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Piano Concerto - Forum pianoforte

Carlos

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Tutto postato da Carlos

  1. Esattamente. Sia per i corni sia per le trombe la consuetudine di non indicare nulla in chiave deriva proprio dal fatto che corni e trombe naturali suonavano sempre e comunque solo le note “buone”, ovvero tonica, dominante, terzo grado e poco altro... Praticamente nessuna nota della scala naturale veniva alterata, soprattutto nelle trombe a dire la verità: consideriamo, ad esempio, che in tutta la sua vita compositiva Beethoven non scriverà mai un “mi bemolle” (ovvero un terzo grado alterato) alle trombe, nemmeno nella Nona. Una volta introdotti i corni e le trombe cromatici la consuetudine è rimasta e il cambio di tonalità viene indicato in partitura (con la dicitura, ad es. “in re”) e aggiungendo di volta in volta le alterazioni necessarie.
  2. No, non hai proprio capito. Non c'è nessuna alterazione “sottintesa” (ma quando mai?): ho scritto proprio il contrario! Perché il si bemolle dovrebbe essere sottinteso poi, non ho capito! E perché non il fa diesis? Facciamo un esempio pratico, sennò non se ne viene fuori. Hai un corno in fa. Io voglio che esca da quel corno una scala di mi bemolle maggiore. Tu cosa scrivi? (nota per nota).
  3. No: oggi i cornisti usano il corno doppio cromatico in fa/sibemolle che può suonare tutto. I cornisti trasportano automaticamente sul loro strumento, ma naturalmente le parti restano scritte “in mi”, o “in re” ecc. quindi la questione delle alterazioni deve essere capita a fondo. Mi sembrava che la domanda di Dante celasse un nemmeno troppo raro fraintendimento: lui mi ha chiesto se sia necessario scrivere anche il si bemolle e questo mi ha fatto pensare ad un errore frequentissimo ovvero «il corno in fa “ha già il si bemolle dentro” quindi non serve scriverlo» (cosa che si sente spesso dire anche dei clarinetti: «il clarinetto in la “ha già tre diesis dentro”» ). Questo casino (perché tale è!) è aggravato da certi insegnanti che spiegano gli strumenti proprio così! In realtà per capire la questione delle alterazioni dei traspositori bisognerebbe solo considerare l'intervallo per la trasposizione, ovvero, ad es.: il corno in fa suona una quinta sotto rispetto a come è scritto. Stop! Impostando il ragionamento in questi termini è tutto molto più chiaro, perché diventa evidente che se, ad esempio, ho una partitura in si bemolle maggiore, il corno in fa sarà scritto, de facto, in fa maggiore (una quinta sopra, appunto), quindi anziché avere due bemolli in chiave, ne avrà solo uno (il si bemolle, appunto, il primo dei bemolli in ordine di apparizione) - che poi non si usi scriverlo in chiave è un altro paio di maniche, ma ci vuole eccome, e si dovrà aggiungerlo ogni volta che è necessario!
  4. Perché no? Attenzione però: il si bemolle scritto corrisponde: 1) al mi bemolle se usi un corno in fa, 2) al re bemolle se usi un corno in mi bemolle, 3) al re bequadro se usi un corno in mi. Non confondere note scritte con note risultanti!
  5. Ai corni in genere non si mette nessun'alterazione in chiave - le alterazioni vengono messe direttamente di fronte alle note, se necessarie, anche se qualche compositore moderno le mette in armatura - mentre il corno inglese si comporta come tutti gli altri strumenti traspositori (vedi clarinetto ad es.) quindi se suona in la maggiore (lui) ha tre diesis in chiave (ma noi siamo in re maggiore quindi "il resto del mondo" ne ha solo due). Giusto per completezza : il “corno francese” esiste eccome ed è quello che noi chiamiamo “corno-e-basta” e che gli inglesi chiamano “french horn”: è "corno inglese" la storpiatura dovuta alla traduzione, perché in francese era “cor anglé" ovvero "corno con l'angolo" - vedi imboccatura - che si pronuncia uguale ad “anglais”, cioè, per l'appunto, “inglese”. Sai com'è...
