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Piano Concerto - Forum pianoforte

LucaCavaliere

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Tutto postato da LucaCavaliere

  1. Frank! . . . che dire: hai scelto uno dei più stupefacenti viaggi introspettivi di JSBach! Andando un po' più sul "leggero" ci sarebbero le Variazioni Eroica di Beethoven. E dai: anche la Fantasia Corale op. 80 sempre di Beethoven. A proposito di variazioni: sono appena tornato a casa dall'Auditorium Gaber (Grattacielo Pirelli) dove ho ascoltato per la prima volta la Ciaccona di Bach-Busoni . . . Folgorato! Già mi entusiasmava l'originale . . . .
  2. Sembra facile questo topic ma . . . costringe a riflettere. Dopo averci pensato un po', penso che si possa vivere bene senza L'Adagio "di Albinoni" di Remo Giazotto (fosse un po' più conosciuto Abinoni . . .) E poi anche senza L'Ave Maria di Gounod. La melodia avrà anche un suo perchè (per me no). Ma che bisogno c'era di lanciare dei "fiori" a galleggiare in uno specchio di acqua pura? Che bisogno c'era di increspare quel meraviglio indefinito fluir dell'armonia che non ha mai chiesto una melodia per essere "finito"?
  3. Dal punto di vista interpretativo dovrebbe essere difficile per chiunque (ma si tratta di quella 'bella difficoltà' che andiamo a cercare accostandoci alla Bellezza... sennò, che suoniamo a fare?!) Dal punto di vista tecnico, dipende ovviamente dalle capacità del pianista. La prima parte si lascia leggere (e anche interpretare, suvvia) anche da un dilettante mediocre come me. Poi quella centrale, e soprattutto quella finale, vanno ben oltre le mie capacità . Quindi io mi metto tra quelli che si siedono ad ascoltarlo. ciao! Luca
  4. Natan! . . . fammi indovinare . . . il quartetto serioso op. 95 !?
  5. @ Gilda Sono molto d'accordo con te. Non è il notturno che più mi conquista tra quelli di Chopin (vent'anni fa invece sì) ma mi pare che all'interno dei notturni sia unico: quel carattere austero, grandioso - intimo ed epico al tempo stesso - della parte iniziale mi dà quell'ampio respiro delle arcate melodiche come si trova in certi prelidi-corali bachiani per l'organo. Poi è meraviglioso come Chopin gli stende sopra quel velo di luce tenue che è la parte centrale, e come piano piano lo riconquista nel tumulto angoscioso che lo porta a schiantarsi alla fine su quell'accordo di settima di la bemolle (che riesce a suonare più dissonante di quanto non sia) e infine svanire nella tonalità di do minore. è certamente tra le più belle di Chopin. Altro non saprei dire. Forse allargare il cerchio della discussione alle interpretazioni. Rubinstein (mio amato) nell'incisione che possiedo in questo brano lo trovo un po' compassato per il mio gusto. La mia interpretazione preferita - oggi - è questa di Valentina Igoschina https://www.youtube.com/watch?v=-MzrAGZHDvo ciao! Luca
  6. Sono d'accordo Armando . . . . scateniamolo! Amicizia a todos!
  7. Davvero una grande perdita, ma anche un grande regalo averlo avuto. Grazie Carlos: della notizia, e del video...
  8. Carlos . . . sono d'accordo sul fatto che "esprimere la fatica" e "scrivere una cosa faticosa" non sono la stessa cosa. Non necessariamente. Lungi da me poi l'idea che Beethoven abbia agito intenzionalmente in questo senso (espediente > effetto). Lungi da me quest'idea. La fatica, lo sforzo, la tensione di un coro - di un'Umanità - che si vorrebbe migliore, è una mia impressione ascoltando il Finale. La fatica delle voci è un'altra cosa (successiva) che personalmente constato solo con la partitura sotto gli occhi. Di qui il mio sospetto: il mio collegare le due cose. E credo che lo stesso Beethoven ci farebbe una risata. Ma il mio sospetto rimane. Estendiamo pure, come propone Thallo, il quesito a tutta l'opera vocale Beethoveniana. è tutta faticosa. Anche le due belle Cantate giovanili ricordate da Daniele. Ma la dimensione della fatica, della tensione - dello streben - non soggiace un po' a tutta l'opera beethoveniana? (pianisti, violinisti . . . c'è qualcuno che se la passi comoda con Beethoven!?) e la Nona Sinfonia non è forse il vertice di una vita segnata da tensioni?
