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Piano Concerto - Forum pianoforte

Il linguaggio armonico di Brahms


Gerardo
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Se ne parla sempre troppo poco o per niente: "il linguaggio armonico di Brahms"

 

Apro questo topic per approfondire i caratteri stilistici di questo grande compositore che se da un lato a livello formale, orchestrazione/etc. attinge molto da Beethoven, dall'altro quando si ascolta Brahms si sentono delle sostanziali differenze dai coevi e soprattutto da Beethoven. Ad esempio la gestione dell'armonia è ben diversa dagli altri.

 

Cosa ne dite?

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Carissimi,  purtroppo non ha ancora avuto un seguito questa discussione ed è un vero peccato. Forse perché Brahms continua, nonostante tutto e soprattutto nonostante la sua elevatissima grandezza ad essere "sconosciuto" e pregiudizialmente osteggiato. Forse anche perché avete voluto dare a questa discussione un'impronta molto tecnica che comporta A) la conoscenza molto particolareggiata del compositore e B) la conoscenza di quelle tecniche; tecniche a cui sicuramente, uno come me non può accedere, se non superficialmente anche se è vero che io non faccio molto testo.

Forse questa discussione avrebbe più avuto ragion di vita nell'ambito della "Musica classica" dove, un brahmsiano come il sottoscritto avrebbe potuto più facilmente dire qualcosa. Ma...forse!

Una cosa però voglio dirla ed è questa: il discorso di un Brahms continuatore di Beethoven è uno sbagliato retaggio dell'Ottocento che continuiamo a portarci dietro. Proprio anche per quei motivi che dice Gerardo ma anche più semplicemente perché Brahms nacque nel 1833 - e cioè 6 anni dopo la morte di Beethoven - e cominciò a comporre musica negli anni 50 dell'Ottocento. Solo questo dato anagrafico, di per sé, sarebbe più che sufficiente a dimostrare che la musica di Brahms non può essere conseguenziale a quella beethoveniana. Certo, in Brahms c'è anche Beethoven ma ...anche. Soprattutto c'è Brahms in tutta la sua grandezza e originalità!

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Carissimi,  purtroppo non ha ancora avuto un seguito questa discussione ed è un vero peccato.

 

Beh, il topic è solo di ieri :)

 

 

 

 

Forse perché Brahms continua, nonostante tutto e soprattutto nonostante la sua elevatissima grandezza ad essere "sconosciuto" e pregiudizialmente osteggiato. Forse anche perché avete voluto dare a questa discussione un'impronta molto tecnica che comporta A) la conoscenza molto particolareggiata del compositore e B) la conoscenza di quelle tecniche; tecniche a cui sicuramente, uno come me non può accedere, se non superficialmente anche se è vero che io non faccio molto testo.

Forse questa discussione avrebbe più avuto ragion di vita nell'ambito della "Musica classica" dove, un brahmsiano come il sottoscritto avrebbe potuto più facilmente dire qualcosa. Ma...forse!

Una cosa però voglio dirla ed è questa: il discorso di un Brahms continuatore di Beethoven è uno sbagliato retaggio dell'Ottocento che continuiamo a portarci dietro. Proprio anche per quei motivi che dice Gerardo ma anche più semplicemente perché Brahms nacque nel 1833 - e cioè 6 anni dopo la morte di Beethoven - e cominciò a comporre musica negli anni 50 dell'Ottocento. Solo questo dato anagrafico, di per sé, sarebbe più che sufficiente a dimostrare che la musica di Brahms non può essere conseguenziale a quella beethoveniana. Certo, in Brahms c'è anche Beethoven ma ...anche. Soprattutto c'è Brahms in tutta la sua grandezza e originalità!

Da un lato l'anagrafica ti da ragione ma dall'altra Brahms è sempre stato considerato un compositore che aveva l'orecchio più teso verso il "passato" che il "futuro". Sicuramente, ed è ovvio, Brahms ha la sua originalità. Altrimenti non sarebbe riconoscibile. La domanda è proprio questa, in cosa?

 

 

Inizierei a ragionare su quinta vuota e modalità :)

Si, sono 2 elementi fondamentali. La quinta vuota da senso di arcaicità alla sua musica e spesso le cadenze che usa sono riconducibili più all'ambito modale che tonale.

 

Fra i vari aspetti ad esempio utilizza spesso le triadi eccedenti.

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Beh, il topic è solo di ieri :)

 

E' vero, ma io sono prevenuto su questa cosa. Son molto contento di essere smentito clamorosamente!

 

Da un lato l'anagrafica ti da ragione ma dall'altra Brahms è sempre stato considerato un compositore che aveva l'orecchio più teso verso il "passato" che il "futuro". Sicuramente, ed è ovvio, Brahms ha la sua originalità. Altrimenti non sarebbe riconoscibile. La domanda è proprio questa, in cosa?

 

 

Anche questo è un argomento ottocentesco che, inspiegabilmente continua a sopravvivere, causato dalle motivazioni di cui sopra.

