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Piano Concerto - Forum pianoforte

Come, possiamo 'parlare' di musica?


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PREMESSA

La discussione sulla Consacrazione della casa (opus 124 di Beethoven), interessante e feconda di riflessioni sotto tanti aspetti, mi pare abbia avuto un epilogo non proprio bello: mi riferisco alle parole di Daniele dove lui sostiene di essere fuori luogo e di dovere delle scuse. Non sono d'accordo con lui.

Caro Daniele, non sei fuori luogo. Non sto a riscriverti quanto io ho avuto da te il quella discussione (mi pare di averlo già fatto bene nel mio ultimo messaggio che è lì da leggere). Possiamo essere in disaccordo tra di noi due nel giudizio su un brano. Prendiamo ed esempio proprio quella ouverture di Beethoven. Tra me e te c’è pieno accordo per quanto riguarda l’impatto emotivo (ne siamo entrambi molto conquistati, mi pare che da quel che ne ho scritto si capisce bene), siamo invece in disaccordo sulla sua appartenenza al mondo del tardo Beethoven. Tutto questo va bene.

Il problema che ha lasciato uno strascico così amaro è la differenza che abbiamo – tra tutti noi – riguardo a ciò che è lecito e ciò che lo è “un po’ meno” quando si va a parlare di musica, e in particolare quando si arriva a pronunciare giudizi su questo o quel brano.

 

PROPOSTA (DI RIFLESSIONE)

Quanto pesa l’impressione dell’ascolto?

Quanto può “dire” a riguardo di un brano la partitura?

La partitura è il brano, o ne costituisce le sue ‘generalità anagrafiche’?

Quanto contano le intenzioni-originali-dell-autore?

 

Ovvio che, riguardo a queste tre domande, ho le mie idee, e volentieri ne parlerei.

Ma quel che adesso mi premeva era proporvele queste domande. Probabilmente sta nel fatto che ognuno di noi in proposito ha risposte diverse dagli altri, il motivo per cui spesso “ci piaciamo poco” non tanto nelle differenza di opinioni, ma nel ‘terreno’ su cui quelle opinioni riteniamo lecito o meno lecito fondarle.

 

CONVINZIONE

(personale, ovviamente)

E facile cadere nella scorrettezza parlando di musica. L’ho già scritto altrove: mettendo a nudo il proprio sentire, si finisce inevitabilmente nella scorrettezza e nella parzialità. Io me ne sono fatto una ragione: per parlare di Musica in modo vivo, partecipe, fecondo di suggestioni, forse non ci sono che modi “scorretti”.

 

PROPOSTA (DI METODO)

Propongo dunque a tutti questo spazio, questa discussione, come luogo che potrebbe accogliere gli strascichi inerenti i modi e i limiti del 'parlare di musica': straschichi che io preferico vedere come interessanti fioriture. Forse mi sbaglio, ma che penso fioriranno ancora appena andremo a parlare di Per Elisa o della Rabbia per un soldino perduto.

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Il classico parallelismo secondo non guasta mai.

 

Mi piacerebbe che durante le risposte si tenga conto di un eventuale "traslazione" delle stesse in contesti come la medicina, l’architettura e la pittura. Giusto per non fare torto a nessuno...

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io ho una fondamentale ossessione, che ho espresso più volte su questo forum: odio le implicazioni etiche dei discorsi sulla musica.

Ovvero, se qualcuno la pensa in modo diverso da me, confido di non cambiare atteggiamento verso di lui, confido che lui non cambi atteggiamento verso di me, non do e non voglia che vengano dati giudizi su di lui come persona o su di me come persona etc etc etc. Questo mio pensiero mi ha portato spesso ad arrabbiarmi in discussioni sulla musica contemporanea o sulla musica pop, soprattutto al manifestarsi delle similitudini "amante del pop=ignorante" o "amante della contemporanea=cervellotico", et similia. Questo è il mio primo punto fermo: parlare di musica non significa esprimere giudizi sulle persone.