  9. Cari Carlos e Thallo, seguo "in silenzio" questa vostra bella discussione (interessantissima per me). Sono stato colpito da un'affermazione di Carlos. Felicemente colpito. Ossia il fatto che tu affermi, in più punti, che il Finale della Nona tiri - vocalmente parlando - verso l'acuto. Anch'io ho avuto questa impressione. Ma non ho mai osato farne una certezza perchè (a differenza di te) sono piùttosto ignorante per quanto riguarda la vocalità dal'800 in poi. Oso però un'impressione personale: una suggestione che mi viene dall'ascolto della Nona, e che ti propongo come funzione - ragione e scopo - di certa scrittura vocale impervia di Beethoven. Si tratta della 'fatica della Gioia'. È la fatica di conservare uno spirito gioioso pur all'interno della fatica del vivere, della quotidianità con tutto il suo trambiusto e la sua frammentarietà (anche il Finale della Nona è una gioiosa accozzaglia di stili, un polittico sonoro. Un Finale che è come la vita . . .«si che dal fatto il dir non sia diverso»). Poca grazia nel trattamento delle voci!?. . . Altro che 'bel canto' . . . qui si deve sentire la fatica: la 'fatica della gioia'. Affatica la voce cantare la 'gioia' così come ci si consuma vivendo la vita! Che ne dici? . . . . potrebbe essere?
  10. x Can can con la combinazione tasti ctrl + schiacciata ripetutamente aumenti la grandezza dei caratteri delle schermate web fino a che le leggi anche da 10 metri! Bello vero!? . . . io lo so solo da pochi mesi. (con ctrl - rimpicciolisci) ciao
  11. Caro Thallo, Non sono d’accordo sul discorso che fai sulla valenza archeologica di certe opere – cantate, messe –, cioè sul fatto che siano o debbano essere trattate come pezzi da museo. Tutto dipende da chi le ascolta. Se io considero Sanctus e Agnus Dei della Messa in si minore (ad esempio) come pezzi “da museo” allora lo diventano davvero. Se me li voglio godere svaccato sul divano, o, perche no, in cuffia scaricando la lavastoviglie, quei brani diventeranno altra cosa. Se invece – come a volte faccio – li ascolto nel desiderio di immergermi con tutto me stesso in quella musica – in cuffia, sì, ma dentro a quella che per me è la chiesa più grande: il cielo azzurro e le chiome degli alberi – beh, in questo caso, io non li sento pezzi da museo, ma parte viva del mio mondo. Ovvio (e giusto!) il discorso che fai sugli aggiustamenti che tali opere necessitano oggi. Ma io non ci vedo una perdita di significato nell'entrare in contatto col nostro attuale mondo. Vedo invece un arricchimento di significato: quell’opera – quella cantata – composta più di duecento anni fa è cresciuta: attraverso le epoche e i gusti epocali ha cambiato aspetto, pensieri, prerogative. Dire che portata all’attualità necessariamente perde di significato, equivale a dire che una persona perde il significato originario invecchiando. Quale è il significato di una persona? Quello originario? Il suo volto e i suoi pensieri di quando è appena stata “composta”? di quando aveva al massimo tre o quattro anni? Io le opere – che mi interessano ben più dei loro creatori – le vedo, le sento così: “persone” affascinanti (chi più chi meno, ognuna a modo suo); “persone” da conoscere e da cui, in molti casi, ho ricevuto molto. Per precisare (cose da poco): l’integrale milanese delle cantate bachiane non è avvenuta all’interno di una stagione da camera. La Società del Quartetto, a dispetto del nome, organizza anche altro. E ha organizzato la prima integrale italiana delle Nove Sinfonie di Beethoven nella seconda metà dell’800 (1878 prima esecuzione italiana della Nona). . . . . No . . . Non lavoro alla Società del Quartetto
  12. «sfido chiunque a trovarmi una cantata in una stagione di qualche ente o associazione concertistica di grido» [Thallo] "Tra il 1994 e il 2003, in collaborazione col Comune di Milano (...) è stata così realizzata, per la prima volta in Italia, l’esecuzione integrale, in 97 concerti, ospitati quasi tutti dalle più belle e storiche chiese milanesi, ed alcuni dal Palazzo Reale, delle oltre 200 Cantate di Johann Sebastian Bach, monumento assoluto della musica d’ogni tempo" (Fonte: Società del Quartetto) . . . . ho vinto qualche cosa!? . . . o forse quelle di Bach erano escluse dalla sfida?