Sembra quasi che il saggio di Shoenberg del 1933 "Brahms il progressivo" o tutta l'analisi di Massimo Mila a tal proposito sia stata acquetta. E questo solo per dare due esempi fra i più autorevoli. La verità, Gerardo è che su Brahms si continua a ragionare in termini ormai assolutamente superati o obsoleti e spesso, da parte di molti almeno, senza una cognizione di causa.

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Se ne parla sempre troppo poco o per niente: "il linguaggio armonico di Brahms"

Cosa ne dite?

Hai ragione .... ora che mi ci fai pensare .... quando esco a prendermi una birra con gli amici raramente parlo del linguaggio armonico di Brahms!!! :(

Comunque - scherzi a parte - esistono tonnellate di studi specialistici su questo argomento. Basta spulciare Companion, monografie, riviste di musicologia. Affrontare questo discorso con annotazioni del tipo "Brahms utilizza spesso le triadi eccedenti" mi sembra un poco puerile.

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Dal mio punto di vista, già il fatto di "dover" spulciare può essere indicativo di qualcosa. Se invece dovessero esserci trattazioni specifiche, sarebbe carino indicarle. Altrimenti vale il discorso di Gerardo che si sa che qualcuno si è interessato, ma stringi stringi...chi si interessa veramente in Italia a consultare questo materiale?

 

(Ovvio, la triade eccedente è veramente troppo poco, ma racconta qualcosina...non è che i suoi coevi andavano in quella direzione)

 

Io passo solitamente dalle partiture e mi sono fatto una specifica idea sull'argomento e suggerivo degli ambiti, visto che in un'altra sezione del forum citavo l'opera 81, perchè non partire da quella Thallo? Visto che apre scenari interessanti anche a livello formale?

Ad esempio potremmo ragionare in termini di utilizzo di alcuni intervalli che nel caso specifico è il salto di quarta discendente.

 

Vedete voi, di sicuro il topic mira ad un ambito interessante.

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si proponga un brano, su :-)

che io in realtà odio Brahms...

Claudio...l'hai voluto tu, ora però non lamentarti. :)

 

Johannes Brahms e i suoi quattro periodi compositivi

 

Johannes Brahms, è senza alcun dubbio uno dei più grandi geni della musica colta occidentale ma, nonostante ciò, soprattutto nei paesi latini, rimane ostico e lontano dai gusti di tanti ascoltatori. La domanda che ne consegue è dunque: come mai, molta (troppa) musica di questo compositore (a dispetto degli innumerevoli capolavori assoluti da lui composti) continua ad essere pressoché ignorata ancora, nonostante in suo favore siano intervenuti negli ultimi ottant'anni, numerosi autorevoli personalità musicali e intellettuali?

Parlo degli ultimi ottant'anni perché fu esattamente nel 1933, anno del centenario della sua nascita, che Arnold Schönberg in una conferenza dal titolo “Brahms il progressivo”, mise definitivamente una pietra tombale, sopra ogni polemica negativa riguardante il genio d'Amburgo dimostrando come Brahms – il classicista, l’accademico – fu, in realtà, un grande innovatore nella sfera del linguaggio musicale. In particolare, Schönberg attribuì a Brahms il merito di una prosa musicale moderna, ottenuta spezzando le simmetrie d’una forma schematica a corto respiro ed estendendo le modulazioni a regioni molte lontane dalla tonica. Brahms con la sua prosa musicale si può accostare in letteratura a Marcel Proust: «In “Du coté de ches Swan” certe persone anche molto colte, fraintesero la composizione rigorosa, benché velata (e forse più difficile da discernere perché era a larga apertura di compasso e perché il pezzo simmetrico d’un pezzo precedente, la causa e l’effetto, si trovavano a grande intervallo l’uno dall’altro) e credettero che il mio romanzo fosse una specie di silloge dei ricordi, concatenati secondo le leggi fortuite dell’associazione delle idee». L’analogia dei procedimenti (le simmetrie lontane di Proust sono l’equivalente in Brahms alle modulazioni a largo raggio d’escursione tonale) rivela l’insospettata analogia dei contenuti.

Il compositore non si limitò alla sua sfera personale di timido incapace di affrontare la vita, di scapolo inveterato e pieno di struggimento per le gioie della famiglia, ma fu la solitudine dell’uomo il vero soggetto della sua arte superlativa e fu la ragione intrinseca della sua grandezza. Schönberg rilevò anche giustamente come, col passare del tempo, l’antitesi Wagner/Brahms fosse sempre più scemata, per lasciare spazio in maniera postuma, ad una convergenza, dove i comuni tratti romantici dell’epoca finirono per contrastare le posizioni individuali. Infine,Schönberg, rilevò come Brahms si avvicinò ad una «musica per adulti (…) le persone mature pensano in termini complessi e tanto maggiore è la loro intelligenza, tanto più numerosi sono gli elementi con cui hanno famigliarità». Brahms, indubbiamente è dunque un compositore difficile e, questa difficoltà, egli se la conquistò attraverso il confronto con Beethoven, compositore che, volente o nolente, condizionò tutta la storia della musica che a lui seguì per almeno cent'anni dopo la sua morte.