Altro punto è, appunto, quello del giudizio. Non ricordo neppure più con chi, ma qualche tempo fa si parlò di Savinio e di un suo giudizio critico. Ecco, io penso che un po' tutti noi (e un po' tutti) si abbia la tendenza a considerare il discorso musicale come un discorso critico, a prescindere. Per discorso critico intendo l'espressione di un'opinione molto spesso inerente al valore di un pezzo musicale. I discorsi e i giudizi critici sono sempre leciti, ma portano spesso a diatribe infinite e inutili. Soprattutto quando si perde di vista il fatto che ogni giudizio dovrebbe essere argomentato, e argomentato non in modo subdolo ma in modo onesto. Come dire, dovrebbe essere interesse di chi argomenta di trovare "la verità" (... termine da prendere con le pinze...), non di vincere la lotta argomentativa con gli altri. Dicendo tutto ciò mi do la zappa sui piedi, perché spesso io stesso gongolo della mia bravura retorica e distruggo le discussioni pur di avere ragione :-) ma non dovrebbe andare così... a meno che il nostro scopo non sia esplicitamente quello di mettere su delle mini-risse verbali.

Se è saggio allontanarsi dai giudizi critici, allora di cosa si può parlare? Beh, io amo molto l'analisi... è complessa e lunga da fare, ma comunque ne amo i metodi e gli intenti. E i discorsi analitici non hanno lo scopo di emettere un giudizio come "questo è bello", "questo è brutto", "questo è terzo stile". Tendono a computare elementi e a darne chiavi di lettura, non univoche. Analizzare non riduce un pezzo. Cioè, il pezzo rimane lì, a prescindere dalla mia analisi, e si offre a milioni di altre analisi senza per questo corrompersi. L'analisi ha a che fare con la comprensione ma non è la comprensione, nel senso che un pezzo non può essere definitivamente compreso, in nessun atto, sia esso analitico, critico, contemplativo, esecutivo o mistico o quello che è.

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tra l'altro, mi sono appena letto tutta la discussione su Die Weihe des Hauses, che non avevo seguito.

Ho scoperto che alcune delle mie considerazioni cadono a fagiolo. Ma mi sembra giusto sottolineare come nessuna di esse sia scaturita da quella specifica discussione :-) ogni riferimento a persone e cose è assolutamente casuale

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Caro Luca, anche leggendo quello che scrive Claudio, che mi sento di sottoscrivere, e, non solo o non tanto alla luce dell'ultima discussione mi rendo conto come parlare di musica - come parlare di medicina, architettura, pittura ...- tutto sia estremamente relativo.

Come tu puoi vedere, non solo leggendo fra le pagine di questo forum ma anche e soprattutto confrontando testi e libri, anche fra gli "addetti ai lavori" le opinioni siano molto diverse e contrastanti. Questo fino a tal punto che tutto - ma proprio tutto - può essere messo in discussione e sia opinabile. Pensiamo a quello che Glenn Gould pensava di Mozart ad esempio...ma anche di Beethoven!

In realtà quello che alla fin fine prevale su tutti noi sono i gusti personali: è inutile che ci giriamo attorno ma la parte del leone la fanno loro e questo a dispetto di tutto il resto.

Dunque potrei rispondere che più che parlare di musica la musica va ascoltata. Ognuno ascolterà quella che meglio crederà e amen!

In questo senso potrei dire che vedo sempre più bello e convicente il diario musicale che Frank ha qui proposto, dove ognuno di noi, in base al giorno e ai propri gusti personali può proporre a chiunque una musica e un compositore. Chi vuole condividerlo può farlo, chi non vuole viceversa.

Ad esempio io ho proprosto "Il principe Igor" di Borodin e ho messo una postilla dicendo che è un'opera meravigliosa.

Non è un'opera dai più conosciuta e, in italia, almeno per quello che ne so visto che c'ero, fu proposta l'ultima volta a Verona nel teatro nel 1987. Non è Wagner, né Verdi, né Mozart,né Puccini... ma secondo me è meravigliosa e si tratta di un compositore che molti considerano"minore". Io in queso esprimo un mio gusto personale...!

