Jump to content
Piano Concerto - Forum pianoforte

thallo

Moderatore
  • Posts

    1170
  • Joined

  • Last visited

  • Days Won

    104

Tutto postato da thallo

  1. c'è il famosissimo "Come si fa una tesi di laurea" di Umberto Eco http://it.wikipedia.org/wiki/Come_si_fa_una_tesi_di_laurea la verità è che se ti riferisci alla tesi per la laurea in conservatorio, la mia opinione è sempre tranchant: verrai valutato da persone che NON hanno fatto una tesi di laurea e che non sono MAI stati valutati per le loro capacità di ricerca, di scrittura e perfino di lettura. Potenzialmente, verrai valutato da analfabeti (potenzialmente). Questo porta ad un unica conseguenza, tristissima: la tesi di laurea in conservatorio si fa come ti dicono di farla i tuoi docenti. Sul manuale di stile linkato da Oracolo, stai attento. Lo stile redazionale cambia da facoltà a facoltà, da conservatorio a conservatorio. Anche se non sembrano questioni importanti (e in realtà non lo sono) a volte i docenti si incaponiscono stupidamente su queste cose... anche qui, la cosa migliore è informarsi se esistono delle regole redazionali del tuo conservatorio. Se ti dicono di no, allora il manuale linkato è un ottimo aiuto.
  2. non mi riferivo a te con quella frase :-) era un modo per dire che, a prescindere dalla simpatia o antipatia che si possa avere per Isotta (che anche a me sta antipatico), il modo migliore per contrastare un'opinione critica avversa è portare dati a favore della propria opinione :-) Sullo spartito, beh, ci sono livelli e livelli di lettura ;-) ti assicuro che Pavarotti leggeva male :-) ma erano cavoli suoi. Come dire, se io avessi una stramba allergia per la carta, sono problemi miei, studierò in modo diverso, l'importante è che il risultato del mio studio sia accettabile. Se Pavarotti poteva permettersi di studiare con degli assistenti e il risultato era comunque di spicco, allora buon per lui! Di certo ha avuto la decenza di non cantare repertori troppo difficili musicalmente parlando. Ma parliamo comunque di una persona che cantava tutti i giorni nei più grandi teatri del mondo. Bisognerebbe capire cosa significa tutto questo prima di dare giudizi sprezzanti come Isotta...
  3. Dal mio punto di vista, parlare di coerenza significa parlare di forma. Anche se in un modo molto "allargato". E' coerente un brano le cui sezioni hanno dei legami giustificabili. E, per correttezza, potrei virgolettare le parole "sezioni", "legami" e "giustificabili", visto che questa definizione è troppo generica per dire qualcosa di vero... Lasciando in sospeso la definizione e affrontando la cosa da un punto di vista storico, nella storia della musica i brani hanno spesso avuto la "presunzione" di avere un filo logico, ovvero di creare legami logici tra le loro sezioni (per sezioni si può intendere di tutto, note, incisi, frasi, è un termine che si adatta in modo diverso a brani diversi). Se prima questo filo era assicurato soprattutto dal testo, e sui legami logici linguistici veniva basata la logicità di un pezzo musicale (con eccezioni), col tempo si sono create forme musicali specifiche, e articolazioni tipiche. Le articolazioni fungono da legami logici. Se volessimo definire questi legami logici, potremmo prendere a prestito adattandola proprio la definizione di "connettivo logico", una definizione matematica: un connettivo logico è un elemento che collega due elementi, secondo diverse modalità, e ne crea un terzo. Nella logica tonale le cadenze sono tipici connettivi logici, perché creano dei legami, segmentano il discorso e lo indirizzano in una sorta di senso. E queste articolazioni operano all'interno di strutture formali "di superficie", ovvero le forme che ordinano le sezioni. Non so, la forma rondò, che ci dice che in che ordine dobbiamo mettere gli elementi, quali relazioni dobbiamo instaurare (relazioni tonali, di lunghezza, di "gerarchia"). A prescindere dallo specifico, che è MOLTO COMPLESSO (e quindi sarei grato che non arrivasse il simpaticone del caso a dirmi che Mozart o Beethoven non hanno rispettato le forme, perché lo so da me ;-) ), dobbiamo ammettere che dal '600 fino almeno a metà '800 la ricerca di coerenza logica è stata presente ed è stata una delle parti fondamentali dello studio della FORMA. Quindi, brano molto strutturato formalmente = brano coerente. Da metà '800 le cose cambiano (e in un certo senso erano diverse anche prima del '600) e vengono rivalutati altri principi formali estranei a quelli