  6. Volevo solo dire che “la tua interpretazione ideale” è esattamente come l'ha scritto Peppino, perché quel rullo non dura “un secondo” come hai scritto tu, ma quasi tutta la battuta ed è proprio in crescendo, quindi butta via il cd che hai perché se “tutte le volte in cui ascolti il pezzo ti arrabbi tantissimo perché vorresti che il CD ti leggesse nella mente” è colpa del cd non di Peppino; né tu sei un veggente o un sognatore: è scritta così!
  7. Ma che CD c'hai? Il rullo di timpani dura 3/4 (non un secondo: è un Adagio e quindi ne dura almeno tre, quattro) ed è proprio in crescendo (Verdi scrive ff sul timpano e fff sull'attacco “Schiudi inferno", quindi il crescendo ci sta tutto). O ti ricordi male o il tuo CD perde i pezzi...
  8. Figurati... La “Garzantina” dà 29 maggio 1913 e la pagina facebook di Igor S. (gestita da Boosey&Hawkes) sta facendo il conto alla rovescia da alcuni giorni e oggi è arrivata a “one day left!”. https://www.facebook...avinsky?fref=ts
  9. Mah, insomma... questo in realtà ha poco o nulla di romantico, è proprio un'idealizzazione che non ha molto a che vedere con la realtà. Nemmeno Beethoven, cui tu fai neanche troppo velatamente riferimento, era immune dal “mestiere”, rifacimenti, scarabocchi e pianoforte compresi, anche da sordo - lo sapevi? - quando per poter verificare quello che scriveva metteva una cannuccia di bambù tra i denti e la appoggiava alla cassa del pianoforte metre suonava... In realtà il mondo interiore di ciascun artista ha bisogno che ci si sporchi abbondantemente le mani. È molto interessante, a tal proposito, una registrazione di Bernstein, realizzata quando era direttore della NYPhil.: Bernstein “registrò” con l'orchestra gli appunti preparatori della Quinta di Beethoven - pagine intere, non solo abbozzi in realtà - rivelando che quelle che siamo da sempre portati a credere siano idee scaturite tali e quali noi le conosciamo dalla mente del Sommo, in realtà, sono frutto di un accuratissimo lavoro di elaborazione, limatura, perfezionamento, che ha portato a quel linguaggio essenziale che ha fatto la fortuna e ha garantito l'immortalità a quello come ad altri suoi pezzi. “Gestazione” dà, a tal proposito, l'idea di un processo passivo o quanto meno che avviene in modo autonomo e preordinato (come è la gestazione di un bambino prima del parto); mentre si tratta sempre di “elaborazione” di un'idea, di un insieme di idee, attraverso un procedimento compositivo che di quell'elaborazione traccia il percorso, a sua volta guidato da un'idea originaria (ispirazione?) che, come diceva Tiger qui sopra, costituisce l'1% di tutto il lavoro (lo diceva anche Mozart, e se lo diceva lui!!! ) . Sarà che “elaborazione” ha come termine contrario “improvvisazione”, ma continuo a preferirlo per sottolineare proprio come nell'attività del compositore (e dell'artista in generale) ci sia un lavoro attento e progressivo che poco ha a che vedere con lo stare ad aspettare che le cose si risolvano per loro conto...
  10. Non ricordo la tesi di Solomon, ma mi pare che la “candidata” ideale fosse Therese Malfatti (quella della Sonata op. 78 "A Therese", per intenderci).
