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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. ... e allora io farò la parte del guastafeste. Io non amo Mozart e questo è sicuramente il punto. Ciò detto mi rendo perfettamente conto che imbastire un cd con musiche di Beethoven o di Bach non avrebbe certo gli stessi risultati sui bambini di tre anni, ma se di anni ne anno qualcuno in più e magari sono portati per la musica forse ... le cose cambiano. Ora, non me ne vogliate cari mozartiani, ma sul così detto effetto Mozart io sono della stessa opinione di Maximo Pradera - che fra l'altro è nato tre giorni dopo di me, ma questo non ha nessuna importanza ovviamente - che nel suo libro "La decima sinfonia di Beethoven" così scrive: < Nel 1997 un musicologo americano di nome Campbell, ha pubblicato un libro controverso in cui espone la teoria secondo cui ascoltare Mozart aumenta temporaneamente il quoziente intellettivo. Siccome Beethoven è Mozart elevato al cubo, sostengo che ascoltare la sua musica sia altrettanto più efficace.>
  2. In effetti non avevo dubbi che la tua interpretazione preferita fosse quella della Pacini ... ! Forse perché anche io stesso sono rimasto assai indeciso se preferire la Sarac - l'ho ascoltata se non non avrei potuto esprimere la mia preferenza - o la Pacini. Poi ho optato per la Sarac per il primo movimento perché, come dici tu, è molto beethoveniana: io per beethoveniana intendo dire molto energica e per me Beethoven è energia allo stato puro. Mentre nel secondo e terzo movimento la mia preferenza va alla Lisitsa come ho già detto. Ma mi accorgo che in effetti non ti ho risposto sull'affermazione che Shiff riporta di Ligety e ora cercherò di dirti come io interpreto quell'affermazione. Parlare della Sonata Waldstein vuol dire parlare della sonata che sconvolse definitivamente il mondo pianistico del primo Ottocento. Sì perché al netto delle sonate giovanili di Bonn, Beethoven fin dalle tre Sonate dell'Opus 2 inserisce nel genere una forte tensione rivoluzionaria - non dobbiamo mai dimenticare che il pianoforte per Beethoven era la fucina delle sue innovazioni musicali che poi, in un secondo momento trasmetteva ai Quartetti e alle Sinfonie o viceversa - che si manifesta nel trattare quella che era la produzione classica, aumentandone le dimensioni, non solo ingrandendole ma inserendo delle vere e proprie fratture e farciture. Questa sua ricerca arriva sostanzialmente all'Opus 22 - qualcuno direbbe alla fine del suo primo stile - e con l'Opus 26 inizia quella fase nuova - e sempre quel qualcuno direbbe del secondo stile - che non è più fatto solo di rottura ma di lotta vera e propria verso la forma-sonata così come era sta concepita nel periodo classico e fino a quel momento anche dallo stesso Beethoven.E' nell'Opus 26 che per la prima volta Beethoven indica il pedale di risonanza che, sicuramente aveva usato anche precedentemente, ma qui diventa portatore di nuovi effetti esattamente calcolati e non possibili senza il suo intervento. In questa evoluzione sono importantissime anche le seguenti Sonate: le due "quasi fantasia " dell'Opus 27, L'Opus 28 e in particolare l'Opus 31 n. 2. E' infatti dopo questa Sonata che Beethoven può iniziare ad impostare architetture vastissime e dunque arriviamo all'Opus 53 in cui la sperimentazione del linguaggio beethoveniano assume un carattere assolutamente nuovo e inedito. I contenuti sono densi, i temi suonano come slogan, la sonorità alterna la rarefazione e la condensazione. Charles Rosen dice che il primo movimento della Waldstein: < ha un modo caratteristico di essere, non semplicemente diverso da quello di altri compositori, ma anche diverso da qualsiasi altra musica pianistica di Beethoven: è una durezza energica, dissonante liscia, espressiva ma senza alcuna ricchezza>. Ancor più interessante è la sperimentazione sul suono pianistico e in particolare sull'uso del pedale di risonanza con cui, proprio nel finale vengono creati quegli effetti di cui tu parli. Possiamo aggiungere che Alfredo Casella, nostrano importante compositore novecentesco, delle prime battute di questa Sonata diceva che: < sembrano appartenere piuttosto all'ordine del "rumore più che della musica.> Sia chiaro, questa affermazione di Casella va intesa nel senso più positivo, proprio perché stiamo parlando di un compositore del Novecento e ... Ligeti - compositore contemporaneo - avvalora ancora di più il senso di tutto ciò, confermando quanto affermiamo da sempre: Beethoven è un precursore del Novecento e la sua musica si proietta direttamente nel XX° secolo e per questo - per tornare a Shiff - si può affermare che: < la Waldstein è una pietra miliare nella storia della musica: da allora disponiamo di nuovi modi di immaginare il suono.>