interni alla logica tonale e diversi dai principi che ho definito "di superficie", che erano quelli delle forme fisse. Il modo migliore, secondo me, di definire questi nuovi principi formali è proprio quello di chiamarli "principi formali" e non "forme". Il concetto di principio formale è plotiniano, e considera la forma non come una superficie (che è definizione aristotelica) ma come un modello di sviluppo, forma formans. E' più semplice andarci al contrario: alcuni brani possono essere "ridotti" ad un principio generatore. Questo principio generatore è la cosa che dà a questi brani forma e coerenza. L'esempio più immediato è quello dei mottetti isoritmici, che sono comunque brani poco frequentati da me e dagli altri utenti. Un altro esempio immediato è quello dello studio. Se io scrivo uno studio "sugli arpeggi" posso dire che la forma di quel pezzo è una forma bipartita, ma questa definizione in realtà dice pochissimo della coerenza e della VERA FORMA del pezzo. Potrei, piuttosto, parlare del suo principio generatore, che è l'oggetto dello studio, l'arpeggio. Questo "oggetto-soggetto" è stato declinato in vari modi: abbiamo brani costruiti su idee fisse (una nota, un accordo, un problema tecnico), su colori, su testi (come i madrigali di una volta). Questa voglia di trovare in un piano più profonda la coerenza di un brano ha portato a quella che spesso si definisce dissoluzione della forma, ma che in realtà è stata, storicamente, una riformulazione dei criteri formali. Da qui, il discorso formale diventa sempre più complesso, ma non si è mai fermato. E assieme ad esso, la ricerca di coerenza. Il problema è che a volte questa coerenza non è udibile, è solo un principio compositivo, e lì bisogna avere l'accortezza di adattare il giudizio.... ci sono brani compositivamente molto coerenti che sembrano non avere capo né coda all'ascolto, e brani facili da ascoltare che sono così coerenti da essere del tutto privi di interesse (come una tautologia).
  4. io sono d'accordo e in disaccordo, su punti diversi. Prima di tutto dico che probabilmente Gilda ha letto un articolo di Paolo Isotta, famoso critico, tutt'ora in attività, che fece scandalo dicendo di tutto e di più su Pavarotti, anche post-mortem. Che dire, Isotta è odiato da praticamente tutti quelli che conosco, perfino i colleghi critici ne parlano male, ma se si vuole combattere le opinioni critiche sbagliate bisogna farlo coi dati. E la carriera di Pavarotti dimostra, di per sé, che Pavarotti non era aritmico (ammettendo che questo significhi qualcosa). Pavarotti era figlio di una tradizione didattica, che resiste tutt'ora, che vuole i cantanti "ignoranti" dal punto di vista musicale. Anche oggi molto spesso i cantanti non studiano veramente sugli spartiti, ma "col tastino", ovvero con un pianista accompagnatore che in lunghe ore di studio cerca di insegnare "a orecchio" la parte. Per i canoni attuali, questo è un difetto pesante, ma soprattutto in Italia la cosa viene ancora "sopportata" se dall'altra parte ci sono doti canore degne di nota. Pavarotti aveva doti canore eccezionali. Tanto che mi trovo in totale disaccordo con Luciano quando dice che Pavarotti non era tra i cantanti di prima fascia, tra i "primissimi di sempre". Pavarotti è stato senza alcun dubbio uno dei più grandi tenori della storia, per l'impatto che ha avuto sul mondo del canto e dell'opera, per la bravura tecnica e per le doti vocali. Dal mio punto di vista ci sono delle argomentazioni che funzionano come "cartine di tornasole". Per capire quando un cantante è stato davvero un grande cantante, secondo me bisogna trovare almeno un ruolo in cui lui è stato d'esempio. Il repertorio di Pavarotti non era vastissimo, oggi un tenore in carriera internazionale avrebbe in repertorio molti più ruoli. Ma Pavarotti è passato alla storia per essere praticamente il miglior Pollione (Norma) di sempre, tendenzialmente uno dei migliori tenori belliniani di sempre (anche se il discorso è particolare, perché l'interpretazione di Bellini è cambiata molto negli anni), uno dei migliori Nemorino (Elisir d'amore) di sempre, l'artefice principale del ritorno de La fille du regiment (Donizetti) in repertorio, uno dei migliori Andrea Chenier di sempre (ed è pazzesco, considerato che la cantavano i tenori spinti), probabilmente il miglior Rodolfo di sempre (e considerato che Bohéme è un'opera stracantata, parliamo del migliore fra migliaia) e sicuramente il miglior Riccardo (Un ballo in maschera) di sempre.
