti garantirà delle risposte soddisfacenti. Attenzione a non fare che l’abitudine diventi di ostacolo, semplicemente sfruttala a tuo vantaggio, poiché non ne potrai fare a meno. Ti servirà in ogni circostanza, dalla più insignificante alla più complessa, ma sii sempre vigile affinché non comprometta mai il tuo giudizio. Ecco, proprio questo, se dovessi puntare tutto su qualcosa, è quello su cui punterei, sulla tua capacità di giudizio, alla quale spetterà guidare ogni azione, ogni decisione e ogni tuo pensiero. Impara ad esercitarla, ad essa dedica la tua cura maggiormente che ad ogni altra facoltà, mantienila sempre in primo piano senza cessare di metterla a fuoco. Fai in modo che nulla e nessuno mai si sostituisca ad essa. Questo è il rischio più grande, proprio perché essendo la cosa più difficile è anche quella che si preferisce delegare, consciamente o inconsciamente. Su una simile debolezza punta chi vuole vendere facili miti, progresso a buon mercato, guerre sante o sedicenti politiche sociali. Ti vorranno dire cosa è bello e cosa è brutto, cosa è meglio e cosa è peggio, chi seguire e chi evitare. Dubita sempre del giudizio altrui, anche quando è onesto, perché non c’è cosa più preziosa o perdita più grande di questa facoltà. Coltiva il dubbio, compagno discreto ed elegante, non come una protesta distruttiva, ma come il principio di una nuova ricerca. Metti in discussione i tuoi e gli altrui traguardi e cambia prospettiva, ma ricorda che questi non sono fini, bensì strumenti per arrivare ad ulteriori risultati. È solo grazie ad essi che puoi costruire una morale efficace e solida, la quale a sua volta dovrà servire a corroborare il tuo giudizio, come in un gioco dinamico e continuo. Difficile è indicare un luogo o un modo specifico in cui apprendere una simile arte, anzi impossibile. Quel che è certo è che oltre ad una predisposizione naturale, importanti saranno i tuoi maestri, i quali purtroppo non potranno dipendere da te che in minima misura. Tu potrai solo giudicare se essi sono all’altezza del loro compito e il tuo scopo sarà il metro con cui dovrai valutarli. Sappi che non vi è nozione che ti potranno insegnare con tale obiettivo che possa sostituirsi all’esempio che ti forniranno. Perché la capacità di giudizio non è fatta di tecniche e di calcoli, siccome è proprio quella che serve per scegliere laddove calcoli e metodi non arrivano più, sia per limitatezza della conoscenza che per l’indeterminabilità stessa delle cose, e perché la capacità di giudizio è quanto ti rende umano. Cerca allora la conoscenza più che puoi, sia essa di qualunque tipo e secondo le tue più genuine inclinazioni, e trova sempre in essa la tua umanità, che si rivela nel tuo giudizio, senza la quale nulla, di quel banchetto, potrà mai avere alcun sapore. Altro non aggiungo, se non l’augurarti che un giorno, in un futuro lontano, quando avrai magari dimenticato del tutto queste poche parole, e quando forse a tua volta ti toccherà l’arduo mandato di indicare ai tuoi nipoti quali orizzonti seguire, anche allora, ti sia rimasto quel segno, invisibile e muto, mai sbiadito o spento, che solo ti avrà garantito la dignità umana.”
  10. mi manca ancora un po' di strada... per il nipote
  11. Peccato solo che non abbia esortato ad allenare anche la capacità di giudizio... ...quella di cui, specie in questa epoca a cui si riferisce, si difetta grandemente. Oggi nelle scuole sarebbe sempre meno utile insegnare nozioni è sempre più urgente educare all'umanità e al giudizio. Invece succede troppo spesso l'opposto, purtroppo, e il Maestro Perboni nemmeno più si sa chi sia (stato) - e forse non per scarsa memoria ...
  12. https://youtu.be/rIca8oI45Ak Buon fine settimana a tutti.
  13. Caro Frank, come dici le riflessioni di Kierkegaard sul Don Giovanni sono sicuramente stimolanti, ma credo che meglio di me possano fare i molti saggi scritti al riguardo. Quello che mi ricorda però questo tuo riferimento a Kierkegaard, è un’altra tua precedente domanda, che riguardava il perché scriviamo musica. Io ti avevo risposto che lo facciamo per evitare la noia, il che, guarda caso, sarebbe probabilmente proprio quello che avrebbe potuto rispondere questo scrittore. Purtroppo invece, quella mia risposta non era stata recepita nel verso giusto, per cui lasciai cadere la cosa. Ora il fatto che io ti riporti su quel discorso non è tanto per divagare, ma perché penso che al fine comprendere meglio qualunque cosa, sia sempre opportuno sviare l’attenzione, ossia mutare punto di vista. Questa volta tuttavia non vorrei portare troppo avanti la questione, un po’ per tempo un po’ perché ciascuno lo può fare da sé se a voglia. Certo, ci si deve porre qualche domanda specifica (che forse non è facile trovare neppure tra i numerosi saggi già scritti), del tipo - come potrebbe la noia avere qualcosa a che vedere con il linguaggio? – e poi cercare di darci delle risposte, se crediamo possano essercene… Una traccia potrebbe essere questa: noia e linguaggio si incontrano per merito del significato: infatti, in Kierkegaard, la noia è mancanza di scelta, quindi indifferenza, quindi mancanza di significato; il significato è ciò che il linguaggio veicola, e dunque…
  14. certamente... qualcosa tipo "algorithmic composition", molto faticoso, molto più che la composizione tradizionale direi, anche se con risvolti interessanti.
