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Piano Concerto - Forum pianoforte

pestatasti

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Tutto postato da pestatasti

  1. Ora capisco... "basta col ricamo, i merletti, la musica"... Certo pensando al discorso di De Sanctis (e alle conseguenze) il riferimento di Renzi alla necessità di "portare o riportare" la bellezza della musica nelle scuole (e nella quotidianità) è davvero, come dici, inaudito. Speriamo nelle tagliatelle...
  2. Aggiungo: nelle ore di letteratura si leggono ed analizzano i testi letterari (e qualche volta si fanno imparare a memoria), nelle ore di storia dell'arte ("arte" che evidentemente viene concepita esclusivamente come figurativa-architettonica) si spiegano le opere, e in entrambi i casi si imparano le biografie dei grandi letterati, pittori, scultori ed architetti del passato. Perchè non si fa altrettanto con la musica? Forse si considera la musica d'arte come roba troppo in alto per i ragazzi? Si ritiene che un ragazzino non abbia gli strumenti per ascoltare la grande musica mentre invece (stranamente) li abbia per comprendere i canti della divina commedia? O forse la musica non è considerata vera arte? Vorrei che in classe si ascoltasse la nona di beethoven come si leggono i promessi sposi... che si insegnasse la biografia di Verdi come si insegna quella del Pascoli... Il fatto che non avvenga è davvero un'assurdità
  3. Complimenti Maestro! bellissimo respiro... ottima atmosfera... soprattutto considerata l'esecuzione dal vivo. In realtà sembra non sia del tutto vero che Debussy non sia mai stato in Spagna: secondo Francois Lesure infatti nel 1880, in occasione di vacanze estive, avrebbe trascorso un pomeriggio a San Sebastian assistendo anche ad una corrida. La Francia di fine secolo (in generale l'estetica dell'art nouveau) era però imbevuta di esotismo, "spagnolismo" e orientalismo in genere (basti pensare a Gauguin, all'interesse per le stampe giapponesi, la celebre "onda" di Hokusai con il monte Fuji sullo sfondo che mi richiama chissà perché Les Pagodes), e sebbene Debussy non fosse certo incline alle mode, ha attinto a piene mani dal partimonio musicale "esotico" (arabo e balinese) nella sua scrittura già post tonale, che ha proprio nelle estampes un esempio meraviglioso. L'esposizione universale di Parigi, probabilmente, ha avuto un'influenza decisiva: è qui che si è immerso nell'esotismo e sembra abbia conosciuto l'orchestra gamelan, usandone poi i modi slendro e pelog e lasciandosi influenzare anche nella concezione del brano musicale come una serie di eventi combinabili e tra loro sovrapponibili. Grazie per queste interpretazioni.
  4. La coerenza è un fatto oggettivo e non un opinione. Cos'è che rende coerente? In musica la ripetizione, se del caso variata, degli elementi motivici (ritmici, armonici, melodici, effettistici, e di qualsiasi natura essi siano...). Questo vale per la musica rinascimentale come per quella del XI secolo. Schomberg lo spiega molto bene. Guardate, Beethoven (tanto per citare qualcuno) ha costruito enormi palazzi musicali su semplici motivi variati e ripetuti al parossismo. In Bach sono gli elementi motivici del soggetto e controsoggetto che tengono insieme tutto. E' ovvio che l'arte deve essere l'ibera e un compositore sceglie il suo "target" in base alle proprie motivazioni, sensibilità, committenze, ecc. ecc... Tanto più un brano ha una destinazione "popolare", tanto più dev'essere immediatamente comprensibile, ergo tanto più deve essere coerente (ritornelli, melodie che si ripetono, bassi e ritmi ostinati...). Se non ci si pone il problema dell'intelligibilità (non dico della gradevolezza che è una questione soggettiva) possiamo permetterci idee estrose e del tutto incoerenti. Penso però che senza un minimo di coerenza (intesa come sopra) non si possa parlare di "opera" sia essa musicale o di altro tipo: sarebbe come chiamare "romanzo" uno scritto che cambia argomento ad ogni rigo. Scusate ma questo è ciò di cui sono convinto.