  5. Disse il neurologo che ha compiuto lo studio ... Potrei far finta di fare una richiesta complessiva, dicendo "smettiamola di trarre conclusioni sbagliate per i nostri fini". In realtà i messaggi sul forum sono disponibili a tutti, e la mia richiesta è: ttw, smettila di dire boiate. Questa era e rimane una discussione seria, possiamo evitare di trasformarla nell'ennesima stupida lotta tra "defensores fidei tonalis" e biechi serialisti? Se vogliamo stare tra persone serie, parliamo in modo serio. Nel mondo delle persone serie, dovremmo notare come le risposte e le domande fatte dai neurologi non bastano ad affermare nulla dal punto di vista musicale-musicologico. Stante a quello che ha citato Bianca, ovvio. E mando una frecciatina a Bianca dicendo che l'induttivismo può essere utile a postulare tesi di lavoro e ipotetici modelli, ma sono le prove a confermarli. Attualmente è difficile parlare di neurolinguistica anche se ci limitiamo ad un punto di vista fisiologico. Difficile soprattutto in quanto nessuno di noi è un medico (a quanto ne so). Se saltiamo subito alle "conseguenze" su altri piani, poi, la cosa si trasforma in pura filosofia, ovvero opinioni più o meno argomentate. In questo caso non serve neppure parlare di casi studio, valgono le testimonianze di migliaia di compositori che hanno scritto "meaningfully" sia musica tonale che musica atonale
  6. il gusto non si istituisce per decreto, non avremmo dovuto avere un MinCulPop e non dovremmo avere un MinCulElit... quindi, si valuta sempre la buona volontà di tutti, MA le strade dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni. Chiunque mi vieta di ballare a tempo di Beethoven, di fare sesso a tempo di Ravel o di sedermi sul water ascoltando Mahler è un FASCISTA.
  7. Da quello che ne so, l'amusia è molto di moda nei testi di psicologia della musica. La pagina in inglese di wikipedia è colma di citazioni bibliografiche, e se si trovano le citazioni su wikipedia in genere vuol dire che la letteratura sull'argomento è veramente vasta. Capisco che tu sia interessata a una parte molto specifica dell'argomento, ma in questi casi è difficile arrivare subito al punto.
  8. mi viene da consigliarti di leggere il libro di cui sopra, "The Singing Neanderthals". Non si occupa specificamente di amusia ma affronta in modo molto bello, "divulgativo" e filosoficamente intrigante molti problemi tra musica e linguaggio. Le tue domande, però, sono molto specifiche, e continuo a pensare che una bibliografia più tecnica possa essere utile... Dico solo una cosa. Quando parli di convinzione ("... è convinto di disegnare un cerchio") io metterei da parte la generalizzazione. Cioè, qui non parliamo di schizofrenici che confondono la realtà con l'immaginazione, parliamo di un deficit, spesso "acquisito". Sempre nel libro di cui sopra, Mithen specifica spesso che i pazienti affetti dai vari tipi di amusia, dislessia e afasia sono COSCIENTI del loro disagio, dei loro errori, della loro patologia. Ovviamente parliamo di una coscienza critica. Cioè, un dislessico se si ferma e ci pensa SA di avere problemi di lettura. Ma pur sapendolo, non si ferma a leggere attentamente ogni scritta per il timore di perdersi qualcosa di importante. Io ho dei tratti di discalculia. E' una questione complessa, ma ho dei problemi con i numeri. E ne sono cosciente :-) ma in situazioni di stress, semplicemente la mia mente è selettiva. Se mi dici qualcosa, sono in grado di ricordare tutto tranne i numeri in quella frase, e questo nonostante io sappia di avere problemi coi numeri e metta in atto una serie di strategie per memorizzarli e averci a che fare. Chi non sa disegnare i cerchi e SA di non saper disegnare i cerchi, quando deve disegnarne uno probabilmente prende un compasso. Il problema è quando deve scrivere una "o" e non ci pensa, ed esce fuori qualcosa di incomprensibile a tutti gli altri.