  15. Per l'esegesi del titolo basta chiedere a internet ... comunque : "Il ping flood è un semplice attacco di tipo denial of service dove l'utente malevolo sommerge il sistema oggetto dell'attacco per mezzo di pacchetti ICMP Echo Request (ping)." Wikipedia Il pezzo è parte di "Hacker attack", un progetto in corso, di cui questo mi è sembrato per ora uno dei brani più "orecchiabili" ... Nel caso interessasse allego anche la partitura. Ping flood.mp3 Ping flood.pdf
  16. Segnalo questa iniziativa che mi pare interessante. http://adottaunpianista.it
  17. Non so, quello che posso fare è cercare per sommi capi di dare qualche idea, se poi c’è un contradditorio magari diventa meno pesante. Cominciamo dal basso con un caso concreto. Prendiamo le opere musicali prima citate: la quinta sinfonia di Beethoven e la cathédrale engloutie. Della prima si parla di morte che bussa, ma non è un’attribuzione originale dell’autore, della seconda invece si parla di un mondo sommerso ed è una precisa attribuzione dell’autore. Ora ci potremmo chiedere cosa ci suscita ciascuno dei due pezzi. Personalmente a me la quinta non ricorda la morte che bussa e non me la ricorderebbe nemmeno se l’autore in persona mi venisse a dire che l’ha scritta con quello scopo. La seconda invece, devo essere onesta, è in grado abbastanza bene di evocare la magia di un mondo sommerso, o di qualcosa di simile forse anche se l’autore non l’avesse mai programmaticamente dichiarato. Tuttavia né nel primo né nel secondo caso mi immagino che esista un riferimento esterno reale o psicologico a cui queste musiche si riferiscono. Ma soprattutto, anche se questi esistessero effettivamente o se l’autore me li mostrasse, la mia percezione dell’opera non cambierebbe. Ancora, quello che viene percepito da ogni individuo diverso da me, non sarà certamente, o probabilmente, in alcun modo quello che percepisco io. In sostanza, fin qui, quoto quello che afferma Daniele. Da tutto questo in che modo potremmo desumere che allora la musica non è un linguaggio? Forse un linguaggio è tale se e solo se il dato comunicato è inequivocabile, singolare e univocamente distinguibile? Non è affatto così, anzi è tutto il contrario. Chi sostiene questo (non parlo di Daniele ovviamente), si perde tutta la bellezza e le potenzialità del linguaggio, purtroppo senza guadagnare nulla. Oppure non è ben chiaro cosa sia la semantica. Come dicevo prima, non si deve assimilare la semantica alla teorie del riferimento. Sicuramente la denotazione è semantica, ma anche i “modelli” lo sono, e anzi in un modo ancora più forte. Cosa siano questi “modelli” di cui parlo probabilmente è la parte mancante e più difficile di tutto il ragionamento e proprio quella su cui sarebbe più complesso dilungarsi. Forse “modelli” non è il termine più appropriato perché può indurre confusione in chi usa il termine in campi diversi dalla logica matematica, ma tant’è, non l’ho deciso io . Facciamo comunque finta, per ora, di sapere o di avere una vaga idea di cosa si tratti. È invalso l’uso di parlare di arti asemantiche per esempio per contrapporre le arti figurative a quelle come la poesia o la letteratura in genere. Io ritengo che questa distinzione, se pure in certo modo lecita, sia molto pericolosa, soprattutto e proprio quando si infila di mezzo il linguaggio. Quando si parla di linguaggio, infatti, volente o nolente ci si deve scontrare con la semantica. Siamo d’accordo ad accettare la definizione per cui un linguaggio è un insieme convenzionale di simboli e di regole per manipolarli? Sì? Allora dimmi chi o cosa pensi che debba stabilire la validità di un linguaggio… lo dico io, è la semantica! La semantica (semeion in greco è il segno o simbolo) è proprio quella cosa che serve a stabilire se una certa espressione ha senso e non si tratta semplicemente una manciata di tessere gettate su di un tavolo. Parlare di linguaggio asemantico, quindi, è una contraddizione in termini, da cui a mio parere bisogna guardarsi con circospezione. Quando Frank utilizza questa locuzione, io so bene che intende “linguaggio non denotativo” , ma chi non conosce tale distinzione rischia di fraintendere. Infatti bisogna notare che la