  13. [impressioni d'ascolto, condivisione] FOLLIA DELLA CROCE E FOLLIA UMANA - sui cori iniziali della Matthäus Passion e della Johannes Passion - È impressionante la distanza che c’è, a livello espressivo, tra i due grandiosi cori introduttivi delle Passioni bachiane. Entrambi sono molto lontani dal Bach ascetico e speculativo dell’Arte della Fuga e dell’Offerta Musicale. Se è ragionevole sostenere che nelle opere dell’ultima maturità del kantor di Lipsia, la musica diventa puro spirito, imperturbabile, rarefatta contemplazione, è innegabile che all’inizio della Matthäus Passion e della Johannes Passion troviamo due brani dove il sentimento dilaga: due brani dove l’espressione, anche se do­minata dalla sapienza creatrice del genio, è permeata di dolore. Altro che ‘puro spirito’: questa musica ha carne e sangue. Carne e sangue martoriati visto che siamo davanti alla passione di No­stro Signore. Questa ampiezza di registri espressivi però, ci da solo la misura – smisurata – dell’arte di Johann Sebastian Bach, capace di esprimere la lode come la supplica, il dolore come la gioia o la contemplazione. Non ci lascia presagire con quanta profondità egli abbia penetrato il sentimento del dolore nei due grandiosi cori Herr Herr, unser Herr­scher e Kommt ihr Töchter che segnano rispettivamente l’inizio della Johannes Passion e della Matthäus Passion. In entrambi i brani siamo invitati a contemplare i dolori della Passione di Gesù e l’opera della nostra redenzione; ma è radi­calmente diverso lo stato d’animo che emerge dal testo cantato e, su un piano autonomo, dalla musica. La Matthäus Passion ci porta subito davanti alla croce, con la Johannes Passion invece ci troviamo nel Getsemani; non sotto l’aspetto narrativo, ma come stato d’animo. Coro iniziale della Matthäus Passion Kommt ihr Töchter helft mir klagen, Sehet – Wen? – den Bräutigam, Sehet – Wie? – als wie ain Lamm O Lamm Gottes, unschuldig Am Stamm des Kreuzes geschlachet, Sehet – Was? – seht die Geduld, Allzeit erfunden geduldig, Wiewhol du wärest verachtet. Sehet – Wohin? – auf unsre Schuld, All Sünd hast du getragen, Sonst müssten wir verzagen. Sehet ihn aus Liebe und Huld Holz zum Kreuze selber tragen! Erbarme dich unser, o Jesu! Venite figlie piangete con me! Vedete… – Chi? – Lo sposo Lo vedete… – Come? – Come un agnello! Agnello di Dio innocente ucciso sul legno della croce, Vedete… – Che cosa? – La sua pazienza Sempre apparisti paziente Per quanto vilipeso. guardate … - A che cosa? – Ai nostri peccati Le colpe di ognuno hai voluto portare Se non l’avessi fatto dovremmo disperare. Ecco, per amor nostro, per salvarci, Lui, Proprio Lui regge il peso di un legno fatto a croce. Gesù, di noi abbi misericordia! (in grassetto “Agnus Dei” in lingua tedesca di Nicolaus Decius, prima del 1529. cantato dalle voci bianche) Nella Matthäus Passion il coro ci invita: «Kommt» («Venite figlie, piangete con me!»). Il dolore è grande e noi siamo invitati a parteci­parvi: è a noi che si rivolge il coro. Le diverse entrate delle varie sezioni corali suonano come una continua, maestosa intensificazione del pianto. Siamo invitati a piangere, a guardare («Sehet»). A chi? A che cosa? Allo Sposo, alla sua sofferenza. Siamo invitati, ancora, a guardare (di nuovo: «Sehet»). A che cosa? Ai nostri peccati, a meditare sulle nostre colpe; e il sostegno degli archi qui si fa spezzato, sofferente. Nella sua struttura dialogante, il coro pone domande e trova risposte: risposte dolorose. Al di sopra di questa progressiva presa di coscienza, le voci bianche cantano l’Agnus