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Piano Concerto - Forum pianoforte

Carlos

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Tutto postato da Carlos

  1. Stimolato da questa ulteriore domanda, sono andato a controllare nella mia discografia (intendo nei dischi che posseggo) perché sapevo di avere un cd (Harnoncourt, Chamber Orchestra of Europe) dedicato esclusivamente alle Ouvertures di Beethoven... mi son detto «figurati se lì non c'è!», ma non c'è nemmeno lì! È una registrazione Teldec, uscita nel 1996 e registrata live (tranne Coriolano) tra il 1993 e il 1996. Otto ouvertures (Coriolano, Prometeo, Rovine di Atene, Fidelio, Leonora I, II, III e, per finire, Egmont). «Che delusione!» ho pensato. Poi, lì a fianco, un altro cd, DG, Abbado e Berliner Phil. “Beethoven: Bühnenmusik - Die Weihe des Hauses op. 124 | Leonore Prohaska WoO 96”. Che meraviglia quella registrazione, anche quella live, credo, del 1993/'94, ma uscita nel 1996, delle due musiche di scena, complete. Poi ho pensato che “nonno Karajan” non poteva deludermi. Ho un cd col Concerto per violino op. 61 (Christian Ferras, se non conoscete questa registrazione, correte ad ascoltarla!) e ci sono alcune delle ouvertures che ha inciso. Tiro fuori il cd e... “Zur Namensfeier op. 115 | König Stephan op. 117 | Die Weihe des Hauses op. 124”, oh yeah! sapevo di poter contare sul “vecchio Herby”. Tra l'altro, controllando per bene, vedo che c'è un doppio cd DG con undici ouvertures, registrate tra il 1965 e il 1969 - da cui le tre presenti insieme al Concerto per violino sono tratte, ovviamente. Però è troppo poco, ritornando al discorso su Die Weihe des Hauses; concordo decisamente. Ma, “a naso” come si suol dire, la ragione è facilmente individuabile e riguarda quell'ouverture come altri capolavori di Beethoven che, da sempre, vengono preferiti in una “classifica” che ha al centro della top list la musica che potremmo definire con il termine "eroica”, il che travalica persino la partizione nei tre stili di cui abbiamo qui parlato nei giorni scorsi, privilegiando quell'aspetto della poetica beethoveniana, mai nato e mai finito, presente in molta musica di tutti e tre i periodi. Per cui, ecco che la Sonata “Patetique” op. 13 è diventata più famosa e decisamente più eseguita delle tre Sonate op. 10 (straordinarie) e delle due Sonate op. 14 (per non dire delle due Sonate op. 27, delle quali la “Chiaro di luna” è conosciuta a livello planetario, mentre la sua compagna op. 27 n. 1 - che trovo decisamente migliore! - è riservata a un pubblico di “informati”). Ecco che la Quarta Sinfonia è diventata “terreno per pochi”, presente al 90 per cento dei casi solo nelle integrali, perché chiusa “a sandwich” tra l'“Eroica” e la Quinta (per non parlare della “Pastorale” e della Settima!); stessa sorte, tra l'altro, toccata al Quarto Concerto, nascosto dall'imponente Terzo e dall'“Imperatore”. Se ci pensate, la maggior parte delle opere che hanno ricevuto un nome (quasi sempre imposto dall'editore e non scelto da Beethoven) sono proprio quelle che rispecchiano quell'eroismo musicale di cui dicevo e quelle che da sempre identificano Beethoven, il cui ritratto più famoso è quello in cui lui guarda in cagnesco il ritrattista (come se Beethoven avesse vissuto inc*** tutta la vita, tra l'altro...). Dico “la maggior parte” perché l'op. 11, ovvero lo splendido “Gassenhauertrio”, subisce la stessa sorte di tanti altri pezzi, in forza di vicini di casa assai ingombranti (in questo caso la già citata “Patetica” op. 13, delle tre Sonate per violino op. 12 - che, essendo le prime tre sono, come le prime tre Sonate per pianoforte e i primi Quartetti, “fondamentali” a prescindere - per non dire dei due trii op. 70 n. 1 “Geistertrio” e op. 97 “Erzherzogstrio”, che noi conosciamo familiarmente come “Trio degli Spettri” e “Arciduca”). Ora, non per dire, ma avete in mente cosa c'è prima della Consacrazione? L'op. 123 di Beethoven è niente di meno che la Missa Solemnis (e l'op. 125 è la Nona, s'è detto - anche quella con un bel nome appiccicato, ovvero “Choral”, tanto per non far mancare anche a lei il battesimo postumo). Anni fa, quando ero direttore di coro, preparammo per un concerto dedicato a Beethoven un magnifico pezzo breve, per coro e orchestra, dal titolo Mehresstille und glückliche fahrt (uno dei tanti tentativi di Beethoven di far venire i sudori freddi ai coristi, come si diceva da un'altra parte). Il pezzo è davvero bello e, nella sua brevità, è un condensato di "beethovenismo” . Qualcuno lo conosce? E, quelli che lo conoscono, quante volte lo hanno sentito in pubblico o visto in un catalogo di dischi? Benissimo, date un'occhiata al numero d'opus e, insieme a me, sbarrate gli occhi... È l'op. 112! e prima di quella ci sono i tre monumenti, ovvero le tre Sonate opp. 109, 110, 111 