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Piano Concerto - Forum pianoforte

Arpeggi


demetrio
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Carissimi oggi vorrei lanciare una discussione su un modulo tecnico fondamentale: gli arpeggi. Infatti, la padronanza di questa tecnica e' imprescindibile per suonare almeno ad un discreto livello. Ora, vi sono tantissimi testi sugli arpeggi ( Longo, Mc Farren ed altri) dove e' segnata la diteggiatura ivi compresi i cosiddetti esercizi preparatori. Altrettanto nutrita e' la schiera di libri che descrivono vari metodi ( pollice sotto, pollice sopra ecc.). Io penso che la tecnica varia a seconda della conformazione della mano e che, quindi, un maestro ne debba tener conto. Il punto e' proprio questo! Io, per esempio, utilizzando il metodo del mio maestro ( spostare sotto il palmo il pollice) non ottengo arpeggi sufficientemente fluidi e soprattutto veloci ma...lui insiste!! Parlando con un'altra insegnante mi ha suggerito di eseguire gli arpeggi lentamente in questo modo:

mano destra : 123123 dopo aver suonato con il pollice rilassarlo immediatamente e suonare l'indice poi il medio e far fare al pollice dei movimenti di iaccompagnamento in modo che il pollice stesso si trovi in una posizione ideale per risuonare. In pratica ad ogni nota suonata con indice e medio devono corrispondere movimenti del pollice (rilassato) nella stessa direzione. Cosi' anche per discendere ( anche se qui ovviamente e' 53213 e dopo 1 e' tutto il polso che fa da perno). Idem per la mano sinistra; il principio e' sempre quello.

A questo punto, sperando di essere stato chiaro vi chiedo:

come vi esercitate sugli arpeggi?

e' utile esercitarsi tecnicamente oppure affrontare il problema sui brani senza "perdere tempo"?

 

A mio avviso sarebbe utilissimo un video tutorial su questo tema poiche' una cosa e' a parole un'altra vederlo fare.

 

Grazie per l'attenzione e...sotto con i contributi.

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Salve Demetrio,

per quello che riguarda gli arpeggi il discorso legato alla diteggiatura è alquanto riduttivo secondo me, anche perchè varia da tonalità in tonalità e di mano in mano (Non credo che useresti quella diteggiatura per il la bemolle maggiore !). Ritengo che la cosa più importante per realizzare arpeggi sia affrontarli con naturalezza nei movimenti che può presentare diteggiatura diversa da persona a persona, rilassatezza della spalla, elasticità del polso e con le giuste accentazioni (terzine o quartine, o quintine o sestine ecc, a seconda di come sono scritti). Ecco dunque che ancora una volta l'esecuzione è legata a ciò che la musica suggerisce e non all'esercizio tecnico fine a se stesso. Vorrei comunque precisare che non si può suonare senza aver assimilato la tecnica necessaria (a livello celebrale più che di mano), con questo quindi non vogliamo dire che la tecnica non sia utile, ma non deve diventare uno strumento che deve essere utilizzato per ore ogni volta che si mette mano al pianoforte. Gli arpeggi sono dunque un argomento tecnico molto importante che va conosciuto e che viene utilizzato spesso nelle composizioni classiche (Vedi l'ultima pagina del preludio in Si minore di Mendelssohn tanto per citare un esempio di utilizzo estremo degli arpeggi). Tutto, nell'esecuzione avviene sempre prima nella testa. La testa deve essere 2 tempi o più avanti rispetto all'esecuzione, solo in questo modo, potremo visualizzare in anticipo ciò che andremo a suonare pochi istanti più tardi. Questa tecnica mentale ci aiuterà nella ricerca di un suono più "giusto", nel reperimento di note durante i salti in diverse regioni della tastiera, nella realizzazione degli arpeggi e nell'esecuzione intera del brano. Il discorso verte quindi maggiormente su un tipo di realizzazione mentale, le mani dovranno solo svolgere quello che è stato già deciso e realizzato nella tua testa. La vera tecnica è quindi un approccio diverso al significato spurio di tecnica pianistica. La vera tecnica è l'apprendimento celebrale dei movimenti e la capacità di anticipare mentalmente le azioni che dovrà svolgere la mano. Ben venga l'esercizio sugli arpeggi, purché non sia finalizzato a semplice "ginnastica" della mano ma sia invece puntato alla predisposizione mentale nell'anticipare i movimenti della mano in particolari situazioni.