Dei in lingua tedesca: l’Agnello di Dio innocente, la sua pazienza, i peccati del mondo. La maestosa polifonia delle masse corali evoca una moltitudine sofferente alla quale siamo invitati ad unirci. Siamo sotto i piedi della croce insieme a Giovanni e a Maria. Siamo di fronte alla ‘follia della Croce’, all’amore folle che per salvarci regge il peso di un legno fatto a croce; e dal dolore che suscita nascono la pietà e la gratitudine: «Erbarm dich unser, o Jesu!» ( «Gesú, di noi abbi misericordia!» ). Coro iniziale della Johannes Passion Herr, Herr, Herr, unser Herrscher, Dessen Ruhm in allen Landen herrlich ist! Zeig uns durch deine Passion, dass du, der wahare Gottessohn, zu aller Zeit, auch in der grössten Niedrigkeit, verrherrlich worden bist. Signore, Signore, Signore, nostro sovrano! La cui fama in ogni terra è gloriosa! Mostraci con la Tua passione, che Tu, vero Figlio di Dio, in ogni tempo, anche nella più grande prostrazione, sei stato e sarai magnifico. Tutt’altro genere di follia è quella che risuona, terrificante, nel coro iniziale della Johannes Passion. Qui non c’è nessun senso, non ci sono peccati di cui farsi carico. Non siamo sotto la croce dove ‘tutto è com­piuto’; siamo nella notte nera del Getsemani: è il dilagare, orrendo, della follia umana, della violenza contro l’innocente catturato e condannato; è l’ora della paura, «è l’impero delle tenebre» (Lc 22,53) Non credo che sia mai stata composta altra musica dove, piú che in que­sta, risuoni così nettamente la ‘paura’: l’orrore di fronte alla violenza e al non senso del male. Nelle angosciose incessanti figurazioni degli archi che non trovano pace, si sente la ricerca spasmodica di ‘qualcosa’. I fiati non riescono ad emettere una frase che si possa definire intera. Quando poi il coro entra, al di sopra di un’orchestra che brancola nel vuoto: «Herr!» grida all’unisono. «Herr, Herr!» (l’invocazione è triplice) «Signore! Si­gnore! Signore!... Mostraci Signore (Zeig uns) che anche nella più grande prostrazione sei magnifico. Mostraci che tu, vero Figlio di Dio (…)». E par quasi che queste voci del coro chiedano angosciate una conferma: «tu, sei Figlio di Dio? Vero?». Questo coro non dialoga, non trova rassicuranti ‘risposte’, non si rivolge a noi ma a Gesú. Di fronte all’orrore del male «Herr!» urla all’unisono. Dov’è il senso? Dov’è il senso di questa follia distruttrice? Nessuna risposta. “Solo” la follia dell’amore. La Johannes Passion ‘chiama’ la Matthäus Passion. Alla follia dell’uomo può offrirsi solo la follia della Croce. Luca Cavaliere
  14. Caro RedScharlach, tu metti il dito in una piaga davvero grossa: «com'è che al Liceo si studia Storia dell'arte (...) mentre non si studia Storia della musica?» il perchè io non lo so. So che è una gran pena, una gran tristezza. Da due settimane però so da quando le cose stanno così. Sono andato, lo scorso sabato 9, a Milano a sentire Quirino Principe che presentava la prossima ri-pubblicazione del suo saggio sui quartetti di Beethoven (non semplice ripubblicazione, ma rivisitazione: a quanto ne ha detto). Ebbene, tra le cose che ha detto, prima di entrare nel vivo, parlando di cultura musicale, diffusione della musica, situazione del Paese Italia . . . egli ha affermato che è dall'unità d'Italia che la musica è stata estromessa dalle "scuole normali" (io ho inteso "scuole normali" come scuole dell'obbligo, quindi siamo parlando di livello ben più in basso dei licei). Che dire . . . "evviva!". Ci hanno fatto del male e . . . andiamo avanti (nelle scuole) a non farci del bene.