semantica non è il risultato del linguaggio, così come il significato non è il risultato di un’espressione, ma è il suo giudice regolatore, quello che garantisce la sua legittimità. In questo senso un’opera d’arte asemantica è un’opera priva di valore, anzi, non è neppure un’opera, ma qualcosa di buttato lì a casaccio. Estremizzando si potrebbe invece sostenere che più vasto è il campo dei “modelli” che possono sostenere un’opera, tanto più grande sarà il “valore” dell’opera. Ovviamente non parlo della conta di singoli soggetti che replicano tutti lo stesso modello, ma della capacità di un’opera di passare attraverso le epoche riuscendo ad avere sempre qualcosa da dire in ciascuna di esse. Anche se questa è più che altro retorica. E sempre nel senso di prima, un linguaggio non denotativo, non è meno potente o meno linguaggio di un linguaggio denotativo: semplicemente e diverso perché ha una semantica e modelli differenti. Bisognerebbe poi anche rendersi conto che un linguaggio completamente denotativo è anch’esso in certo qual modo un’illusione. Basti pensare che se io dico “guarda questo dito” la mia espressione assume un carattere completamente denotativo solo se associata ad un deiettivo (ossia l’indicazione materiale di ciò che sto dicendo a parole), che è un elemento extralinguistico… e poi ancora… Allora se conveniamo sul fatto che la musica sia in qualche modo un’espressione fatta di simboli organizzati non vedo come essa possa sfuggire alla definizione di linguaggio data precedentemente, e quindi per quanto detto prima dobbiamo accettare che per essa valga una semantica. Se così non fosse come potremmo interpretare, analizzare, studiare, insegnare e tramandare la musica? Certo, possiamo dissentire sulle definizioni di partenza. Ma dire che la musica è musica, non serve a molto, è come dire che una mela è una mela o una dittatura è una dittatura. D'altra parte queste sono anche le ragioni per cui, come dice Frank, tra "musica" e "meravigliosa" c'è un mondo, un mondo che spiega "l'apertura" che qualunque giudizio musicale è costretto ad avere.
  18. Appunto. Non so se quello che ho scritto prima si è capito oppure era troppo noioso .... Per poter dire che la musica è un linguaggio, bisogna (oltre a prendere atto del fatto che è l'utilizzo di un insieme di simboli organizzati) accettare che questa possa esprimere qualcosa. Non esistono linguaggi che non comunichino o non esprimano. Persino il linguaggio logico formale (e di linguaggi più formali io non ne conosco) è inscindibilmente legato alla semantica, semplicemente perché è stato costruito così. >danielescarpetti, on 10 Jan 2017 - 11:26 PM, said: >Dunque io penso chela musica esprime solamente s'è stessa e tutti i sentimenti che: compositore, ascoltatore, gli attribuiscono sono soggettivi e Hanslick nel sono soggettivi... Io credo che su questo punto ci sia un fraintendimento, nel senso che forse non ci è reciprocamente chiaro che cosa intendiamo. Che la musica esprime solo se stessa, può essere inteso in diversi modi. Se vogliamo dire che un brano musicale per essere bello, non ha bisogno di riferirsi ad un oggetto specifico non musicale (quella certa ragazza dai capelli di lino?) allora credo saremo tutti d'accordo, anche se nessuno impedisce all'autore di farlo o di metterci quell'intenzione. Se vogliamo dire che la musica è un sistema chiuso (conclusione a cui si arriva seguendo Hanslick apppunto), allora non siamo d'accordo. Qui il ragionamento si fa molto più complesso e non mi è mai sembrato che in queste discussioni ci sia mai stata la voglia di seguirlo e di approfondirlo, purtroppo. Il fatto di attribuire un sentimento o un emozione soggettiva, non è limitante, ma questa possibilità è proprio la differenza semantica del linguaggio musicale rispetto ad altri tipi di linguaggi (non voglio ovviamente dire che tale possibilità non si trovi anche in altri linguaggi). Altro fraintendimento, come detto e ripetuto, è cosa si intende per semantica. Se con questo termine rimaniamo ancorati alle teorie del riferimento, allora, come detto e ripetuto (è quello che ho instancabilmente sempre cercato di spiegare in fondo ), ci si infila in un vicolo cieco...