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Ciao a tutti. Direi due parole anche io su questa cosa che in effetti......Io ad esempio studio con la tecnica delle cadute e delle flessioni sui tasti e questa tecnica mi ha dato ottimi risultati. Daccordissimo con Simone su quello che ti consiglia dato che il lavoro mentale è praticamente tutto. La tecnica è una parte piccola dello studio pianistico ma in fin dei conti diventa tutto anche se dirla così non sembra bello. Un edificio può avere le forme più bizzarre ma ogni stravaganza deve essere prima pensata e alla fin fine le pareti devono stare in piedi no? Il rilassamento e il decontrarre i muscoli importantissimo nello studio sulla tastiera ma negli arpeggi c'è bisogno anche di una mano che sappia stingersi e allargarsi velocemente assieme al parallelismo ai tasti che il palmo deve mantenere....casi estremi a parte.

Come dice Simone anche la ritmica è importante e darsi degli appuntamenti ritmici è molto utile per affrontare qualsiasi repertorio. Una cosa che mi ha sempre aiutato è pensare al palmo che si muove dal grave all'acuto ma senza far troppo su u giu come sulle montagne russe, rimanendo stabile e parallelo ai tasti. Il pollice è veramente importante e ricordo che ci lavoravo di punta per aiutarmi dato che tenendolo troppo schiacciato sporcavo parecchio. Sò solo che c'è da studiarci tanto sugli arpeggi.....ma lo studio da sempre una gran gioia no?. Ciao e spero di aver detto cose sensate.

 

P.S. Da non dimenticare che quando si studiano gli arpeggi il pianoforte deve essere ben accordato altrimenti diventa più facile sporcare le note. Provato sulla mia pelle anche se stentavo a crederci.

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Bella discussione. Bell'argomento.

 

Scale. Arpeggi.

 

Problemi simili

 

Nelle scale, come negli arpeggi, si comincia lentamente e passando il pollice sotto. Ma non si deve tardare a sunare in velocità le scale col pollice sopra. E' uno dei classici esempi che ci fanno capire come, oltre "il muro della velocità" i movimenti divendano ben diversi. Così negli arpeggi. Se ci si ostina, secondo me, a velocizzare col pollice sotto, l'arpeggio diventa difficilissimo. Addirittura converrebbe pensare ad una posizione 123 e ad un'altra posizione ( dopo il passaggio) 1235. Cioè spostando il pollice (pollice sopra). Nella Wanderer di Schubert il finale è ad arpeggi du Do magg. In tutte le posizioni..a mani parallele. Ricordo di averle studiate ed eseguite girando dopo il 5° dito in modo da far fare alle due mani un uguale gesto simultaneo. Tecnicamente più difficile...ma mentalmente più facile, e meno fallibile. ( Tecnica avanzata, ma vale la pena di provare)

 

Un altro esempio. provare il finale del presto agitato del chiaro di luna di Beethoven. Conviene partire a mani parallele fino al 5° e tornare indietro pensando a tutte le posizioni come accordi arpeggiati. Provare, naturalmente pedalizzando.....tutti gli arpeggi sono di Do diesis!!!!! Forse all'inizio è più difficile...ma non si gira MAI col pollice!!!!!! Pazzia? Provare.......

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Grazie a tutti. Per Simon. Evidentemente non mi sono spiegato bene. La diteggiatura che ho scritto era solo un esempio; e' chiaro che la diteggiatura dipende dal tipo di arpeggio che si va ad eseguire. D'accordo sul fatto mentale ( questo non vale solo per gli arpeggi ma per tutta la tecnica pianistica che e' un fatto essenzialmente mentale). Interessanti le osservazioni del maestro Ferrarelli. Mi pare di capire che anziche' girare il polllice sotto si possano eseguire gli arpeggi con rapidissimi spostamenti laterali della mano di modo che il pollice non gira mai ( tesi di Chang?). Tuttavia resto sempre dell'idea che bisogna vedere per cui chiedo troppo se postate un video tutorial sull'argomento?

Un'altra tesi e' quella di Sandor che sostiene di "disegnare" con il gomito il segno dell'infinito mentre si eseguono gli arpeggi ( a mio avviso soluzione molto valida) unitamente al fatto di partire con polso basso sulla prima nota e terminare con polso alto sull'ultima ( per ottenere l'effetto legato).