  15. bellissima discussione! io sono sulla linea di Carlos: grande importanza del fattore organizzativo e progettuale nel "prendere corpo" di una composizione. A un bambino direi: spesso un musicista sente un mare, un oceano, di suoni dentro di sè. Sono suoni impetuosi, terribili, dolci, carezzevoli.... molti e molto diversi tra loro. Sono come idee confuse. Tra tutte queste idee ce n'è una che lo attira di più. Allora cerca di concentrarsi su questa. Si concentra solo su quei suoni e lascia perdere tutti gli altri (agli altri, magari, penserà una prossima volta). E ci lavora ci lavora finchè quell'idea fatta di suoni - composizione - risuona precisa nella sua testa. Allora ne scrive le note sul pentagramma, così tutti possono suonarla e ascoltarla
  16. «praticamente tutto il repertorio di cantus planus (cosiddetto gregoriano) non ha autore. E parliamo di secoli e secoli di musica. Nel nostro ipotetico libro di storia della musica, di cosa parliamo arrivati lì? Di altri autori medievale, e perfino rinascimentali, sappiamo ben poco, e spesso le notizie sono così dubbie da diventare, appunto, mitografia. Cosa facciamo lì?» [Thallo] è vero Thallo. Tutti autori sconosciuti. Mi pare ovvio che nel nostro ipotetico libro questi capitoli abbiano - serenamente - solo la parte 'di sinistra'. «la musica è fatta di opere, ma non necessariamente di autori. Che si parli di opere, allora» [Thallo]. Sono molto d'accordo. Le opere. . . innanzitutto! ciao! Luca
  17. [ops non mi sono accorto del nuovo topic aperto ad hoc da Thallo. Grazie tanto a Xenakis che mi ha 'ripescato' in quell'altro! . . . allora copio/incollo il mio post in questa sede corretta ] Grazie Thallo, per avermi spiegato (nell'altro topic: sulle "mitologie romantiche") il “labirinto dei metodi e dei fini storiografici e critici”: consci, inconsci, incoscienti, impliciti, dichiarati. Con riferimento al tuo post (dempre del topic "mitologie romantiche") in cui facevi notare che, accanto a una vecchia storiografia (definita ‘di destra’) per cui la storia della musica è fatta da singole personalità, si affiancano da alcuni anni nuovi metodi di ricostruire il passato musicale. Mi sembra però che questo vecchio modo abbia una sua ragione (l’unica che io vedo). Ossia il fatto che le opere musicali – oggetti ben più concreti che “La-musica” – sono create da singole personalità: da musicisti, da uomini. E dunque il fatto che una storia della musica sia anche focalizzata su quelle personalità, mi pare una cosa sensata, coi piedi per terra: mi pare un dare ‘pane al pane e vino al vino’. Hai scritto che prima del romanticismo le storie della musica erano storie di gusti musicali nazionali. Bene. Anche questa è una buona cosa [e io ho pensato “Ah… questa allora è la storiografia ‘di sinistra’ ]. Perché dico che anche questo modo ha le sue ragioni? Perché un Bach o un Beethoven non ‘piovono dal cielo’ come divinità sapienti, ma per arrivare a creare quello che ci hanno lasciato, hanno respirato l’aria dei loro tempi, dei loro luoghi, sono cresciuti nell’humus dei gusti e degli stili che li hanno preceduti. Io non so quanto i ‘nuovi modi’ riprendano quella vecchia ottica da te accennata e che io ho chiamato ‘storiografia di sinistra’. Ma non ti pare – è ciò che ti chiedo – che ‘destra’ e ‘sinistra’ possano fecondamente stare insieme? Più che ‘destra’ e ‘sinistra’… Non ti pare che si possa parlare di una storiografia ‘newtoniana’ (dove l’interesse è focalizzato su quegli ‘affascinanti corpuscoli’ che sono i vari compositori), e di una storiografia ‘quantistica’ (più attenta al clima, alle ‘vibrazioni’, che caratterizzano un’epoca)? Riuscire a conciliare questi approcci porta a uno scenario interessate. Che ne dici? Ciao! Luca