  19. Come si vede, sembra difficile parlare di linguaggio senza parlare di significato, e ciclicamente su questo forum sembrano riemergere sempre gli stessi spettri. A prescindere da come poi ognuno la voglia vedere, mi permetto di richiamare alla mente alcuni concetti storicamente rilevanti, anche se forse già fatto in passate discussioni. Se qualcuno avrà la pazienza di leggerli, e se già non li conosce o non li ricorda, magari potrà farsene qualche spunto di riflessione. Il formalismo in musica trova in Hanslik uno dei suo passati campioni. Purtuttavia i concetti di linguaggio, senso e sigificato sono stati affrontati in modo più completo dalla logica e dalla linguistica. Come già detto da qualche parte, e per non andare troppo indietro con la storia, Frege distingueva tra Sinn e Bedeutung. Cosa sono? Facciamo un paio di esempi (non sono quelli originali): i vari cartelli segnaletici che indicano la direzione e la distanza da Roma, sono ciascuno un Sinn differente verso lo stesso Bedeutung Roma; il 216° papa della Chiesa Cattolica o il figlio di Giuliano della Rovere nato ad Albissola nel 1443, sono due differenti Sinnen che indicano lo stesso Bedeutung. Sono almeno due le cose da notare qui, primo che il Sinn è il “modo in cui l’oggetto ci viene dato”, secondo che un Bedeutung ha molti Sinnen, mentre un Sinn ha, in generale, un solo Bedeutung. Il campo di applicazione di questa teoria è per Frege il linguaggio, che egli distingue essenzialmente in linguaggio naturale e linguaggio logico (a due valori di verità). In questo modo Frege può dire che “Ulisse approdò ad Itaca immerso in un profondo sonno” è una frase con un Sinn ma il cui Bedeutung è incerto. Per Frege, se in un’espressione compare un termine privo di Bedeutung, l’intera espressione non è né vera né falsa, cioè è sua volta priva di Bedeutung, anche se ha un Sinn: suppergiù quello che pensava Hanslick della musica. Sta di fatto che di lì a poco Russell comunicò Frege che questa impostazione teorica conduce ad un’antinomia e nel suo saggio "On Denoting" sostituisce infatti alla nozione di Sinn il concetto di “funzione proposizionale”. In breve per Russell un’espressione può avere significato anche se è composta di termini che singolarmente non denotano alcunché. Altrimenti, seguendo Frege e il suo esempio di Ulisse, dovremmo concludere che l’intera epica greca è priva di Bedeutung, che in Italiano (e lo dico solo ora apposta) si traduce con significato. È secondo me da notare che inizialmente in Inglese Bedeutung, se non sbaglio, era reso con reference e in seguito con meaning. Oltre tutto Sinn è traducibile anche con significato, proprio così come lo è Bedeutung. In qualche modo dunque la nozione di Sinn senza Bedeutung è una nozione fuorviante, e lo diventa soprattutto nella traduzione italiana. Hanslick in verità è precedente a Frege e il suo formalismo è in qualche modo autonomo rispetto a lui anche se diventa abbastanza facile leggerlo con quel quadro concettuale. Hanslick, in aperta contrapposizione con l’estetica Wagneriana, toglie ogni contenuto dalla musica, compresa la sfera delle emozioni. La musica ha molti Sinnen, ma nessun Bedeutung: questa è in sostanza la posizione formalista e cambia di poco anche nella sua versione “enhanced”, come quella proposta da Kivy. In Kivy si nega ancora il valore semantico della musica, ma si rivaluta fortemente l’esistenza di un rapporto tra musica ed emozioni. Inoltre Kivy ammette che la mancanza di contenuti è limitata alla musica strumentale occidentale, mentre ammette che la musica possa essere significante, anche quella occidentale, quando accompagnata da parole. Già questa posizione formalista allargata dovrebbe destare preoccupazioni nei suoi sostenitori: come infatti potrebbe la musica essere significante se accompagnata da parole se da sé non può essere significante? O il significato è solo quello delle parole e quindi la musica non aggiunge né modifica nulla, oppure in sé la musica deve avere qualche potenzialità. Ad ogni modo, ovviamente qualunque formalista si vede costretto bene o male a negare alla musica lo statuto di linguaggio: se la musica non ha un contenuto allora non può essere un linguaggio, in quanto un linguaggio è un insieme convenzionale di simboli organizzati adatto a comunicare o esprimere qualcosa. Questa posizione, a mio parere, deriva proprio dal fraintendimento iniziale portato dalla distinzione fregeana e dalle conseguenti antinomie indotte. Ovviamente la posizione formalista non è la sola. Da Wagner in poi, passando per Adorno, per arrivare, ciascuno a suo modo, al Wittgenstein delle "Ricerche", alla tradizione ermeneutica, ai cultural studies, agli studi di genere e addirittura a numerosi esponenti della filosofia analitica (Danto, Levinson, ecc…), oggi ritenere che l’asemanticità della musica sia la sola dottrina è per lo meno ingenuo. Addirittura le neuroscienze, da qualche anno pretenderebbero di aver dimostrato che la musica promuove significati in modo analogo ad altri linguaggi (se qualcuno è interessato forse ritrovo qualche estratto di questi studi). Cosa davvero si dovrebbe intendere allora oggi quando si dice che la musica ha molti sensi e nessun