  11. Non conosco il caso specifico, che potrebbe sembrare un'esagerazione, ma... Schumann ad esempio scriveva crescendo sotto un accordo tenuto del pianoforte, cosa evidentemente di per sé impossibile, se non che l'atteggiamento psicologico con il quale si suona cambia, a seconda dell'indicazione, anche se l'indicazione è di fatto irrealizzabile. Un altro aspetto è la lungimiranza di certi compositori e la consapevolezza di scrivere (nel caso specifico) in un èra dove la tecnologia incide - o potenzialmente può farlo - tanto quanto l'elemento umano nella produzione musicale. Karajan, nel 1974, utilizzò abbondantemente il multitracking per realizzare una (stupefacente) versione discografica delle Variazioni per orchestra op. 31 di Arnold Schönberg, le cui indicazioni dinamiche erano impossibili da rispettare compiutamente, se non utilizzando i mezzi che la tecnologia già allora forniva. E d'altronde la spinta propulsiva è da sempre ciò che manda avanti il discorso musicale e quello tecnico. Ricordiamo sempre ciò che disse Beethoven a proposito della sua Sonata op. 106 “Hammerklavier” («Ecco una sonata che darà del filo da torcere ai pianisti, quando la eseguiranno tra cinquant'anni!», ed era il 1819).
  12. Eh, che ci vuoi fare? Io avevo avvisato («Provo a dire la mia, con tutti i limiti del caso», avevo iniziato). Io alla fine degli anni '60 non c'ero, ma come vedi cerco di tenermi al passo coi luoghi comuni!
  13. Infatti, io l'ho messo nell'altra musica. Era una battuta... Dopo quella battuta ho scritto ben altro, tra l'altro estendendo il discorso alla musica “moderna e contemporanea” eliminando l'esclusività della “musica d'avanguardia”, e quindi eliminando anche tutte le questioni relative a bis/non bis, prime assolute ecc.
  14. La normale e naturale evoluzione della scrittura neumatica in campo aperto (e, poi, del tetragramma, che è la conseguenza della necessità di rendere più completa proprio la notazione adiastematica) è la nostra scrittura musicale. PS Il "gregoriano” non è un sistema di scrittura, quindi l'evoluzione del gregoriano è la musica di Palestrina, la cui evoluzione è la musica di Bach ecc. ecc.
  15. No, ma mi fa piacere che abbiamo detto la stessa cosa - almeno saremo complici nel difenderci da eventuali “ehm ehm”! Come dicono gli americani “you made my day!”. L'hai detto benissimo: “perché fermarsi alle avanguardie?”. Dicevo che certa musica pare nata morta, quest'ultima tua considerazione mi consola...
  16. Eh, come no?!! Pensa al Tristano e Isotta scritto “a coriandoli” e poi ne parliamo... PS btw, ti vorrei vedere a leggere una cosa nuova, ma senza l'esempietto sopra...
  17. Provo a dire la mia, con tutti i limiti del caso. Ci sono almeno due elementi che a mio parere devono essere aggiunti alla discussione, già bella “polposa” di suo e dalla quale sono emersi non pochi spunti. Il primo degli elementi è “il significato dell'applauso” (direte “eh?”, vi dirò che non si applaude sempre per lo stesso motivo); il secondo elemento è “il fine” con cui è stato scritto un pezzo (direte “eh?”, vi dirò che il Finale della Nona di Mahler ha senz'altro uno scopo diverso rispetto al finale del “Barbiere di Siviglia”, che a sua volta ha uno scopo diverso rispetto a “... sofferte onde serene...” di Luigi Nono). Andiamo con ordine: perché applaudiamo? che