e, dopo, Die Ruinen von Athen, op. 113. Detto tutto ciò emergono, a mio parere, un paio di “luoghi comuni” che ci si porta dietro sempre quando si parla di un compositore e che, almeno noi musicisti, dovremmo contribuire effettivamente a scardinare. Uno di questi riguarda un po' tutti gli autori e si riferisce al fatto che gli ultimi lavori siano sempre e comunque i migliori (come se, tra l'altro, l'autore sapesse che sarebbero stati gli ultimi lavori). Una sorte analoga hanno i primi lavori, che, in quanto esordio, sono sempre da ritenersi, alternativamente e a seconda di chi ne parla, presaghi dei futuri splendori, o fondamentali per vedere quanto poi l'autore stesso se ne sia discostato. Beethoven inoltre soffre di un altra gravissima zavorra, ovvero che lui “è” (o era, se preferite) il musicista “del pugno sul tavolo”, il musicista arrabbiato col mondo, il musicista che graffia... basterebbe invece ricordare che lui stesso considerava la sua Ottava Sinfonia la sua preferita per rivedere decisamente queste posizioni. E basterebbe ascoltare i pochi frammenti della sua Decima (della quale per altro esiste una versione “completata” che, anche se non può ritenersi “beethoveniana”, è illuminante rispetto alla direzione che B. avrebbe poi preso), per capire come, sì, la Nona sia da ritenersi un enorme salto in avanti, un pezzo decisamente innovativo, ma che, probabilmente, per Beethoven era né più né meno che un esperimento (del quale non deve esser stato nemmeno lui tanto convinto, a giudicare da come aveva iniziato proprio la sinfonia successiva). Dopo un paio d'ore che scrivo, penso, ripenso e riscrivo, mi rendo conto che la risposta alla domanda di Luca è rimasta nascosta tra le righe. Rileggo (ancora!) e chiedo scusa: va cercata, ma garantisco che c'è! http://www.youtube.com/watch?v=Iwsc4FH2BhI
  2. Ma no! Non era assolutamente quello il senso del mio discorso, ci mancherebbe! Volevo solo dire che se ci si confronta è bene “fare la tara” al peso che le rispettive considerazioni possono avere all'interno di ciascuna discussione e se, come nel tuo caso, si è consapevoli di partire in svantaggio (in termini di bagaglio conoscitivo, solo in quel senso! ovviamente) è stimolante per tutti essere pronti a rivedere la propria posizione. Ti faccio un esempio “goliardico”: io ho sempre detto che, per me, il “pezzo più bello del mondo” è l'Intermezzo op. 118 n. 2 di Brahms. È solo ed esclusivamente una questione di gusti personali, unita ad una buona dose di emotività e a non so cos'altro, ma so benissimo che sarei fatto a fettine alla prima curva se provassi a sostenere questa posizione in un contesto un po' più che “pop”! La tua preferenza per La Consacrazione è assolutamente sacrosanta, ma la tua tesi così accalorata non regge forse ad una discussione che preveda di analizzarne tutti gli aspetti compositivi, magari in relazione ad altri capolavori di B., come abbiamo fatto qui. Ecco tutto. Nessuno è mai fuori luogo, finché non decide di esserlo. Ciao!
  3. Ecco, io ci tengo a dire, per chiarezza, che la “chiusura” da parte mia ha una ragione ben precisa ed è nel valore che io dò al termine “discussione”. Chiaramente nessuno ha la pretesa di cambiare le opinioni degli interlocutori attraverso qualche riga su un forum, ma naturalmente questa è una felicissima occasione di confrontarle, insieme alle ricerche compiute e, perché no, ai rispettivi gusti personali. Di fronte a certi argomenti, in particolare Beethoven, che studio da tempo e con instancabile attenzione, mi appassiono sempre e colgo ogni occasione sia per sapere qualcosa di nuovo, sia per condividere quel poco che so. Detto questo, ho trovato la discussione molto interessante, almeno finché la persona che la aveva aperta non ha detto tre cose che, a mio parere, non stavano bene insieme, ovvero 1) che non è in grado di leggere una partitura, 2) che le sue opinioni restano quelle che aveva espresso in principio, 3) che spera che io “faccia tesoro di tutto ciò, valorizzando il pezzo come si deve”. Allora, dico io, di cosa parliamo? Se una persona non è in grado di leggere una partitura e “si affida all'orecchio”, le sue opinioni devono essere messe in discussione, da lui per primo, se si confronta su un forum di musicisti (il fatto che citi in continuazione da testi di musicologia, per me, vale poco: ne ho letti forse di più e le mie opinioni sono basate su ciò che ho letto, ma soprattutto, sulle partiture che ho studiato). Inoltre, di cosa dovrei fare tesoro, se posso chiedere? Delle opinioni di una persona che non è in grado di leggere una partitura e che, “a orecchio” mi dice che quella partitura (che lui non è in grado di leggere) è il capolavoro sinfonico beethoveniano? Ecco, per me, a quel punto, la discussione era finita. E tale resta, senza rancori ovviamente... Volentieri, quando vuoi.