significato, visto che ci si ostina ad utilizzare tale proposizione? Se non vuole rimanere una formuletta imparata da qualcuno o letta da qualche parte si dovrebbe essere in grado di giustificarla. Se la si intende secondo le nozioni di Frege (e di Hanslick) rischia di mostrarsi un vero fraintendimento. Quali sarebbero infatti i molti sensi di una musica? In quanto Sinn. il senso non è che un’espressione, un modo di dire qualcosa, quindi in quanto Sinn ogni musica non dovrebbe avere che un senso solamente, anzi dovrebbe essere "un" senso, non una molteplicità, a meno che con senso non si intenda una performance, non quello dato da una performance, ma la stessa performance, ma allora ci si allontanerebbe ancora di più da una spiegazione. Che altra accezione si potrebbe dare al termine senso, forse quello del linguaggio parlato? Nel linguaggio italiano se io dico “Pippo è un cane” qualcuno fuori dal contesto mi può benissimo chiedere “ma in che senso?” Io potrei infatti aver indicato un cane di nome Pippo, oppure essermi rivolta al mio amico Pippo in modo spregiativo, oppure ancora aver ricordato a qualcuno che l’omonimo personaggio dei fumetti è un cane. Quella sua domanda dunque può essere sostituita tranquillamente da “a cosa ti riferisci?” In italiano quindi si presuppone in qualche modo un contenuto verso cui il senso di un’espressione è riferito, tant’è che nel linguaggio comune (e non solo italiano) senso e significato sono facilmente interscambiabili. Pensare quindi che i molti sensi di una musica siano da leggersi nell’accezione del linguaggio parlato non può nuovamente spiegare la questione. Potremmo proseguire a piacimento, e di modelli semantici ve ne sono infatti numerosi, fin troppi, ma il fatto è che noi abbiamo comunque a che fare con una realtà che vogliamo in qualche modo descrivere, e per fare questo è necessario che stabiliamo dei termini che siano efficaci allo scopo. Di per se non c’è nessun problema nel chiamare senso il significato e significato il riferimento o viceversa, ma alla fine è la descrizione nel suo insieme che deve reggere il meglio possibile, anche se sarà sempre solo un’approssimazione. Forse allora conviene recuperare almeno in parte l'obiezione di Russell all'utilizzo del termine Sinn, sia esso usato da Frege oppure da Hanslick. O forse ancora si potrebbe accondiscendere alle suggestioni di Wittgenstein che oltre a contestare la validità delle teorie del riferimento si oppone altresì all'idea stessa della possibilità di una musica "pura": per comprendere un'opera musicale adoperiamo categorie che desumiamo da esperienze non musicali (e quindi la comprensione e l'espressione musicali non sono chiuse). Sono tutte cose già dette. L'unica cosa che posso sottolineare è che prima di sentenziare apoditticamente questa o quella conclusione, sarebbe meglio porsi qualche domanda e farsi venire qualche dubbio, del tipo, in ordine sparso: -che interpretazione posso dare di una cosa che non ha significato? -quali accezioni si possono avere dei termini linguaggio, senso e significato? -viene prima il linguaggio o viene prima il significato? -se il significato è un segno di qualcosa fuori da significante, questo qualcosa deve essere per forza univoco e determinato? -se il senso è il modo con cui questo qualcosa viene indicato, in che termini possibile indicare in qualche modo qualcosa che non sussiste? -per avere una semantica ciò che è indicato deve essere unitario o può essere molteplice? -il modo di indicare qualcosa potrebbe esso stesso essere un qualcosa? -può esistere un'espressione del pensiero priva di contenuto e piena solo di forma? -ecc. ecc..
  20. Come al solito dipende molto da cosa consideriamo democrazia. Se lo intendiamo nel senso etimologico allora dobbiamo valutare in quale modo internet è espressione del potere del popolo: discorso inesauribile. Io vorrei solo fare notare un paio di cose. La democrazia come forma politica evolutasi nel tempo non ha (finora) mai previsto che ogni singolo potesse esprimere e far valere la propria legge, ma casomai che ogni singolo potesse esprimere un voto su una proposta che pochi presentano. Altrimenti non ci sarebbe democrazia, ma qualcosa di simile a quella che gli antichi greci chiamavano “oclocrazia”. Il che vuol dire che lo spirito democratico di questo tipo è intrinsecamente incompatibile con uno spazio come quello di internet. Come dicevo, è semplicemente una questione di numeri. In democrazia si manifesta una scelta su una proposta ben delimitata e soprattutto si deve avere estrema cura che questa proposta sia accessibile e giunga all’attenzione di tutti, non solo di chi capita a tiro per caso. Poter scrivere su un muro la prima cosa che passa in mente, senza essere multato, non ha niente a che fare con lo spirito democratico. Oggi dovrebbero insegnare a cogliere questa distinzione già dalle scuole primarie. Quando qualcuno pubblica qualcosa in rete, poiché il sistema glielo permette, siamo portati subito a pensare che questa sia un’espressione democratica. Capita poi, però, che quanto è stato pubblicato, non passi mai sotto gli occhi di nessuno (e capita la maggior parte delle volte) e quindi l’auspicato meccanismo