  9. che io sappia ce ne sono molti. Nel libro di cui parlavo, si accennano alcune cose, ma sicuramente una buona enciclopedia medica può darti riferimenti bibliografici può specifici. Magari anche una ricerca su amazon con "amusia" come chiave
  10. in "The Singing Neanderthals" di Steven Mithen c'è un capitolo dedicato all'amusia e alle sue varianti, ma quasi tutti i casi citati si riferiscono a persone indicate solo tramite iniziali... su Ravel, tra l'altro, Mithen parla di un particolare tipo di amusia. Ravel riusciva ancora a suonare alcune cose, il vero problema era scrivere le composizioni che aveva "in testa". Pare che riuscisse, però, a trovare gli errori nelle proprie trascrizioni, se suonate. C'è un riferimento bibliografico a tale T. Alajouanine
  11. in realtà dovresti continuare a drogarti :-) ed è in un certo senso "accertato" che la percezione del tempo da parte degli ascoltatori è un certo senso collegata alla percezione del tempo dell'esecutore. Mi spiego meglio... nel discorso delle "temporalità", ovvero di quel tipo di tempo non metronomico ma percepito, possiamo parlare di temporalità dell'esecutore, temporalità della partitura e temporalità dell'ascoltatore. E' come se fossero delle "bolle" temporali, dei piccoli ambienti virtuali in cui il tempo funziona in un certo preciso modo. Queste temporalità possono essere divergenti. Possiamo avere una partitura dalla temporalità molto ritmica, non so, prendiamo il terzo tempo dell'Autunno di Vivaldi. Possiamo avere un gruppo di esecutori che decide di rendere questa temporalità in modo diverso, rallentandola e "cambiandola". Possiamo avere una persona del pubblico che, per ignote ragioni, si sta appallando alla grande e percepisce tutto ancora più lento. Quando, per ignote ragioni, l'esecutore riesce a trascinare nella propria temporalità il pubblico, allora si ha quell'effetto di rito collettivo grandioso e di successo esplosivo. Io credo che ci siano dei "modi" per arrivare a questo risultato. In genere i ritmi ossessivi sono di successo, perché colpiscono direttamente i nostri centri del movimento e non ci permettono di perdere attenzione (o meglio, ci permettono di rilassarci continuando a muoverci, ovvero staccare la parte cosciente come in trance). Quando a questi ritmi ossessivi si applicano delle imprecisioni ritmiche, o delle diminuzioni, o delle variazioni, si crea una specie di effetto ludico in cui chi ascolta cercherà di prevedere dove sarà il prossimo battere o il prossimo accento forte. Questo gioco dell'attesa e dell'imprevisto è tipico di gran parte della musica molto ritmata, da Ockeghem a Beethoven. Quindi, ritmo semplice e ossessivo, per catturare il corpo; piccole variazioni inattese, per catturare la mente.
  12. ripeto quanto già scritto, non esiste una metodologia della critica, ognuno la fa come crede, come vuole, come gli viene richiesto dalla testata. Di certo è più facile parlare di un evento preciso, di un concerto, di un CD. Ma quando metto accanto la dicitura "critica musicale" e "giornalismo musicale" non lo faccio a caso. Ci possono essere punti di partenza e punti di arrivo diversi. Un critico musicale che "critica" un'esecuzione fa un buon lavoro. Un critico musicale che "descrive" un'esecuzione fa un lavoro buono. Un critico musicale che parla del perché quel teatro, in dissesto finanziario, ha scritturato quel tale artista, spendendo questo e quest'altro, tralasciando di parlare dell'esecuzione, fa un buon lavoro. Tutto cambia dalla situazione. E lo dico proprio perché in quel corso, pochi anni fa, io e alcuni miei colleghi di musicologia andammo bardati del sacro fuoco della conoscenza tecnica e scoprimmo che scrivere un articolo è una cosa complicata. Chi parlava dei cappellini delle signore tra il pubblico scriveva articoli leggibili, chi parlava dell'edizione critica su cui si basava il concerto faceva venir voglia di tagliarsi le vene.
  13. Rotore, considero molti dei tuoi interventi assolutamente inutili, ma tu continui a scriverli, credendoci. E la mia opinione non cambierà il fatto che tu scrivi. Adatta questa cosa al tuo pensiero verso i critici. La tua opinione non cambierà il fatto che nel mondo ci sono migliaia di critici musicali.