Ma quali furono i motivi per cui molti ancora oggi sostengono che Brahms rappresentò a suo tempo la conservazione? Brahms, da assertore strenuo della tradizione sinfonica e della forma-sonata, si schierò contro il poema sinfonico di Franz Liszt, il Wor-ton-drama di Richard Wagner, i polemici proclami di Hector Berlioz.

Brahms fu, come disse Massimo Mila: «un solitario, un timido incapace d’affrontare la vita nella sua pienezza, scapolo inveterato e pieno di struggimento per le gioie della famiglia, romantico tardivo al quale ogni scelta si configura come strazio per la privazione di tutti gli altri beni che quella scelta esclude (…). Non la solitudine propria, ma la solitudine dell’uomo è il soggetto dell’arte di Brahms ed è la ragione intrinseca della sua grandezza.».

Eppure anche uno come Massimo Mila, d'altra parte, partì da posizioni non certamente favorevoli verso questo genio musicale per poi, in un secondo momento, confessare candidamente i propri errori in merito. Riferendosi a quanto da lui stesso scritto nel 1933, nel 1966 fece completamente ammenda di tutto ciò ma, spiace constatare come dopo quasi cinquant'anni da allora, per molti ascoltatori, il pollice sia verso per il compositore di Amburgo.

Scrisse Mila: «Il saggio su Brahms, per il centenario della nascita, è il disastroso punto di partenza d'un lungo viaggio di avvicinamento, che attraverso tappe successive mi avrebbe portato da uno stato d'insofferente sordità, complici i pregiudizi anti-romantici della “modernità”, a una condizione di affetto quasi idolatrico (...). Brahms è il primo e probabilmente il più grande maestro del Decadentismo, cioè della civiltà moderna. Decadentismo che nella musica (...) significa appunto ingresso della cultura come componente della creazione artistica, necessità improrogabile di fare i conti con un passato accumulato da secoli, obbligo di assumere coscientemente le proprie responsabilità storiche (...) Brahms come l'ultimo Verdi e poi Reger, Debussy e Busoni (...) iniziarono, come dice Schönberg di Brahms, «a scrivere musica per adulti». (...) Dispostissimi, essi, a mettere il piede nelle orme del passato e ad annettere la cultura storica tra le forze creative dell'arte; e ciò fecero con un potere di assimilazione che mancò ai loro continuatori neoclassici. (...) Brahms prende il basso di una Cantata di Bach per la passacaglia della Quarta Sinfonia, e uno manco se ne accorge, perché la potenza della sua fantasia musicale, nutrita di cultura, assicura la completa omogeneità: allora la citazione bachiana, analogamente a quanto avverrà nel Concerto per violino di Berg, si comporrà come quei pezzetti d'epidermide che si prelevano da una parte sana per collocarli all'interno di una grande bruciatura, dove a poco a poco germogliano ripristinando l'intero tessuto distrutto.

Nell'animo di chi ha scritto la Quarta Sinfonia e il Quartetto con clarinetto sono passte le forze che hanno sconvolto il mondo negli ultimi cent'anni e le esperienze di vita su cui sorgono, Proust e Kafka, Freud e Joyce, Musil e Thomas Mann. Solo che Brahms è il più grande di tutti, e la storia della cultura non riuscirà mai a farsi un quadro completo ed esauriente del Decadentismo europeo, finché trascurerà di annettersi i valori musicali. D'altra parte la cultura musicale è restia a riconoscerla modernità dell'arte di Brahms, perché soggiace ancora agli strascichi faziosi d'una polemica le cui giustificazioni storiche sono oggi esaurite. Eppure Schönberg aveva ben visto che quando alla morte di Wagner « era stato materia di profondo contrasto » già alla morte di Brahms «apparve nella sua effettiva realtà, ossia la differenza fra due personalità, fra due stili espressivi, non così contraddittori da impedire la contemporanea presenza delle qualità di entrambi in una stessa composizione».

Se per Beethoven si può parlare di “tre stili” la carriera di Brahms si divide in “quattro periodi”.

Il “primo periodo” comprende, ovviamente, le opere più giovanili ed arrivò al 1855. Fu caratterizzato sul piano umano dalla crescente amicizia per il violinista József Joachim, e dall’affetto verso Robert Schumann e sua moglie Clara Wieck. L'amore per quest'ultima si trasformò presto in un vero e proprio amore platonico. Siamo quindi nel periodo più “romantico” per antonomasia per Brahms, un periodo in cui il compositore considerò il contenuto della propria opera più importante della forma. Non si può certo parlare di un capolavoro ma, indubbiamente, l'opera più significativa di questo primo periodo fu la “Sonata n. 3 per pianoforte in fa- Opus 5”.

