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Piano Concerto - Forum pianoforte

Carlos

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Tutto postato da Carlos

  1. Sono un po' velocini eh? Probabilmente solo per pudore non ci hanno mai insegnato i 356/simi... Considerando che ce ne stanno 32 in un quarto, credo di non averli mai visti, se non usati per sottintendere "tremolo"...
  2. Mah, a dire il vero nemmeno io... Io non ho parlato di cori italiani e di vocalità italiana, quindi non ho fatto nessun riferimento a ciò di cui parli tu. Ma anche se fosse, ascoltare lo stesso coro (tedesco, se ti fa piacere) cantare il Requiem Tedesco di Brahms e la Nona di Beethoven spiega abbastanza bene (e meglio di mille parole) quale dei due pezzi sia scritto meglio per le voci. Il ogni caso, si può giustificare qualunque cosa, ma direi che il fatto che Beethoven non si sia dedicato alla voce più di tanto la dica abbastanza lunga, per lo meno sul suo interesse in merito. Ho cantato moltissima musica da camera vocale di Brahms (solo per fare riferimento al romanticismo tedesco) e, lì, davvero non c'è alcun dubbio sul fatto che JB conoscesse la voce, la collocazione dei registri e la scrittura vocale più adeguata. Lo stesso non si può dire di Beethoven, ferma restando la mia venerazione per lui, sia ben chiaro. Non so quali pezzi corali di Brahms abbia cantato tu, ma quelli che ho cantato io, sì, sono "pesanti" (anche perché c'è molto contrappunto, mi riferisco ai mottetti) ma non certo nello stesso modo. In ultimo, tu dici che la Nona "non è acuta"... eh, parli bene tu! Tu sei un tenore e le parti centrali sono le meno vessate dalla scrittura beethoveniana (nessun mezzosoprano che canta la Nona si lamenterà mai): chiedi cosa ne pensano soprani e bassi, poi ne parliamo!
  3. Oddìo, parliamone... magari non riguardo a Beethoven, del quale si può dire tuttavia che, specialmente in ambito corale, spingesse le voci in maniera a volte esagerata verso l'acuto. Non mi esprimo su Fidelio, che conosco poco, ma basta dare un'occhiata alla Nona Sinfonia e alla cantata "Meeresstille und glückliche Fahrt" per averne un esempio: entrambi i pezzi in re maggiore, entrambi i pezzi coi soprani sempre irrimediabilmente impiccati su la sovracuti e i bassi impiccati su re acuti (tant'è che fanno fatica anche i cori odierni, non oso pensare alle urla all'epoca di Ludovico). Comunque: la voce è uno strumento e se c'è un modo scorretto di usare il violino c'è anche un modo scorretto di usare la voce... L'esempio del suono acuto della Sagra, riportato da Frank, appartiene all'ambito "effetti strumentali" e non credo possa essere d'aiuto per individuare scopi e ragioni di certa scrittura vocale impervia di Beethoven, anche perché per risolvere un problema tecnico strumentale si può aspettare sia il miglioramento della tecnica dello strumento, sia il miglioramento della tecnica dello strumentista, mentre per il miglioramento di un problema tecnico vocale ci si può solo affidare al miglioramento della tecnica del cantante, perchè lo strumento, ahinoi, con tutti i suoi limiti, negli ultimi duecento anni non è cambiato granché...
  4. A parte la singolarità dell'idea (davvero strana, ma immagino che avrai i tuoi buoni motivi), trascrivere vuol dire di fatto "ripensare", quindi non puoi partire a priori decidendo che lascerai la parte dei 1. violino così com'è. Devi valutare via via e riscrivere quel quartetto "come se" la musica fosse stata pensata per pianoforte e violino. Altrimenti si parla di "riduzione" che non è esattamente la stessa cosa. Dando un'occhiatina velocissima al primo movimento della "Caccia", nella maggiorparte dei casi effettivamente la scrittura si presterebbe anche alla partizione che dici tu (ho dato un'occhiata davvero a volo...), ma non è automatico, ad es. alla 5. battuta della seconda parte c'è una bella linea della viola che potrebbe tranquillamente essere suonata dal violino, mentre il pianoforte suona quei frammenti che si scambiano 1. e 2. violino... così, tanto per dire. Inoltre, se "ripensi" puoi anche permetterti qualche trasposizione di ottava, se una linea ti interessa ma è scritta in una tessitura irraggiungibile per il violino... Buon lavoro.
  5. Ah... GG! non avevo capito davvero...
  6. Non l'ho capita... Be' oddìo... ci sono Poulenc e Hindemith (morti entrambi 1963), Gesualdo, nato 1613, Britten, nato 1913...
  7. Io parlavo delle sinfonie... PS a parte tutto, da quando si festeggiano i "centoquarantennali"? quest'anno ce ne sarebbe d'avanzo con quelli da festeggiare per davvero...