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Guest Gennarino

@Demetrio

 

Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare che la tesi "anziche' girare il polllice sotto si possono eseguire gli arpeggi con rapidissimi spostamenti laterali della mano di modo che il pollice non gira mai" è stata espressa per primo da Gyorgy Sandor, il quale la ricollega alla fisiologia umana e al fatto che il pollice portato sotto al carpo riduce quasi a zero la propria mobilità, laterale e verticale, oltre che indurre uno stato di disagio.

Le teorie udite sono state, in sintesi tre e le descrivo sommariamente:

1. si procede per posizioni; le dita, dal pollice in avanti, si muovono (sto ascendendo) e, quando sto per usare l'ultimo dito usabile, di scatto muovo il pollice sotto, tocco, sposto la posizione e riparto.

2. la posizione si modifica: mentre le dita successive al pollice si muovono, sposto anche il pollice, al cambio (sempre sotto), il pollice è già vicino al punto da toccere e riparto;

3. si procede per posizioni; come la 1, ma con pollice sopra;

4. come la 2, con pollice sopra.

La 1 e la 3 hanno come vantaggio che la posizione si cambia ogni tanto, ma di scatto, non in continuo; cose così vanno bene su scale e arpeggi "corti", dove la dizione "posizione" ha senso e hanno un physical wall dipendente dall'alternanza non regolare di movimenti brevi (dita) e movimenti lunghi (polso).

La 2 e 4 presentano l'impegno di un movimento continuo della mano, ma non hanno il physical wall del movimento brusco di cambio perché il moto del pollice accorcia la lunghezza di cambio.

Circa il pollice, è chiaro che il pollice sotto porti, all'inizio, a un apparente beneficio perché la mano non stacca; circa il suggerimento dell'altra insegnante, il movimento del polso, anziché a scatti orizzontali ogni tanto, avviene per spostamenti progressivi, ma è anche chiaro che quando il pollice va verso il palmo si avvicina a una posizione innaturale. Inoltre, appena il pollice tocca, la teoria del movimento progressivo sinora applicata va a farsi benedire, perché adesso debbo subito muovere polso e mano verso destra per reimpostare la posizione! Il tutto immediatamente dopo essere passato per una posizione innaturale!

Tieni presente che, al livello a cui suono, io mi manca ancora tanto per fare pollice sopra con fluidità come fanno PIANOEXPERT e THESIMON, ma non v'è dubbio che da quando ho iniziato a seguire il consiglio del Paolaccio:

1. mi èpassata l'ansia

2. mi è passato il dolore

3. la velocità è aumentata

4. importantissimo: ho la sensazione (verificata) che posso aumente la velocità come voglio, mentre prima ogni incremento era un'angoscia

5. si lega, sissignore, si lega, anche se con il trucco.

 

Ciao e spero di esserTi stato utile.

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Ma...è un modo di dire....non è che ilpollice passi sopra! Cioè, un modo di dire ...per dire che non passa sotto. Ti piace il gioco di parole?

 

 

E' un fatto di intendere...mentalmente e...cineticamente.

 

Molto semplicemente: invece di pensare di passare sotto il pollice, cosa che rallenta tutto il movimento e la prontezza nella rapidità di esecuzione (infatti la mano deve leggermente ruotare...poi il pollice passa sotto...poi il resto della mano raggiunge la nuova posizione!!!!!). La mano e il cervello concepiscono due posizioni messe vicine tra loro . Una è quella prima del pasaggio e l'altra è quella dopo il passaggio. La mano non fa altro che spostarsi rapidamente , con una sola operazione, dalla posizioe 1 alla posizione 2. Es. arpeggio di Do M. due ottave. Prima posizione: do-mi-sol. Seconda posizione: do-mi-sol-do

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  • 1 month later...

Caro Demetrio,

trovo questo argomento molto interessante! Sono relativamente nuovo su questo sito, e ciò spiega come mai posto solo ora una risposta a questa tua bella discussione. Gli arpeggi sul pianoforte sono effettivamente un problema per molti pianisti. Conosco tuttavia gente a cui vengono estremamente naturali, più naturali delle semplici scale. Ho quindi avuto modo di chiedere loro che attitudine visivo-mentale permettesse loro di avere una tale facilità nell'eseguire questo difficile aspetto tecnico. Effettivamente, la risposta che ho avuto da tutti loro è stata: "mi figuro gli arpeggi come se fossero degli accordi arpeggiati, da eseguire in maniera ritmicamente regolare piuttosto che 'strappati' come si fanno di solito".

La tecnica che ne deriva è quella dello spostamento parallelo della mano, che si trova quindi ad ogni ottava successiva sempre nella medesima posizione.