  4. Sante parole. Il problema è saperlo leggere...
  5. Ecco... Stavo per rispondere diversamente, riferendomi a un post più indietro, riguardo la complessità della partitura, ma dopo queste due “perle” forse non ne val la pena... Altrettanto. Ciao!
  6. Attenzione però. Tutto questo va benissimo ed è perfettamente condivisibile, ma nessuno dei tre parla né di “terzo stile” né del “più grande capolavoro sinfonico” del catalogo Beethoveniano... Carli Ballola parla (giustamente) di un “unicum nell'intera opera sinfonica beethoveniana”, la stessa cosa dice Cappelletto quando parla di un “pezzo unico del catalogo beethoveniano” [entrambe le cose, bada bene, varrebbero anche per la Nona Sinfonia, tanto per dire... ] e Morale si tiene su un più distante “raro talento compositivo”. Nessuna di queste affermazioni contrasta con le nostre.
  7. Hmm... non mi convince molto questo assolutismo. Capisco la tua posizione e capisco anche che bisogna intendersi, come sempre, sia sul valore “intrinseco” sia su quello “estrinseco”, per dirla con te. Voglio dire che, senz'altro, non si può non considerare l'evoluzione dello stile in termini di complessità formale, abilità di elaborazione del materiale, ricchezza e, quel che è decisamente fondamentale, arditezza nell'uso dell'armonia, ma la musica non è fatta solo di questi elementi, bensì della sintesi tra l'innovazione e l'esito musicale raggiunto (e, attenzione, questo problema, ovvero quello della progressiva divaricazione tra gli aspetti intrinseci e quelli estrinseci, lo si ritroverà di lì a non molto nella musica della Seconda Scuola di Vienna). La Sonata op. 106 - per dirne una - è, per molti versi, un caposaldo della letteratura pianistica e, più in generale, della letteratura musicale, ma siamo sicuri che sia “più capolavoro” di una meraviglia come, ad esempio, la Sonata “Les Adieux” op. 81a? È una domanda che naturalmente non può prescindere da valutazioni soggettive, ma vorrei puntare l'attenzione sulla combinazione tra “edificio compositivo” (detto male, ma spero che si capisca) ed “esito musicale” (che deve rimanere - almeno nella mia modestissima opinione - l'obiettivo finale di un autore). Voglio dire che certamente la spinta innovativa di Beethoven ha un'importanza incacolabile e decisamente indiscussa, ma, ad esempio, trovo che un brano come Coriolano presenti, nonostante (o forse “grazie a”) una notevole economia di mezzi espressivi (sia strumentali, sia tematici, sia di struttura generale) un equilibrio e una sintesi tra questi e il risultato espressivo che mi spingono a considerare quel pezzo insieme ai grandi capolavori di Beethoven (e allo stesso modo e per identici motivi considero “Rigoletto” un capolavoro sullo stesso piano di “Otello”, nonostante le enormi differenze, ma in considerazione proprio della sintesi tra elementi “intrinseci” ed “estrinseci” - spero di riuscire a chiarire il mio punto di vista). La Messa in si minore è “meno capolavoro” dell'Arte della Fuga? O il valore dell'Arte della Fuga è più spostato sull'aspetto costruttivo dell'opera, mentre quello della Messa in si minore su quello espressivo? E La consacrazione della casa è senz'altro “più capolavoro” della Leonore III (questa sì, spero che nessuno abbia alcun dubbio, una vetta delle vette!). Non lo so, sono domande che continuo a farmi e che mi fa piacere proporre, visto che la discussione è molto interessante. Sì, lo so, ma io stavo parlando della “discendenza” diretta rispetto alla Nona, che ha rappresentato per molti compositori il punto di ri-partenza del sinfonismo e, sappiamo, per almeno due dei più grandi sinfonisti (ovvero Bruckner e Mahler) una vera spada di Damocle. Brahms (che, detto per inciso, è il mio compositore preferito, seguito a ruota proprio da Beethoven) è molto meno innovativo del suo predecessore, a questo mi riferivo quanto più sopra affermavo che “si inserisce in un filone più "normale" rispetto a Bruckner” eccetera. Ma, proprio per il discorso che facevo qui sopra, ovvero della combinazione tra costruzione formale ed esito musicale, mi sembra che abbia, Brahms intendo, raggiunto livelli davvero ineguagliati dal punto di vista espressivo, pur mantenendosi all'interno di una “tradizione” molto legata a modelli classici. Ciao, e grazie a te: è un piacere parlare di questi argomenti.
  8. Va bene. se ne facciamo una questione di gusti, posso dirti senz'altro che per me le Sinfonie di Brahms sono addirittura meglio, quindi pensa un po'... Io cercavo di spostare il discorso su un livello più oggettivo, perché altriementi vale tutto.