democratico si inceppa fatalmente. Bene, si dirà, allora non basta far altro che adoperarsi affinché quel messaggio giunga ad un più vasto pubblico possibile. Come notava prima Simone, chi concepisce un’idea o un’opera o una teoria è quasi sempre inadatto a promuoverla coi propri mezzi; e allora ci si affidi ad un professionista, si dirà; ma i professionisti di tale risma costano (e non solo denaro, ahimè, ma soprattutto compromessi). E allora? Quanto meno si è ricaduti nella situazione del passato, quella dei poveri e delle donne, per intenderci. Tuttavia c’è qualcosa di molto meno evidente a far inceppare e fallire inesorabilmente questo meccanismo. Come ribadisco dall’inizio, sono i numeri. Supponi infatti che tutti avessero gli stessi mezzi materiali per far giungere alla completezza della pletora dei “votanti” ciascuna propria “proposta”: ma quanti sarebbero a questo punto i giudizi sottoposti al vaglio ciascuno, sempre ammesso che ciascuno avesse capacità di giudizio e di discernimento? Gli esseri umani, per quanto evoluti possano essere, sono esseri finiti, limitati, anzi, la maggioranza… molto limitati. Vedi dunque che un certo concetto di democrazia di internet è solo una pia illusione, che non dà che false speranze. E vedi ancora quanto sia importante e imprescindibile la funzione dei mediatori, che in questo caso non sono i docenti, ma gli stessi gestori dei flussi di informazione. Anche solo per fare una prova banale, prova a vedere qual è la popolarità di un video prima o dopo che un giornalista qualunque ne abbia parlato in televisione – e mica tutti possono andare in televisione. Se invece con democrazia intendiamo la possibilità di gridare alla luna tutto quello che vogliamo, beh allora credo che l’umanità democratica lo sia stata dalla notte dei tempi, e l’aria che respiriamo è ancor più democratica di internet. Simone, ti esorto a non cedere a questa tentazione. Forse essere “rudi” per usare un eufemismo, ti porterà più consenso e più soddisfazione immediati, ma alla lunga ti potrebbe impoverire l’anima. Conoscere una cosa arricchisce lo spirito, insegnarla lo nobilita, farsene vanto e con essa umiliare qualcuno, lo consuma.
  21. Ti chiedo veramente scusa Daniele per i termini che ho scelto, non era davvero mia intenzione riferirli a te, le cui idee come sai rispetto moltissimo, è solo il mio modo di scrivere che a volte non è felice, spero mi perdonerai. Questo però non è mica poca cosa... Se così fosse allora la discussione iniziata da Simone che senso avrebbe?
  22. Se hai la pazienza di approfondire quanto ho scritto prima, ti accorgerai che quello che sulle prime ti è sembrato pessimismo non è che un pungolo ad esplorare un aspetto scomodo della realtà che raramente si prende in considerazione. Non riconoscere o non voler affrontare queste eventualità alla fine diventa un ostacolo più che un vantaggio per la comprensione. Solo che bisogna predisporre il proprio spirito ad affrontare anche quello che ci può dispiacere, il che è una cosa impegnativa. È molto più confortante credere che esista una forza provvidenziale che muove il corso della storia e che disveli gradualmente la verità. Se ci pensiamo bene, il fatto che un compositore di poco valore sia stato rimesso al suo posto dalla storiografia, non è di per sé un evento straordinario, non ci insegna un granché di nuovo sulla realtà delle cose. Così come il fatto che vi possano essere stati dei compositori di grande valore di cui si sono perse le tracce e che prima o dopo potranno essere riscoperti e rivalutati. Sono cose già successe e che accadranno ancora, fortunatamente. Sarebbe invece più sconvolgente scoprire quanti potenziali artisti di straordinario valore non si sono mai nemmeno potuti esprimere, non abbiano mai neppure lasciato alcuna loro traccia da scoprire, nessun nuovo dono per l’umanità. Questo è il vero problema e il vero dramma che bisognerebbe affrontare: chiedersi se questa è una cosa che davvero può accadere e se sì perché accade e in che misura, e capire dove si può intervenire per porvi rimedio. Trovo che sia invece piuttosto ingenuo pretendere o sperare che chiunque sua sponte scelga la cultura, il senso critico, lo studio, il sacrificio, per affinare una capacità di giudizio in autonomia, anzi che affidarsi molto più comodamente ad uno qualunque della numerosa schiera dei nuovi (o vecchi) sacerdoti mediatici. Perché poi dovrebbe farlo, solo perché sarebbe meglio o giusto secondo noi? Questo percorso ci riconduce però all’inizio del ragionamento, quando un po’ scherzosamente ho parlato di authority: il primo passo da intraprendere sarebbe proprio valutare la qualità dei “mediatori” (discorso già apparso in passato sul forum). Ogni opera ha necessità di un mediatore. In quanto espressione e comunicazione, sebbene di carattere del tutto particolare e senz’altro asimmetrico, essa ha necessità di un mezzo di trasmissione. Da cui discende la responsabilità immensa innanzi tutto degli insegnanti, dei maestri, il cui scopo principale, da che mondo è mondo, dovrebbe proprio essere quello di scovare e dare i mezzi per esprimere al meglio le doti di chi ce l’ha. Dire che la soluzione è tutta qui è ovviamente ridicolo, ma