  5. Molto affascinante... in effetti c'è sempre stato un forte legame tra musica e le piante. Il legno ha la "naturale" e "straordinaria" capacità di... risuonare in un modo che gli altri materiali inorganici non sono in grado di riprodurre, e fino a un paio di secoli fa era il materiale principale (o esclusivo) di quasi tutti gli strumenti musicali. Quando ho visto il "convertitore di impulsi", però, mi è subito venuto in mente questo capolavoro (minuto 1:30 e segg.): http://www.youtube.com/watch?v=Ld7SE2qumpA In passato mi aveva colpito quest'altro modo, assai più semplice, di far musica con le piante, come esempio di tecnologia che riporta alle origini (il famoso bastone picchiato contro il tronco):
  6. La tecnica strumentale, soprattutto all'inizio, si impara "a bottega", osservando, ascoltando ed imitando. Per questo, se posso permettermi, ti consiglierei di farti seguire e prestare più attenzione alla scelta di un buon maestro (ed è tale quello che si preoccupa anche e soprattutto della musicalità).
  7. Infatti, nonostante non si trattasse di un principiante, ero rimasto sorpreso e dubbioso anch'io (l'ho detto tra parentesi). Grazie per l'accurato e come sempre interessante chiarimento.
  8. Grazie anche a Pianoexpert e Marta23. Un chiarimento. Nelle mie prime lezioni di pianoforte il Maestro mi faceva alzare le dita il più possibile tenendo il polso rigido (ricordo anche la sensazione di spasmo che provavo). Una persona che aveva studiato con Maria Tipo mi raccontava (e quindi non so se diceva balle) che la stessa cosa (a livelli evidentemente più avanzati) veniva pretesa anche dalla grande pianista. Certo dai miei studi sono passati 30 anni ma ho sentito ancora dire che l'articolazione (da intendersi come sopra) sarebbe la prima cosa da insegnare ai bambini perché propodeutica rispetto a tutto il resto. E' questo approccio che porterebbe a suonare sulle uova? Mi interessa non tanto x me (ormai sono irrecuperabile: più che suonarci sopra, le uova le lancio direttamente su chi mi ascolta ) quanto per i miei piccolissimi che sono attirati dalle mie "tastiere" e a cui il prossimo anno pensavo di far frequentare una scuola, magari con il metodo Suzuki.
  9. ... e non si può pensare che ci sia un forte legame tra le caratteristiche individuali (i termini "doti" o "doni" non mi piacciono) e le aspirazioni di ciascuno? Non ho mai conosciuto uno stonato inguaribile innamorato della musica. Durante gli studi, specie i primi, c'erano un sacco di stonati ma erano tutti forzati dai genitori. Così come non conosco persone spaventate dal sangue che aspirano a fare i chirurghi, o persone negate per la matematica che pretendono di diventare fisici... Penso che chi è "naturalmente" portato per la musica sia meglio disposto ad impegnarsi con disciplina per sviluppare le proprie capacità. Condivido appieno anche la considerazioni di negative di leoravera sulla eccessiva enfatizzazione del talento: 1) non fa giustizia agli artisti che si sono "fatti" lavorando sodo; 2) demoralizza chi si ritiene (x un motivo e x l'altro) poco "talentuoso"; 2) al contrario, spinge al fallimento chi si ritiene "talentuoso" e pensa per questo di non aver bisogno di lavorare ed imparare: a proposito di bambini prodigio (espressione che trovo orribile) quanti restano prodigi anche da adulti? Aldilà di questo, poi, trovo che il voler collegare qualità artistiche con le caratteristiche genetiche se per certi aspetti, soprattutto di tecnica strumentale, è corretto (chi ha mani grandi è facilitato a suonare il pianoforte), esprima però una concezione antropologica deterministica e nichilista. Non so, mi richiama alla mente un certo modo di ragionare Lombrosiano fortunatamente consegnato alla storia (ma sarà poi vero?).
  10. Articolare porta rigidità? - stimola contrazioni "passive" (non necessarie)? - limita la funzionalità dell'intero apparato (spalla, braccio, avambraccio, polso)? - ergo: aumenta le difficoltà tecniche e deprime le possibilità espressive? Che ne pensate di un approccio che limiti la funzione delle dita al minimo (ossia al posizionamento della mano sulla tastiera) affidando tecnica ed interpretazione a peso e polso? Come dovrebbe porsi l'insegnante nei confronti del bambino all'inizio degli studi?