  9. E fin quì, dico io, possiamo parlarne: credo che non sia vero, ma tutto sommato non ritengo che la precisazione sia del tutto importante, tutto sommato. L'unica obiezione razionale che posso fare, da pulce, come mio solito è: se nell'op. 124 Beethoven è arrivato a scrivere in questo fantomatico "terzo stile", come mai nell'op. 125 lo ha abbandonato per tornare indietro? mah, misteri della vita... questo probabilmente potrebbe solo convincerci che la separazione dei tre periodi, come giustamente dici dopo, è fittizia e solo di progressiva evoluzione si può parlare, tra l'altro riguardo al compositore che forse si è evoluto di più nella sua attività compositiva, insieme ad uno della cui evoluzione si parla sempre troppo poco (dandola per scontata e, per questo, minimizzandola), ovvero Giuseppe Verdi. Prima di tutto, lascia stare il Maestro, che è rimasto a casa ; dopodiché attenzione a dire "lo sarebbe sicuramente stata la Decima" perché dai pochi schizzi rimasti pare che invece con la Decima Beethoven sarebbe tornato ad un classicismo più "puro", quello che aveva ripreso con l'Ottava. In ogni caso, mi sta bene tutto quello che dici, ma continui a non rispondere, anche se là sopra in certo senso l'hai fatto, a questa tua affermazione: Quest'affermazione continua a non avere una giustificazione (e infatti nemmeno tu riesci a dargliela). Il fatto che La consacrazione della casa sia il capolavoro sinfonico di Beethoven è un'affermazione discutibile, almeno per me, logicamente. Io le preferisco altri lavori, del "periodo centrale" 8continuiamo ad usare, per comodità, queste divisioni, nonostante tutto) e non sono un grande fan nemmeno della Nona, a dire il vero. Ma il fatto che sia il capolavoro sinfonico di beethoven perché è l'unica musica che appartiene al terzo stile non solo è discutibile: è sbagliato a priori, perché postula un concetto dal quale ci si deve assolutamente liberare, ovvero che di un compositore (o anche solo di Beethoven, se vogliamo) gli ultimi lavori sono senz'altro i migliori. Può essere scioccante affermarlo, ma non è assolutamente detto! Se così fosse, la Sonata op. 111 sarebbe automaticamente meglio della “Waldstein”, la quale sarebbe certamente meglio della “Tempesta”, la quale sarebbe decisamente meglio delle Sonate op. 2 e così via... Il fatto che un compositore abba nel corso della sua lunga carriera compositiva un'evoluzione così importante da “costringere” qualcuno a fare una partizione dei suoi lavori per rendere scientifica questa divisione, non può e non deve significare automaticamente che l'evoluzione porti con sé sempre e solo un miglioramento ad ogni pezzo, e che, a quel punto, nella musica sinfonica il “capolavoro” sia non l'ultimo lavoro, ma l'unico appartenente allo stile tardo. C'è un eccesso di dogmi che in musica sono tanto assurdi quanto pericolosi. Beethoven è stato un grandissimo sperimentatore e a questo suo bisogno di provare e di osare si devono opere così diverse tra loro, così come tentativi, poi ripresi dopo molto tempo, come ad esempio quello fatto con la Fantasia corale op. 80, ma affermare quello che tu hai affermato porta con sé un paradosso, che ti propongo: facciamo l'ipotesi che Beethoven avesse scritto effettivamente dieci sinfonie e che ce ne fossero due ascrivibili al “primo stile”, cinque al “secondo”, due al “terzo” e, l'ultima, a un ipotetico “quarto stile”. Stando al tuo ragionamento avremmo dovuto affermare senz'altro che la decima sarebbe stata “il capolavoro sinfonico di Beethoven perché è l'unica scritta nel quarto stile”? Rendo l'idea? Detto tutto questo, resta certa una cosa: che siano o meno “il” capolavoro di Beethoven, lavori come La consacrazione, come la Nona (e non solo), saranno e resteranno sempre qualcosa per cui vale la pena fare il mestiere che facciamo, a prescindere da classificazioni e da “primati” cui ciascuno può dare il valore che ritiene.