  18. [senza aprire un topic apposta... in realtà mi piace osservare come i topic si trasformano passando a nuovi temi interesssanti... sembrano "variazioni"! ] Grazie Thallo, per avermi spiegato il “labirinto dei metodi e dei fini storiografici e critici”: consci, inconsci, incoscienti, impliciti, dichiarati. Torno però al tuo post precedente in cui facevi notare che, accanto a una vecchia storiografia (definita ‘di destra’) per cui la storia della musica è fatta da singole personalità, si affiancano da alcuni anni nuovi metodi di ricostruire il passato musicale. Mi sembra però che questo vecchio modo abbia una sua ragione (l’unica che io vedo). Ossia il fatto che le opere musicali – oggetti ben più concreti che “La-musica” – sono create da singole personalità: da musicisti, da uomini. E dunque il fatto che una storia della musica sia anche focalizzata su quelle personalità, mi pare una cosa sensata, coi piedi per terra: mi pare un dare ‘pane al pane e vino al vino’. Hai scritto che prima del romanticismo le storie della musica erano storie di gusti musicali nazionali. Bene. Anche questa è una buona cosa [e io ho pensato “Ah… questa allora è la storiografia ‘di sinistra’ ]. Perché dico che anche questo modo ha le sue ragioni? Perché un Bach o un Beethoven non ‘piovono dal cielo’ come divinità sapienti, ma per arrivare a creare quello che ci hanno lasciato, hanno respirato l’aria dei loro tempi, dei loro luoghi, sono cresciuti nell’humus dei gusti e degli stili che li hanno preceduti. Io non so quanto i ‘nuovi modi’ riprendano quella vecchia ottica da te accennata e che io ho chiamato ‘storiografia di sinistra’. Ma non ti pare – è ciò che ti chiedo – che ‘destra’ e ‘sinistra’ possano fecondamente stare insieme? Più che ‘destra’ e ‘sinistra’… Non ti pare che si possa parlare di una storiografia ‘newtoniana’ (dove l’interesse è focalizzato su quegli ‘affascinanti corpuscoli’ che sono i vari compositori), e di una storiografia ‘quantistica’ (più attenta al clima, alle ‘vibrazioni’, che caratterizzano un’epoca)? Riuscire a conciliare questi approcci porta a uno scenario interessate. Che ne dici? Ciao! Luca
  19. «quello storicizzato, quello suonato, quello narrato, tutte entità diverse nei tempi» Bellissimo! . . . Un Beethoven mitico . . . 'polytropos' quanto Odisseo Ciao Thallo, riguardo il tuo post di ieri (sui modi della storiografia) vorrei chiederti una cosa: hai detto che i 'vecchi modi' di fare la storia della musica hanno alla loro base moltissime ragioni. io ne colgo solo una (senza preclusione a considerarne anche altre), ma . . . queste ragioni, a tuo parere, sono tutte infondate, insensate? ciao Luca