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[L’ho già fatto con un messaggio privato, ma voglio ribadire con questo post un po meno laconico, e leggibile a tutti]

 

Grazie Thallo… per aver speso un po’ di tempo a scrivere, qui sopra, come ti poni rispetto al parlare (e ragionar) di musica. Non che quelle cose che dici non le avessi intuite dal timbro di tanti tuoi interventi, ma mi ha fatto davvero piacere sentirti parlare direttamente di quella che io chiamo la tua grammatica interiore’: grammatica alla quale non voglio assolutamente rinunciare (pur così diversa dalla mia). Anchio, ovviamente, voglio sbrigarmi a scrivere qualcosa di me.

 

Mio caro Daniele,

sono d'accordo sul fatto che la musica vada soprattutto ascoltata. Come potrei non esserlo?... Sta di fatto che 'di musica', tra i partecipanti ad un forum, si parla e, sotto sotto, è bello farlo. tu di musica hai sempre parlato: e molto, e con molto interesse da parte mia. In questo momento però mi "accontento" del tuo guardare con fiducia solo alla bacheca del Diario musicale. E lo posso ben capire.

 

Un caro saluto, a tutti!

Luca

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Io credo che sia praticamente impossibile esprimere un commento "asettico". Lo chiamo così per non impegolarmi in termini per dar conto dei quali ci sarebbero da fare troppe parole. Se esprimiamo un'opinione ci troviamo automaticamente esposti a subire opinioni di rimando. Questo accade in modo amplificato quando, non solo si esprime un'opinione, ma si produce un'opera, musicale, letteraria o scientifica che sia. Il gioco dialettico è insito nella natura sociale dell'essere umano, ma possiede molteplici sfaccettature, alcune meno buone. E questo gioco porta spesso chi ne è consapevole a tentare di esprimere i propri giudizi nel modo più inattaccabile di cui è capace. In tal senso la dialettica ha il merito assoluto di far procedere (non uso progredire) un pensiero verso una sua chiarificazione sempre maggiore. Tuttavia un tale pensiero può essere confutabile anche se chiarissimo. In verità qualcuno potrebbe addirittura sostenere che qualunque pensiero può diventare confutabile in certe condizioni. Qui sta il punto chiave.

Qualunque sia il pensiero e qualunque sia il suo livello di chiarezza, questo non sarà mai inattaccabile, e anzi lo sarà tanto più quanto più si tenterà di renderlo chiaro. Il fatto è che qualunque pensiero, anche se alla fine confutato, non -può avere- ma ha effettivamente qualcosa per cui vale la pena approfondirlo, magari qualcuno di più di altri. E a questo punto che deve far sentire la sua voce una parte troppe volte sopita dell'intelletto umano, ossia la capacità di affrontare il diverso. La capacità che ci fa dire sì prima di no, di concedere un accordo prima di ogni ragionamento di convenienza. In fondo è lo stesso coraggio che ci permette di assaggiare qualcosa di nuovo e di provare un gusto mai provato, oppure che ci fa perseveranti nell'ascolto di una nuova forma musicale fino a che questa non abbia avuto il tempo di diventare familiare. È solo questo coraggio a renderci veramente umani. Per questo motivo e sotto queste ipotesi io credo che si debba sempre continuare a parlare e ad esprimere i propri giudizi riguardo alla musica e a qualunque altra cosa.

 

Bianca.

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Il gioco dialettico è insito nella natura sociale dell'essere umano, ma possiede molteplici sfaccettature, alcune meno buone. E questo gioco porta spesso chi ne è consapevole a tentare di esprimere i propri giudizi nel modo più inattaccabile di cui è capace. In tal senso la dialettica ha il merito assoluto di far procedere (non uso progredire) un pensiero verso una sua chiarificazione sempre maggiore. Tuttavia un tale pensiero può essere confutabile anche se chiarissimo. In verità qualcuno potrebbe addirittura sostenere che qualunque pensiero può diventare confutabile in certe condizioni. Qui sta il punto chiave.

Qualunque sia il pensiero e qualunque sia il suo livello di chiarezza, questo non sarà mai inattaccabile, e anzi lo sarà tanto più quanto più si tenterà di renderlo chiaro.

 

Sono tendenzialmente d'accordo, ma con alcune specifiche.