  10. Il ragionamento che hai fatto (intendo quello riguardante "l'inizio" beethoveniano per eccellenza), andrebbe a mio parere rivisto, e di molto (ci siamo dimenticati dell'inizio della Quinta Sinfonia, forse? ), ma, a parte tutto, come giustifichi l'equazione terzo stile=capolavoro? C'è qualcosa che avalli questa teoria, a parte la tua opinione personale? Attenzione: non voglio dire che La consacrazione della casa non sia un'ouverture meravigliosa, ma il fatto che sia o meno un capolavoro non può dipendere dall'appartenenza o meno al "terzo stile", né dal fatto che sia l'unico lavoro sinfonico che Beethoven scrisse con quello sguardo al passato che tu giustamente ricordi. Inoltre, il terzo stile beethoveniano è sì caratterizzato da un ritorno alle forme arcaiche (fuga, variazione...), ma bisognerebbe decisamente ricordare anche lo scardinamento delle proporzioni della forma, perché quello è in realtà il dato più marcato dello stile dell'ultimo Beethoven, e il fatto che egli abbia scelto in particolar modo i quartetti come banco di prova non deve a mio parere trarre in inganno rispetto alla valutazione di questo o quell'altro "capolavoro". Non è l'Ottava più appartenente al "terzo stile" rispetto alla Sonata op. 111, nella maniera più assoluta. E non si deve considerare la Nona una "regressione", come invece sembrerebbe dal tuo ragionamento: la Nona presenta invece molte delle caratteristiche dello stile tardo di Beethoven, ad esempio nel meraviglioso Adagio, che utilizza la variazione e che può essere accostato ad alcuni adagi degli ultimi quartetti (penso alla Cavatina e alla Canzona di ringraziamento), ad esempio nell'ultimo movimento che utilizza la ripresa ciclica dei motivi utilizzati nei movimenti precedenti; per non dimenticare le proporzioni ciclopiche dell'intera sinfonia, il cui retaggio verrà ripreso per primo dal Mendelssohn della "Lobgesang", e poi da Bruckner, Mahler ecc. ecc. Brahms si inserisce in un filone più "normale" e, anche se naturalmente l'uso particolarissimo della forma-sonata e la dilatazione delle proporzioni sono cifre anche del linguaggio brahmsiano, in realtà se c'è un autore romantico che è rimasto molto legato al classicismo è proprio Brahms e, anche se la sua Prima sinfonia viene chiamata dai più "la decima di Beethoven" per sottolineare che Brahms ha proseguito su quel filone, io in realtà non sono convinto che la logica prosecuzione dopo la Nona di Beethoven fosse la Prima di Brahms, che resta più legata al "secondo stile" se proprio vogliamo battezzarla utilizzando quella classificazione. In sostanza, io trovo che tra la Settima di Beethoven, decisamente collocabile nel secondo periodo, non solo cronologicamente, e la Nona ci sia uno scarto stilistico notevolissimo, per cui non direi assolutamente che La consacrazione sia "l'unico lavoro sinfonico di Beethoven che appartiene al terzo stile". Il ché, ovviamente, non fa dei due brani i contendenti di una sfida, ma siccome sei tu ad aver lanciato l'equivalenza, forse questa valutazione deve essere rivista.
  11. Secondo me il video è montato in postproduzione, altro che "peso per ottenere suono potente" sui trilli si potrebbe anche discutere (sono attaccati con un forte accento), ma gli accordi non sono il risultato di quel movimento, fatto solo per le telecamere.
  12. Aggiungo che, personalmente, sono un maledetto feticista del CD (e anche del libro): ho un paio di migliaia di cd di musica classica, ho comprato non più di 10 euro di musica su iTunes (e in genere erano cose che mi “servivano” nel più basso senso del termine), uso moltissimo youtube come tutti naturalmente, ma se qualcosa mi interessa la acquisto. Mi piace l'oggetto, sono malato, ma non voglio essere curato!
  13. Ho l'impressione anche io, e avevo l'impressione di aver risposto qualcosa tipo “se alla musica di "Vissi d'arte" metti le parole di un'Ave Maria diventa musica sacra anche quella...”. Ovviamente ribadisco il concetto...
  14. Penso di intuire, ma ti chiedo, se puoi, di spiegare meglio cosa intendi per "trasmette movimento". Detto così resta un po' troppo sul vago...
  15. Mi dispiace molto, Simone. Mi dispiace che il peso di una tua creazione ti porti alla volontà di abbandonarla perché le tue aspettative non si sono realizzate o perché si sono verificate cose che non avevi previsto o che semplicemente non volevi che si verificassero. A differenza delle pagine personali di facebook, però, un forum "diventa" di chi ci scrive, nel bene e nel male, e sono proprio quelle persone, con le loro diverse caratteristiche, a tenerlo vivo. Nessun utente che si aggiunga alla comunità di un forum pensa di "andare in casa d'altri" (per dirla con sisifo1987): forum è piazza, e in piazza ci si trova, si chiacchiera, si discute, ci si manda a quel paese (nei limiti del consentito, ovviamente), poi amici come prima. Sennò uno fa un blog e discute solo con le persone che decide lui; fermo restando che il moderatore (o i moderatori) in un forum, hanno la facoltà di redarguire e di escludere dal forum chi non si riveli all'altezza, per vari motivi. Dicevo sopra che un forum diventa di chi scrive, ma il bello è che diventa anche "chi" lo scrive, ovvero gli utenti di un forum sono la fisionomia del forum stesso. E, ti devo dire, questo è senza dubbio uno dei forum più interessanti, eleganti e colti che ci siano in giro (parlo di quelli nell'ambito musicale, ovviamente); e per me è del tutto ovvio che il merito sia, a monte di tutto, tuo e solo in seconda battuta degli utenti che via via si sono aggiunti. Non è un caso se un gruppo di utenti, ben noti qui attorno, sia migrato in massa da altri lidi e si sia collocato di comune accordo sulla piattaforma di PianoConcerto, riscontrando notvolissime differenze tra questo e il forum dal quale si proveniva. Detto tutto questo, sono l'ultima persona che ti dirà "ripensaci!", perché sono convinto che le tue ragioni siano state ben pensate e, siccome ho avuto modo di conoscerti, anche se poco, so che non è una cosa che tu abbia deciso alla leggera. Ci tenevo solo a dirti che, a fronte delle difficoltà e dei problemi (anche tecnici) di gestione del forum, io, personalmente, ti sono molto grato per il lavoro che hai fatto e del quale ho usufruito congrande divertimento: ritengo che, se nella sostanza poco a poco il forum è diventato specchio degli utenti che lo frequentano - rivelando comunque un trend decisamente positivo, se mi posso permettere -, nella forma, la tua impronta è ed è stata per me da subito molto chiara e, anche in questo caso, ha rivelato un "marchio" di assoluto riguardo, del quale ti ringrazio.
