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Piano Concerto - Forum pianoforte

Carlos

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Tutto postato da Carlos

  1. Attenzione però: tu stai parlando di un eventuale "revisore" tipo il "revisore di bozze" nell'editoria, è così? Qui stiamo parlando di un tipo di revisione diversa.
  2. A parte il fatto che se tu parli di "perdere tempo" forse non hai le idee ben chiare su cosa significhi studiare, scusami se te lo dico, ma in ogni caso, non devi aver nemmeno letto con attenzione quello che ho scritto: le "revisioni" dei vari Canino, Campanella ecc. sono, di fatto, delle edizioni cui loro hanno AGGIUNTO indicazioni che non hanno niente a che fare con ciò che ha scritto l'autore, ovvero sono, di fatto, opinioni personali. Inoltre, per certi autori, si tratta di veri e proprio falsi: se tu leggi il Clavicembalo Ben Temperato nella "revisione" di Mugellini (credo sia lui) trovi più cose sue che di Bach (anche perché Bach ha scritto solo le note). È chiaro che un bambino di dieci anni non è in grado di affrontare lo studio all'insegna della prassi storica ecc. ecc., ma quanto meno può essere EDUCATO a conoscere dei vari autori lo stile compositivo e non a pensare che, tutto sommato, tra il modo di scrivere di Bach e quello di Chopin non ci fosse una grande differenza, perché entrambi usavano le stesse indicazioni. Poi, col tempo, uno impara a conoscere lo stile dei vari autori e a suonarli nella maniera più autentica possibile. Se uno a vent'anni, dopo dieci anni che suona il pianoforte, non riesce a capire la differenza tra il significato di certe indicazioni in Beethoven e in Chopin, allora sì ha perso tempo! Però naturalmente dipende dagli obiettivi che uno si pone: se uno suona per hobby va bene tutto, se uno vuol fare il musicista è un altro paio di maniche.
  3. Il fatto che abbia scritto per i salotti parigini non c'entra mezzo accidente, sul serio Bisognerebbe conoscere qualcosina dei ritmi che usava, del linguaggio musicale (soprattutto delle mazurche) per vedere quanto di polacco c'era nella sua musica e quanto no. Ho già suggerito in un altra discussione un libro, lo risuggerisco: Chopin visto dai suoi allievi, di jean-Jacques Eigeldinger. Ogni tanto leggere qualche libro fa bene!
  4. Bisogna distinguere il tipo di revisione cui ci riferiamo. Per esempio: ricordo bene l'epoca dei mie studi pianistici di bambino, con i vari volumi editi da Ricordi, tipo "Il mio primo Bach" e cose così... sulle copertine di quei volumi era sempre scritto in bella vista "revisione Campanella" (o Canino, o chi altro non ricordo) e lo scopo di quelle "revisioni" era corredare la musica di Bach, di Mozart, di Beethoven, di Chopin ecc. di indicazioni utili (?) al giovane studente, come diteggiature (il minore dei mali), dinamiche, fraseggi ecc. (il male decisamente peggiore, soprattutto per la musica di Bach e Mozart, ma non solo). Ma un tipo di revisione così è frequente e ancora presente per opere macroscopiche come le Sonate di Beethoven, quelle di Mozart, il Clavicembalo Ben Temperato... Questo tipo di revisione, a mio parere, è deleterio e diseducativo (* dirò in fondo perché). Il lavoro che fa un revisore, questo tipo di revisore, può e deve farlo l'insegnante di strumento quando ci si riferisce a testi utilizzati per la didattica (Invenzioni a due voci, Sonatine di Clementi, cose così...) e il professionista, invece, quando ci riferiamo a testi che si affrontano con la maturità musicale; ma sul testo dell'autore, sul testo originale, ovvero come è uscito dalla penna di Bach, di Mozart, di Chopin ecc. Ho avuto, personalmente, la fortuna di essere guidato da un insegnante che mi ha presto invitato ad acquistare questo tipo di edizioni. E qui viene il Revisore con la "r" maiuscola. Quello il cui lavoro è, al giorno d'oggi più che mai, assolutamente indispensabile, non solo per il giovane studente, ma anche per il professionista. Il Revisore lavora sugli autografi, lavora sulle prime edizioni, lavora sul materiale epistolare, lavora sulle bozze eventualmente ritrovate di lavori poi pubblicati; tutto questo con lo scopo di fornire al musicista un'edizione della musica in oggetto il più rispondente possibile a quanto nelle intenzioni dell'autore, confrontando i vari materiali di cui sopra per correggere eventuali dimenticanze, chiarire dubbi magari perpetuatisi col tempo a causa di un errore nella prima edizione a stampa o, che so, in una parte d'orchestra di una sinfonia... Questo