  3. Quando sento parlare di "consuetudine interpretativa non scritta" il mio pensiero corre inevitabilmente all'aria più celebre de "Il trovatore" di Verdi: "Di quella pira" dove uno dei primi interpreti dell'opera: il tenore Carlo Boucardé, fece corrispondere al te di "O teco" un do4 - detto anche do di petto - anziché il si3 che Verdi aveva scritto in partitura perché ritenne che l'acuto più squillante ne avrebbe accresciuto l'effetto. Tant'è che d'allora, così si è eseguita e, quando alcuni anni fa, Riccardo Muti ripristinò l'originale fu sonoramente fischiato dai soliti buuisti del terribile loggione della Scala. Ora, probabilmente, presso alcuni interpreti pianistici sta diventando una "consuetudine interpretativa", accentuare la pausa della dodicesima battuta della Waldstein. Chi sia stato l'apri-strada in questo non lo so: forse Pollini probabilmente. Queste interpreti dell'ultima generazione evidentemente, accentuano la pausa ancor di più. Può piacere o non piacere e in effetti anche a me non dispiace affatto, però forse la domanda giusta da porsi è fino a che punto un simile effetto si possa ritenere una libera interpretazione o una vera e propria correzione rispetto alla partitura beethoveniana, così come lo fu per Verdi, e dunque se è lecito il poterlo fare. Per il resto delle tue domande io starei con la Lisitsa nel secondo e terzo movimento. Ma non mi piace come attacca il primo movimento, proprio nelle sue prime note. Lì mi piacciono di più le altre due pianiste e Pollini e probabilmente di più la Sarac di cui però ora il video è scomparso.
  4. Un momento! Un conto è alzare le mani in tempo, rivolgendosi e mettendo in enfasi la parte orchestrale che più ha importanza in quel momento dell'opera musicale e un conto sono quelle infinite prove dove un direttore cerca di trasmettere all'orchestra la sua visione dell'opera e di come deve essere di conseguenza eseguita. Ora un robot potrà anche scimmiottare perfettamente un direttore durante un'esecuzione ma la vedo molto dura nel dare indicazioni durante le prove, fermare l'orchestra, dire qui va bene e qui no, riprendere dal tal punto ecc ecc. Qui non sarà mai sostituibile.
  5. Bianca ,quello che hai scritto è molto bello. Ho letto e riletto e tutt'ora continuo a leggere, domandandomi se ha un senso abbandonare uno scritto così personale e importante in una piattaforma qualsiasi essa sia - dove, difficilmente, troverà una risposta. Ho sperato che qualcuno desse almeno un segno di interesse verso quello che hai scritto .... ma per ora invano. Certo tu non sei Umberto Eco e dunque le tue parole per quanto importanti e profonde siano non hanno quella potenza che avrebbero se tu non fossi "solo" Bianca. Mi sono domandato che cosa ti saresti aspettata, dopo aver impiegato un certo periodo del tuo tempo nello scrivere e nel pensare, da questo forum. Non penso il silenzio che è seguito - e dunque il nulla - ma una qualche reazione, positiva, o così così, o negativa ... E comunque fosse stata sarebbe stato meglio del nulla. Avrei voluto estrapolare alcuni passi di questo tuo scritto che mi hanno colpito particolarmente e su cui sono profondamente in sintonia, ma poi mi rendo conto che sono in sintonia con tutto e che tutto quello che scrivi è importante. L'unica cosa che posso dirti è che "la capacità di giudizio", non è mai stata l'arma più forte dell'umanità. Un'umanità che nella sua stra-grandissima maggioranza, giudica in base al suo torna conto più spicciolo e più immediato, senza porsi troppe domande che vadano ben oltre la punta del naso, ovviamente è incapace di avere "capacità di giudizio". Oggi come oggi poi direi, che quella capacità è ancora più offuscata da una densa nebbia fatta di invidie, paure e rancori. Ma.. io sono un beethoveniano e mi piace finire sempre con l'ottimismo. Chissà? Forse la tua ipotetica nipote che avrai in futuro saprà ragionare in maniera assai migliore delle generazioni che ora popolano questo nostra Terra e saprà veramente usare con giudizio la sua "capacità di giudizio"!!