  14. ho sempre l'impressione che tu voglia iniziare da una cosa precisa per poi generalizzare eccessivamente. Andiamo un passo dopo l'altro... 1) nel mondo ideale, tutti sanno tutto. Quindi, studiare fisica quantistica serve anche agli spazzini. Ma, nel mondo reale, studiare critica musicale e giornalismo musicale serve a chi vuole fare il critico musicale e il giornalista musicale. 2) chiedere cos'è la critica musicale è una domanda di lana caprina. E' così complesso rispondere che suggerisco direttamente un'altra domanda: chi sono i critici musicali? Ecco, i critici musicali sono quelle persone che scrivono su giornali e riviste specializzate recensioni (di CD e concerti) e articoli musicali. Ognuno lo fa in modo diverso e ogni rivista-giornale lo fa in modo diverso. 3) il corso di cui stai parlando è organizzato dalla facoltà di musicologia assieme al festival Mozart di Rovereto. Io l'ho seguito, è organizzato come una serie di lezioni e seminari con giornalisti, critici e docenti. Ci sono workshop di critica, ovvero prove scritte che vengono "corrette" dai docenti. Cambiano da anno ad anno quindi non ti saprei dire molto altro. 4) sul fatto che la critica nel 2014 non esiste o non possa esistere... ... esistono moltissime riviste specializzate e molti giornali "generalisti" pubblicano ogni giorno critiche e articoli musicali. In tutto il mondo. Quindi, beh, hai torto
  15. serve a fare critica e giornalismo musicale...
  16. Rispondo direttamente a Simone e indirettamente a CrazyPiano: tu, Simone, qui stai facendo un discorso preciso e strutturato. Prendi come esempio il mercato dell'automobile e sottolinei una serie di meccanismi che, secondo te, sono "immorali" o comunque portano disequilibrio sociale. Nello specifico della questione io ho un atteggiamento sprezzante, penso che la vera ragione per cui il mercato ha queste leggi è perché la società le ha, ed effettivamente l'italiano medio se vuole un'auto nuova valuta il prezzo non secondo criteri relativi al costo (questa macchina viene 40.000 euro, per produrla ne hanno spesi 2.000, allora è una fregatura) ma secondo criteri relativi alla sua disponibilità (ce li ho, non ce li ho). Io non sempre faccio così, ma mi rassegno all'idea che ci siano persone che la pensano in modo diverso. La cosa fondamentale nella nostra discussione, però, è che TU hai espresso un concetto serio e lo hai argomentato, Rotore ha buttato delle frasi fatte che coprivano l'universo mondo e io l'ho paragonato a un dodicenne... La nostra stessa discussione (mia e tua) è limitata sotto molti aspetti, perché non siamo degli esperti, perché questo è un forum di musica, perché non c'abbiamo tutto il tempo del mondo. Ma nonostante questo è fatta su termini e argomenti precisi. Io un thread che parla di schiavitù del mercato non lo considererò MAI una cosa seria! Le parole hanno un senso, schiavitù significa schiavitù e nella storia dell'uomo la schiavitù è esistita e le persone sono morte di schiavitù. Io mi incazzavo quando si parlava di Berlusconi tiranno, mi incazzo quando si parla di morte dell'arte, quando si dice che le nuove generazioni sono peggiori delle vecchie, che gli extracomunitari sono criminali, e in presenza di tutte le indebite generalizzazioni da bar che fanno tanto vecchietto col bicchiere di vino. E Rotore ha perfino detto che non segue la politica e che questa è una sua riflessione... ecco, dal mio punto di vista è paragonabile alla riflessione di un dodicenne che copia sul diario le frasi di Jim Morrison. E in questo senso do ragione anche a Daniele Scarpetti (con un'ironia critica di fondo): se non siamo in grado di fare un discorso SERIO sul mercato è perché siamo ignoranti. In Italia siamo molto ignoranti in quanto a cultura economica, gran parte di noi (io per primo) non siamo in grado neppure di leggere una bolletta del gas o di capire quali sono i termini del nostro conto in banca. Se il diavolo sta nelle piccole cose, la finezza dell'affermazione "il mercato è il problema del mondo" dimostra che siamo in grado di vedere a mala pena le cose gigantesche, la risoluzione del nostro schermo è di pochissimi pixel...