tipo di revisione è manna per il musicista: il lavoro dei revisori ci mette, letteralmente, faccia a faccia con un testo che rappresenta ogni volta, e ad ogni nuova revisione (sempre in genere preceduta dalla scoperta di un documento di nuovo utile a correggere, completare o semplicemente integrare la revisione precedente), dicevo, un testo che rappresenta quanto di più vicino ci sia in quel momento alla "lettera" dell'autore. Studiare una Sonata di Beethoven (per fare un esempio) su un'edizione "riveduta e corretta" dal pianista di turno (fosse anche il più grande interprete Beethoveniano sulla faccia della terra), che abbia aggiunto legature, dinamiche e dettagli a suo criterio e invece studiarla su un'edizione Urtext (leggi: testo originale), curata per ripristinare, conservare, chiarire le indicazioni dell'autore, sono, decisamente, due attività diverse. L'una, apparentemente, più "comoda", perché pone di fronte ad un testo "arricchito" (ma a mio parere, decisamente impoverito, in realtà) da indicazioni di un altro interprete; l'altra, più affascinante, perché permette di non avere intermediari tra il testo dell'autore e ciò che arriva a noi. * Dicevo più sopra che l'utilizzo di edizioni piene di aggiunte è deleterio e diseducativo. Mi spiego, anche se non è la prima volta che lo dico. Deleterio lo è perché frena automaticamente lo stimolo a "interpretare", dove questo termine sia inteso nel più alto significato possibile, ovvero quello di capire e comprendere (ovvero far proprio) il testo dell'autore; diseducativo lo è perché se ad un bambino all'inizio degli studi lascio passare la convinzione che un'Invenzione di Bach contenga indicazioni che invece Bach non si è mai sognato di scrivere, lo induco due volte in errore: il primo errore è quello superficiale, ovvero Bach non ha scritto né "allegro", né un metronomo (figuriamoci!), né "accelerando" e così via. Il secondo errore è più profondo: è un errore storico e storiografico, perché un certo tipo di indicazione arriverà molto tempo dopo e, soprattutto, per uno strumento diverso dal clavicembalo (cosa che spesso sfugge ai bambini che leggono "Bach: Invenzioni a due voci, per pianoforte (!!!)" sui testi che vengono consigliati di acquistare.
  5. Coi timpani cromatici a pedale cambiare l'accordatura del timpano è un'operazione rapida e a prova di errore. Le partiture novecentesche lo prevedono continuamente e il tempo necessario è limitatissimo (nell'ordine di un movimento addirittura, se la velocità del brano non è elevatissima e se il timpanista nel frattempo non deve fare altro su un altro timpano, logicamente). Non sono un percussionista, lo dico per correttezza, ma ho studiato i timpani, quindi, a meno che non possa/voglia intervenire uno specialista e se hai un caso specifico da sottoporre, fallo pure. Se invece la domanda era di carattere generale, penso di avere risposto.
  6. Perché? Fosse solo quello... Comunque: tenace. E volitivo. E determinato. Non rilevante per definirne la personalità. Almeno a mio parere. Domanda mia: perché questa inchiesta?
  7. Esattamente! Chopin detestava il concerto pubblico anche e soprattutto perché era estremamente timido, a differenza del suo coevo Liszt (reale inventore del recital). Chopin preferiva ambienti raccolti e, oltre al fatto che la maggior parte dei pezzi che ha scritto aveva una finalità didattica, preferiva senza dubbio un pubblico ridotto. Andrebbe ricordato che lui stesso ha realizzato le due splendide versioni per quintetto con pianoforte dei suoi due Concerti per pf. e orchestra, proprio per poterli eseguire in ambiente più raccolto. Chopin si considerava, a parte tutto, un insegnante di pianoforte (questo emerge nel libro di cui parlavo sopra, Chopin visto dai suoi allievi) e non si è mai considerato un concertista (tanto che, come è risaputo, molti dei suoi Studi li ha scritti per sé). In aggiunta a questo, evidentemente, non ha mai ritenuto di dover approfondire la scrittura sinfonica, né, tra l'altro, la sua scrittura pianistica lascia trasparire niente in questo senso, cosa che invece non è possibile affermare dei suoi illustri colleghi, vedi Schumann, Mendelssohn, Liszt, più tardi Brahms, ovvero tutti comporitori la cui scrittura per pianoforte, poco o tanto, lasciava intravedere uno "sconfinamento" (sia detto in termini assolutamente positivi, ben chiaro) verso il linguaggio orchestrale. Non a caso, Chopin è forse l'unico compositore la cui musica per pianoforte sia praticamente impossibile da orchestrare.
