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Piano Concerto - Forum pianoforte

Agnosia musicale


Bianca
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Non sapevo dell'esistenza di questa patologia, tanto meno che Ravel ne fosse affetto.

 

Ho trovato questo link per chi non la conoscesse:

 

http://www.musicus1.it/psicologia_della_musica.html

 

DISTURBI CONGENITI E DISTURBI ACQUISITI NELLA MUSICA

Un tempo la musica era studiata come fenomeno culturale: ora invece - dopo molti studi a livello psicologico e di neuroscienze degli ultimi vent'anni - è entrata a pieno titolo tra i processi cognitivi complessi.
Tra i disturbi congeniti troviamo l'amusia congenita, definita da alcuni sordità tonale (tone deaf). Essa non è conseguente ad una patologia, ma è tipica di persone che non dimostrano alcuna capacità musicale, di riconoscimento dei suoni, o meglio dell'altezza dei suoni musicali.
Tra i disturbi acquisiti, vi è pure una forma di amusia acquisita collegata a quella congenita, derivante da uno sviluppo anomalo di alcune strutture cerebrali indispensabili all'elaborazione musicale.
Comunque il disturbo più conosciuto e peculiare dell'elaborazione musicale rimane l'agnosia musicale, un disturbo legato a lesioni nella corteccia temporale di entrambi gli emisferi (Peretz, 1996). Chi è affetto da questo disturbo risulta essere incapace di riconoscere suoni e melodie, benché il canale uditivo sia intatto. Alcuni soggetti sono sorprendentemente in grado di riconoscere una nota sbagliata in una melodia, ma non riescono a riconoscere la melodia stessa.
L'agnosia musicale è quindi un'affezione molto selettiva, poiché altri tipi di rumori (es. moto che passa) vengono normalmente riconosciuti.

 

Mi preoccupa un po' il discorso "DISTURBI ACQUISITI NELLA MUSICA"...insomma, che sono acquisibili... :ph34r:

 

 

Alcuni soggetti sono sorprendentemente in grado di riconoscere una nota sbagliata in una melodia, ma non riescono a riconoscere la melodia stessa.

 

...Ravel?

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Mi preoccupa un po' il discorso "DISTURBI ACQUISITI NELLA MUSICA"...insomma, che sono acquisibili... :ph34r:

 

 

Alcuni soggetti sono sorprendentemente in grado di riconoscere una nota sbagliata in una melodia, ma non riescono a riconoscere la melodia stessa.

 

...Ravel?

 

Ravel la acquisì, se non ricordo male, in seguito ad un incidente, che in qualche anno lo portò alla morte. Non so se le ultime opere le abbia scritte con questa patologia già avanzata.

A me interesserebbe capire se ci sono casi clinici (tipo quelli descritti da Sacks) riguardanti compositori noti o non noti.

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in "The Singing Neanderthals" di Steven Mithen c'è un capitolo dedicato all'amusia e alle sue varianti, ma quasi tutti i casi citati si riferiscono a persone indicate solo tramite iniziali... su Ravel, tra l'altro, Mithen parla di un particolare tipo di amusia. Ravel riusciva ancora a suonare alcune cose, il vero problema era scrivere le composizioni che aveva "in testa". Pare che riuscisse, però, a trovare gli errori nelle proprie trascrizioni, se suonate. C'è un riferimento bibliografico a tale T. Alajouanine

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in "The Singing Neanderthals" di Steven Mithen c'è un capitolo dedicato all'amusia e alle sue varianti, ma quasi tutti i casi citati si riferiscono a persone indicate solo tramite iniziali... su Ravel, tra l'altro, Mithen parla di un particolare tipo di amusia. Ravel riusciva ancora a suonare alcune cose, il vero problema era scrivere le composizioni che aveva "in testa". Pare che riuscisse, però, a trovare gli errori nelle proprie trascrizioni, se suonate. C'è un riferimento bibliografico a tale T. Alajouanine

 

grazie per l'indicazione, in effetti non è che mi interessino i nomi e i cognomi, ma solo gli effetti della patologia. Sai dirmi se nel testo indicato si parli in modo esteso di questo aspetto? I breve, proprio come per Ravel la difficoltà era di scrivere la musica che aveva in testa, mi chiedo se siano noti clinicamente disturbi tali da far sì che il soggetto che scrive musica, scriva in effetti qualcosa di "diverso" da quello che immagina. Esistono disturbi di questo genere nella grafia, nella lingua, nel disegno ecc. Mi chiedevo se ci sono casi clinici documentati a proposito della musica.