Personalmente, io introdurrei una distinzione importante, che il Maestro Paolo ha già messo giustamente in luce:

DIPENDE DALLA VELOCITà RICHIESTA. Ovvero: la tecnica effettuata, e di conseguenza il movimento del polso e del pollice, deve essere adeguato al contesto metronomico ed espressivo del passaggio in questione.

Mi spiego meglio: se stai suonando un passaggio lento, armonico, espressivo (ad esempio il piccolo arpeggio di 2 ottave che si trova nel Secondo tempo della Patetica di Beethoven, per intendersi a livello di esempio), allora la ricerca di suono curato, di legato e così via ti "impongono" di eseguire l'arpeggio con l'utilizzo del passaggio del pollice sotto la mano, dato che questo è l'unico modo di legare il suono (escludendo ovviamente il legato sonoro mediante il pedale di risonanza, che però in qualche modo si capisce che è diverso).In questo caso lo studio da fare e quello di appoggiare tutto il peso della mano, del braccio e della spalla su ogni dito, trasferendolo lentamente e con continuità da un dito all'altro.

 

Se invece stai suonando un passaggio virtuosistico (qui gli esempi si sprecano...), dove figura un arpeggio in velocità, è necessario invece (o comunque è molto consigliato, al fine di non bloccare il polso) suonare attraverso la tecnica di "traslazione rigida" del polso da un ottava a quella successiva (e se magari e richiesta una certa legatura sonora, allora in questo caso il pedale di risonanza va benissimo, visto che sei in velocità!). In questo caso le fasi per imparare il passaggio sono quattro: visualizzare mentalmente la tipologia di accordo arpeggiato (do diesis maggiore, per esempio) e avere in mente tutte le alterazioni presenti a priori; eseguire l'arpeggio per accordi (ovvero, se l'arpeggio dura quattro ottave ed è in do diesis maggiore, suonare l'accordo di do diesis maggiore appoggiando bene il peso e traslare rigidamente la posizione della mano -attenzione, deve essere solida la posizione della mano, non deve essere rigido il polso, e menchemeno il braccio!- sul medesimo accordo un ottava sopra, cercando di legare idealmente - ovvero più mentalmente che praticamente - questo passaggio con l'ultimo dito dell'accordo - ovvero il 4 o il 5 dito-. Il risultato sarà quello di lasciare andare per ultimo questo dito, per intendersi.) Il motivo di questa fase è che la mano, durante l'accordo, è perfettamente bilanciata sulla tastiera, e quindi il cervello impara e memorizza la posizione sulla nota poi da suonare in arpeggio che conferisce alla mano e al polso la sensazione di maggior benessere. Una volta memorizzata bene questa sensazione, si deve passare alla terza fase, che consiste nella esecuzione dell'arpeggio, lento, tramite traslazione rigida della mano, con l'attenzione di sfruttare la fase precedente per ricercare la condizione di benessere e di scioltezza del polso trovata.

Infine, portare su di velocità il passaggio, avendo cura di ripeterlo numerose volte, con varie fermate etc (qui si entra nel campo spinoso di come un pianista si "mette nella mano" i passaggi difficili, e quindi non mi interessa in questo momento).

 

Bene penso di aver detto abbastanza a riguardo e di essere stato esaustivo!

Ciao!

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Caro Braket, condivido pienamente. Io sosterrei che è opportuno insegnare da subito l'idea della traslazione del gomito e del braccio sia nella scala che nell'arpeggio ( che può intendersi come "amplificazione delle distanze di una scala" opp. come accordo spezzato). Cioè far capire che il pollice SOTTO LE ALTRE DITA NON PUO' SUONARE LIBERAMENTE! ( Siamo invece sempre abituati a nominare: "il passaggio del pollice")

Da caso a caso bisogna valutare, ma tu hai fatto una attentissima analisi. Direi che si può far vedere anche nel tempo lento come il police suona "sopra",alzandosi finalmente senza impedimenti.

 

Un altro concetto: ci fanno vedere la "pedalizzazione" come il diavolo tentatore, dal quale bisogna fuggire per "legare sincero". Non credo che sia così, eccetto pochi casi particolari. Usare bene il pedale ci permette di lasciare la mano in assoluta tranquillità e favorisce le naturali traslazioni del braccio e del gomito, e non solo. Un esasperato "legato con le dita" può, a volte, anche alterare la naturalezza delle posizioni, l'uguaglianza le giuste partecipazioni dei muscoli del braccio e della spalla.

