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Piano Concerto - Forum pianoforte

Stile Interpretativo


Stellina
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Difficile rispondere in due parole, su questo argomento sono stati scritti interi volumi!

 

Io mi limiterei a dire che quando un esecutore di musica ha una sua personalità che spicca, si impone, non è omologata ad una visione che ripete modi di eseguire consueti, allora potremmo dire che questo esecutore è un interprete e dunque ha uno stile interpretativo.

 

Ma qui subito si apre il discorso del rapporto tra personalità individuale dell'interprete e fedeltà ad una prassi esecutiva storica, che significa anche definire il rapporto dell'esecutore rispetto alla fruizione di un repertorio storico (altra cosa è l'esecutore che esegue solo musica propria, ovviamente).

 

Dunque, il problema dello "stile interpretativo" è complesso. Se prendi due grandi pianisti, ad esempio Benedetti Michelangeli e Pollini, noterai che entrambi sono molto fedeli al testo e si pongono entrambi un problema di rispetto della prassi esecutiva storica; eppure sono molto diversi tra loro: ecco, in questa diversità possiamo dunque cogliere un aspetto di "stile interpretativo", lo stile di Benedetti Michelangeli che è diverso da quello di Pollini (ed io non saprei scegliere tra i due...)

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Secondo voi da cosa è fatto uno stile interpretativo?

 

L'«interprete» suona mettendo due aspetti in gioco: la fedeltà al testo scritto e la sua personalità. Non sempre in proporzioni uguali, non sempre nelle giuste proporzioni (dove per «giuste» si intende che privilegia la fedeltà alla lettera rispetto alle sue proprie esigenze). In ogni modo, la combinazione di questi due elementi, fedeltà alla lettera e personalità, determinano lo «stile interpretativo» di ciascun esecutore, perché logicamente lo stesso testo, se fosse interpretato senza frapposizione di elementi personali, suonerebbe irrimediabilmente asettico. Ci sono stati in passato (e forse ce ne sono altri oggi) interpreti che sostenevano la necessità di non frapporre la propria personalità durante l'interpretazione di un testo musicale, ma questo è assolutamente impossibile, perché ciascun segno scritto viene per forza di cose filtrato dall'interprete, che pur volendo, razionalmente, annullarsi, non può farlo totalmente.

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Questo argomento mi ha sempre affascinato anche se non ho capito mai il vero significato di interpretazione.

 

Attualmente penso al pianista come un traduttore del pensiero del compositore, il quale per fermare le sua "idee" scrive sul carta.

Riprodurre tale musica in modo più vicina all'intenzione del compositore credo sia l'utilità del pianista che trovandosi di fronte a delle indicazioni non univoche(spartito) deve avvalersi di altre conoscenze per suonare il pezzo trascinando dentro di esso inevitabilmente, parte di se stesso.

 

Ora se quello che ho detto è giusta non riesco a capire come si possano realizzare di uno stesso pezzo interpretazioni così differenti (realizzate a volte anche dello stesso pianista).

Mi aiutate a fare chiarezza??

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[...] non riesco a capire come si possano realizzare di uno stesso pezzo interpretazioni così differenti [...]

 

«Interpretare» significa «trovare un senso dentro le cose» (molto approssimativamente: mi perdonino latinisti e studiosi delle lingue antiche, io sono, da questo punto di vista, un perfetto ignorante). Il segno scritto sulla carta è quanto di più vago ci sia, graficamente parlando. Se pensi a quanti tipi di «casa» ti vengono in mente se io ti dico «ho visto una bellissima "casa"», se pensi a quante sfumature di «bello» ci possono essere, per me, per te, per chiunque legga o senta quella frase... immagina quanti «significati» si possano trovare in una frase musicale, in un inciso, in un intero movimento di una sonata, di una sinfonia... la Musica, l'ho già detto più volte, è un'arte «asemantica», ovvero non esprime concetti. Per questo è impossibile individuare la fine delle possibilità espressive di un segno scritto, nemmeno quando l'autore ha lasciato dettagliate indicazioni in merito. La prova provata è che, consci di questo e assecondando la tendenza che vedeva progressivamente l'autore perdere contatto con la sua musica, i compositori, da Beethoven in poi, hanno aumentato poco a poco il corredo di informazioni «a latere» per istruire chi suonava, sul senso, sul modo, sul come e sul perché di un segno, di una frase, di una nota, di un accento... ciononostante non esiste - aggiungerei «grazie a Dio» - una interpretazione, ma ne esistono molte, che magari differiscono per pochi, minimi dettagli, ma anche lo stesso interprete, a distanza di tempo, scopre nuove cose.