  8. Mah, insomma, la Storia ha già dato ragione a lui, consacrandolo tra i Grandi Maestri, quindi non preoccupatevi troppo. Io, comunque, sono uno di quelli che non ne va matto, tranne per alcune (poche) cose. E, purtroppo, non mi piace per niente la sua musica per orchestra...
  9. Be' io ho suggerito l'espressione di Copland, proprio perché è al limite tra "classico" e non...
  10. Copland usa "twice as fast", se ti può essere utile.
  11. Hmm, io proverei a verificare quanti sono bambini e quanti sono ex allievi che si iscrivono ai tanto vituperati bienni... Capisco il discorso di Lory e in parte lo condivido: la necessità è di coinvolgere e sono d'accordo: quello su cui non sono d'accordo è sul dargli informazioni sbagliate, tutto lì. PD Lory, sì, sono "figlio di un tempo", ma ho 38 anni, non 112!
  12. Continuo a non essere d'accordo, ma ovviamente non ho la pretesa di imporre il mio punto di vista a nessuno. Personalmente ho iniziato ad avere i miei primi contatti con la musica a 7/8 anni e nessuno mi ha mai fatto "improvvisare" né cantando né suonando, per poi dirmi che "quella era una composizione". E io ero assolutamente entusiasta sia delle ore che passavo a cantare i mottetti a tre voci di Palestrina, sia a suonare melodie popolari sul flauto ecc ecc. Le cose che si imparano da bambini sono difficili da dimenticare e credo ci siano moli altri modi (soprattutto più corretti) per spiegare a un bambino cosa è una composizione. L'interesse per la materia deve essere suscitato attraverso informazioni corrette, anche se fornite con divertimento e apparente leggerezza. Un'informazione sbagliata, anche se crea interesse, resta un'informazione sbagliata. A dieci anni, con i miei compagni del corso di propedeutica musicale, scrivemmo (ovviamente super guidati da due bravissimi insegnanti) le musiche e il libretto di una favola musicale che poi suonammo, cantammo e recitammo. Era il frutto del lavoro di alcuni mesi passato davvero giocando e imparando insieme cosa significava davvero scrivere una favola musicale. Nulla fu lasciato al caso e, lì, davvero, tutti imparammo cosa significasse "comporre". I bambini sono "spugne" e inculcare l'idea che "quello che salta fuori" se si canta un po' a caso "è una composizione" è molto facile, ma il difficile è poi correggere il tiro. Inoltre, come si fa a spiegare a ungruppo di bambini come componeva Bach, che un registratore per riascoltare quello che aveva cantato/suonato non l'aveva?
  13. Una delle cose più difficili da far comprendere, sia a un bambino sia a un adulto che non abbia conoscenze musicali, è il lavoro che c'è dietro un pezzo, anche breve. Quando spieghi a una persona che anche dietro "Per Elisa" c'è una forma, c'è un processo compositivo ecc. ecc. normalmente la faccia è tra e del tipo "forma? in Per Elisa? ma che dici? è un pezzettino che si fischietta sotto la doccia!" e cose così... L'idea che la composizione sia effettivamente qualcosa di legato ad una "ispirazione" (e solo a quella) e all'estemporaneità è difficile da sradicare. Pertanto, credo che l'idea di far cantare la prima cosa che passa per la testa e in modo assolutamente libero e casuale ad un gruppo di bambini, di registrarla e poi dir loro che "quella è la loro composizione" non sia un'idea molto buona, perché non farebbe altro che perpetuare questa idea, secondo cui comporre significa mettere sulla carta (o anche no?) la prima cosa che ti passa per la testa. Il risultato sarebbe probabilmente una conclusione tipo "bravo però Beethoven a pensare la Nona eh?!". Bisogna invece, coi mezzi che si hanno e senza frustrare i bambini, far capire loro che dietro una composizione c'è, prima di tutto, un pensiero.
  14. Ciao. Allora "2 flauti (ottavino)" significa che il 2. flauto in alcune parti del pezzo dovrà suonare l'ottavino (questo è frequentissimo nell'opera italiana ad es.). Non è mai il primo flauto che suona anche l'ottavino se i flautisti sono due e la parte di ottavino è una. In partitura hai varie possibilità, ma la più comoda, se il cambio flauto 2/ottavino è frequente, è quella di avere due righi separati (uniti da una graffa, come il rigo del pf per intenderci) e scrivere sempre i due flauti separati, indicando "flauto 2 prende ottavino" sulla parte del flauto 2 ogni volta che deve cambiare strumento.