Pensiamo spesso che le opinioni siano "del tutto" opinabili. In realtà anche nei giudizi, nelle opinioni, ci sono ambiti "predicabili", cioè parti logiche di cui si può dire "è vero" o "è falso", come per proposizioni matematiche. Se nella mia opinione affermo che Mosca si trova in Turchia, quella è un'affermazione falsa che rende meno "credibile" tutto il resto delle opinioni espresse.

E' una delle ragioni per cui le lotte di opinioni sono spesso lotte di dati, proprio perché i dati, prima di essere interpretabili, sono predicabili.

Ambiti musicali come l'ascolto, però, rendono possibile oltrepassare anche questo limite. Se Abbado affermasse che nella sua mente l'Eroica è ambientata a Kuala Lumpur durante un'invasione aliena, noi dovremmo rassegnarci all'idea che chiunque può pensare quello che vuole, suonando o ascoltando, e che le associazioni mentali libere a volte aiutano le opere d'arte a parlare meglio. E' una delle ragioni per cui le regie d'opera contemporanee a volte decontestualizzano tutto. E questo perché l'arte non è "vera" o "falsa", non è predicabile, anzi, si può permettere di non avere un senso, se non estetico.

Bella discussione, comunque :-)

 

Il fatto è che qualunque pensiero, anche se alla fine confutato, non -può avere- ma ha effettivamente qualcosa per cui vale la pena approfondirlo, magari qualcuno di più di altri. E a questo punto che deve far sentire la sua voce una parte troppe volte sopita dell'intelletto umano, ossia la capacità di affrontare il diverso. La capacità che ci fa dire sì prima di no, di concedere un accordo prima di ogni ragionamento di convenienza. In fondo è lo stesso coraggio che ci permette di assaggiare qualcosa di nuovo e di provare un gusto mai provato, oppure che ci fa perseveranti nell'ascolto di una nuova forma musicale fino a che questa non abbia avuto il tempo di diventare familiare. È solo questo coraggio a renderci veramente umani. Per questo motivo e sotto queste ipotesi io credo che si debba sempre continuare a parlare e ad esprimere i propri giudizi riguardo alla musica e a qualunque altra cosa.

 

Bianca.

 

Bello. Condivisibile. In teoria. Non penso che la curiosità verso il diverso ci renda "umani", ma di certo è una delle caratteristiche che mi piacciono nelle persone. E ha bisogno di forza e coraggio.

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Sottoscrivo appieno tutto quello che ha detto Thallo. Aggiungerei inoltre un commento a quanto ho letto in un intervento su questo forum nel topic http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/2074-il-primato-nella-musica/ perché mi sembra pertinente.

Vorrei semplicemente mettere in guardia da possibili fraintendimenti o strumentalizzazioni in merito teoremi di incompletezza di Godel ivi citati, i quali hanno valore sotto precise ipotesi. Ipotesi che coinvolgono, tra l’altro, la teoria dei numeri naturali espressa in un certo modo (non in tutti) e un particolare linguaggio formale, detto del primo ordine. Trarre conseguenze fuori da questo campo è arbitrario. In vero persino chi ha scritto questi teoremi ci ha provato nel corso della propria vita, ma senza mai raggiungere una posizione definitiva. Almeno in questo aveva forse ragione Wittgenstein, il quale pur non riuscendo appieno nella critica riportata nel “Bemerkungen Uber die Grundlagen der Mathematik”, metteva in guardia dal derivare ragioni filosofiche da ragioni matematiche. Inoltre, anche restando nel campo di pertinenza, bisogna rendersi conto che le proposizioni rilevanti su cui non si può decidere non sono poi neppure molte.

In tal senso allora, si potrebbe addirittura pensare senza particolari remore a come stabilire dei primati tra compositori. Il problema sarebbe decidere rispetto a cosa si cerca un primato. Se lo si cerca per esempio relativamente al numero delle opere scritte o alla loro mole, allora diventa facile e affatto possibile. Qualcuno di sicuro penserà che si tratta di un parametro poco significativo, però deve riflettere sul fatto che si possono scegliere criteri ben più rilevanti e di complessità crescente, ovviamente finché tale complessità è umanamente dominabile.