  8. Sir Colin Davis (25 settembre 1927) è morto il 14 aprile 2013 all'età di 85 anni. Un grande direttore, un grande musicista. Una grande perdita... «Conductors are paid to think, and that’s what the job should be about: sitting at home thinking, what is this piece? How can I set it up to sound its best and live on, because there’s nothing to replace it with just yet? This is what absorbs the mind.»
  9. Esatto, e il passo successivo dovrebbe essere chiedersi perché frequentava i salotti e non le grandi sale da concerto? Anche Liszt, ad esempio, frequentava i salotti, e anche Schubert, ma entrambi hanno scritto pagine sinfoniche meravigliose... quindi, qual era la ragione di Chopin?
  10. Vi suggerisco caldamente la lettura di un libro interessantissimo, uscito non molto tempo fa, ovvero Chopin visto dai suoi allievi, di Jean-Jacques Eigeldinger, edito da Astrolabio. Un testo fondamentale per capire molti aspetti della poetica di Chopin e molte delle ragioni di cui state discutendo. http://www.lafeltrinelli.it/products/9788834015834/Chopin_visto_dai_suoi_allievi/Jean-Jaques_Eigeldinger.html
  11. Basterebbe, forse, ricordare che il principale scopo per cui Chopin scriveva era didattico. E lui insegnava il pianoforte.
  12. Merci! Non lo conoscevo: appena ascoltato nell'interpretazione (sublime...) di Emil Gilels, che condivido, visto che siamo in tema.
  13. Confesso di non conoscere il Notturno di Grieg (o magari sì, ma non lo so, a volte capita anche quello... ), ma direi, in generale, che quando si parla di "notturni" ci si deve riferire a un "prima di Chopin" e a un "dopo Chopin". Purtroppo per Field, il suo nome viene ricordato solo quando si studia il suo più famoso e rimpianto collega polacco, c'avete fatto caso? Si studia Chopin, si parla dei notturni e... «genere tra l'altro inventato dal pianista e compositore irlandese John Field», al ché tutti «John chi?» e chiuso l'argomento... Purtroppo per lui, Field nacque in Irlanda e purtroppo per lui fu contemporaneo di un mostro sacro dal nome Ludwig van Beethoven, che però era nato in Germania e si era trasferito a Vienna. Tra l'altro, Field fu allievo di Clementi a Londra, ma venne in continente, a Parigi, quando LVB era già famoso, nel 1800 o giù di lì (e infatti poi si trasferì a Pietroburgo). La sua musica, che io conosco davvero pochissimo, lo confesso, non è per niente male (ha scritto addirittura 7 concerti per pianoforte e orchestra, l'avreste mai detto?). Per rispondere in maniera più attenta alla tua domanda, ritorno a dire che il "prima di xyz" e il "dopo xyz" è comune a molti generi musicali, vedi per esempio la sinfonia. C'è un "prima di Haydn" e un "dopo Haydn" e poi ci sarà un "prima di Beethoven" e un dopo Beethoven", anche se sono in realtà vicinissimi. In realtà Beethoven rappresenta uno spartiacque per molti generi. Meno male che non ha scritto notturni, sennò avrebbe rubato a Chopin l'esclusiva! Insomma, la differenza in questo caso è che il "prima di Chopin" che riguarda i notturni, praticamente, è contemporaneo a Chopin e per nulla noto ai più...
  14. John Field ha inventato il genere "notturno", che poi Chopin ha reso celebre. Non ci si deve rimanere male Chopin resta un genio e Field resterà in eterno "quello che ha inventato un genere che Chopin ha portato alla sua massima espressione".