  15. Franz Joseph Haydn in una conversazione con Beethoven, circa 1793, disse: «Avete molto talento e ne acquisirete ancora di più, enormemente di più. Avete un'abbondanza inesauribile d'ispirazione, avete pensieri che nessuno ha ancora avuto, non sacrificherete mai il vostro pensiero a una norma tirannica, ma sacrificherete le norme alle vostre immaginazioni: voi mi avete dato l'impressione di essere un uomo con molte teste, molti cuori, molte anime.» Beethoven aveva 23 anni e non aveva ancora scritto nemmeno i Trii op. 1, che sono del 1794.
  16. Devo ammettere che nei confronti di LB rischio di essere poco obiettivo... Ne sono follemente innamorato e a lui sono disposto spesso a perdonare cose che non perdonerei nemmeno a me stesso Detto questo, in particolare riguardo a Mahler (ma non solo) trovo che le sue letture (e le argomentazioni che porta a suffragio) siano al limite dell'ineguagliabile, per profondità e penetrazione dei più intimi, violenti e contrastati significati del linguaggio mahleriano, che forse Bernstein ha capito come pochi altri, pur affrontandolo, da par suo, con ben identificabile personalità. Per cercare di essere il più oggettivo possibile (cosa che, come ti dicevo, nel caso di LB mi riesce quantomai complicata), direi che l'esuberanza di questo sommo musicista (parlo di Bernstein) ben si sposa con un linguaggio, quello di Mahler, che è fatto di tali contrasti, tali eccessi a volte, che hanno bisogno di "essere tirati fuori", di essere esagerati e non smussati. Oggi forse, dopo un secolo di Mahler (ma non dimentichiamo che la prima integrale mahleriana in Italia è stata quella di Claudio Abbado alla Scala alla fine degli anni '60, incredibile ma vero...); dicevo, dopo un secolo di Mahler abbiamo, sia i musicisti sia gli ascoltatori, acquisito una familiarità che senz'altro al tempo di Bernstein era quasi un'utopia. Memorabile è la sua prova coi Wiener (per i quali tra l'altro quelle sinfonie furono scritte) con Bernstein costretto a sudare sette camicie di fronte ad un'orchestra recalcitrante, che rifiutava di suonare quella «musica di merda» (parole loro, citate proprio da LB). Mahler diceva che «nella partitura è scritto tutto, tranne l'essenziale» e penso che Bernstein fosse in grado di tirar fuori proprio quell'essenziale. Un approccio totalmente diverso alla sua musica, che apprezzo moltissimo anche se parrà strano viso ciò che ho appena detto, è quello di Pierre Boulez, che raggiunge nella musica di Mahler esiti altissimi, a mio parere, partendo da un'angolazione del tutto differente. Bernstein esalta l'aspetto emotivo di quella musica, usando delle partiture tutto ciò che può "servire allo scopo", mentre Boulez esalta delle partiture la costruzione meticolosa, il gioco di colori soprattutto, pulendo e limando la tavolozza perché quel "tutto" che Mahler ha scritto sia reso con la massima fedeltà (e, devo dire, ci riesce come pochi). A quel punto, l'"essenziale" emerge con una potenza del tutto diversa da quella sprigionata dalle letture di Bernstein, perché nelle letture di Boulez l'essenziale sembra esplodere direttamente dalla pagina scritta, cui il direttore francese riserva un rispetto che ritrovo solo in alcuni direttori che si occupano del repertorio barocco. Questo, a mio parere, conferma una cosa che continuo a trovare esaltante, nel far musica: il testo, l'autore, sono il punto di partenza, il solo e l'unico. Mai e poi mai un musicista dovrebbe mettersi davanti alla musica che interpreta. Ciononostante, gli esiti possono essere così sorprendentemente diversi da eliminare qualsiasi preoccupazione di perdita di varietà, perdita di fantasia, nel seguire un testo scritto che, per il tipo di linguaggio che usa, è tra i più "interpretabili" tra tutti. Anzi: come dice Brendel, ci vuole molta più fantasia se si cerca di essere fedeli ad un compositore di quella che ci vuole se ci si prendono troppe libertà, perché un arbitrio può essere malamente mascherato da fantasia, mentre la mancanza di fantasia tale è e tale resta.
  17. A 0:32 LB chiude un suono sul primo mov. della battuta con un gesto verticale verso il basso, solo che il suono nel video si sente pochissimo. Sul 3. mov. della stessa battuta dà un attacco, con un gesto orizzontale (che lui fa partire con le braccia incrociate).
  18. A parte gli scherzi, quella versione è davvero sufficientemente diteggiata, le dita che mancano sono veramente (quasi) ovvie, non dovresti avere problemi. Buon lavoro e buon divertimento.
  19. Più diteggiatura di quella? No, dài, va bene così: le dita sono solo 5 per ogni mano... quelle che non sono scritte si indovinano! (Naturalmente mi riferisco al secondo file, quello identificato come VI. Passacaille Unidentified collection, Plate 9857).
  20. Carlos