D’altro canto si può anche vedere la questione sotto un altro aspetto. Magari per qualcuno sono proprio le questioni indimostrabili ad essere interessanti. Bisogna allora ricordare che anche la proposizione che esprime la coerenza di quella teoria dei numeri, che fa tanto discutere perché non dimostrabile con la teoria stessa, diventa invece dimostrabile per esempio utilizzando un sistema più ampio (per esempio Zemerlo-Fraenkel, oppure Gentzen, 1936), sebbene questo a sua volta soffrirà della stessa patologia. E chi volesse arguire qualche suggestione da questo fatto potrebbe per esempio argomentare sulle infinite possibilità della ricerca. Oppure viceversa sulla sua incapacità di giungere a un punto. Ma deve sempre ricordare da cosa si parte e che le estrapolazioni dal contesto non sono sempre ben fondate. Il discorso è senz’altro interessante e assai esteso, magari non infinito, per lo meno per il fatto che presumo che l’umanità non sia tale. Che il nostro intelletto abbia dei limiti è noto da molto molto tempo, da ben prima degli inizi del secolo scorso, e non è stato certo un teorema a dimostrarcelo.

Alla fine dunque la risposta più sensata alla domanda di Luca, su come si possa ‘parlare’ di musica, potrebbe consistere nell’identificazione di un insieme di criteri significativi (non definitivi o assoluti, ma pure le costituzioni degli stati si cambiano col tempo) alla luce dei quali mettere a prova i giudizi personali. Il che probabilmente darebbe anche una soddisfazione alla connotazione metalinguistica che trapelava dalle virgolette del titolo del topic. Di per sé questa sarebbe già una bella impresa per un gruppo di discussione virtuale come questo, e spunti da cui partire se ne troverebbero parecchi.

Un saluto a tutti.

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Comunicando ciò che si avverte nell’ascolto di un’opera musicale, rimanendo ‘in essa’ con una tensione volta a coglierne il senso, bisogna farsi coraggio ed esporsi a giudizio, sapendo che nessuno può giudicare appieno se stesso. Ad altri penso sia meglio lasciare una valutazione più obiettiva su ciò che è rigoroso e ciò che è arbitrario. In merito, per quanto si cerchi ovviamente di operare una scrematura personale, non è possibile – forse nemmeno utile – tentare in prima persona una perfetta distinzione tra quel che è frutto di ragionevole deduzione e ciò che va troppo in là’ negli approdi delle proprie riflessioni.

Questi ‘approdi’ – mai definitivi, mai propriamente ‘conclusioni’ – sono però a loro modo ‘soste retrospettive’ sul cammino personale e incessante che porta al cuore di un'opera d’arte. Penso sia meglio lasciare ad altri anche valutare gli sconfinamenti, debiti o indebiti, dal “puro musicale” verso “l’extramusicale”. Ma accolgo tale giudizio serenamente; oltre a non essere persuaso che su tale confine vi sia un muro-continuoalto solido e cieco –, considero le possibilità di dialogo tra questi due terreni, delicate al pari di quelle tra posizioni differenti in materia di fede (sperando sempre che non arrivino a sfociare, come è accaduto nella storia della critica musicale, in guerra di religione). Cerco dunque di interrogare, di stare di fronte all’opera d’arte, ammettendo talvolta di non capirci nulla.

 

Nei rari casi in cui avverto ‘qualcosa’ pur ritenendo prudente partire dal presupposto che in sé un brano musicale non voglia significare nulla , preferisco rischiare affermazioni contestabili, nella ferma convinzione che il valore di un'opera non sia solo circoscrivibile “legalmente” con locuzioni comprovate sul piano tecnico, ma anche (cosa ben più desiderabile) suscettibile di venir compreso con affermazioni capaci di aperture, di squarci sullo specifico umano della singola opera, la quale costituisce il luogo della ‘condivisione’ dell’esperienza umana tra compositore interprete e ascoltatore.