  11. In effetti... sicuramente a fare 5 minuti di spettacolo TV in seconda serata
  12. A me è stato detto (non dico da chi, salvo che è un noto cembalaro ) che anche (nientepopodimenoche) Ottavio Dantone si sarebbe costruito un fiammingo da Kit che tuttora userebbe per studio e prova.
  13. La filologia non dev'essere fine a se stessa ma penso che oggi non possa essere nemmeno essere trascurata. Come un grande attore non mette la propria personalità davanti a quella del personaggio che interpreta, così l'interprete per farsi "attraversare" e diventare "l'opera che intepreta" non deve mettersi davanti ma dietro il compositore.
  14. Sicuramente la componente marketing c'è e si vede. Purtroppo viviamo tempi in cui tutto viene considerato "prodotto" da vendere. E' difficile oggi per un musicista, soprattutto giovane, sfuggire a una certa forma di comunicazione (che oltre al vestito, spesso riguarda la gestulità) strumentale al marketing. Se vuoi incidere, se vuoi farti conoscere ai livelli alti non puoi farne a meno. La Lisitsa, forse, non si sottrarrà a questa logica. Detto questo, pur rispettando il punto di vista di Davehammerklavier, le conclusioni che trae sullo "stile" di questa pianista mi sembrano fuori luogo. Anch'io mi sento vicino, per sensibilità, ad una visione sacrale, quasi "ascetica" dell'arte, ma non capisco dove si basi il giudizio di "superficialità" dato alla Lisitsa. E' ovvio che si tratta di gusti personali e secondo il mio, di gusto, il pregio della Lisitsa non stà tanto (o soltanto) nella pulizia tecnica quanto nella varietà e nella bellezza del timbro, nella purezza della voce che riesce a trarre dallo strumento, conseguenza, a mio parere, proprio della sua gestualità così particolare ed evidente da sembrare "ostentata" (e che forse per questo viene incompresa e criticata e come una sorta di trovata commerciale). E scusate se è poco. Pura estetica fine a se stessa? Intrattenimento? O piuttosto una toccante (oltre che raffinata) esecuzione? Giudicate voi:
  15. Riprendo il discorso originario per dare la mia personalissima opinione che spero sia un gradito contributo per SammyChopin. Anzitutto (sembrerà banale ma) è fondamentale considerare che le difficoltà espressive in Chopin sono pari (se non superiori) a quelle tecnico-meccaniche. Senza padronanza del rubato, del legato (o meglio dei legati), e con un timbro piatto, qualsiasi brano, anche (anzi direi soprattutto) quello apparentemente più abbordabile perde spessore, diventa sporco e scadente tanto quanto un pezzo "difficile" suonato senza tecnica. Per questo, sencondo me, i preludi sono in assoluto pezzi... da 90. Tra i più difficili... Secondo il mio punto di vista (e la mia esperienza), fatta eccezione per qualche pezzo (tipo op. 69, n. 1) per affrontare Chopin conviene partire subito dall'opera che ne concentra tutto lo "strumentario": gli studi. Si dirà: "ma il livello tecnico non me lo consente ancora". A quest'obiezione risponderei con una serie di osservazioni. In primo luogo nessuno "nasce imparato". Lo scopo è quello di crescere e allora anziché rischiare di imparare male uno Chopin apparentemente facile fossilizzando errori difficili da sradicare è meglio approcciare con assoluta umiltà all'opera "didattica" per eccellenza. In secondo luogo non dimentichiamoci che Chopin è stato un pioniere della tecnica disvelando una serie di gesti (uso di polso, braccio, avambraccio e corpo, sfruttamento del peso) sino ad allora misconosciuti; gli studi sono una sorta di abbecedario di questi gesti tecnici, trasmettono i codici per decriptare le difficoltà del pianismo "maturo": non andrebbero visti soltanto come pezzi "difficili", quanto piuttosto come pezzi che aiutano a vincere le difficoltà. In terzo luogo tenendo a mente gli insegnamenti ricevuti e, soprattutto, osservando come si muove chi suona veramente bene (si parlava in un altra recente discussione di Valentina Lisitsa), comprendendo come si deve affrontare ogni signolo passaggio, seguendo un buon metodo di studio fatto sopratutto di concentrazione e, perché no, grazie a buone letture, si possono fare anche in poco tempo passi da gigante.