Il “secondo periodo” è rappresentato da tutte le opere composte prima del “Requiem Tedesco”. La sua caratterizzazione è anticipata da studi approfonditi del contrappunto che portarono Brahms ad una grande maturazione ed a rivolgersi ai modelli classici. Cominciò qui già ad evidenziarsi il suo stile “crepuscolare” e le sue opere si fecero sempre di più dolci, intime e meditative. Innumerevoli i capolavori di questo periodo a cominciare dalle “Quattro ballate per pianoforte Opus 10, al “Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 Opus 15”, nato originariamente come sinfonia.

Ma di questo periodo e sulle Variazioni su cui voglio un attimo soffermarmi perché le ritengo fra le più grandi di tutta la storia della musica.

Iniziamo da quelle che ritengo le più collassali: le “Venticinque variazioni su un tema di Händel opus 24 ” che furono concepite nel settembre 1861.

In generale per Brahms la sua conquista in questo genere consiste nel perfetto equilibrio tra il rigore classico della sua struttura e l'ispirazione assolutamente romantica, ricca di melodie e di soluzioni espressive. In questo caso, il brano da variare, è un'aria  di Händel estrapolata dalla sua “Suite n. 1 da Leςons pour le clavecin” che qualcuno paragona, dal mio punto di vista con troppa severità, a quella del “Valzer di Diabelli”. Brahms partendo dalla lezione beethoveniana, da questo tema, crea un miracolo di stile, tecnica e invenzione, pur nell'osservanza rigorosa dei tratti armonici, ritmici e melodici del tema ispiratore.

Si tratta di venticinque tessere musicali compiute e definite nella loro autonomia e, se il pianoforte non viene trattato da gratuite virtuosità, si toccano punte di difficoltà estrema e si può dire, a giusta ragione che, con esse, Brahms pose una pietra miliare nella storia della forma variata, collocandosi sulla scia delle “Variazioni Goldberg” di Bach e “Variazioni Diabelli” di Beethoven.

Passo ora alle meravigliose “Variazioni per pianoforte su un tema originale Opus 21 n. 1” risalenti all'estate del 1856, un periodo della vita in cui il genio di Amburgo studiò il contrappunto degli antichi e, naturalmente, Bach in particolare. Come non notare anche qui la fusione della sua soggettività romantica con il rigore stilistico degli antichi maestri. Ma come non notare anche che la tecnica che provoca una specie di polverizzazione del tema è anche legata alla variazione amplificatrice di Beethoven. Le differenze rispetto al “gigante” sono nei procedimenti di scrittura, nella conduzione, nell'invenzione. Pensate che Clara Schumann nell'eseguirle a Lipsia affermò che il compositore si trovò in una condizione «Bach-beethoveniana-brahmsiana».

Ma come non concludere questa piccola invasione nel campo della variazione brahmsiana senza parlare delle “Ventotto Variazioni su un tema di Paganini Opus 35” del 1862/63, un altro caposaldo del repertorio pianistico del genio d'Amburgo, vero e proprio contraltare di quelle sul tema di Händel: due temi agli antipodi, due mondi agli opposti, due finalità diverse ma con un unico personale linguaggio nell'affrontare i due impegni.

Divise in due libri, anche in queste si ripresenta l'unione delle tre grandi B tedesche e, in particolare il pensiero a Beethoven, va ai due finali dei due cicli.

Il “terzo periodo” iniziò con l’elaborazione del “Requiem Tedesco” e fu caratterizzato dalla massima combinazione dell’arte brahmsiana con lo spirito dei secoli precedenti attraversando tutta la musica che va dal Rinascimento attraversando il Barocco, il Classico, fino al Romanticismo. Il maestro amburghese raggiunse l’apice del progresso nelle risorse tonali e tutte le sue opere orchestrali e corali (a parte ovviamente il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra) furono create in quegli anni. La concentrazione intellettuale e spirituale divenne il principio guida del suo lavoro; la sua espressione si fece densa e concisa e le sue composizioni guadagnarono in potenza e in tragicità.

Non ho alcun dubbio nell'affermare che dopo il corpus delle nove sinfonie beethoveniane, il corpus delle quattro brahmsiane, sia il più importante della storia della musica sinfonica; queste composizioni appartengono tutte al suo “terzo periodo compositivo”.

La “Sinfonia n. 1 Opus 68” ebbe una gestazione che andò dal 1855 al 1876. Questa sinfonia che molto retoricamente Hans von Bülow chiamò la “Decima sinfonia di Beethoven”, arrecando un danno notevole a Brahms e contribuendo ad accentuare quell’idea che lo dipingeva come compositore conservatore.