  17. Simone, non condivido i termini di alcune tue riflessioni, che sono comunque più che legittime, quindi preferisco risponderti sulla prima parte della questione. Perché la frase "il mercato è il problema del mondo" è priva di senso, secondo me? Prima di tutto, da un punto di vista squisitamente semantico, parole come "problema" e "mondo" sono troppo vaghe in tutte le proprie accezioni, e la parola "mercato", oggi, ha anch'essa così tante accezioni da pretendere delle specifiche serie. Facendo un parallelo, è come se qualcuno avesse scritto "non ci sono più le mezze stagioni" o "tutti i politici rubano". In modo ancora più subdolo, sarebbe come dire una cosa tipo "le scarpe rendono gli uomini più deboli", e parlare degli hobbit, che notoriamente camminano scalzi, per dimostrare che esiste una possibilità di vivere senza scarpe... Attualmente il mercato è una realtà così intrinseca alla cultura ANTROPICA da essere paragonabile, non so, alle città, ai condomini, alle strade. Potrei anche parlare dei danni che le strade hanno fatto al mondo ma sarebbe inutile postulare la possibilità di un mondo senza strade. Quindi, vi state lamentando di una cosa che vi tocca poco (perché secondo me l'esistenza di McDonald's o della musica pop vi tocca poco) e ne state facendo un cataclisma solo perché volete "reificare" una causa di tutti i mali, come i cristiani fanno col diavolo (da cui la frase "il mercato è IL PROBLEMA del mondo"). Sul mercato si sono scritte e si scrivono molte cose da tempo. Io non sono un esperto ma da artista mi rimando sempre alla teoria di Jean Beaudrillard che vede negli oggetti dei mezzi per esprimere le nostre personalità. Il mercato è la società e nel mercato, tramite la soddisfazione di alcuni desideri (che non sono bisogni), si esprimono i nostri gusti, il nostro senso del bello, le nostre scelte, le nostre libertà e costrizioni. Per alcuni questa è la summa dello strutturalismo, l'idea, ovvero, che nel mercato vengano irretiti non solo i nostri bisogni, e i nostri soldi, ma anche il nostro modo di essere. Io credo, invece, che questi sistemi seguano logiche umane "naturali", fatte di masse, nicchie, trasversalità, consensi, dissensi. Comprare biologico, oggi, è una scelta NEL mercato, non FUORI, ed è grazie alle modalità di mercato che le aziende che producono bio riescono a trovare clienti, a sopravvivere. Detto questo, un discorso sul mercato ha senso solo se fatto in modo molto specifico. Parliamo di QUESTO mercato, descriviamolo bene e poi, forse, parliamo di quali potrebbero essere delle alternative credibili. Ma io rimango ottimista, non mi piacciono i discorsi demagogici, continuo a rimanere convinto di alcuni principi sul mercato musicale (tipo che senza il villaggio globale non ci sarebbe stata la baroque renaissance, che il mercato è alla base della diffusione del sapere, che nei secoli i buoni musicisti sono aumentati e non diminuiti) e temo discorsi troppo grandi e generalizzanti. p.s. mi sono anche trattenuto... perché, senza offesa per nessuno, ma una cosa come "mercato+uomo= schiavo della società" va bene scriverla a 12 anni sul diario...
  18. ci siamo trasformati nel forum dei Cinque Stelle? :-) Alla proposta "pensiamoci bene" dico: ok, c'ho pensato bene, e credo che la frase "il mercato è il problema del mondo" sia priva di senso.
  19. John Adams ha scritto un originalissimo oratorio natalizio, che si concentra nella prima parte su Maria e angeli e quindi potrebbe anche essere inteso come oratorio dell'avvento e della nascita: "El Nino". http://en.wikipedia.org/wiki/El_Ni%C3%B1o_(opera) vedo che nel link si citano anche alcuni testi. Per il mio gusto, sarebbe molto carino trovare qualche testo assurdo medievale, quei trattati teologici strani che si occupavano delle cose più assurde, tipo se Gesù aveva l'ombelico o no. Ci sarà qualche dissertazione sulle doglie di Maria...