  20. Daniele, tu porti un sacco di stimoli e risponderti "velocemente" è sempre un po' brutto. Dapprima le espressioni di Thallo a proposito delle sentenze di Savinio («un po’ “forte”», «vaga e non argomentata», e poi «boiate») mi hanno fatto sentire in compagnia, ora (sulle stesse) leggo la tua frase: «Discutibilissimo e assolutamente non condivisibile» . . . e mi sento sempre più in compagnia! Vuoi sapere perchè mi pare che rasenti il fanatismo il confronto che Savinio stabilisce tra Beethoven e gli altri compositori? Perchè in un tale giudizio sento un pericolo, una "tentazione", che seduce anche me. Anche a me è capitato di pensarlo. (Se dovessi tenermi un solo compositore, non avrei dubbi: Beethoven). Ma un conto è un pensiero 'che giunge', un altro conto è scriverlo, svilupparlo, teorizzarlo (e pubblicarlo!) Per pensare che solo Beethoven «Lui solo, Beethoven, non ci costringe a mutarci, a deformarci, a diminuirci» e per pensare che solo la sua sia «Musica di uomo» « l'elevazione elevatissima della voce umana», per pensare cose di questo tipo dovrei turarmi le orecchie e non tener conto del bene ricevuto da innumerevoli opere – enormi e piccine – di molti altri compositori, prima e dopo di lui. No, non riesco a contestualizzare tali giudizi. Da un intellettuale mi aspetto qualcosa di più: che alzi ed allarghi il proprio sguardo. Anche al di là delle 'menate' della propria epoca. Ciao Luca
  21. Pienamente d'accordo con le cose scritte 1) da Thallo (la lotta dell'artista per conciliare forma e contenuto nell'opera d'arte) 2) da Daniele (l'esaltazione-annessione dello "stile eroico" da parte dei romantici a scapito di altri aspetti dell'arte di Beethoven) Aggiungerei 1) il musicista sordo: privato del conforto di udire le sue stesse creazioni 2) la ferma volontà [parole sue] di voler «afferrare il destino per la gola» 3) l'avere desistito dal porre fine alla propria vita [fonte: Test. Heiligenstadt] solo in nome della propria Arte più mito di così ?! . . .
  22. Caro Daniele, Curiosissima la differenza tra la tua e la mia posizione! Pensa che la tua frase - «improponibile sarebbe il contrario» - io la prenderei, tale e quale, per riferirla a quello di cui sono convinto. Cioè che mi pare più spontaneo decontestualizzare e poi, casomai, contestualizzare. Di sicuro l’avrò già detto in un altro post, ma mi pare buona cosa ribadire cosa intendo per ‘decontestualizzazione’. Intendo un rapporto tra me (chiunque) e l’opera d’arte il più possibile ‘libero’: non mediato da guide all’ascolto, esegesi varie (più o meno autorevoli, più o meno “poetiche” o “tecniche”), e non mediato nemmeno da esternazioni e guide all’ascolto che provengano dallo stesso autore dell’opera. Scusa se l’esempio che sto per fare è banale, ma, è quello che è: la mia esperienza personale. SINFONIA PASTORALE. Quando mi è stata proposta la prima volta, a dodici anni, non è che mi sia stata così tanto contestualizzata. Voglio dire, non ricordo discorsi – neanche vaghi – sul sentimento della Natura, del Divino, in Beethoven o alla sua epoca. Però questa musica mi ha affascinato. L’ho com-presa. L’ho presa con me: come parte buona della mio mondo affettivo. Ora, da cinque anni circa, sono un pochino più interessato a cose beethoveniane storiche, biografiche…[Interessato ma non troppo . . . manca solo l’indicazione di metronomo!], e mi pare di aver ben contestualizzato questa sinfonia. Anche grazie ai tuoi scritti. Ma non mi sembra che questa erudizione mi abbia portato a una maggior com-prensione, a un maggior impatto emotivo. A proposito di ‘decontestualizzazione’: quanto sarebbe interessante l’esperienza di qualcuno che la dovesse sentire per la prima volta senza sapere i titoli che Beethoven diede ai vari movimenti! (io purtroppo non posso più). Isomma: decontestualizzare sarà pure, se vogliamo, ingenuo. Ma mi pare la cosa più naturale e spontanea. Contestualizzare è una cosa buona, utile, doverosa, ma non porta necessariamente a una maggior comprensione di un’opera d’arte. E dette queste cose, mi pare evidente che non possa minimamente condividere l’affermazione per cui «Per comprendere la musica è necessario situarla nel quadro della vita reale in cui è fiorita» ciao! Luca