In verità le cose stanno in maniera diversa. Le ultime grandi sinfonie composte prima di Brahms erano le ultime fatte da Mendelssohn nel 1842 e da Schumann nel 1851 che apparirono agli occhi dell’amburghese inadeguate rispetto al magistero formale e di scrittura orchestrale delle partiture beethoveniane, considerate esempi di assoluta perfezione. Brahms, di suo poi, visse sempre il momento di affrontare la Sinfonia, come un momento di soggezione nei confronti del suo grande predecessore. Questi furono i motivi che lo indussero a imprimere alla sua prima sinfonia una particolare attenzione all’elemento tematico e alla forma, che cercò di orientare nel senso di musica “pura”. Quello che però appare in essa intrinsecamente diverso fu il linguaggio, ricco di nuove modulazioni e calato in una realtà completamente diversa, più lirica e più drammatica tanto è vero che Giacomo Manzoni scrivendo di questa sinfonia e delle sue analogie con la “Nona” affermò: «Oggi per noi è già più difficile scoprire questa immediata continuità nell’opera dei due musicisti.»

La “Sinfonia n. 2 Opus 73” fu composta nel 1877. Se per la prima si può parlare di modello beethoveniano per la seconda i modelli furono Mozart per la sua eleganza, Schubert per la sua freschezza popolare.

La “Sinfonia n. 3 Opus 90”, composta nel 1883, rappresentò la svolta vera e propria di Brahms rispetto al passato e soprattutto verso Beethoven. Se il primo movimento è ancora legato all’idea di monumentalità beethoveniana, il quarto è ridotto nella dimensione “minore” della musica da camera.

Infine la “Sinfonia n. 4 Opus 98” del 1885. Sempre Giacomo Manzoni su di essa così si espresse: «La Quarta è indubbiamente il capolavoro sinfonico di Brahms, e non a caso è anche l’ultima sinfonia; poiché in essa egli aveva raggiunto il massimo che nel quadro del sinfonismo romantico fosse possibile ottenere in quell’epoca e con quei mezzi che lui aveva a disposizione. Non per nulla proprio con la Quarta Brahms conclude decisamente il periodo del romanticismo musicale, facendo nascere dei problemi nuovi, dopo aver portato al massimo grado di espressione la tradizionale forma della sinfonia ottocentesca.»

Sarebbe impossibile in un excursus, seppur breve, brahmsiano, non parlare dei suoi due concerti per pianoforte e orchestra che, appartengono il n. 1 al suo primo periodo e il n. 2 al terzo periodo compositivo.

Fu fra il 1854 e il 1857 che fu composto il primo e, la sua genesi, fu costellata da tante incertezze e ripensamenti. Nacque prima come una probabile Sinfonia e solo in un secondo momento fu convertito in Concerto per pianoforte e da questo sta la sua fortissima impronta sinfonica: «(…) Non si valuterà mai abbastanza l’importanza dell’Opus 15 e della sua burrascosa trasformazione da una sinfonia in un concerto per pianoforte dal formidabile primo tempo drammatico e tempestoso, poi declinante in un garbato Adagio e in un anacronistico Rondò.(…).» (Massimo Mila)

 

Fu poi fra il 1878 e il 1881 che Brahms compose il suo “Secondo Concerto per pianoforte e orchestra Opus 83” e la differenza è superlativa.

Penso che le parole più giuste su questo concerto le abbia scritte Piero Rattalino: «(…) L’idea che apre la strada alla soluzione brahmsiana è di una genialità sconcertante; la sonorità complessiva (…) non è plasmata né su quella del pianoforte né su quella degli archi, ma su quella degli strumenti a fiato (…). La sonorità è “grigia” perché non possiede né la morbidezza pastosa degli archi né lo squilibrio aggressivo del pianoforte e degli ottoni: archi e pianoforte confluiscono nel termine intermedio, nella vibratile delicatezza degli strumentini e dei corni, ed il colore ha la traslucida oleosità della pennellata di un Leonardo. (…) è il più bello e perfetto di tutti i concerti per pianoforte e orchestra, il concerto dei concerti, il re dei concerti. (…) Brahms aveva donato alla letteratura pianistica l’opera suprema, Brahms era il creatore da cui bisognava partire per leggere a ritroso tutta la letteratura pianistica che nell’Opus 83 toccava il suo culmine.»

Maestosità, autorevolezza varietà inesauribile dei registri, preziosità nei colori e nei timbri, equilibrio classico, ma anche poesia e altro ancora in questo Concerto di cui Franz Liszt – che non fu certamente generoso nei confronti dell'amburghese - scrisse in una lettera a Brahms: «(…) Mi sembra che possegga il carattere di rivelante opera d’arte, dove pensieri e sentimenti si fondono in nobile equilibrio.(...)».

Nel 1890 Brahms considerò esaurito il suo lavoro col Quintetto in sol+ per archi Opus 111 ma, la primavera dell'anno dopo aver fatto testamento, egli riprese la sua attività compositiva entrando in quello che fu il suo “quarto periodo”. Il suo stile si fece ancora più grave più reticente e più naturale.