 

Mi rendo conto che inseguire con le parole la musica sul suo terreno è un’azione indecente. In parte sicuramente lo è. Soprattutto per chi, come me, è convinto della totale autonomia espressiva della musica, non solo dalla parola o da concetti poetici, ma anche da suggestioni legate a tutto ciò che appartenga all’ambito visivo: pittorico, cromatico, grafico o scenico che sia.

Cerco però di superare questo disagio nella convinzione che ogni brano musicale, anche quelli concepiti per assecondare un ‘programma’, sia poi stato creato seguendo necessariamente logiche ‘assolutamente musicali’ e che il contenuto più intimo di ogni opera, anche della più “assoluta” fuga di Bach, sia profondamente legato ‘all’umano. Cerco di superare dunque l’imbarazzo nel parlare di un’opera musicale toccando concetti “extramusicali”, convinto che il significato profondo della musica – delle opere in cui un senso davvero si celi – sia ‘umano’ e non asetticamente “musicale”.

 

Se l’idea di una musica “assoluta” si rivela priva di consistenza in rapporto all’espressività di molti capolavori anche strumentali, i quali sono certamente ‘musica’ ma non “pura” ed estranea al travaglio umano dell’autore, d’altra parte non sembra corretto di fronte a un brano musicale cercare al di fuori della musica la radice dei suoi contenuti più veri. Questi ultimi certamente non sono extra musicali nel senso di chissà quali proclami, nobili quanto si vuole, perfettamente decifrabili pur con fatica, che però con la musica poco hanno a spartire e dei quali essa costituirebbe una riduzione sonora. Tuttavia, come appena detto, tali contenuti sono legati in profondità – non esplicitamente – al travaglio umano del suo autore: a questo ‘oltre’ cui l’opera musicale allude misteriosamente nel suo porsi semplicemente e null’altro che come musica.

 

In quest'ottica mi sento portato al più alto rispetto dell’assoluta indipendenza espressiva della musica dalla parola e da ogni altro ambito percettivo, considerandola dunque – solo rispetto a tali interferenze – nella sua musicale purezza.

Ma penso – senza rigidità a cui spesso si dà maschera di “rigore” – che ‘indipendenza’ non significhi necessariamente impossibilità di ‘rapporti analogici’. Bisogna distinguere i tentativi di tradurre il contenuto dalla musica alle parole i quali sono sempre maldestri, dai tentativi, forse doverosi, di avvicinare le parole alla musica sfiorandone il significato. Né questi ultimi, a mio avviso buoni seppur destinati a un’inevitabile parzialità, né i primi, destinati invece al completo fallimento, verrebbero intrapresi da nessuno se nel profondo dell’anima non si avvertissero arcane corrispondenze: misteriose ma concrete analogie, tra l’espressione verbale e quella musicale.

Per correttezza si dovrebbe allora ripulire, o arricchire, il vocabolario delle riflessioni musicali. Le varie lingue non sono nemmeno provviste di termini adeguati a trattar di musica ‘in purezza’. Espressioni come ‘affresco sonoro’, ‘immagine sonora’, ‘gesto drammatico’, ‘tono narrativo’, ‘scena grandiosa’ ecc. sono moneta corrente anche nelle proposizioni dei più fieri sostenitori della musica assoluta. Questo dato di fatto, lungi da essere una riprova di impurità o dipendenza della musica dall’ambito verbale – e tanto meno indice di un effettivo bisogno di riforme lessicali, per carità! – è sufficiente a stabilire tra tutte le forme d’espressione artistica (non solo tra musica e parola) veri rapporti, non di dipendenza, ma di parentela originaria. L’anima è come un fiume che bagna queste ‘rive’ dell’espressione. Non vi sono ‘ponti’ che stabiliscano tra loro un contatto pieno e tangibile, ma talvolta esse sono visibili l’una dall’altra con ‘sguardo analogico’.

 

Ovviamente non si raccomanderà mai abbastanza che ognuno si curi della decenza dei propri sguardi.

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Come possiamo "parlare" di musica?

 

Mentre di getto rispondo a questa domanda, sto ascoltando la Sinfonia 3 di Saint-Saëns che FranK ci ha proposti nel diario musicale e mi viene da pensare e da dire che l'amo come l'amai adolescente ascoltandola. Nello scrivere questo, so che altri, leggendomi, penseranno che ho gusti barbari e la discussione, il nostro parlare sarà sostanzialmente finito.