  16. Ottimo spunto, davvero. E se riusciamo ad andare avanti su questo binario si può riuscire a chiarire anche il ruolo importantissimo delle revisioni critiche e la differenza con le altre. Ritengo fondamentale, per "poter dire la propria" su un pezzo, la familiarità con il lavoro dell'autore di quel pezzo. Che sia edito o inedito, il discorso è lo stesso, a mio parere, ovvero: quanto più io conosco di quell'autore, tanti più elementi avrò per affrontarne il lavoro. Un amico direttore agli inizi degli studi, tempo fa, mi chiese quale sinfonia di Beethoven, secondo me, lui dovesse studiare. Gli risposi che cominciasse da quella che voleva, tanto bisogna saperle tutte! Ovviamente il mio discorso era paradossale: iniziare dalla Nona sarebbe stato una sciocchezza, soprattutto perché, per capire a fondo la grandezza di quella sinfonia, comunque, è necessario conoscere quello che Beethoven ha scritto prima. È naturale, quindi, che il discorso non è solo ed esclusivamente finalizzato all'esecuzione: io posso anche decidere di dirigere in pubblico solo alcuni pezzi, ma per comprendere a fondo quei pezzi, devo conoscere anche gli altri.* Parlavo di "familiarità con il lavoro dell'autore" ed è proprio qui che entra in gioco il lavoro dei revisori che ci forniscono testi desunti dalle fonti, ripuliti da interventi postumi, ripuliti da errori perpetuatisi nel tempo e, soprattutto, ripuliti da interpolazioni di altri musicisti, chiunque essi siano. Nell'Ottocento, la Breitkopf (faccio un esempio che conosco molto bene), pubblicò una immensa quantità di musica, praticamente tutti i compositori tedeschi, da Bach in poi, erano editi da Breitkopf. Il lavoro sui manoscritti o sulle prime edizioni non era certo così accurato come quello che si fa oggi e venivano non solo trasferiti nelle nuove edizioni Breitkopf errori di stampa delle prime edizioni, ma addirittura "corretti" presunti errori del compositore, senza preoccuparsi di verificare se nello stile e nel linguaggio di quel compositore quegli "errori" non fossero in realtà delle caratteristiche. E fu così, ad esempio, che dalla musica di Beethoven, da quella di Mozart, da quella di Brahms... sparirono i cunei, che diventarono automaticamente punti (ma sia Mozart sia Beethoven sia Brahms usavano con molta accuratezza gli uni e gli altri, a seconda dei casi!); fu così che moltissimi accenti di Schubert diventarono come per incanto forcelle in diminuendo (un caso eclatante: la Sinfonia "Grande", che termina con un do lungo a tutta orchestra, fz e con accento >, che divenne diminuendo per il semplice motivo che Schubert, dovendo accentare la nota lunga, aveva allungato anche l'accento!). E questo per dire solo di un paio di dettagli (comunque fondamentali, soprattutto se li pensate trasferiti all'intera produzione strumentale di questi autori), e per tacere di una miriade di errori più o meno gravi, di note sbagliate, di fraseggi uniformati, di colori spostati ecc. Se ascoltate incisioni degli anni '50, '60, '70, realizzate da grandi orchestre e grandi direttori, vi accorgerete che questi errori ci sono, ma naturalmente non è assolutamente colpa dei musicisti: la responsabilità è delle case editrici, che fino ad un certo punto hanno mantenuto l'esclusiva sulla pubblicazione e hanno continuato a diffondere materiali "s-corretti". Oggi, per fortuna, non è più così ed è sempre più diffuso l'utilizzo da parte dei musicisti dei materiali in edizione critica. Certo, l'osservazione che si possano trovare su IMSLP edizioni ottocentesche e piene di inesattezze e che questo comprometta il lavoro accurato è giusta, ma è anche vero che la consapevolezza di cosa sia corretto o meno è sempre più diffusa, almeno in ambito professionale. Perché ho fatto una volta ancora questo discorso? Perché alla domanda su come poter essere in grado di "dire qualcosa" e alla mia risposta a proposito della "familiarità" con uno o l'altro autore, non potevo che far seguire alcune osservazioni riguardo l'unico modo che ritengo possibile per acquisire familiarità con un autore, ovvero quello di studiarlo su un testo che sia stato accuratamente rivisto in senso critico da musicologi competenti e studiosi attenti. Ho studiato, anni fa, le Sonate di Beethoven sull'edizione Henle (Urtext) sul cui frontespizio sta scritto: NACH EIGENSCHRIFTEN, ABSCHRIFTEN UND ORIGINALAUSGABEN - HERAUSGEGEBEN VON B. A. WALLNER, FINGERSATZ VON CONRAD HANSEN (ovvero: da manoscritti, copie ed edizioni originali - revisione di..., diteggiature di...). Di fronte ad un'edizione di questo tipo uno sa in principio che il lavoro è stato curato sulle fonti dichiarate, che le diteggiature non sono di Beethoven (tranne quelle segnate in corsivo, autografe, rare ma presenti - vedi ad es. passaggio