 

Non prendiamo, poi, tutto per "oro colato". Bisognerebbe esaminare molti esempi.

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Grande Paolo! Questa cosa del legato a costo della forca te la stimo. E' verissimo! Va bene legare e sono daccordo che nulla c'e di più bello di un legato sincero ma.....alle volte si creano delle condizioni ostiche che mettendo la mano in una situazione difficile e tensiva, ne alterano la tranquillità e la distensione a tal punto che il passo di due note in una solitaria battuta va ad alterare le tre precedenti e le tre successive....si fa per dire ma a volte è proprio così.

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Non vorrei azzardare troppo a parole. Ma hai mai pensato al legato "mentale". Voglio dire: Se abbiamo quel passaggio o quella frase "Legata in mente", cioè se la possediamo mentalmente, niente e nessuno può impedirci di realizzarla. Addirittura, il pedale più aiutare ( tutti adesso grideranno "allo scandalo"!!!!). Il pedale è eccessivo e non è di aiuto quando non abbiamo una chiara idea in mente. Quando diventa d'aiuto libera la mano e non deve essere accusato di "tradire" la capacità delle dita. Quando in nostri Maestri insistevano dicendo e ripetendo: "....cantatela...."...volevano dire proprio questo!!!!! Cioè "interiorizzate" la frase come se doveste cantarla...poi...troveremo, a tutti i costi, il modo di "cantarla" sullo strumento ( Pianoforte, violino, flauto o altro!)

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Caro Paolo,

sono pienamente d'accordo! Oltretutto questa tesi è anche logicamente sostenibile anche da un punto di vista fisico: il "legato" riguarda un misto di timbro ed intensità sonora, che, come cosa in sè, nulla ha a che fare con l'effettiva modalità di resa esecutiva, che sta nella scelta o nella preferenza del pianista. Il pianoforte è infatti uno strumento a percussione per cui, a rigor di cronaca, è uno strumento che non ha una vera e propria capacità o attitudine di per sè al "canto", in quanto la sua meccanica consiste in una serie di impulsi discretizzati nel tempo e nel campo delle frequenze (su uno strumento a corda si possono fare i veri e propri glissandi, con tutti i commi, nel pianoforte invece al semitono non si scappa!)

Per questa ragione, oserei dire che il "legato cantabile" è SEMPRE una questione mentale, che poi in seconda istanza può essere messa in pratica dall'esecutore tramite accorgimenti tecnici variegati. L'accostamento comune dei concetti di "legato cantabile" e di "legato di dita" è comprensibile alla luce del fatto che, essendo la forza delle nostre dita pressochè equivalente (se valutato rispetto alla forza impressa dall'intervento del polso o ancorpiù dell'intero braccio) o comunque facilmente controllabile; ciò implica che è più "semplice" ed immediato, QUANDO é POSSIBILE, dare una continuità coerente ed unitaria ad una frase musicale sfruttando lo spostamento della mano tramite il legato digitale.

Ciò però non vuole assolutamente significare che questo sia l'UNICO modo di rendere il "legato cantabile"! Il primo esempio che mi viene alla mente è il meraviglioso Preludio no.1 di Mendelssohn, in cui il canto è da rendersi solamente con il pollice (per impossibilità tecnica di fare altrimenti!).

In questo caso, se il pianista non concepisce il "canto" nella sua testa, non sarà mai capace di formare una linea melodica sensata, e il pezzo consisterà in una serie di impulsi disconnessi. Sempre usando questo brano come esempio, si può dire inoltre che, quando il canto consiste di note lunghe, che necessitano continuità logica, l'uso del pedale diventa irrinunciabile per esprimere questo legato, pena il fatto che l'intensità della nota che precede sfuma rapidamente e costringe a due scelte: 1) impulso che, nonostante sia in giusto rilievo sonoro, rompe la continuità logica della frase ; 2) esecuzione della nota seguente ad un'intensità paragonabile a quella precedente, ormai ridotta ad un flebile suono (e quindi non è percepibile e distinguibile come "canto").

Infine voglio aggiungere che il "canto" necessità sempre di "rotondità" sonora, che si ottiene suonando rilassati (di modo che il martelletto batta in modo elastico la corda) e, spesso, l'uso oculato del pedale (l'attenzione all'oculatezza del pedale deve comunque essere altissima!) è condizione necessaria e sufficiente per una mano rilassata e, di conseguenza, per un buon "cantabile".

 

Un caro saluto a tutti!

 

Giacomo

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