A tal proposito, mi è molto caro un aneddoto che riguarda Sostakovitch. Lo racconava Oistrak. Il grande violinista raccontava che, all'indomani di una sua esecuzione di un concerto per violino di Sostakovitch ricevette una telefonata... da Sostakovitch stesso! «Sono Sostakovitch» disse il Maestro e Oistrak ne fu immediatamente intimidito. «Ho ascoltato la sua esecuzione del mio concerto, ieri sera...» continuava DS e Oistrak si aspettava una critica, visto che era consapevole di avere, in alcuni punti, contravvenuto alle indicazioni della partitura... DS proseguiva «Lei ha fatto cose diverse da quelle che ho scritto io» e Oistrak «Sì, Maestro, ma vede...», a questo punto DS lo interrompeva e «Aspetti in linea: vado a prendere la partitura». Oistrak si aspettava strali e reprimenda ed era già pronto a scusarsi, quando Sostakovitch, tornato al telefono, gli disse «Ecco qua, adesso ho la partitura davanti: mi dica pure...» :o Oistrak, esterrefatto, rispose «Maestro, in che senso “mi dica"?» e Sostakovitch «Mi dica quello che ha fatto: era bello, me lo voglio segnare!». Non è una leggenda: esiste la registrazione di questa telefonata, almeno in parte, e trovo che sia un ottimo elemento per mettere la parola fine a quanti fanno della fedeltà al testo e dell'autocensura una regola di vita che porta ad assolutizzare le interpretazioni. Sono chimere. Non è possibile essere fedeli ad un testo che è, di per sé, incompleto, perché l'interprete deve colmare quell'incompletezza, attraverso studio, dedizione e, perché no, un po' di presunzione: quella che ti porta, a volte, ad essere convinto di aver capito un po' di più di un autore, per poi magari rimettere in discussione la tua «scoperta» alla successiva esecuzione... Non so se sono riuscito a darti almeno una vaga idea, ma ci ho provato. ;)

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Innanzitutto grazie per la spiegazione.

Non ho di certo le idee chiare ma adesso ho nuovi spunti.

 

Dall'aneddoto capisco che l'esecutore può dare una forma diversa da quella che il compositore ha pensato, come se il compositore partorisse della "materia plasmatica" pensata in un una delle infinite configurazioni e l'esecutore può trovare una nuova forma più bella.

 

Sto filosofeggiando troppo??

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Dall'aneddoto capisco che l'esecutore può dare una forma diversa da quella che il compositore ha pensato, come se il compositore partorisse della "materia plasmatica" pensata in un una delle infinite configurazioni e l'esecutore può trovare una nuova forma più bella.

Sto filosofeggiando troppo??

 

Certo che no: è proprio così. Lo stesso compositore può non essere del tutto consapevole della ricchezza di idee e spunti presenti nella sua stessa musica e, una volta scoperti, trovarli interessanti, almeno quanto ciò che aveva pensato lui stesso.

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Quindi la bravura sta nel trovare la forma che è più oggettivamente apprezzata, correndo il rischio di cambiare anche le indicazione grafica dello spartito se si ritiene giusto e saranno gli ascoltatori a giudicare.

 

No, secondo me no: qualsiasi risultato si ottenga, lo si deve ottenere avendo come scopo principale quello di individuare le intenzioni del compositore o, comunque, di servire lui, non noi stessi. Se questo porta a modificare le sue indicazioni, ci deve essere una ragione molto buona e plausibile, che, a conti fatti, dovrebbe trovare nel testo stesso una sua legittimazione.

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No, secondo me no: qualsiasi risultato si ottenga, lo si deve ottenere avendo come scopo principale quello di individuare le intenzioni del compositore o, comunque, di servire lui, non noi stessi.

 

Questo lo capisco!!

 

 

Se questo porta a modificare le sue indicazioni, ci deve essere una ragione molto buona e plausibile, che, a conti fatti, dovrebbe trovare nel testo stesso una sua legittimazione.

Questo non lo capisco :( !! cosa ci permette di fare queste scelte??

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ahahahah allora è tutto facile!! capirò meglio con lo studio (si spera), intanto mi ha fatto molto belle questa chiacchierata ;)

 

Con «studiare, sturiare, studiare» intendevo lo studio attraverso il quale si approfondisce poco a poco un autore e se ne conoscono sempre più aspetti. Per suonare bene una sonata di Beethoven se ne devono aver studiate molte, magari aver dato (perché no?) un'occhiata ai Quartetti.

In realtà, anche se può sembrare che alla fine sia «più facile», non è così, perché a fronte di una maggior familiarità con il linguaggio dell'autore, sorgono molti più dubbi rispetto alla legittimità di ciò che si fa. Brendel ne parla nel suo libro/intervista «Il velo dell'ordine», è molto interessante: lui dice che si deve «illuminare da dentro» un pezzo, un autore, ovvero mettersi a totale servizio suo; ma dice anche che fantasia e conoscenza non sono inversamente proporzionali e che la fantasia è sempre necessaria per interpretare un autore. Discorso molto complesso e interessante.

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  • 2 weeks later...
  • 11 months later...

Ho trovato questa bella citazione, che passo volentieri:

 

Il miglior interprete sarà dunque colui che, pervaso dalla composizione e ad essa tutto dedito, per riprodurla mette in pari tempo in gioco l'energia totale della sua personalità e anche il piacere di realizzare il proprio talento, colui insomma che ha conservato la gioia del far musica dei suoi primi anni e riversa nell'interpretazione la sua più profonda natura, dopo essere giunto alla più intima unione con quella del compositore. [bruno Walter - Musica e interpretazione]

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