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Piano Concerto - Forum pianoforte

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non apprezzo Carli Ballola ma tra le righe dei miei commenti c'era un pensiero comune con lui e con Daniele: scrivere per voce "imitando" gli strumenti è sempre stato comune. MA! Ma prima di Beethoven (la butto lì, immagino che lui sia stato il primo ma non ne sono affatto sicuro, anzi) lo strumento di cui la voce doveva prendere il posto era uno strumento solista. Man mano si arriva agli strumenti con scrittura da camera (e Mozart ci dà svariati esempi di scrittura vocale che imita gli ensemble da camera e scrittura da camera che imita la scrittura vocale) e poi, in fine, si arriva allo strumento in orchestra. Ecco, io ho l'impressione che nella Nona, come nel Fidelio, la voce sia uno strumento d'orchestra. Bene? Male? Non lo so, se facessi il docente di canto direi che si studia per cantare il repertorio, e se il repertorio ti dice di cantare cose difficili allora studi per cantare cose difficili....

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"Entrambe queste due cantate – e soprattutto la prima – non furono mai eseguite perché ritenute impervie per la voce, segno dunque che, il giovane Beethoven, già intendeva la composizione con parti vocali in una certa maniera".

.........................................corretta da Salieri, il quale spesso si lamentò che il compositore venuto da Bonn, proprio in merito a ciò, non capiva nulla.

 

Dani gentilmente mi potresti dire la provenienza di queste affermazioni, per favore? Cioè la fonte, non il libro (o i libri) che le tramandano? Ho sotto gli occhi le WoO 99, nella copia conservata al Musikfreunde, ed anche il libro di Nottebohm, (Beethovens Unterricht bei Haydn, Albrechtsberger und Salieri.) ma grosse correzioni non ne vedo, se non in qualche accentazione, tipo "Salvò tu vuoi lo sposo" al luogo di "Salvo"... niente di trascendente....

In quanto alle due Cantate, chi l' avrebbe detto e dove? Il coro a Bonn non era malaccio, semmai lo erano i fiati (oboi e clarini) deficitari, e i flauti assenti (basta guardare l' organico della Cappella del Principe Elettore.

 

Grazie mille Daniele per l' aiuto! A presto!

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Ciao Armando, ti chiedo scusa se ti rispondo solo ora ma...!

:( In realtà debbo chiedere scusa a te e a tutti quelli che mi hanno letto perché, in effetti, tu hai ragione: la parte deficitaria alla corte di Bonn fu quella degli ottoni. Come, purtroppo sovente mi accade, quando mi affido alla mia memoria senza verificare, faccio delle gaffes. Eppure dovrei essere consapevole che ormai sono un po' vecchietto!

:phew: Quanto alle WoO 99, in effetti anche qui, puoi aver ragione, in quanto le correzioni riguardano più che altro le varie versioni di “Fra tutte le pene”, dove ci sono seconde versioni corrette da Salieri.

Epperò, la mia forzatura nel dire che Salieri pensò assai male di Beethoven non è così campata in aria.

Faccio riferimento a quanto Ferdinand Reis scrisse nei suoi appunti biografici, pubblicati assieme, nel 1838, con il dottor Wegeler. In particolare mi riferisco a laddove il Reis, descrivendo il rapporto fra Beethoven e i suoi tre maestri a Vienna: Haydn, Albrechtsberger e Salieri scrisse: « Ognuno affermava che Beethoven era stato sempre così caparbio e d indipendente che aveva dovuto apprendere attraverso una dura esperienza personale molte cose che in precedenza aveva sempre rifiutato quali argomenti di studio. Di questa opinione erano soprattutto Albrechtsberger e Salieri. Le aride regole del primo e quelle insignificanti del secondo riguardo alle composizioni drammatiche (sulla base della scuola italiana dell'epoca) non potevano riuscire gradite a Beethoven. »

È molto interessante questa parte perché coincide, guarda caso, con le maggiori critiche che sono state fatte a Beethoven in merito al contrappunto – maestro Albrechtsberger – e musica vocale – maestro Salieri – e dimostrano ancora una volta, sempre dal mio punto di vista, l'idea di estrema libertà – altro che qualche licenza come annotato nella Fuga a tre voci dell'Hammerklavier – che Beethoven si prese nei confronti delle regole fino allora date in materia.

Ma sintomatico del rapporto che venne in seguito a crearsi fra l'allievo e il suo ex maestro di canto, furono le forti critiche che Salieri rivolse a “Fidelio” e, più in generale a tutta la musica beethoveniana, e questo, come ho già detto da altra parte, fino ad influenzare Schubert a tal merito.