è un passo. Già solo rendersi conto che nella storia possano esserci stati o possano esserci “geni” potenzialmente superiori ai vari che costellano le nostre biblioteche e i nostri miti personali, e che questi ultimi in realtà siano un po’ meno mitici di quanto li dipingiamo, sarebbe uno scatto inaspettato. Dopo tutto quanti di noi criticano aspramente la tendenza del “popolino” ad idolatrare presunte superstar e poi nella propria cameretta fanno la stessa cosa, anche se il poster, in luogo di un avvenente signorina, mostra un vecchietto che fa la linguaccia? L’atteggiamento è identico, quello che cambia, e forse neppure di tanto, sono i gusti e le circostanze. Poi, ripeto, bisogna sempre considerare che i nostri obiettivi non siano illusori, se non incoerenti. Ognuno di noi su questa terra, ricerca in un modo o nell’altro, un suo successo. Pensare che tutti possano raggiungere lo stesso successo è un controsenso. Pensare che chi è più meritevole di chi ha raggiunto il successo dovrebbe stare al posto di quello, è contrario alla realtà dei fatti. Pensare che possa esistere un sistema e che si debba cercare di metterlo in pratica, che sia in grado di premiare i meriti esclusivamente teorici è errato (e non pessimistico) e pertanto inattuabile. Quello che si deve fare piuttosto è capire perché, o piuttosto come, la realtà si manifesta in un certo modo e, dove si può, intervenire per migliorarla. Come si può pretendere che l’Analisi funzionale riscuota il successo della Cocacola? La schiera di chi può digerire la prima è infinitesima rispetto alla seconda. Così bisognerebbe innanzi tutto capire che è opportuno limitare il proprio campo e a quello rivolgersi e quello coltivare. In questo senso non trovo poi tanto sbagliato l’atteggiamento che alcune cerchie di compositori hanno nel chiudersi in quelli che spesso si sentono tanto criticare come circoli per soli adepti. Certo, questi a loro volta non dovrebbero snobbare o ostacolare altre realtà, in quanto un certo potere lo gestiscono, ma favorirne la proliferazione. E poi forse bisognerebbe guardare meno al futuro (e al passato) e più al presente. Fra centomila anni, ammesso ci sia ancora il genere umano, probabilmente persino il successo di Omero sarà scordato (anzi già lo è in larga parte). È semplicemente una questione di numeri, quelli delle cose che stanno nella testa di un uomo non sono molto grandi. Per cui dire che oggi è più facile perché c’è internet e su quella chiunque può lasciare un segno è un’altra puerile illusione: certo, puoi lasciare il tuo granello di sabbia, tra i tanti su una sconfinata spiaggia dell’oceano del presente, granelli più piccoli, sassolini più grandi, alcune rocce, e tutto verrà lentamente stritolato, livellato dagli inesorabili frangenti nella risacca del tempo.
  23. Caro Simone, se tu cerchi soluzioni, la prima risposta che mi viene in mente è questa: occorre creare una (o più) “authority”. Questo è un approccio di carattere politico e istituzionale e se vuoi anche molto pragmatico: costituire una serie di organismi accreditati che si occupino di sorvegliare l’attendibilità e l’affidabilità delle affermazioni circolanti. Si potrebbe addirittura pensare di creare un logo da apporre alle varie affermazioni prodotte o dalle relative testate. Un po’ come accade per i prodotti alimentari. Tempi addietro, un’idea del genere sarebbe apparsa utopica e irrealizzabile, ma oggi in realtà si producono sforzi molto maggiori per cose molto meno importanti e un progetto del genere, con gli strumenti che esistono, sarebbe tutt’altro che fantascientifico. Ma si sa, la pratica cozza sempre con la teoria, e per quanto mi riguarda, in questo caso, non nel modo che ci si aspetterebbe. Forse, in effetti, dovremmo prima chiarirci bene quale sia il problema di cui cerchiamo una soluzione. Se è semplicemente l’attendibilità di una affermazione tecnica, allora potremmo avere qualche speranza, per quanto tutto, su questa terra, sia opinabile e falsificabile. Ma se cerchiamo anche una certificazione per aspetti meno o più difficilmente misurabili, allora temo che quasi ogni soluzione sarà un vicolo cieco. Prendiamo il caso di un’opera musicale. Ad alcuni pare evidente il fatto che certi figuri godano di un successo immeritato e assurdo confronto ad altri molto più capaci e meritevoli. Ci si chiede poi se non sia sempre stato così o se questo mondo digitale non abbia fatto che esasperare e peggiorare le cose. D’altra parte ci si conforta anche dicendo che il tempo e la storia metteranno a posto le cose, poiché dureranno solo i prodotti di valore e il resto sarà scartato dalla selezione naturale. Ma ne siamo davvero sicuri? Io credo che le cose siano molto più complesse e ancora meno confortanti di come vorremmo raccontarle, e a questo proposito faccio alcune provocazioni: -Il tempo e il futuro non faranno che confermare il successo di quelli che già ce l’hanno (se non di tutti almeno della maggior parte). -Il tempo e il futuro non faranno che confermare l’insuccesso e l’oblio degli altri (se non di tutti almeno della maggior parte). -La storia del passato non ha selezionato i migliori in assoluto, ma solo quelli che essa (storia e storiografia) ha