  6. Ciao Giovanni, impossibile poter essere a Tempio Pausania. Ma Tempio Pausania mi richiama alla mente il mio amato De André. E dunque a te e a tutta la gente sarda dedico questa bellissima
  7. ... e pensare che fino a poco tempo fa volevi diventare un listziano doc! Come si cambia....
  8. Forse...proprio perché è su Beethoven e le sue sonate . O no?
  9. «Un problema non riconosciuto concerne il pedale nella musica di Beethoven non è come usarlo, ma dove evitare di usarlo. Deve essere certamente vero, come sosteneva Czerny, che, quando suonava, Beethoven usava il pedale molto di più di quanto non lo indicasse nelle sue partiture, ma questo non significa che lo usasse quanto Chopin o Schumann, o quanto i pianisti di oggi. (…). (…) per Beethoven come per Haydn, la penalizzazione era ancora un effetto speciale utile soprattutto per produrre un contrasto. Forse unica eccezione nella sua intera opera è il primo movimento della Sonata “Al chiaro di luna”, un saggio unico di colorismo sonoro: qui Beethoven voleva l’intero brano col pedale, ossia eseguito delicatamente in pianissimo senza mai cambiare pedale, quindi senza mai abbassare i smorzatori sulle corde. Anche sul suo pianoforte questo produceva una sonorità tenuamente indistinta e un’atmosfera sonora magica che di fatto può essere riprodotta sul piano moderno a patto che si cambi, con estrema sottigliezza, il pedale a metà in maniera ritardata.(…) (…) Beethoven scrive in italiano in cima allo spartito “Si deve suonare tutto questo pezzo delicatissimamente e senza sordino”. (…) È uno dei primi lavori che tiene conto del fatto che la vibrazione per simpatia delle corde del pianoforte, quando il pedale di risonanza è abbassato e gli smorzatori sono sollevati, non è istantanea ma aumenta gradualmente e richiede diverse frazioni di secondo per divenire chiaramente udibile e produrre tutto il suo effetto. La straordinaria atmosfera di questo movimento è basata su questo sottile ma percorribile ritardo di vibrazioni delle corde libere. Tenendo abbassato il pedale di risonanza di un pianoforte dell’epoca di Beethoven l’attacco di ogni nuova armonia non prende il sopravvento immediatamente, ma con una minima esitazione via via che le corde libere reagiscono al nuovo basso. Sugli strumenti di oggi non possiamo tenere il pedale incessantemente, come richiesto dall’autore, però se l’esecuzione è sufficientemente delicata, è possibile riprodurre la sonorità vagamente confusa dei vecchi strumenti, cambiando leggermente il pedale in ritardo o usando il mezzo pedale. Siccome ogni pianoforte ha caratteristiche diverse, la penalizzazione andrebbe adattata ai diversi strumenti che si suonano. Con un po’ di sensibilità la cosa riesce meno complicata di quanto si pensi. Se alle battute 32-37 si riesce a mantenere il pianissimo, resistendo alla tentazione di crescere a mano a mano che le armonie si avvicendano, ho scoperto che non c’è nessun bisogno di cambiare il pedale. Suonando l’accompagnamento con la delicatezza richiesta da Beethoven, non è necessario cambiare il pedale, per esempio, neanche nelle misure 53 e 54 tra il do#+ e il fa#-, sebbene qualche aggiustamento andrebbe effettuato alla battuta 55. Il crescendo alla misura 47, pur cominciando in pianissimo, dovrebbe essere abbastanza intenso da permettere al piano di battuta 48 di essere un piano subito. Il problema del ritmo puntato della melodia del soprano contro le terzine del contralto, ovviamente, non si deve risolvere facendo coincidere il soprano con le terzine: il problema consiste appunto nel differenziare il sedicesimo dagli ottavi in terzina senza però suonarlo così stretto da renderlo banale. La vera difficoltà è mantenere inalterato il ritmo costante del contralto, senza la minima esitazione ( si può accelerare o rallentare per fini espressivi) ma il moto delle terzine non va mai interrotto, neanche per pochissimo, per dare spazio a nuances sentimentali nella linea melodica. La terzina deve essere, come diceva Berlioz, obstinéè, inarrestabile. Il suo snodarsi inflessibile dovrebbe produrre un effetto ipnotico; la difficoltà sta nel renderle inalterabili ma nello stesso tempo discrete.