  20. il tema tipico dell'avvento è la prefigurazione della venuta di cristo. Quindi, tutte le profezie dell'antico testamento sulla venuta del messia, qui un elenco https://www.lds.org/liahona/2008/12/7?lang=ita il profeta per eccellenza è giovanni battista, in questo senso... sarebbe interessante approfondire anche le novene, che sono tipiche dell'avvento
  21. Sulla sillabazione "sarei" d'accordo con Zedef, nel senso che la sillabazione è una caratteristica intrinseca alla lingua e, nello specifico, alla lingua latina (au- di aures è un dittongo di per sè, non perché lo decide il compositore), ma la mia anima freakkettona ci tiene a sottolineare che, comunque, ogni compositore fa quello che vuole. Non solo, da cantante posso testimoniare che i bravi esecutori decidono sempre delle divisioni interne relative alla pronuncia spicciola. Cioè, se ho una bella sillaba "au" su un do che dura due quarti, mi segnerò con la matita dove pronunciare la "u" che chiude la sillaba e lo farò seguendo la divisione ritmica della frase (metti che l'accompagnamento è puntato, magari deciderò di mettere la "u" sull'ultimo ottavo o sedicesimo disponibile) o un mio particolare pensiero interpretativo (potrei sfumare dalla "a" alla "u" passando per la vocale intermedia "o", per esempio). In questi casi avere delle indicazioni da parte del compositore non fa schifo. Nella polifonia vocale sarebbe molto utile, non solo sulle vocali ma perfino sulle consonanti, soprattutto finali. Non c'è una prassi esecutiva codificata per le "esse" finali, per esempio. Le esse hanno una durata e sforano molto, hanno un valore ritmico molto udibile, e capire quanto debbano o possano durare potrebbe essere utile nella costruzione di una frase di polifonia. Stessa cosa per tutte le altre consonanti. Mi viene in mente una frase tipica, "Fac me Crucem custodire". Prendiamo "Fac Me Crucem", dividiamolo in una battuta di 4/4 come Fac-Me-Cru-Cem. Se il tempo lo permette, la "vera" pronuncia di tutti gli elementi fonetici della frase presupporrà una suddivisione molto più complessa. Un solista probabilmente canterebbe così (dividendo in sedicesimi): Fa-a-a-c/ Me-e-e-Cr/ u-u-u-u/ ce-e-m-m. In un contesto polifonico, però, fonemi come la "c" gutturale di "fac" potrebbero servire come articolazioni ritmiche o fraseologiche. Se dopo un Fac di un quarto ci fosse una pausa sempre di un quarto, allora probabilmente avrebbe senso far durare la "a" solo un ottavo e troncare con la "c" gutturale. E questo perché la scrittura di prima, ovvero fa-a-a-c provocherebbe un fortissimo accento sul quarto sedicesimo, che è tempo debole. Tutte queste considerazioni, che spesso riguardano gli esecutori, potrebbero proficuamente essere prese in considerazione anche dai compositori (che in genere le ignorano...). Quello su cui sono veramente in disaccordo, però, è il discorso sull' "aghnus". E' un discorso complesso quindi cercherò di essere schematico. 1) non conosciamo fino in fondo la pronuncia corretta del latino classico. Chi ha fatto latino al liceo o all'università dovrebbe sapere che la nostra pronuncia è errata, poiché molto probabilmente nel latino classico non esisteva la "c" palatale, non esistavo i dittonghi per come li pronunciamo noi e tutte le consonanti e le vocali di derivazione greca venivano pronunciate alla greca. Ovvero, "Caesar" si pronunciava "Ka-e-sar", etc etc. 2) il latino di cui stiamo parlando noi, però, è latino medievale, e il latino medievale non ha mai avuto una e una sola pronuncia. E questo perché non era e non è una lingua morta. E' un discorso particolare, assimilabile a quello sull'inglese di oggi. Ha senso andare in Jamaica e dire ai giamaicani che pronunciano male l'inglese? Il loro inglese è una lingua viva, quasi una lingua autonoma, tanto che i linguisti dividono fra jamaican english e british english. Allo stesso modo, nel 1500 è praticamente certo che i teologi francesi che parlavano latino lo pronunciavano con una serie di "particolarità" fonetiche, tipo gli accenti sulle ultime sillabe, tipo le "c" che invece di essere palatali erano simili alle "s", tipo alcuni dittonghi pronunciati come i dittonghi del volgare francese. Ma ha