  15. La tua spiegazione è molto interessante di per sé, ma onestamente credo poco applicabile al caso specifico, per almeno due motivi, ovvero: - il primo, come dice Thallo, è che Beethoven scrive sempre in maniera fisiologicamente faticosa per la voce, a prescindere dal testo che viene cantato, quindi non riguarda, la faticosità, il superare le difficoltà della vita per mantenersi gioiosi; - il secondo, più importante ancora, è un motivo tecnico e storico: se Beethoven usasse le voci nel senso che tu dici se ne dovrebbe ricavare che sta non solo anticipando il romanticismo, ma addirittura sta anticipando il verismo, cosa che non è in alcun modo ed è anzi (il verismo, intendo) ben lungi dall'arrivare. Intendo dire che "esprimere la fatica" e "scrivere una cosa faticosa" non sono la stessa cosa, spero di riuscire a spiegarmi. Il Finale della Nona è faticoso perché la scrittura è maldestra: i soprani sono molto spesso sopra al rigo e a cavallo di sol e la sovracuti, magari costretti a cantare piano e i bassbaritoni, anche loro, molto spesso sopra al rigo, su re e mi. Ma, a dire il vero, lo sapeva anche Beethoven che esagerava: all'ingresso del Basso solista ("O Freunde, nich diese töne!") c'è già un "ossia" e al mi della parola "Freunde" è previsto si possa sostituire un più comodo do diesis. La stessa cosa vale per la parte del Tenore, subito prima della lettera K ("freudig wie ein Held zum Siegen."), dove il tenore è forzato a toccare ripetutamente il si bemolle acuto; anche lì è previsto un "ossia" (ed entrambi sono autografi). Il ché aprirebbe ed amplierebbe il dibattito, ovvero: se Beethoven sapeva di scrivere complicato o, quanto meno, scomodo, vuol dire che non era mancanza di conoscenza della voce e che magari cercava di fare con le voci quello che faceva con gli strumenti, cioè spostare in avanti i limiti strumentali (come faranno, dopo di lui, sempre più spesso i compositori romantici). Non lo so, onestamente, ma resto convinto che il discorso non possa essere uguale per lo strumento (quale che sia) e per la voce, perché, come dicevo, lo "strumento voce" non può essere meccanicamente perfezionato come invece è possibile fare con gli altri strumenti, quindi può migliorare la tecnica, ma sarà applicata ad uno strumento sostanzialmente simile. Un po' come se si chiedesse a Kissin di suonare la Sonata di Liszt su un fortepiano del 1800. E la riprova è che certe parti vocali restano, a tutt'oggi, decisamente impervie, ma sorrette da orchestre che si "mangiano" la Nona con una disinvoltura impensabile solo un secolo fa. È decisamente più "comodo" cantare il Requiem di Verdi e sarei pronto a scommettere che qualsiasi corista, italiano o tedesco o... come volete voi, affermerebbe la stessa cosa. Ergo, a mio parere, come la si gira la si gira, Beethoven con la voce aveva dei limiti, mi sia perdonata questa affermazione (!!!).
  16. Non dimentichiamo, oltre a questa giustissima tua osservazione, che questa era musica per balletto e che le trascrizioni per uno o due pianoforti venivano preparate dall'autore per le prove. Esiste anche la versione per pianoforte a 4 mani della "Sagra della Primavera" di Stravinski, ma non è una versione "da concerto" (come invece i "Troi Mouvements de Petrouchka", per intenderci), bensì una versione d'uso.
  17. Ah... bravo! Ecco, in quel passaggio (parliamo dell'ultima battuta del "Grave" introduttivo, se nessuno ha voglia di andare a prendere lo spartito...) è evidente che quella scrittura ha lo stesso valore che avranno, ad esempio in Chopin e ancora di più in Liszt, le "volatine" di note scritte piccole. Li usa anche nell'op. 27 n. 1 e la situazione è la stessa, ovvero una cadenza subito prima dell'"Allegro vivace" conclusivo. Personalmente credo di non averne mai incontrati in situazioni dove il "senso" sia diverso da "più ce ne sta meglio è". Addirittura nelle parti dei timpani, dove spesso si deve stabilire attentamente se il compositore intenda ritmo o trillo, quando scrive il valore largo con l'abbreviazione sulla stanghetta della nota, ci si ferma alle tre stanghette (quindi addirittura ai 32simi), ma dalle 4 in poi, soprattutto se ci si trova in un movimento rapido, è automaticamente trillo, perché al di sopra di una certa velocità è difficoltosissimo anche capire la differenza.
  18. Sulla Garzantina parla della quintupla, della sestupla no, ma su wikipedia c'è anche quella e, naturalmente, immagino corrisponda al 356esimo, ovvero alla semifusa.
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