(…)» Estratto da “Le sonate per pianoforte di Beethoven” di Charles Rosen. Casa Editrice Astrolabio) Spero di aver scritto cosa gradita.
  10. Metamorphosis è, dal mio punto di vista, il più bel brano che ho ascoltato di Francesco. Come l'Abate Faria l'ho amato fin dal primo ascolto.
  11. Sì, è tutto molto bello. Rocco De Cia è stata una mia recentissima scoperta e, in realtà, è stato mio figlio a indicarmelo perché il caso vuole che sia suo professore di musica. Gerardo ci ricorda Ivan Fedele e Come avrete letto bel suo curriculum, in effetti,De Cia si è perfezionato in composizione con lui. E' un compositore di Bologna e la città, gli ha già fatto parecchio onore ma il suo nome è ormai conosciuto a livello internazionale e sono sicuro che sentiremo sempre di più parlare di lui.
  12. Dalle mie parti c'è una signora che si chiama Culetto Rosa
  13. Le prime testimonianze biografiche su Beethoven le dobbiamo a Franz Gerhard Wegeler e a Ferdinand Ries. Ferdinand Ries ci riportò la seguente testimonianza relativamente alla Sonata Opus 53: «(...) possedeva originariamente un ampio Andante.» (Andante Favori) «Un amico espresse a Beethoven l'opinione che la Sonata fosse troppo lunga, ottenendone una terribile strapazzata. Ad una riflessione più pacata (...) si convinse tuttavia presto della fondatezza di quell'osservazione (...)» Franz Gerhard Wegeler/Ferdinand Ries: Beethoven. Appunti biografici dal vivo. Moretti&Vitali editore) e l'Andante fu estrapolato e pubblicato a parte. Su questo pezzo di musica, Ries ci riportò anche un altro aneddoto: «(...) Quando Beethoven lo eseguì la prima volta innanzi all'amico Krumpholz e a me, ci piacque enormemente e tormentammo Beethoven così a lungo che dovette ripeterlo. Di ritorno a casa, passando innanzi alla residenza del principe Lichnowsky per raccontargli della nuova eccellente composizione di Beethoven. Fui quindi costretto, per quanto potessi ricordarmene, a suonare tale pezzo in sua presenza. Dal momento che mi ritornava in mente con nitidezza sempre maggiore, il principe mi pregò con insistenza di ripeterlo ancora una volta. Accadde così che anch'egli ne imparasse una parte. Il giorno seguente, per fargli uno scherzo, il principe si recò da Beethoven dicendogli che pure lui aveva composto qualcosa, e che si trattava di un pezzo per nulla brutto. Incurante del fatto che Beethoven gli disse con risolutezza di non volerlo ascoltare, il principe si sedette al piano ed eseguì, tra lo stupore del compositore,buona parte dell'Andante. Beethoven si infuriò (...). Mai più permise che fossi presente mentre suonava (...)» Franz Gerhard Wegeler/Ferdinand Ries: Beethoven. Appunti biografici dal vivo. Moretti&Vitali editore) Questa Gino è la verità ma quel che mi stupisce di più in tutto ciò è che ora Piero Rattalino affermi ciò visto che lui stesso nella sua "Guida alla musica pianistica" così scrive: «Era stato concepito in origine come secondo movimento della Sonata Op. 53 (…) Qualche commentatore ha sentenziato severamente che sarebbe un dovere culturale ricollocare l'Andante nel posto che aveva occupato in origine. Ma in verità non si capisce come lo si