Come si può parlare di musica?

In maniera tecnica, ma questa discussione sarà solo per quella minoranza – nella minoranza – di “addetti ai lavori”. Ma noi sappiamo già bene che, anche in quella maniera alla fine a prevalere sarà sempre il gusto personale a discapito di tutto e, comunque sia diventerà una discussione fine a sé stessa.

Si può parlare di musica in relazione, al momento storico, alle altre arti, alla poesia e alla letteratura, alla filosofia, a seconda di quelle che sono le nostre inclinazioni personali extra-musicali. Ma questo discorso interesserà solo quelli che intendono la musica in quella maniera.

Si può parlare di musica come soliloquio, come spesso mi accade, dovendomi chiedere poi, per altro, se mi avranno letto e se quelli che eventualmente lo avranno fatto, hanno pensato questo o quello, invece di quell'altro o quant'altro.

Si può parlare di musica....! Già ma perché parlare di musica se la musica va ascoltata?

Forse perché abbiamo tutti bisogno di sentirci meno isole?

Forse perché tutti, alla fin fine abbiamo bisogno di mettere in piazza il nostro ego personale?

O forse perché.....?

Che può importare dopo tutto che a me piaccia più questo compositore piuttosto che quello e di quel compositore il tal concerto piuttosto che quell'altro?

Quel periodo storico, piuttosto che quell'altro?

Alla fin fine “tutto nel mondo è burla” e “tutti gabbati” siamo!

Quanta ragione aveva il nostro "Peppino" musicale e nazionale!

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Forse perché abbiamo tutti bisogno di sentirci meno isole?

 

 

riprenderò poi le fila di alcune riflessioni, che mi interessano moltissimo.

Ma, a sentimento, condivido questa piccola frase. A prescindere da quello che si dice, nel profondo credo che la comunicazione sia una necessità "sentimentale". Comunichiamo per amore o per paura di rimanere soli, proprio come si fa con un amante, con un amico. Come stai? Cos'hai mangiato per pranzo? Qual è l'ultimo CD che hai comprato? :-)

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  • 3 months later...

A proposito di critico...

 

Il critico non può essere giusto nel senso comune della parola. E' solo sulle cose che non interessano, che si può dare un'opinione veramente imparziale, e questa è senza dubbio la ragione per cui un'opinione imparziale è sempre assolutamente priva di valore. L'uomo che vede ambo i lati di una questione è l'uomo che non vede assolutamente niente. L'arte è una passione, e in materia d'arte il pensiero è inevitabilmente colorato dall'emozione, ed è pertanto fluido piuttosto che fisso, e poiché dipende da fini umori e momenti squisiti, non lo si può restringere nella rigidità di una formula scientifica o di un dogma teologico. E' all'anima che l'arte parla, e l'anima può esser fatta prigioniera della mente così come del corpo. Naturalmente non si dovrebbero avere pregiudizi; ma come un grande francese osservò cento anni or sono, avere pregiudizi in tali questioni è un fatto personale, e quando si hanno preferenze si cessa di essere giusti. Solo il banditore delle aste può ammirare ugualmente e imparzialmente tutte le scuole artistiche. No: l'esser giusto non è fra le qualità del vero critico. Non è nemmeno una condizione della critica. Ogni forma d'arte con cui entriamo in contatto ci domina per il momento ad esclusione di ogni altra forma. Dobbiamo abbandonarci completamente all'opera in questione, qualunque essa sia, se vogliamo conquistarne il segreto. [Oscar Wilde - Il critico come artista, con alcune osservazioni sopra l'importanza di non fare niente]

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Grazie di questa bella esposizione articolata a favore degli Artisti, dell’Arte, dei suoi nobili fruitori (che praticano l’abbandono) e dei suo ignobili fruitori (critici ed affini).