  23. Pensavo di aver detto la mia (riguardo a “seguire o no la natura”) e non scrivere più niente in questa discussione. Ma la discussione è andata altrove (cosa che il più delle volte a me non crea problemi). Dunque: non sapevo chi fosse Alberto Savinio. In seguito alle citazioni di Otello sono andato a cercare notizie di lui in internet. Ora solo due opinioni sugli estratti dal suo «magnifico libro» che Otello ha citato. «In maniera generale, tutti i musicisti pre-beethoveniani spaziano dentro un concetto tolemaico dell’universo, onde noi, per adeguarci a questa diversa e minore misura dell’universo, dobbiamo fare uno sforzo di riassorbimento e di retrogradazione mentale (…) Lui solo, Beethoven, non ci costringe a mutarci (…)». Quì mi pare siamo vicini al fanatismo. Probabilmente a dodici anni anch’io ero così assoluto. Perché negarlo. Dopo due anni già ero più cauto nei miei giudizi. Apprezzo il sangue freddo di Thallo che giudica le affermazioni di Savinio «un po’ “forte”», «vaga e non argomentata», e al massimo parla di «frasettina». A me, francamente, di fronte cose come il paragone tra epitaffio di Sicilo e l’opera bachina, per poi arrivare alla Panzerdivision… Di fronte a queste affermazioni, mi è venuto in mente il giudizio sintetico di Fantozzi su La corazzata Potëmkin.
  24. io ho inteso "seguire la natura" come seguire le regole codificate dell'armonia, della forma, delle proporzioni ecc. (cercando di mettermi nella testa di chi ha detto quella frase a Beethoven) immaginando che all'epoca - all'apice dello stile glante - era diffusa un'idea di natura come qualcosa di non dirompente. E quindi, grande importanza delle proporzioni, simmetria, armonia, piacevolezza. Ma non ci metterei la mano sul fuoco. Potrebbe benissimo intendere giustamente Otello che, spiegando la frase come "affidarsi al proprio istinto" (ossia a qualcosa della propria interiorità), porta il significato della frase proprio in direzione opposta. Chiss
  25. Mi impressiona (positivamente!) la citazione di Haydn riportata da Carlos. Sono parole importanti: ben più "pesanti" di tanti altri elogi che il giovane Beethoven ricevette, inclusa la famosa dedica del conte Waldstein. Mi vien da pensare: ma che colpo d'occhio... Haydn!... [ colpo d'orecchio sarebbe più appropriato ] Saper riconoscere un albero mestoso anche quando è ancora un arbusto in mezzo a tanti altri. Riguardo alla domanda di Barbara (e la richiesta di precisazione di Xenakis), forse per "natura" si può intendere, in questo caso, le regole codificate (dell'armonia, della forma). Almeno, così mi pare. E riguardo al seguirle o meno queste regole, nella storia della musica è avvenuto un po' di tutto: rigido ossequio, spontanea fedeltà, tradimenti consapevoli, tradimenti inconsapevoli... il tutto a prescindere dalla bontà della musica che ne è venuta fuori.
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