significato ha il nostro applauso? Le sensazioni che ci muovono ad applaudire alla fine della Seconda di Mahler sono di un tipo, quelle con cui arriviamo alla fine della sua Nona sono di tutt’altro tipo. E qui già c’è un primo elemento di distinzione. Applaudo per “esaltazione”? Applaudo per “ammirazione”? Applaudo per “gratitudine”? E, poi, chi applaudo? Applaudo la musica, il musicista, o tutti e due? La risposta, in questo caso, varia da serata a serata, da persona a persona ecc. ecc. ma già serve a complicare la faccenda... Il secondo fattore riguarda il “fine” della musica. Fino ad un certo momento è evidente che il percorso drammatico, dialettico, retorico di (quasi) tutte le composizioni musicali dedicate ai grandi spazi (precisazione d’obbligo, perché basterebbe, se non la facessi, prendere uno qualsiasi degli Intermezzi di Brahms per smentirmi), dicevo: il percorso retorico di questi pezzi era rivolto verso una (boh?) “catarsi” finale, per cui la tensione accumulata durante il pezzo (massimamente negli adagi) veniva liberata in movimenti conclusivi con “rush finale”, che avevano e hanno tutt’ora, un effetto quasi liberatorio. Pensate a come è costruita la Quinta di Beethoven, esempio mirabile (che non scelgo a caso, ovviamente, perché difende in partenza la mia tesi dalle miriadi di “ehm ehm” che sono sicuro vi susciterà, sono preparato), con quel primo movimento tirato come un arco, la cui freccia però sembra non scoccare; l’arco resta teso per tutto il movimento lento, che sembra allentare la tensione, finché non inizia lo Scherzo, allora ci accorgiamo che la tensione è ancora tutta lì e che, anzi, è aumentata, e lo scherzo non finisce, no!, confluisce in quel do maggiore luminoso ed esplosivo, dal quale uscirà una volta ancora un ricordo di quello Scherzo, a sua volta ricordo del primo tempo, fino al termine, affermativo, deciso, “ok, è detto!”. Va bene, è un esempio, spero che chiarisca almeno un po’ il punto di vista... Se pensate a quel pezzo (la Quinta) e se pensate, poi, per dirne uno a “Das Lied von der Erde” risulta evidente che il percorso drammatico e dialettico è esattamente opposto nei due pezzi (e non prendo continuamente Mahler per caso: è forse il primo grande sinfonista che non “cerca l’applauso” ma cerca qualcos’altro). “Das Lied von der Erde” inizia al contrario (o finisce al contrario, se volete) rispetto a quanto detto poco sopra: “Der Abshied” è un pezzo che, a parte il testo, chiederebbe silenzio alla fine (come applaudire dopo quell’estenuante “addio” detto a parole e coi suoni?). Allora, ecco che i due elementi di cui parlavo all’inizio si stanno fondendo: applaudiamo, ma perché? Quando finisce un pezzo come la Quinta di Beethoven applaudiamo, senz’altro, per “esaltazione” (o felicità, o gioia incontenibile; chiamiamola come preferiamo, ma credo che ci intendiamo perfettamente). Ma al termine di “Das Lied” non applaudiamo certo per quello... Possiamo applaudire perché l’esecuzione è stata di nostro gradimento, possiamo applaudire perché è comunque un modo per dire “grazie” sia al compositore sia ai musicisti... Questo aspetto, nel caso della Quinta, viene inglobato nell’applauso di gioia (ed è evidente, ad esempio, in teatro, dove alla fine di un’opera scrosciano applausi gioiosi che poi vengono differenziati a seconda dell’artista