di ottave glissate nella Waldstein, diteggiato da Beethoven stesso) e che tutto ciò che è stato "aggiunto" è sulla base di quelle fonti (ovvero di consuetudini riscontrate nello stile di LVB) ed è segnalato con un carattere differente, o tra parentesi, o in nota. E lo stesso vale per tutti gli altri autori, pubblicati negli anni sia da Henle sia da Bärenreiter, le due case editrici di riferimento per (quasi) tutta la musica, insieme a Boosey & Hawkes per i russi e gli americani. Quando ho iniziato a studiare, dopo qualche anno, il repertorio sinfonico di Beethoven, la mia familiarità con la sua scrittura arrivava da lì, dalle Sonate, e riconoscevo uno stile, una consuetudine nell'utilizzare certi segni ecc. È a questo tipo di educazione che facevo riferimento alcuni post indietro, quando sostenevo la grande importanza di utilizzare fin dall'inizio testi curati in questo modo, per evitare di abituarsi a edizioni corredate di indicazioni aggiuntive e del tutto personali, che non fanno che confondere le idee a chi non abbia piena consapevolezza di cosa deve essere considerato autentico e cosa no. E le edizioni Breitkopf cui facevo riferimento prima, ma anche tutte le edizioni Ricordi delle Sonate di Beethoven, della musica di Bach, di Mozart... tutto insomma, non segnalano in alcun modo gli interventi del "curatore", portando a pensare l'ignaro studente che tutto ciò che trova scritto sulla carta sia autentico e, comunque, impedendogli di distinguere cosa lo è da cosa no. * Sappiamo, ad esempio, che ABM conosceva a memoria una enorme quantità di repertorio, anche se poi per scelta eseguiva in pubblico solo alcuni pezzi. Lo stesso vale per Kleiber, che dirigeva in pubblico pochissime sinfonie e ancora meno opere, ma conosceva una quantità di musica impensabile.
  17. Verissimo: precisazione utile a chiarire molti malintesi.
  18. Infatti! Mi pareva di averlo anche scritto:
  19. Certo, ma non mi riferivo senz'altro alle difficoltà di cui hai parlato e che non conoscevo e non riguardavano la mia considerazione. Non mi permetterei di parlare di cose che non conosco. Mi riferivo invece a questo: E ribadisco quello che ho detto. Se tu credi che scendere nei dettagli sia tempo perso forse non hai bene le idee chiare. Ma non lo dico solo io eh?! Poi tu odiami pure...
  20. Volentieri abbandonerò qualsiasi dialogo con te, ma non prima di averti risposto. Prima di tutto mi dispiace molto che tu la prenda così male e, soprattutto, che tu arrivi a scomodare parole come "odio", ma pazienza. Trovo che la tua reazione sia esagerata, ma soprattutto trovo che tu, una volta ancora, non abbia letto attentamente: se lo avessi fatto avresti capito che io ho fatto una netta differenza tra due tipi di revisione. Uno, quello che aggiunge informazioni a discrezione del revisore (quello, per intenderci, che porta ad edizioni del Clavicembalo Ben Temperato piene di "Allegro con moto", legato, accelerando, ritardando, indicazioni metronomiche, indicazioni dinamiche ecc. ecc.): questo è il tipo di "revisione" che io trovo fuorviante. L'altro, invece, quello che si basa sullo studio delle fonti autografe e cerca attraverso quello studio di fornire al musicista un testo il più possibile conforme alla lettera dell'autore (devo aver usato proprio queste stesse parole). Dici che "odi le persone che non sono umili". Bene, anche io. E ti dirò che non mi stanno simpatiche nemmeno quelle che affermano "ciò che dici è totalmente assurdo" senza aver capito quello che dico. Ma pazienza. Io sono talmente umile nei confronti della musica da ricercare proprio le edizioni che mi riportano al testo così come è stato pensato dall'autore e lo studio tanto da perderci gli occhi, per capire cosa intendeva dirmi (e dire a chi avrebbe ascoltato la sua musica). Sono così umile che ritengo che solo quel testo valga la pena di essere affrontato, letto, studiato e che il mio ruolo sia quello di mostrare a chi ascolta quanto sia bella la musica che dirigo, non quanto io sia bravo a dirigerla. E sono così determinato nel perseguire io per primo questo obiettivo che non mi interessa leggere un testo al quale un altro interprete abbia aggiunto sue personali indicazioni: se voglio sapere cosa intende quell'interprete ascolto una sua esecuzione, ma se voglio studiare la musica di Beethoven, o di Mozart, o di Brahms ecc. voglio leggere solo quello che hanno scritto loro. E qui veniamo al "settore lavorativo nato nonostante sia inutile". Io sono e sarò eternamente grato ai musicologi e agli studiosi che si preoccupano, da una quarantina d'anni a questa parte, di riportare all'origine i testi musicali sui quali studiamo. Si è iniziato con Bach, negli anni '70, si è proceduto velocemente con Mozart, con Beethoven, oggi abbiamo