senso dire che il modo "italiano" è più corretto del modo francese? La risposta è no. 3) in una esecuzione veramente informata, e non fintamente filologica, i criteri di "scelta" di una pronuncia possono essere tanti. Quello più ovvio, e LEGITTIMO, è che si pronuncia nel modo in cui il tuo coro o il tuo solista sono più comodi. Ovvero, cori tedeschi pronunciano alla tedesca (con le "c" che diventano "z"), cori italiani pronunciano all'italiana. Altro criterio potrebbe essere la nazionalità del compositore, e quindi Palestrina si pronuncia all'italiana ma Mozart si pronuncia alla tedesca. Se possibile, un criterio molto "di classe" sarebbe pronunciare secondo quello che la partitura ti chiede... ho cantato mesi fa per MiTo una messa di Cherubini, e l'accentuazione musicale ci ha fatto capire che era tutto "alla francese": matèr, patèr, nostrùm. Ecco, se avessimo voluto avremmo potuto, non so, pronunciare la "u" come una "iu", o i dittonghi "au" come "o". Esempio ancora più lampante è un bellissimo carol di William Walton che ho cantato l'altra sera. Si intitola "Make we joy now in this fest" ed è tutto basato sulle assonanze tra inglese e latino. Le frasi sono metà in latino e metà in inglese, e il latino DEVE essere pronunciato alla inglese altrimenti non ci sono le rime. Ecco uno stralcio del testo Make we joy now in this fest, In quo Christus natus est. Eya, eya. A Patre Unigenitus, Is through a maiden come to us: Sing we of Him and say 'Welcome' Veni, Redemptor gencium. Agnoscat omne seculum, A bright star made three kings to come, Him for to seek with their presen's, Verbum supertum prodiens. "A patre unigenitus" va pronunciato con la finale "as" in modo che faccia rima con "is through a maiden come to US", in inglese. Ora, pronunciare queste frasi latine "all'italiana" significa non solo fare una cosa che il compositore non voleva (l'intenzione del compositore è palese, qui), ma distruggere dalle fondamenta l'unica trovata carina di questo pezzo. Ignorando ancora una volta il fatto che nel '500 probabilmente l'inglese in Inghilterra era pronunciato in questo modo e non nel modo che i nostri prof. liceali ci hanno insegnato
  22. mi pare di capire che la situazione sia questa: 1) Ludwig di Baviera fissa Wagner per ora; 2) Wagner cerca di capire perché e suppone che sia perché lui (Wagner) è un mito, un po' come Shakespeare e Beethoven; 3) e ricorda quanta soddisfazione gli fece il sogno in cui conosceva Shakespeare... Da cui le mie frasi. Ludwig era un mitomane omosessuale, Wagner si faceva adorare con piacere, e sotto pagamento, ed era così egocentrico da giustificare la cosa (l'adorazione) come normale, visto che lui stesso adorava Shakespeare e Beethoven
  23. http://www.ilcorrieremusicale.it/2012/11/30/lohengrin-alla-scala-il-nostro-dizionarietto/ ti linko il dizionarietto che l'anno scorso il corriere musicale ha pubblicato in vista del Lohengrin della Scala. Ho scritto la voce "Ludovico II di Baviera". Riassumendo, Ludwig era un mitomane (e omosessuale, il che spesso peggiora le cose). E Wagner ne ha saputo approfittare.
  24. dopo il like di tenore ho notato che forse sono stato un po' perentorio :-) la mia opinione rimane quella, ma spiego brevemente le ragioni: far cantare una bambina a quel modo è tanto quanto farle fare una plastica al seno. La voce "impostata" dovrebbe essere la conseguenza di uno sviluppo naturale (aiutato dallo studio) e di una ricerca estetica matura. Il colore scuro, il vibrato, la potenza di alcune note in quella bambina sono forzature, scimmiottamenti anti-fisiologici. Cose di questo tipo fanno male anche agli adulti, e lo fanno ancora di più ai bambini. Male fisicamente, danneggiano l'apparato fonatorio. E male "esteticamente", perché non hanno niente a che fare con gli ideali artistici che dovrebbe perseguire un cantante (o un maestro di canto). Le voci bianche hanno un bellissimo repertorio, ricordo come gran parte della musica vocale antica (diciamo pre-barocca) prevedesse cori e solisti voci bianche. Va molto di moda fare lo Stabat Mater di Pergolesi con voce bianca solista e di certo quella voce bianca non canterebbe come la bimba nel video...
×
×
  • Crea nuovo...