    Perché 432?

    :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
  21. Oggi Tullio De Mauro (quello del famoso dizionario italiano De Mauro-Paravia, presente?) ha detto che metà degli italiani non è in grado di comprendere un messaggio scritto. Tu, probabilmente, fai parte di quella metà. Io NON HO MAI DETTO che "la partitura non serve a nulla". Io ho risposto a chi chiedeva se sia utile IL CORSO DI LETTURA DELLA PARTITURA che si fa in conservatorio. Non è esattamente la stessa cosa. Quello (ovvero il corso di lettura della partitura al pianoforte) secondo me non è per nulla utile - e ne ho anche argomentato le ragioni. Ma se tu pensi di essere un fenomeno perché riesci a leggere un lied di Schubert, credendo che quella sia una partitura, confondi le cose per due volte: la prima perché non leggi correttamente e mi metti in bocca parole che non ho detto, la seconda è che non sai nemmeno il significato esatto del termine "partitura", ergo ti mancano i requisiti minimi per affrontare una discussione alla pari su questo argomento. E siccome io, a differenza tua, leggo musica da trent'anni (ovvero da quando di anni ne avevo 8) e dirigo da 15 (ovvero da quando di anni ne avevo 23) penso di poter parlare a ragion veduta (e in italiano corretto) senza sentirmi dire da te che esprimo concetti preoccupanti. Tant'è che, nell'altra discussione, ti avevo consigliato, prima di dire a me che avevo molto da imparare, di chiarire quale fosse l'argomento della discussione, cosa che, con tutta evidenza, non hai fatto.
  22. No, non ero io. Se cerchi un appiglio per attaccarmi hai sbagliato appiglio (o hai sbagliato persona...) e visto che nella discussione in oggetto avevi confuso "partitura" con "spartito" la mia ironia era motivata, la tua no. PS modererei i toni, fossi in te. Grazie.
  23. Carlos

    Perché 432?

    A metà del XIX secolo non c'era uniformità nelle accordature di nessuna orchestra e in nessun teatro e il diapason venne fissato a 435 Hz solo nel 1885 con un congresso a Vienna (poi, a metà del XX secolo, a 440 Hz). In Italia, nei principali teatri d'opera (Firenze, Milano, Napoli) il diapason era tra i 445 e i 450 Hz, mentre nello stesso periodo i pianoforti erano accordati a 432 (era il cosiddetto "tono pianistico"). Questo dovrebbe spiegare bene il desiderio di Verdi di vedere uniformato a quella frequenza il diapason: i cantanti (solisti e coristi) provavano le loro parti col pianoforte a 432 e, non appena mettevano piede sul palco per le prove con l'orchestra, si trovavano a dover cantare in un'altra tonalità. Già oggi, se un cantante dopo aver studiato la parte col pianoforte accordato a 440, va in orchestra e trova l'accordatura a 442/443 (ormai praticamente standardizzata) è in difficoltà... immaginiamoci come doveva essere studiare a 432 e dover cantare in palco a 445/450! Inoltre (ma la mia è un'ipotesi) all'epoca né gli strumenti ad arco né quelli a fiato erano progettati per accordature così acute, quindi immagino che il suono ne risentisse molto, cosa che, probabilmente, a Verdi non piaceva.
  24. Ma non eri tu quello che aveva detto, a me, nella discussione sulla lettura della partitura, che "ho ancora molto da imparare"? Buon lavoro!
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