Credo di aver trovato un’assonanza nel dualismo platonico anima e corpo. Partendo per l’appunto dal presupposto che non si può ritenere giusta una valutazione oggettiva viziata da soggettività (questo di solito credo compia il critico), non si può utilizzare l’oggettività per misurare l’anima quando essa si esprime attraverso l’arte. Qua mi vien da pensare che c’è Arte ed arte e qui Schopenhauer chiosò qualcosa riferendosi alla letteratura e Letteratura ma lo si può applicare anche all’arte in generale per dire che cosa? Condizione iniziale per abbandonarsi è necessario ci sia Arte e non arte. E se quindi è che all’anima parla l’Arte, il passaggio più bello lo trovo nella tua indicazione di abbandonarsi completamente all’opera per poterne carpire il segreto; bella anche questa parola, segreto, che contiene tanti aspetti. Ma caro Oscar mi hai fatto cogliere questo ultimo pensiero di carattere deduttivo, applicabile all’800 ed inizio 900: l’Artista tramite un esercizio arrischiante dettato da una natura a volte autodistruttiva, altre meno, che consiste nel disfacimento dell’io, si metterebbe in condizione di utilizzare l’Arte per far dialogare la “sua” anima. Quando parlo di anima è ovvio non mi riferisco a quella cristiana o a quella platonica.

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Grazie di questa bella esposizione articolata a favore degli Artisti, dell’Arte, dei suoi nobili fruitori (che praticano l’abbandono) e dei suo ignobili fruitori (critici ed affini).

 

ok, pensare che possano esistere degli "ignobili" fruitori fa parte di quei giudizi morali che a mio avviso non dovrebbero essere mai uniti ai discorsi sulla musica...

 

Credo di aver trovato un’assonanza nel dualismo platonico anima e corpo. Partendo per l’appunto dal presupposto che non si può ritenere giusta una valutazione oggettiva viziata da soggettività (questo di solito credo compia il critico),

 

è un presupposto sbagliato e un po' settario. Riprendendo l'idea delle proposizioni impredicabili e delle proposizioni predicabili, in parole semplici ci sono elementi oggettivi ed elementi soggettivi in ogni discorso umano. La critica è da sempre un discorso con responsabilità autoriale, non pretende di essere oggettiva, anzi, è strettamente legata alla firma della persona che la elabora. Nella storia ci sono stati stili diversi di critica d'arte e di critica musicale, molti hanno avuto successo per il grado di artisticità col quale sono stati formulati, altri hanno avuto successo per la veridicità di alcune affermazioni tecniche al loro interno. Ed è questo secondo me che si dovrebbe capire, con la critica si può essere d'accordo e in disaccordo, ma la sua censura non serve a nessuno.

Sul resto del discorso non mi esprimo, non sono un materialista ma non penso che l'estetica abbia a che fare con l'anima, qualsiasi cosa essa significhi

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  • 2 weeks later...

[a margine del topic 6 Bagatelle dell'opus 126]

 

@ Pio

 

Mi chiedi cosa manca allo scritto di Rattalino perchè sia una guida all'ascolto.

 

Manca quello che manca in molte altre guide all'ascolto: la volontà di parlare del brano musicale senza troppo girarci in giro.

Non è cosa facile parlare di musica (di un'opera musicale).

Però io fatico a chiamere guida all'ascolto un testo che per il 50% disserta di catalogazioni e problemi di mercato e di editoria. Poi, per un buon 15%, parla delle bagatelle in generale nell'opera beethoveniana.

Quando dedica finalmente l'ultimo 35% all'oggetto principale (l'opus 126) lo fa in maniera... chirurgica.

Intervalli di terza maggiore discendente, intervalli di quarta, di quinta... Tutto molto corretto.

Ma non sono solo musicisti e compositori e aspiranti tali a frequentare le sale da concerto.

 

Ripeto: io stravedo per l'opus 126 di Beethoven. Ma è musica che sinceramente non esiterei a proporre anche a chi è principiante nell'accostamento alla musica.

Penso che non ci voglia molto per fare di meglio di quella guida all'ascolto. Imbarazzante.

Sia chiaro: per me è imbarazzante come guida all'ascolto. Tutta la parte che riguarda il tram-tram quotidiano viennese-beethoveniano-editoriale l'ho letta con interesse.

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