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La questione in effetti è interessante e attualmente dibattuta. Alcuni sostengono che le aree del cervello dedicate al linguaggio e alla musica siano nettamente separate, altri che non lo siano, o che per lo meno se lo sono abbiano una fortissima correlazione. Ho letto del caso di un compositore colpito da afasia in seguito ad un incidente, che però ha mantenuto la sua capacità musicale di comporre. Sacks riporta il caso di un musicista che pur avendo perso completamente la memoria a breve termine è rimasto in grado di suonare perfettamente come prima. Il caso di Ravel invece è diverso proprio perché egli in seguito all’incidente divenne anche dislessico. Quindi alcuni sostengono che sebbene la specializzazione musicale sia tipicamente localizzata nell’emisfero destro (specie per i non musicisti), mentre quella verbale lo sia nell’emisfero sinistro, queste siano comunque in stretta connessione tra loro tramite un continuo scambio di informazioni.

A prescindere da questi aspetti comunque molto interessanti, la mia questione era più particolare. Ossia in quale misura e in che termini sia possibile che un individuo percepisca in modo “errato” la musica. Questa curiosità mi nasce dal fatto di aver ascoltato una “composizione” talmente assurda che mi ha fatto sorgere il dubbio. Il fatto è che la persona in questione non riconosce le “difficoltà” che gli vengono evidenziate. Un po’ come se uno gli chiedesse di disegnare un cerchio e dopo avergli fatto notare che quello che ha fatto è un quadrato, questo non se ne rendesse comunque conto e continuasse a vederlo come un cerchio. Non ho ancora trovato casi clinici di questo genere.

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Non è una musicista e non si riferisce all'amusia ma in relazione al discorso della memoria a breve termine riporto :

 

http://webapps.jhu.edu/jhuniverse/featured/puzzles_of_the_brain/

 

Riguardo alle difficoltà, quali parametri doveva rispettare questa persona? Un cerchio per essere cerchio ha una sua definizione, in relazione alla musica di cui stai parlando c'erano delle regole da rispettare?

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Sacrosanta osservazione. E forse è proprio questo il punto. Ma non saprei spiegarlo. Sta di fatto che chi è afflitto da questo genere di patologie è convinto di disegnare un cerchio anche se non lo sta disegnando affatto e quando glielo si presenta lo riconosce come cerchio. Quindi, a prescindere dal poter o meno darne una definizione, percepisce qualcosa proprio in modo "errato". Quello che mi sfugge è come si può riportare e verificare questo nella musica (a parte i difetti di intonazione, e simili, che sono facilmente studiabili).

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mi viene da consigliarti di leggere il libro di cui sopra, "The Singing Neanderthals". Non si occupa specificamente di amusia ma affronta in modo molto bello, "divulgativo" e filosoficamente intrigante molti problemi tra musica e linguaggio. Le tue domande, però, sono molto specifiche, e continuo a pensare che una bibliografia più tecnica possa essere utile...

Dico solo una cosa. Quando parli di convinzione ("... è convinto di disegnare un cerchio") io metterei da parte la generalizzazione. Cioè, qui non parliamo di schizofrenici che confondono la realtà con l'immaginazione, parliamo di un deficit, spesso "acquisito". Sempre nel libro di cui sopra, Mithen specifica spesso che i pazienti affetti dai vari tipi di amusia, dislessia e afasia sono COSCIENTI del loro disagio, dei loro errori, della loro patologia. Ovviamente parliamo di una coscienza critica. Cioè, un dislessico se si ferma e ci pensa SA di avere problemi di lettura. Ma pur sapendolo, non si ferma a leggere attentamente ogni scritta per il timore di perdersi qualcosa di importante.

Io ho dei tratti di discalculia. E' una questione complessa, ma ho dei problemi con i numeri. E ne sono cosciente :-) ma in situazioni di stress, semplicemente la mia mente è selettiva. Se mi dici qualcosa, sono in grado di ricordare tutto tranne i numeri in quella frase, e questo nonostante io sappia di avere problemi coi numeri e metta in atto una serie di strategie per memorizzarli e averci a che fare. Chi non sa disegnare i cerchi e SA di non saper disegnare i cerchi, quando deve disegnarne uno probabilmente prende un compasso. Il problema è quando deve scrivere una "o" e non ci pensa, ed esce fuori qualcosa di incomprensibile a tutti gli altri.

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mi viene da consigliarti di leggere il libro di cui sopra, "The Singing Neanderthals". Non si occupa specificamente di amusia ma affronta in modo molto bello, "divulgativo" e filosoficamente intrigante molti problemi tra musica e linguaggio. Le tue domande, però, sono molto specifiche, e continuo a pensare che una bibliografia più tecnica possa essere utile...