edizioni Urtext della musica di Schumann, di Brahms, di Chopin, di Haydn; perfino in ambito operistico si fanno passi da gigante e con Rossini prima, con Verdi poi, la musicologia è intervenuta e oggi disponiamo di (quasi) tutto Rossini in edizione critica e di molte opere di Verdi (la prima ad essere ripubblicata in edizione critica fu Rigoletto, nel 1983). Abbiamo, grazie al lavoro di questi studiosi, la possibilità di conoscere la musica di questi Maestri per come è uscita dalle loro penne e, attraverso lo studio accurato delle fonti, disponiamo dei cosiddetti "apparati critici" che ci chiariscono il senso di un linguaggio compositivo, fin nei più piccoli dettagli. Questo tipo di revisione, la revisione critica, è di fondamentale importanza e io credo che l'umiltà sia proprio nel cercare di non avere filtri tra noi e i Maestri, la resa fedele della musica dei quali dovrebbe essere il primo e più importante obiettivo che un musicista persegue. La realtà, al contrario di ciò che tu affermi, dimostra esattamente quello che io dico, se è vero, come è vero, che sempre più musicisti, sempre più orchestre, sempre più insegnanti nel conservatori abbandonano le edizioni tradizionali per utilizzare invece le edizioni critiche Urtext di cui sto parlando. Io non mi ritengo affatto un "padreterno", ma tu dovresti leggere con attenzione, perché non sono certo io che salto a giudizi avventati. Chiudo con un particolare che credo calzi a pennello. Sto leggendo per motivi miei l'Otello di Shackespeare, in un'edizione tradotta, ovviamente, con testo a fronte. È incredibile: Shackespeare non scrive nulla, a parte il testo teatrale, e le uniche indicazioni che scrive sono entra, esce, nient'altro. Leggendo il testo si ha la possibilità di immaginare la scena, di immaginare le voci dei protagonisti e, studiando a fondo il teatro di Shakespeare (e la tradizione elisabettiana, ovviamente) conoscere il modo in cui quelle tragedie venivano rappresentate. Io non arrivo a tanto, perché me ne mancherebbe il tempo: mi "accontento" di leggere Shakespeare (quasi) come è uscito dalla sua penna. Vengo al punto: che vantaggio trarrei nel leggere Otello in un'edizione rivista, che so, da Albertazzi (ne dico uno a caso, nulla contro Albertazzi, ovviamente) che corredasse il testo con indicazioni tipo "Otello con voce roca si rivolge a Cassio e gli dice", oppure "Iago, esplodendo in un urlo tremendo", oppure "Desdemona, con sguardo mellifluo e voce soave". Sarebbe una versione "alla Albertazzi", ma se voglio sapere come A. intende Otello posso andare a teatro, mentre se voglio leggere Shackespeare preferisco leggere solo Shackespeare. Spero di essere stato sufficientemente chiaro.
  21. Non credo si trattasse del polso (ma posso sbagliare, naturalmente). Penso invece che Schumann si rovinò i tendini di una mano (o di entrambe le mani) perché dormiva con le mani appese per gli anulari, con lo scopo di rendere indipendente e più flessibile il 4. dito... dovette smettere definitivamente di suonare, affidando alla moglie, fortunatamente eccellente pianista, le esecuzioni della sua musica.
  22. Nell'editoria il revisore di bozze è colui che controlla gli errori di ortografia, gli errori grammaticali se ci sono... un revisore di bozze però credo sia previsto solo nel caso di autori molto importanti. In ambito compositivo, oggi come ieri, il copista è, letteralmente, colui che copia le parti, soprattutto quando si tratta ad es. di pezzi per orchestra, dei quali il compositore magari fornisce solo la partitura. Il copista non ha però un ruolo "editoriale", quindi deve scrivere quello che trova, a meno di errori marchiani. So per certo che case editrici anche molto importanti, vedi Ricordi ad es., oggi non fanno più il lavoro editoriale sul manoscritto e di fatto stampano ciò che viene fornito dall'autore. Importanti autori contemporanei italiani, che scrivono ancora a mano, vengono stampati così come sono, manoscritti: il copista o i copisti, in quel caso intervengono proprio per preparare i materiali per l'orchestra, con l'utilizzo di programmi di scrittura musicale. PS A qt. punto aprirei una piccola parentesi: il tempo che si impiega a preparare "n" parti singole con un programma di scrittura musicale è più o meno lo stesso che si impiega a trascrivere l'intera partitura, dalla quale poi si possono estrarre le singole parti. Mi sono sempre chiesto perché invece di utilizzare il lavoro dei copisti per le singole parti non si chieda loro di preparare una versione digitalizzata della partitura, che aiuterebbe anche i poveri direttori, costretti invece a leggere degli enormi lenzuoli manoscritti a volte di difficile decifrazione. Scusate l'off topic...
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