che si presenta alla ribalta: questo riceve un boato di grande approvazione, quello non suscita nessuna variazione nell’intensità dell’applauso, quell’altro provoca addirittura qualche dissenso e così via...). E qui vengo (“finalmente!” direte voi) al quesito primo, ovvero perché i concerti di musica d’avanguardia terminano in modo diverso da quegli altri?. Io vado poco a sentire musica moderna e contemporanea, mi interessa poco e mi piace ancora meno, quindi non ho moltissimi casi da proporre, ma sono, in ogni modo, quasi tutti conformi all’esempio che fa Kappa nel suo post iniziale. Io stesso applaudo per “dovere” quasi, almeno per dare soddisfazione a chi ha suonato (e in molti casi la musica suonata è talmente incomprensibile che a stento si riesce a capire se chi l’ha suonata lo ha fatto bene o male), ma non applaudo certo per gratitudine verso un compositore di cui ho ascoltato, nella migliore delle ipotesi, qualcosa che mi annoia, e, nella peggiore, mi infastidisce. Ma non è quello, secondo me, il punto. “Pierrot Lunaire” può piacere o meno (e a me piace poco, credo che si sia capito, ormai), ma è un pezzo che riesce ad avere presente (anche se ancora per poco, ahimè) un pubblico e a mediare l’esigenza di sperimentazione con quella comunicativa. Lo stesso si può dire del “Wozzeck” di Berg (ma non, secondo me, o non del tutto, per “Moses uns Aron”). Ma “dov’è” il pubblico in certa (molta, troppa) musica sperimentale? È spesso un pubblico che deve assistere a una qualche sorta di rituale nel quale non è detto né previsto che debba essere coinvolto (cosa decisamente opposta anche a pezzi “al contrario” come “Das Lied von der Erde” di cui dicevamo poc’anzi), perché lo scopo di quella musica non è coinvolgerlo, ne condurlo attraverso un percorso, ma semplicemente “mostrargli” un percorso (ammesso che un percorso ci sia, detto per inciso). C’è una bella differenza. Una cosa è vedere un cerbiatto che impara a stare sulle sue zampe con fatica e aiutato da sua madre, un’altra è vedere una pietra fossile dietro il vetro di una teca. Sono, o possono essere, due cose meravigliose, ma non susciteranno certo le stesse emozioni e/o sensazioni. Non ho mai visto applaudire nessuno in un museo, ma in uno zoo sì. E la metafora del museo sembrerebbe (almeno nell’immaginario collettivo) sposarsi meglio alla musica “vecchia”, ma non è così: la musica “vecchia” è viva ed ha bisogno di essere fatta vivere, mentre spesso la musica sperimentale nasce né più né meno con lo scopo di vagliare una nuova possibilità, un nuovo linguaggio, un nuovo effetto, a prescindere da qualsiasi messaggio questo linguaggio possa veicolare, e quindi a prescindere da chi ascolta, e quindi nasce morta. E normalmente, di fronte a una bara, non si applaude...
  18. Esatto, da che mondo è mondo... Sì, ho visto: mi era sfuggita la legenda sotto il frammento... Ma, chiedo: stiamo scherzando? Lasciam perdere va'...
  19. In campo aperto non sembra proprio, ci sono i pentagrammi... piuttosto non capisco l'utilità, né come possa essere “easier to learn”, visto che (almeno da quel che si capisce) ogni suono delle quartine in chiave di basso, nonostante abbia lo stesso valore degli altri e nonostante l'altezza sia stabilita nel modo “convenzionale”, è scritto con un simbolo sempre diverso... qualcuno ne sa di più?