potrebbe ricollocare nel contesto della Sonata, perché il breve adagio in fa che segue il primo movimento è organicamente collegato con il Rondò in do, e se si inserisce l'Andate favorito il seguito Andante-Largo-Rondò squilibrerebbe l'architettura della Sonata. La rimozione dell'Andante è secondo me un'altra, e non di convenienza ma artistica. L'Andante favorito, meraviglioso pezzo rievocativo del passato, con il suo tema principale a modo di minuetto e con le ornamentazioni appartiene poeticamente al mondo della calma e trasognata Sonata Opus 54, non a quello della vitalistica, esuberante Opus 53. Beethoven si sta impegnando per raggiungere il traguardo di una sintesi storica che leghi insieme l'epoca contemporanea con l'epoca che la precede. La Sonata Opus 110 rappresenta il culmine di questa ricerca, alla quale Beethoven perviene per gradi.(...) Mettere insieme il futuro e il passato in una sola composizione era però un compito immane, per il quale Beethoven non era ancora maturo. (...) Come pezzo a sé stante ci dà un'immagine dell'Eliso, con la visione dei Beati che danzano cerimoniosamente a tempo di minuetto.(...)»
  14. Dal mio punto di vista di "ateo" non erudito penso che nella musica si possano trovare fondamentalmente 3 significati: 1) Significato nel senso di una musica di grandissima importanza per motivi strettamente e squisitamente musicali. 2) Significato in senso di messaggio filosofico o politico-sociale. 3) Significato dettato dalla intenzione del compositore di descrivere qualcosa di oggettivo. Va da sé che un lavoro musicale non esclude la coesistenza di uno o più significati. La Nona di Beethoven è un esempio dell'insieme dei due primi significati. Anche la Sinfonia in tre movimenti dell'"ateissimo" Stravinskij unisce il primo e il secondo significato. Risale al 1945 e fu lui stesso ad ammettere che in essa si potevano rintracciare tutti i segni del momento storico. "con i suoi violenti avvenimenti, con le sue tragiche alternative di speranza e disperazione, le sue inaudite sofferenze, la sua tensione e finalmente con la distensione e il sollievo."
  15. Ma alla fin fine chi sono il più eruditi: gli "atei" o i "credenti"?
  16. .... e comunque in questa parte del forum, puoi trovare alcune risposte in merito.
  17. Sul fatto che, oggi come oggi, la conoscano anche i sassi qualche dubbio l'avrei. Trent'anni fa - o giù di lì - era vero ora temo di no. Ma a parte e a prescindere da questo penso che tutti siamo d'accordo che ad un neofita alla musica classica non proporremmo mai un brano sconosciuto ma appunto un brano che, si presume, sia già stato ascoltato magari anche in una semplice pubblicità e che sia facilmente orecchiabile. Quella di Stokowski è una trascrizione, quelle della Mae sono arrangiamenti in chiave pop come sono sempre stati fatti dagli anni 70 in poi e che avevano - e hanno - il merito di avvicinare persone lontane dalla classica alla classica. Negli anni 70 furoreggiava ad esempio questa: Questo tipo di arrangiamento non poteva che essere fatto in quegli anni in quanto tipico di una certa musica allora in voga. Al suono di questa musica tanti miei coetanei sia avvicinarono alla musica classica.
  18. Oggi ti riempio di like Frank ma mi riconosco su tutto quello che affermi. Ieri sera quando ho ascoltato le tue due prime proposte della Mae, il mio primo pensiero è stato: se nelle discoteche la musica fosse tutta così, sarei sempre là a ballare. Io penso che a persone come la Mae vada innalzato un monumento perché riescono proprio a portare la musica classica a chi di musica classica non capisce una mazza. e lo fa in una maniera assolutamente superlativa.