ritenuto opportuno selezionare. -La storia del passato ha cancellato tutti quelli che non ha scelto, non in base al loro valore, ma in base all’interesse (che spesso tuttavia include anche il valore). Immagino quanto possano fare accapponare la pelle queste parole, ma credo che, per onestà, prima o poi ognuno ci debba avere a che fare, o almeno deve provare a rifletterci se non vuole rimanere aggrappato alla confortante ma utopica idea, per quanto a volte produttiva, che la verità vince sempre. Certo delle precedenti provocazioni si può discutere per esempio su cosa sia il valore o che cosa sia migliore. Però non sono quelle le questioni che voglio sollevare e con un po’ di buona volontà, lo si capisce da sé. Piuttosto si possono obiettare molti, o alcuni, esempi contrari. Per esempio prendiamo il caso arcinoto di Bach, di cui spesso si dice che ai suoi tempi non fu tenuto nel giusto conto e che solo con Mendelssohn fu rivalutato, mostrando così che la storia rimette sempre in ordine le cose. Bach tuttavia non era davvero un personaggio di scarso successo, come il mito vorrebbe e, anche se pare gli fosse preferito al tempo di gran lunga Telemann, alla storia ci sarebbe comunque passato per i ruoli e la considerazione che aveva già in vita. Tuttavia, si può obiettare, non basta essere maestro di corte per passare alla storia ma bisogna avere la qualità. Certamente, e certamente non tutti (anzi forse nessuno) i maestri di corte avevano le qualità di Bach, ma il punto è piuttosto chiedersi quanti hanno avuto le sue qualità ma non hanno potuto diventare maestri di corte. Nessuno, qualcuno, molti? Di questi non lo potremmo mai sapere e non perché la storia non sia in grado di trovarli, ma perché il presente (il presente di ciascuno di loro) li ha cancellati irrimediabilmente. Questo è un fatto inevitabile. Si tratta di selezione (anche se artificiale, perché nell’umano poco c’è di naturale). Quanti Bach e Telemann avrebbero infatti potuto sopportare le corti di quei tempi se non uno o due alla volta. Se già in un’epoca come quella in cui viviamo da ogni dove piovono compositori e artisti di mirabolanti capacità, oggi, in un mondo dove l’immaginazione non è certo superiore a quella dell’uomo rinascimentale, allora cosa dovremmo supporre di quei secoli così prolifici? Ricordo che il primo giorno di Politecnico, la professoressa di Analisi I esordì con un discorso che mi fece pensare: disse che, poiché quell’anno eravamo troppe matricole, loro avrebbero dovuto in un modo o nell’altro (con qualunque mezzo) ridurci ad almeno un terzo. E così fecero. Ora è lecito pensare che coloro che rimasero furono i migliori e più meritevoli, mentre i restanti non avevano le doti per diventare degli ingegneri. Anche se negli anni seguenti non avessi mai avuto motivo di dubitarlo, una domanda già quel giorno me la posi: ma se a presentarsi a quel corso fossero stati solo quelli che sarebbero poi stati eliminati e giudicati non all’altezza, allora che razza di ingegneri sarebbero venuti fuori? E poi mi accorsi che quella poteva essere proprio la situazione reale, cioè proprio quella in cui ci trovavamo in quel momento: gli altri, quelli veramente migliori, semplicemente al corso potevano non essersi iscritti. C’è poi anche da considerare che magari la bellezza e il valore di un’opera potrebbero non dipendere solamente da fattori intrinseci. Chi ci garantisce che molti dei tanto da noi vituperati falsi compositori non siano davvero migliori di molti di quelli che noi consideriamo tali? Finche si tratta di valutare sulla base di certi parametri più o meno condivisi una capacità tecnica, è un conto; ma di lì in avanti chissa? In fondo un’opera diventa bella anche grazie al fatto che è considerata bella. Con questo non voglio arrendermi a quello che vorrei combattere. Voglio solo considerare anche questo aspetto della realtà, senza negarlo per convenienza. L’arte è infatti anche comunicazione ed espressione di contenuti interiori nei confronti di una comunità e la condivisione e la comprensione di questa comunicazione è di per sé una parte della bellezza, intrinseca se vuoi, dell’opera d'arte. Dal che consegue anche che un’opera non potrà mai essere bella o superiore in assoluto, ma solo come frutto di un processo sociale. Ma qui sto andando troppo oltre e mi fermo. Se tutto questo disturba troppo, fate finta che non l’abbia scritto e tenete per buona, eventualmente, solo la prima parte.
  24. "Fair is foul, and foul is fair: Hover through the fog and filthy air." "Bello è il brutto, e brutto il bello" Chissà qual è il fine dell'arte? Al più ci potremmo chiedere qual è il fine di ciascun artista. Ma le parole, se esistono, hanno un senso e tendono, prima o poi trovare una loro collocazione nel mondo di ciascuno.
  25. Bravo Luca, nulla di più sensato! Quanto sono importanti le parole! Cercare "il brutto" nell'arte non è forse un controsenso? lo sgradevole, l'ostico, il difficile, lo stridente.... sono un'altra cosa, e non possono anch'essi essere mezzi, percorsi per giungere al bello? ma che cos'è "il bello" nell'arte? Forse è una domanda che ci si pone sempre troppo poco.
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