Protagonisti di questo suo ultimo periodo furono il pianoforte e il clarinetto: opere che pur perdendo in freschezza rispetto al passato, acquistarono in forza spirituale e in potere creativo formale.

Per questi due strumenti Brahms ci lasciò capolavori assoluti di bellezza e grandezza, a cominciare dal “Quintetto per clarinetto e archi Opus 115” del 1891 che, come asserì Claude Rostand, è «una grande rassegnata confessione, immersa in un'atmosfera piena di tenerezza».

Ma che dire poi dei pezzi pianistici che seguiranno? Le “Sette fantasie Opus 116”, i “Tre intermezzi Opus 117”, i “Quattro Klavierstücke Opus 119”, tutti del 1892, i “Sei Klavierstücke Opus 118” del 1893, tutte meraviglie delle meraviglie; le sue “Sonata n. 1 per clarinetto e pianoforte Opus 120 n. 1” e “Sonata n. 2 per clarinetto e pianoforte Opus 120 n. 2” del 1894, anno che vide la scomparsa per Brahms di tanti cari amici: come non sentire in queste sonate il suo dolore?

Dolore che trapela ancor di più nella sua opera-testamento i “Quattro vier Ernste Gesänge Opus 121” (Quattro canti seri) tratti dalla Bibbia nel 1896, anno della morte di Clara Wieck Schumann, dove la morte è vista come «è la sola via per ottenere la piena consapevolezza: per capire che l'amore è il sentimento più forte, l'esperienza più bella per un essere umano». (Arnold Whittal)

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Dal mio punto di vista, già il fatto di "dover" spulciare può essere indicativo di qualcosa. Se invece dovessero esserci trattazioni specifiche, sarebbe carino indicarle.

Ora non ho accesso al RILM, ma già cercando su JSTOR "brahms harmony" ho 8535 risultati ... anche tenendone buoni solo un decimo, di materiale ce n'è parecchio (credo che il linguaggio armonico di Brahms sia uno degli argomenti maggiormente indagati dalla musicologia).

 

Quanto alla triade eccedente, ho qualche dubbio che l'utilizzo che ne fa Brahms (1833-1897) sia più significativo di quello di compositori della generazione precedente come Liszt (1811-1886) e Wagner (1813-1883). 

 

Comunque concordo sul fatto che un qualunque discorso in questo ambito deve basarsi sulle partiture, e su casi specifici. Si diceva della modalità in Brahms. Nelle ultime otto battute dell'Adagio del Concerto per pianoforte op. 15 (probabilmente la sua cosa migliore) compare un Do naturale che nell'ambito di Re maggiore potrebbe benissimo essere inteso come dominante della sottodominante, se non che a b. 97 questo Do naturale anziché scendere al Si sale al Re. Al suo posto avrebbe potuto benissimo esserci il Do diesis: quindi Brahms voleva proprio il Do naturale. Il tema dell'Adagio compare in questa ultima variante col suono di un modo misolidio. Nelle battute seguenti il discorso si complica ancora. Cosa cercava Brahms in questo passaggio? Possiamo intenderlo come esempio di modalità?

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Quanto alla triade eccedente, ho qualche dubbio che l'utilizzo che ne fa Brahms (1833-1897) sia più significativo di quello di compositori della generazione precedente come Liszt (1811-1886) e Wagner (1813-1883). 

E sai che non lo so :)

 

Nell'ouverture che ho indicato, opera già della maturità di Brahms, le sezioni vermente cromatiche alla Wagner quanto pesano? Lui invece sospende "a suo modo" le cadenze. Se così non fosse non riconosceremmo Brahms dopo pochi secondi. Su Liszt, considerando che ha scritto brani senza tonalità, niente meno brani che iniziano e finiscono su una settima diminuita, direi che il tratto stilistico è un po' diverso dalla triade eccedente. Sono sempre accordi polivalenti, ma che lavorano in modi e gradi diversi.

 

Fra i coevi non trascurerei il buon Grieg (1843-1907), che sarebbe carino andare a vedere come usa la triade eccedente...e in effetti in passato avevamo fatto diverse analisi dei pezzi lirici.

Non cito Scriabin perchè è a cavallo ma nella sua musica più tonale, come si muove questo tratto armonico?

 

Detto questo, per me l'armonia è troppo poco per connotare Brahms, bisogna guardare il contrappunto (ancora una volta rimando alla tragica) e all'orchestrazione...senza contare le impicazioni formali, che fanno nell'insieme Brahms.

 

Il mio intervento ovviamente è rivolto in generale, prendo solo spunto dalle sollecitazioni di Red.

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Nel senso che assieme a qualche brano giovanile (ad esempio l'op. 10) e a qualche altra composizione qui e lì, l'op. 15 è uno dei casi abbastanza rari in Brahms in cui la bellezza dell'invenzione si presenta in tutta la sua forza (nonostante gli squilibri della forma) senza irrigidirsi in preoccupazioni di ordine tecnico.

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Già, come temevo.