Dico solo una cosa. Quando parli di convinzione ("... è convinto di disegnare un cerchio") io metterei da parte la generalizzazione. Cioè, qui non parliamo di schizofrenici che confondono la realtà con l'immaginazione, parliamo di un deficit, spesso "acquisito". Sempre nel libro di cui sopra, Mithen specifica spesso che i pazienti affetti dai vari tipi di amusia, dislessia e afasia sono COSCIENTI del loro disagio, dei loro errori, della loro patologia. Ovviamente parliamo di una coscienza critica. Cioè, un dislessico se si ferma e ci pensa SA di avere problemi di lettura. Ma pur sapendolo, non si ferma a leggere attentamente ogni scritta per il timore di perdersi qualcosa di importante.

Io ho dei tratti di discalculia. E' una questione complessa, ma ho dei problemi con i numeri. E ne sono cosciente :-) ma in situazioni di stress, semplicemente la mia mente è selettiva. Se mi dici qualcosa, sono in grado di ricordare tutto tranne i numeri in quella frase, e questo nonostante io sappia di avere problemi coi numeri e metta in atto una serie di strategie per memorizzarli e averci a che fare. Chi non sa disegnare i cerchi e SA di non saper disegnare i cerchi, quando deve disegnarne uno probabilmente prende un compasso. Il problema è quando deve scrivere una "o" e non ci pensa, ed esce fuori qualcosa di incomprensibile a tutti gli altri.

Ci sono molte forme e molti livelli di agnosia. Nelle forme più gravi e patologiche quello che manca è proprio il riconoscimento e la consapevolezza dell'errore. Certo nelle forme di dislessia per esempio, nella maggior parte vi è consapevolezza. Quello che interessa a me però sono proprio i casi più critici, perché spesso sono proprio i limiti e le eccezioni a spiegare e a dare un senso alla normalità. Appena trovo il tempo mi procuro il testo che mi hai indicato. Come dici una bibliografia clinica mi sarebbe utile, ma temo sia difficile di trovare quello che fa al caso mio. Comunque se trovo qualcosa vi aggiorno.

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Come dici una bibliografia clinica mi sarebbe utile, ma temo sia difficile di trovare quello che fa al caso mio. Comunque se trovo qualcosa vi aggiorno.

 

Da quello che ne so, l'amusia è molto di moda nei testi di psicologia della musica. La pagina in inglese di wikipedia è colma di citazioni bibliografiche, e se si trovano le citazioni su wikipedia in genere vuol dire che la letteratura sull'argomento è veramente vasta. Capisco che tu sia interessata a una parte molto specifica dell'argomento, ma in questi casi è difficile arrivare subito al punto.

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Tra i vari casi clinici che sto scorrendo, ne riporto uno abbastanza curioso. Un gruppo di neurologi riporta (1979) un caso di un compositore e direttore d’orchestra (il nome ovviamente è omesso) colpito da infarto nell’emisfero destro del cervello, che perse ogni tipo di risposta emotiva alla musica e di conseguenza la sua abilità nel comporre “meaningfully”. Tale disturbo tuttavia riguardava solo la musica tonale, mentre mantenne intatta la capacità di comporre musica seriale.

Direi che il caso, per ora unico del genere che ho trovato, potrebbe porre questioni interessanti.

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...praticamente è la dimostraizone scientifica che la musica seriale è priva di emotività...

A dire il vero, è solo la dimostrazione scientifica che questo direttore/compositore quando scriveva musica seriale non era in grado di immaginarsi come suonava.

 

Ovviamente, "dimostrazione" fra molte virgolette, perché nessuno - tanto meno uno scienziato - può desumere in questi termini un principio generale da un caso particolare.

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In genere quelli che si chiamano “esempi contrari” servono proprio per confutare una teoria e spesso sono la stessa base su cui fondarne una nuova (la letteratura scientifica è piena di casi del genere, mentre per quanto riguarda l’aspetto filosofico si può partire dal dibattito epistemologico post popperiano).

A parte questo, anche in termini di senso comune, di solito i principi generali si desumono dai casi particolari (si chiama induzione), prima del viceversa.

Detto questo, anch’io ci andrei cauta a trarre facili conclusioni da un caso clinico, che tuttavia pone una serie di problemi che sarebbe superficiale sottostimare solo perché temiamo il risultato.

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Il dettaglio più interessante sul caso del direttore/compositore mi sembra l'accenno al meaningfully... Chissà cosa intendevano i neurologi con questo termine! E chissà perché la musica tonale composta dopo l'infarto non era meaningfully, mentre la musica seriale sì, a quanto pare.