  19. E' vero a te Frank piacciono tanto questi "giochi". Peccato leggere tanti giudizi sessisti ma ... che ci si può fare? I maschi sono anche fatti così. I likes che dovevo mettere li ho messi tutti ed io non aggiungo nulla. Comunque mi piace riportare il giudizio in cui mi sono più riconosciuto al 100%:
  20. In realtà si tratta di strutture musicali completamente contrapposte anche se i due compositori sono contemporanei. Schubert pur essendo di una generazione più giovane purtroppo morì l'anno dopo la morte di Beethoven e dunque le sue composizioni sono sostanzialmente contemporanee a quello che solitamente viene definito - dal mio punto di vista un po' impropriamente - il "terzo stile beethoveniano". Però se noi affianchiamo le opere di Beethoven a quelle di Schubert ad un primo sguardo, potremmo dire che l'austriaco appartiene ad un'epoca precedente e cioè sostanzialmente al XVIII° secolo. Ma se non ci fermiamo ad un esame superficiale, presto scopriamo che non è proprio esattamente così. Beethoven distrugge l'equilibrio emotivo delle forme classiche e ne esaspera fortemente gli elementi di contrasto che erano già in esse presenti: i due temi contrapposti, l'opposizione della tonalità ma poi, nelle sue ultime opere in particolare, - ma già anche dapprima - abbandona quasi completamente la dinamica dei contrasti, operando un complesso lavoro di ripensamento della forma-sonata, riplasmandola di volta in volta, secondo le sue esigenze espressive e arricchendola ampiamente con il contrappunto e le variazioni fino ad arrivare con l'Opus 111 a dissolverla, come ci ricorda Thomas Mann nel "Doktor Faust". Schubert, al contrario, accetta in maniera totale la forma-sonata ma paradossalmente pur facendo questo, anch'egli lavora alla sua dissoluzione ma lo fa in maniera più sottile e sfumata: se un effetto timbrico gli piace, insiste su di esso, venendo a distruggere quell'elemento di tensione provocato dalla equilibrata contrapposizione di due spunti diversi, se una certa modulazione lo affascina, non rinuncia ad esso anche se così facendo esce dal cammino classico. Schubert in altre parole è veramente il ponte fra il Classicismo e il Romanticismo e non Beethoven, come spesso leggo e sento affermare. Beethoven in realtà con le sue ultime opere guarda ben oltre il Romanticismo, guarda direttamente al Novecento e dunque by-passa praticamente un secolo di musica ed è anche qui che sta la sua infinita grandezza.
  21. No il non mi piace era relativo a quello da me postato, ma mi sembrava interessante comprendere da dove era iniziato il tutto. Quello che tu proponi lo trovo invece, tutto sommato, piacevole. Va bene così?
  22. Fabio, sai qual è la questione: è che mi sto rendendo conto, vista la piega della discussione, che sto passando per il difensore della televisione e della Rai in particolare e, invece in realtà, io di televisione ne guardo ben poca - e quella poca è sicuramente Rai - e soprattutto, non è mai stata il mio mass-media preferito in quanto ho sempre preferito la radio. Vediamo allora di mettere un po' di ordine alla cosa. La discussione è partita da una proposta di Frank relativa a com'era una volta la Rai e su come è oggi. La discussione è stata sviluppata poi da te e Luca. Io mi sono intromesso per dire: attenzione la Rai di una volta non era assolutamente democratica e, sotto ogni punto di vista è di gran lunga migliore quella di oggi e anche molto più democratica. Ma questo non vuol dire che lo sia appieno sia ben chiaro! Il perché è migliore è legato sostanzialmente ad un fatto: la presenza di molti canali rispetto ad allora e di alcuni, in particolare, che dedicano i loro palinsesti a materie, culturali e sociali. La Rai non era democratica perché, prima del 15 dicembre 1979, giorno di nascita di Rai 3, l'informazione e il modo di fare televisione era a senso unico. Oggi non è più così. Ora se ne hai voglia e tempo - dura circa mezz'ora scarsa - questo è un esempio di quello che affermo.
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