In una lettera del gennaio 1809 – la 350 secondo la numerazione di Brandenburg – Beethoven scrivendo all'editore Breitkopf & Härtel così si sfogò: « Ma la gente dovrebbe sapere che nessuno qui ha più nemici di me, il che è tanto più comprensibile in quanto le condizioni della musica peggiorano di giorno in giorno. Abbiamo dei maestri di cappella che non solo non sanno dirigere, ma non sanno neppure leggere una partitura. Al Theater auf der Wieden, poi, la situazione è ancora peggiore. È lì che ho dovuto dare il mio concerto, ed è lì che l'intero mondo musicale ha cercato di ostacolarmi. Per odio contro di me, i promotori del concerto delle vedove, il signor Salieri in testa, hanno vigliaccamente minacciato di espellere dalla loro società gli orchestrali che avessero suonato per me.»

Caro Armando, aldilà dunque delle mie indubbie gaffes, è assai chiaro cosa Salieri pensasse di Beethoven del suo modo di trattare con le voci e della sua musica in generale.

« Il gigante Beethoven apparve con le sue gigantesche creazioni, ma gli strumentisti non furono in grado di eseguirle e il pubblico non le capì. Quante volte, assistendo all'esecuzione di una stupenda sinfonia del maestro, mi capitò di sentir dire: “È una totale assurdità” e di vedere con che rapidità (specialmente verso la fine di una sinfonia) l'uditorio si vuotasse, quasi avesse iniziato improvvisamente a diluviare, ma non di acqua si trattava, bensì di puro spirito. Beethoven dovette addirittura ritirare il magnifico, il più grande capolavoro, l'ouverture dell'opera Leonore, perché la si riteneva ineseguibile. Ora gli strumentisti hanno studiato a fondo tutti questi capolavori; senz'altro, conoscono a memoria ogni nota e pertanto eseguono questi brani con la massima precisione possibile e in questo modo anche il pubblico ha imparato a capirli e ad amarli. »

(Dalle memorie del poeta Ignaz F, Castelli, Memoiren meines Lebens, Gefundenes und Empfundenes Erlebtes, hrsg. v. Josepf Bindtner, München 1913)

 

Ciao Armando e...scusami per l'ennesimo lungo pistolotto! :D

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Caro Daniele, ma quali gaffes?

 

In effetti le tue fonti sono le mie fonti. Purtroppo sono inoppugnabili ma inquinate; la lettera 350 dallo stesso Beethoven, che scrive una missiva piena di quella tipica boria - autocommiserazione - denigrazione ed autocelebrazione tipiche del giovane rampante; il suo valore è quindi non obiettivo. La seconda -- ovvero l' eccellente libro degli amici di Beethoven ---- è appunto stato scritto da amici di Beethoven (in particolare Wegeler). Scartabellando alla BH ho scovato questo bel documento che hanno messo pure on-line: http://www.beethoven-haus-bonn.de/sixcms/detail.php?id=15366&template=dokseite_digitales_archiv_en&_eid=1507&_ug=Musicians&_dokid=b1003&_mid=Written%20documents%20by%20Ludwig%20van%20Beethoven%20and%20other%20people&suchparameter=&_seite=1

Certo, gentilezza generica, rivolta a più persone, ma pur sempre inoppugnabile gentilezza....

 

Ciao e grazie Daniele!

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  • 1 month later...
  • 3 months later...
Entriamo ora nella parte più drammatica e più bella dell’opera: il secondo atto. Siamo nell’interno della buia cella di Florestan la cui “oscurità è rotta dal chiarore di una lampada”. La simbologia della contrapposizione fra le tenebre – il male – e la luce - il bene - trova qui la sua massima espressione di drammatica bellezza musicale.

Nelle parole declamate da Florestan c'è l’accettazione di quello che il Divino gli ha destinato, confortato in questo però, dalla consapevolezza che comunque sia, egli ha svolto il suo dovere di uomo libero e onesto. le parole che Beethoven fa cantare a Florestan sono espressione della sua filosofia di vita:

E 'una lunga lunga lunga pubblicazione. Sarà assolutamente prendere la mia serata completa di studiare. Ma utile!

Siamo spiacenti, ma non riuscivo a capire che cosa esattamente voluto significare :-(

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E 'una lunga lunga lunga pubblicazione. Sarà assolutamente prendere la mia serata completa di studiare. Ma utile!

Siamo spiacenti, ma non riuscivo a capire che cosa esattamente voluto significare :-(

 

Sempre a disposizione, nei limiti delle mie possibilità, a cercare di chiarire! :)

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Entriamo ora nella parte più drammatica e più bella dell’opera: il secondo atto. Siamo nell’interno della buia cella di Florestan la cui “oscurità è rotta dal chiarore di una lampadine led”. La simbologia della contrapposizione fra le tenebre – il male – e la luce - il bene - trova qui la sua massima espressione di drammatica bellezza musicale.

Nelle parole declamate da Florestan c'è l’accettazione di quello che il Divino gli ha destinato, confortato in questo però, dalla consapevolezza che comunque sia, egli ha svolto il suo dovere di uomo libero e onesto. le parole che Beethoven fa cantare a Florestan sono espressione della sua filosofia di vita:

E 'una lunga lunga lunga pubblicazione. Sarà assolutamente prendere la mia serata completa di studiare. Ma utile!

Siamo spiacenti, ma non riuscivo a capire che cosa esattamente voluto significare :-(

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