Al di là dell'agnosia, ci sarebbe parecchio da riflettere sulla capacità di "immaginare" correttamente il suono, di avere una "rappresentazione interiore" più o meno precisa di ciò che si compone. Adorno riporta che Richard Strauss, maestro dell'orchestrazione per eccellenza, era spesso stupito di come suonava la propria musica quando la ascoltava per la prima volta eseguita dall'orchestra. Soffriva dunque di un disturbo nella capacità di immaginare ciò che componeva? (Credo proprio di no!) Arnold Schönberg ricorda che Anton Webern non era in grado di dirigere correttamente un brano atonale prima di averlo analizzato, ma dopo l'analisi era capace di accorgersi se uno strumentista sbagliava nota, anche all'interno dei passaggi più complicati.

Compositori come Schönberg Webern o Berg, se colpiti da agnosia, o da un qualunque disturbo che impedisse una corretta rappresentazione interiore del suono, non sarebbero certo stati in grado di scrivere né musica tonale né musica seriale.

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A dire il vero, è solo la dimostrazione scientifica che questo direttore/compositore quando scriveva musica seriale non era in grado di immaginarsi come suonava.

 

 

 

A parte che sono consapevole che non è una "dimostrazione", l'effetto è quello che descrivi ma la causa è quella indicata da Bianca: perse ogni tipo di risposta emotiva alla musica.

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A parte che sono consapevole che non è una "dimostrazione", l'effetto è quello che descrivi ma la causa è quella indicata da Bianca: perse ogni tipo di risposta emotiva alla musica.

 

Disse il neurologo che ha compiuto lo studio ...

Potrei far finta di fare una richiesta complessiva, dicendo "smettiamola di trarre conclusioni sbagliate per i nostri fini". In realtà i messaggi sul forum sono disponibili a tutti, e la mia richiesta è: ttw, smettila di dire boiate. Questa era e rimane una discussione seria, possiamo evitare di trasformarla nell'ennesima stupida lotta tra "defensores fidei tonalis" e biechi serialisti? 

Se vogliamo stare tra persone serie, parliamo in modo serio. Nel mondo delle persone serie, dovremmo notare come le risposte e le domande fatte dai neurologi non bastano ad affermare nulla dal punto di vista musicale-musicologico. Stante a quello che ha citato Bianca, ovvio. E mando una frecciatina a Bianca dicendo che l'induttivismo può essere utile a postulare tesi di lavoro e ipotetici modelli, ma sono le prove a confermarli. Attualmente è difficile parlare di neurolinguistica anche se ci limitiamo ad un punto di vista fisiologico. Difficile soprattutto in quanto nessuno di noi è un medico (a quanto ne so). Se saltiamo subito alle "conseguenze" su altri piani, poi, la cosa si trasforma in pura filosofia, ovvero opinioni più o meno argomentate. In questo caso non serve neppure parlare di casi studio, valgono le testimonianze di migliaia di compositori che hanno scritto "meaningfully" sia musica tonale che musica atonale

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 l'induttivismo può essere utile a postulare tesi di lavoro e ipotetici modelli, ma sono le prove a confermarli. Attualmente è difficile parlare di neurolinguistica anche se ci limitiamo ad un punto di vista fisiologico.

 

Certamente Thallo, hai fatto bene a sottolinearlo se non fosse stato chiaro. Solo per non lasciare altre confusioni, il principio di induzione è un principio che in logica serve a dimostrare una tesi, l'"induttivismo" invece è proprio quello contro cui si rivolge la critica Hume - Popper dicendo in soldoni che non bastano infiniti esempi per dimostrare una tesi ma ne basta uno contrario per smontarla. La questione sull'induzione in epistemologia è però abbastanza articolata è complessa e va completamente fuori tema.

D'altra parte concordo anche con RedScharlach che dice che la parte interessante da approfondire è l'accenno al meaningfully.

Lessi tempo fa uno studio condotto da un gruppo di neurologi a tal proposito, citando il quale temo si scatenerebbe un putiferio, dati i ben noti tabù a riguardo.

Comunque, questi casi clinici (per esempio quello che ho citato si trova in http://www.amazon.it/Cognitive-Neuroscience-Music-Isabelle-Peretz/dp/0198525206 ) sono esperienze che direi "cruciali" per poter farsi dei "modelli" di interpretazione di come funziona la musica nella mente dell'uomo. Se la neurolinguistica è già un campo difficile e delicato ci si può solo immaginare quanto di più lo sia la neuromusicologia, che alle spalle non ha per ora un Broca o un Wernicke.

Poi ciascuno ovviamente ha il diritto di trarre per sé le conseguenze che meglio crede e ha il diritto, se vuole, di discuterle pacificamente in una comunità per metterle alla prova.

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