Ancora una volta, in linea con quello che è un mio principio primario, non mi metterò a discutere i gusti altrui che, a prescindere da tutto, meritano sempre il massimo rispetto.

Ciò detto, e me ne scuso, non posso dolermi del fatto che persone che hanno possibilità di gran lunga più ampie delle mie per entrare nel merito di un compositore e delle sue opere la pensino in questa maniera.

Dalla mia parte, su Brahms, aldilà dei miei sentimenti e gusti, ho il fior fiore della musicologia - non ultimo ma per ultimo, Quirino Principe in un'intervista a Radio tre l'altra sera in occasione del primo concerto a Milano di MI.To musica  - e di per sé dovrebbe più che consolarmi; ma non è così, anche se non so spiegarmene il perché, visto che comunque sia a me non ne torna nulla, in un senso o nell'altro. Ma, giustamente questo è un problema del tutto mio a cui forse un giorno saprò dare risposta o, ancor più probabilmente, rimarrà uno dei tanti miei punti interrogativi sulla mia personalità.

Probabilmente nessuno ha letto quello che ho scritto su Brahms e...comunque avete ragione a non farlo.

Voglio aggiungere solo una cosa: il catalogo di Brahms, per chi ha orecchie da intendere e d ascoltare realmente, è cosparso di capolavori che se proporzionati alle quantità delle opere da lui composte , sono superiori come numero a quelli, sempre in proporzione alle opere composte, di Bach, Beethoven e Mozart. E... non lo dico io. E' un dato di fatto. Brahms siede con tutte le carte in regola a fianco dei giganti di ogni tempo della musica. Mentre sicuramente non ci siedono e non ci siederanno tanti di quei compositori che ad ogni piè sospinto cercate di introdurre in questo olimpo. Mi spiace, se vorrete farvene una ragione tanto meglio se no... fate voi!

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Nemmeno io voglio convincere nessuno! Come dici bene, si tratta poi di gusti personali. Se si tratta invece di discutere dell'importanza di Brahms nella storia della musica occidentale, meglio aprire un altro topic - ci siamo già abbastanza allontanati dalle intenzioni dell'originale :)

A mia discolpa posso solo dire che dopo aver ascoltato quasi tutta l'opera di Brahms (mi manca qualche Lied) dopo aver analizzato e suonato intensamente le sue opere (ancora oggi del resto le suono e le analizzo, di tanto in tanto), dopo averlo considerato per qualche anno uno dei miei 3 o 4 compositori preferiti ... beh, insomma, adesso ho qualche dubbio!

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Qualcuno (se non sbaglio un tal Leonard Bernstein, anche se non rintraccio la fonte) disse una volta che Brahms è solo armonia. Nel senso che se altri del suo tempo e prima di lui avevano molte più carte da mettere in gioco (melodia, ritmo, forma, ...) Brahms faceva tutto praticamente con un unico ingrediente, l'armonia appunto. A prescindere dal fatto che questa posizione possa essere condivisa o meno, fondata oppure no, mi è sempre rimasta impressa e inconsciamente forse, ha fatto si che mi rivolgessi a Brhams con un occhio di simpatia e benevolenza, come ci si rivolge a qualcuno che è dato in partenza svantaggiato.

A parte la mia impressione, forse quanto detto da Bernstein andrebbe considerato seriamente valutando qualcuna delle sue opere.

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Sul parere di Bernstein avrei qualche osservazione.. Brahms è anche spostamenti ritmici (un esempio? basti pensare all'Intermezzo op.117 n.2 quando modula a Reb con l'ultima semicroma della battuta che funge da battere..), arpeggi metricamente asimettrici, emiolie; è anche forma anzi, in quel periodo storico, è LA forma; è melodia (tranne che in buona parte delle 4 sinfonie forse).

E poi è soprattutto variazione. Raramente ripropone lo stesso elemento/periodo/frase uguale. Un esempio che porto spesso è l'intermezzo op.119 n.2: si-do-sol-si-la-fa# e trasposizioni (anche con cambio di modo) ovunque ma sempre diverso.

Sull'armonia: beh, Brahms la sapeva. E bene. Si potrebbero scrivere centinaia di pagine su questo argomento, ma la via migliore è prendere i brani e guardarli.

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. beh, insomma, adesso ho qualche dubbio!

Premesso che ci sono grandi compositori che hanno attinto da Brams, per cui dubbi non ne hanno avuti ... io penso che, nel caso si faccia fatica a riconoscere il valore dei brani di Brahms, il problema non sia propriamente di Brahms. Ma senza voler far cambiare idea a nessuno, Brahms è già consacrato nella storia come uno fra i grandissimi di sempre. Per cui mi sembra più lecito cercare di individuare li tratti stilistici che fanno Brahms, che ci fanno dire "è lui" quando sentiamo la sua musica e questo a prescindere da come lo riteniamo noi comuni mortali.