  20. Soprattutto, difficilmente qualcuno chiede il bis...
  21. Io ho trovato questo, non so se fa al caso tuo... http://rapidlibrary.com/files/heinrich-neuhaus-l-arte-del-pianoforte-zip_ulzb8btew8i89on.html
  22. Decisamente, ma il discorso andrebbe ampliato a molti (forse tutti) i compositori più famosi, la cui immagine viene legata ad alcuni brani (a volte quando loro sono ancora in vita, a volte subito dopo) che ne caratterizzano uno stereotipo. Per cui, ecco che Beethoven “è” l'inizio della Quinta, insieme all'“Inno alla gioia”, a “Per Elisa” e a poco, davvero poco altro; ecco che Bach “è” la Toccata e fuga in re minore (e basta! per il 90 per cento degli ascoltatori...); ecco che Mozart “è” l'inizio della Sinfonia in sol minore K550, l'inizio di “Eine kleine nachtmusik” e... “Là ci darem la mano”... e così via (chiunque vi dirà che il Don Giovanni è bellissimo, ma guardate la faccia che faranno quando chiederete loro di cantarvi qualcosa che non sia “Là ci darem la mano” ). Ho banalizzato, spero si capisca il senso, ma non credo di essere molto lontano dal vero. Una carissima amica, poco tempo fa, mi chiese come mai Schubert sia considerato un compositore di “serie B” e io (non senza pensare «che bello! una amica non musicista interessata a queste cose!») iniziai a spiegarle la coincidenza delle due carriere con Beethoven, il fatto che all'epoca “ci fosse posto” per un genio alla volta (pensando anche a Mozart e Salieri, la cui fama si capovolse solo grazie alla storia...) ecc. ecc. e lei, a un certo punto, disse «Peccato, perché, accidenti...» (e io speravo che non dicesse quello che invece...) «accidenti, l'Ave Maria è splendida!» Schubert “è” l'Ave Maria... Tornando a Beethoven, la storia ha privilegiato proprio l'aspetto eroico e “furibondo” del genio di Bonn (come ha privilegiato quello ieratico e “palloso” di Bach... - ascoltassero il Gloria della Messa in si minore!!! - e quello giocoso di Mozart, con l'unica eccezione della “Sol minore”, va be' ); dicevo della caratteristica con la quale B. viene identificato, che senz'altro ha influenzato anche nell'èra discografica molte scelte di mercato. Karajan, negli anni '60, filmò con la regia Clouzot una sola sinfonia di B. ed era la Quinta (è un capolavoro, non solo la sinfonia, ma anche l'esecuzione e la realizzazione filmica, sia chiaro, ma la scelta era in una direzione ben chiara). “Il destino che bussa alla porta” (l'inizio della Quinta), “l'apoteosi della danza” (Wagner sul finale della Settima) e il gioco è fatto. Non sai quanto io sia d'accordo con te. Personalmente amo moltissimo il Beethoven “lieto” della Sonata “Pastorale” op. 28, amo quello “sornione” dell'op. 31 n. 3 (quella dopo “La Tempesta”, per intenderci...), non sono un grande fan dell'“Appassionata”, ma adoro “Waldstein” e “Les Adieux” e, delle ultime sonate, la mia preferita è la 101, quindi pensa un po'... Logicamente non disconosco assolutamente il Beethoven “col pugno sul tavolo”, quell'aspetto è un aspetto preponderante, ma non è l'unico e riconoscerlo e valorizzare tutti gli aspetti di Beethoven significa rendergli giustizia anche quando si eseguono i suoi capolavori più “cattivi” . Anche qui, naturalmente, sono d'accordo. Il carattere dell'ouverture nel suo complesso è del Beethoven a testa alta, ma, da una parte la totale mancanza di “dramma”, inteso come lotta interiore, dall'altra la scelta della fuga - proprio per lo stesso motivo: B. aveva fatto della dialettica tra i due temi della forma-sonata il suo terreno di gioco privilegiato (e in questo caso non c'era bisogno di “dialettica”). Coriolano è forse l'esempio più lampante, nel quale addirittura i due temi principali “sono” due persone: Coriolano e sua madre, Volumnia - ne fanno un brano che meno di altri rientra in quel cliché di cui dicevo sopra. Qui devo dare invece ragione a Schiff. Soprattutto quando abbiamo a che fare non solo con brani di grandi proporzioni, ma anche di portata “filosofica” così rilevante (penso alla Sonata op. 111, alla Nona, ma anche alla “Hammerklavier” op. 106 o al Quartetto in do diesis minore op. 131) credo che il silenzio sia la risposta migliore, perché concedere un bis significa ammettere che “non era sufficiente”; ma chi avrebbe, tra noi, almeno, il coraggio di ammettere che dopo aver ascoltato la Nona ci sia “bisogno” di qualcos'altro? Certo, l'eccitazione del momento può causare questa sensazione, ma io, personalmente, resto letteralmente stremato dopo aver ascoltato l'Adagio e, anche se capisco l'esigenza drammatica incontenibile di B. di concludere in quel modo, vorrei che ci fosse una pausa prima del Finale, per riuscire ad assorbire quella meraviglia... Ti dirò di più: sempre più spesso si tende a far precedere la Nona da un pezzo breve, a volte un'ouverture, a volte altro... ma quel pezzo, la Nona intendo (come e forse più di altri) ha in sé tutto ciò che “serve” per non aver bisogno né di introduzioni, né di commiati. Quale introduzione migliore di quelle quinte vuote all'inizio? tremendo inizio, calibrato magnificamente da B. Niente prima. E niente dopo, secondo me. Solo silenzio.
  23. Oh, finalmente hai scoperto le carte! Mi hai detto che “ti stavo simpatico” e che volevi che i nostri rapporti fossero “amichevoli e scherzosi” ma dai tuoi messaggi emerge esattamente il contrario. Finalmente hai detto chiaro e tondo ciò che pensi di me. Vuoi che ti dica che mi interessano tutte le tue considerazioni? Possono interessarmi o meno, ma non era quello il discorso! Io ho cercato di dare una risposta a una domanda che Luca ha fatto A ME, e tu l'hai trovata “infarcita” dei miei gusti personali, ma non ti sei accorto che le considerazioni che facevo erano invece basate su questioni di ricettività della musica di Beethoven che ancora oggi rendono più gradita certa sua musica rispetto ad altra. Non ti sei nemmeno accorto che io da quando è iniziata questa discussione non ho ancora detto se a me Die Weihe des Hauses piace o no: chi è che “infarcisce” i suoi commenti di gusti personali? Interessano le considerazioni che stimolano un discorso ed è a quello che deve essere rivolta una discussione su un forum (come una conversazione al bar), ma fare le pulci ad ogni singola mia affermazione non serve a nessuno (o magari a te sì, se devi dimostrare qualcosa a te stesso, ma io non lo posso sapere) e, conservando la tua metafora del bar, ti fa apparire come quelli che continuano a interrompere e saltano sulla voce perché devono dire la loro. Se io ti sembro su un piedistallo, pensa tu qual è l'immagine che dai di te... PS sarei “irrecuperabile” rispetto a chi? Irrecuperabile perché non accetto di farmi fare la lezioncina dal primo che scrive qui? Sono una persona umile, checché tu ne pensi, e se trovo qualcuno da cui posso imparare lo ascolto senza fiatare (e ne ho incontrati parecchi, credimi). Ma in genere le persone che hanno qualcosa da dare/dire non si presentano, come invece hai fatto tu dall'inizio, all'insegna di “ascoltatemi, ve lo spiego io”, perché il loro valore emerge da solo. Tu non fai altro che citare da un testo o dall'altro, ma si capisce molto chiaramente che il tuo rapporto con la musica è poco più che dilettantistico. Nulla di male, ma chi vorresti recuperare? Io l'op. 10 n. 3 l'ho suonata. L'op. 27 n. 1 l'ho suonata. Il “Kegelstatt-Trio” l'ho suonato. La Quarta di Beethoven l'ho diretta, e anche la Quinta, e anche la “Pastorale”. Ho diretto i cinque Concerti per pianoforte e che il Quarto sia da sempre il tuo preferito non cambia il fatto che “il resto del mondo” gli preferisca l'“Imperatore” e il Terzo. (Pensa che il mio preferito è il Primo e quando “cita” La Cucaracha nell'ultimo movimento io scoppio sempre a ridere, ma... chi se ne frega?). Capisci? Io cerco di parlare di cose che conosco in maniera autentica. E se per te questa è boria... Pazienza!
  24. Vedi, io avevo detto che bisognava “cercare tra le righe” ma mi sembra che tu non lo faccia mai e ti mantenga su un livello molto superficiale di discussione, non volermene.
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