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Per cui mi sembra più lecito cercare di individuare li tratti stilistici che fanno Brahms, che ci fanno dire "è lui" quando sentiamo la sua musica e questo a prescindere da come lo riteniamo noi comuni mortali.

Sono d'accordo con te al cento per cento!

 

Per dirla con altre parole ... Mi viene in mente una ragazza molto bella, che anni fa mi piaceva molto ... Ora a dire il vero non mi piace più ... Eppure oggettivamente devo ammettere che è una bella ragazza! Solo che, dopo averla un po' frequentata, non la trovo più così irresistibile :)

 

Facezie a parte, ciò di cui stavo discutendo prima che il thread prendesse quest'altra piega erano proprio "li tratti stilistici" (mi piace questo petrarchismo!). E in effetti alcuni degli spunti che erano stati messi sul tavolo (ma si trattava annotazioni decontestualizzate, e lì partiva la mia critica) sono perfettamente definiti già nelle prime opere di Brahms. Citavo l'op. 10 e l'op. 15 perché sono brani che stavo studiando ultimamente (dovrei aggiungere anche l'Andante dell'op. 5), ma è necessario approfondire, contestualizzare ... insomma, dove come e perché queste triadi eccedenti, questa modalità, ecc.ecc.?

 

Fra parentesi ... la musica da camera in genere rimane per me comunque irresistibile :)

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  • 2 weeks later...

Non so se può essere interessante per quanto riguarda il topic, ma dal momento che in questi giorni stavo rivedendo l'Adagio dell'op. 15 [a 22:19 del link] ho pensato che potesse essere utile aggiungere qualcosa. Ovviamente solo un cenno, perché i forum non mi sembrano i luoghi più adeguati per l'analisi.

Il cambiamento di modo di b. 19 [24:40], da D a d, non è solo "espressivo": è la premessa (o una delle premesse, vista anche la b. 10) di quel Do cui ho fatto cenno in un precedente post.

Il culmine del movimento, bb. 80-84 [31:26], oltre ad una orchestrazione che per Brahms è davvero eccentrica, è caratterizzato da una sequenza armonica discendente (da Re M a Do M) basata ancora una volta sul cambiamento di modo: qui (e altrove, ovviamente!) il modello di Schumann è imprescindibile.

Insomma le principali caratteristiche del linguaggio armonico di Brahms sono già perfettamente sviluppate. Potrei fare altri esempi. Le "armonie a cascata" si trovano già nel giovane Brahms: un esempio basato sul cambio di modo si trova nella Ballata op. 10 n. 4; ma si potrebbe confrontare la cascata di terze dell'Andante dell'op. 3 con l'op. 119 n. 1: il brano del vecchio Brahms è assieme più ingegnoso e più condensato, ma le basi armoniche sono analoghe.

PS l'aggettivo "garbato" riferito da Mila all'Adagio del'op. 15 mi sembra tutto sommato abbastanza infelice.

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Insomma le principali caratteristiche del linguaggio armonico di Brahms sono già perfettamente sviluppate. Potrei fare altri esempi. Le "armonie a cascata" si trovano già nel giovane Brahms:

Red, questo conferma che come tutti i grandi aveva le idee chiare già da "piccino" :)

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  • 1 month later...

Riprendendo una tecnica già sviluppata da Beethoven, Brahms usa accostare zone armoniche lontane mediante nessi non basati sui collegamenti armonici.

La prima frase del primo movimento dell'op. 60, in Do minore (bb. 1-10), si conclude con una cadenza sospesa sulla D, ma è una quinta vuota, senza la terza Si. A b. 11, invece della tonica, irrompe drammaticamente il Si bemolle, che traspone l'impianto armonico un tono sotto: dal I al VII, da Do minore a Si bemolle minore, senza modulazione.

La duplice progressione delle bb. 13-20 arriva alla D di Si bemolle minore, ma a b. 21 c'è una cadenza piuttosto sorprendente, e molto ingegnosa: invece del Sol bemolle maggiore troviamo il Sol maggiore, ovvero una cadenza d'inganno al VI alterato, anziché al VI naturale; e per di più si tratta di un VI maggiore, ovvero la D della tonalità di impianto.

Ma l'oscillazione fra il Si bemolle minore e il Do minore non si risolve se non a b. 27, con una D di Do minore, anch'essa incompleta (stavolta manca il Re, che viene sostituito alla battuta seguente dal Mi).

http://petrucci.mus.auth.gr/imglnks/usimg/5/58/IMSLP179859-PMLP29589-Brahms_Werke_Band_8_Breitkopf_JB_28_Op_60_scan.pdf

 

E a proposito delle quinte vuote, di cui già aveva parlato Frank, uno degli esempi più evocativi è forse l'inizio della prima Ballata dell'op. 10: evidentemente proprio con l'intento di dare un tono popolare e arcano.

http://conquest.imslp.info/files/imglnks/usimg/e/e1/IMSLP84163-PMLP04266-Brahms_Werke_Band_14_Breitkopf_JB_60_Op_10_filter.pdf

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