  16. Sabato 29 giugno, su radio 3, avevo avuto il piacere di ascoltare i jeaux d'eau. Davvero una bravissima interprete. Interessanti anche le sue considerazioni sul pianismo di Ravel, ispirato al superamento del carattere percussivo dello strumento.
  17. No, no, nessuna affermazione... al contrario era una domanda (infatti ho messo il punto interrogativo) anche provocatoria. Confesso la mia frustrazione e invidia per aver ormai divorziato malamente dall'elettronica dopo aver battuto e ribattuto la testa contro latenze ed altri problemi vari per me irrisolvibili e invece banali per chi mastica un minimo di ingegneria elettronica. Scherzi a parte a me la musica elettronica (di qualità) piace molto. Comunque sono davvero convinto che i mezzi influenzino il modo di scrivere e, quindi, l'estetica musicale. Il contrappunto nasce da una scrittura pre-tonale concepita ancora per lo strumento musicale più antico: la voce. Magari dico una sciocchezza ma ho spesso pensato che, oggi, i moderni sequencer inducano a scrivere "a strati sovrapposti". Il brano diventa una serie di "loop" che si ripetono e si combinano l'uno con l'altro. Effettivamente è una caratteristica che si riscontra, non certo nella musica colta cosidetta "contemporanea", ma in molti brani magari più leggeri e (perdonatemi se aggiungo un'altra castroneria) nel cosidetto minimalismo.
  18. ... anche in conseguenza dei mezzi: oggi è l'era dell'elettronica e del digitale. Meno creatività musicale, più fantasia ingegneristica?
  19. Errata corrige: riascoltando la lettura radiofonica al link che ho indicato mi sono reso conto che il mio riferimento al racconto del soggiorno a Majorca era contenuto proprio nelle "Storie della mia vita" e non in "Un inverno a Majorca". Lì si trova anche (min. 8:50) il celebre racconto della Sand sulla composizione del preludio c.d. "della goccia d'acqua" (se non erro lo ricorda anche il revisore di una edizione Curci dei preludi). Scusatemi tantissimo, ma la mia mente a volte fa strane sovrapposizioni...
  20. Condivido quanto osserva daniele. Per carità una lettura romanzata delle vicende sentimentali di un grande artista del passato, magari costruita sulle emozioni evocate dalle sue opere, non è inaccettabile di per sé. Dovrebbero anche esserci almeno un paio di film sulla storia Chopin-Sand che (non li ho visti ma presumo) seguono questo tipo di approccio. Credo però che, se si vuol avere una idea corretta della biografia, sia più giusto mantenere il distacco proprio di un approccio "storico". La Sand, forse proprio per la sua personalità libera, doveva essere molto ambita (anche a giudicare dalle sue molte "vittime" maschili, volendo ragionare così dovremmo dire che Chopin non è stato la prima nè la peggiore "vittima"...). Penso quindi che proprio l'aver fatto infatuare di sé una donna del genere, e averci vissuto una storia decennale, dimostri che anche Chopin era altrettanto ambìto... Confesso di non aver letto le lettere in cui Chopin parla della Sand (provvederò) che comunque, a quanto vedo, dovrebbero risalire a dopo la loro rottura, e quindi dovrebbero leggersi con la consapevolezza che i giudizi in esse contenuti risentono della sofferenza o del rancore per la fine di una storia. Ripeto tuttavia che gli scritti della Sand non sono affatto irrispettosi né mancano di amorevolezza per la figura di Chopin: "Il genio di Chopin è il più profondo e il più intenso di sentimenti e di emozioni che sia mai esistito. Ha fatto parlare un solo strumento: il linguaggio dell’infinito. Spesso è riuscito a riassumere in dieci righe che anche un bambino potrebbe suonare, poemi di un’immensa spiritualità, drammi di un’energia senza pari. Non ha mai avuto bisogno di grandi mezzi materiali per trasmettere la parola del suo genio; non gli sono stati necessari né sassofoni, né oficleidi per invadere di terrore l’anima, né organi da chiesa, né voci umane per colmarla di fede e di entusiasmo" (G. Sand "Storie della mia vita"). Ti allego anche questo link dove si leggono stralci dell'opera che ho citato: http://retedue.rsi.c...sand.html#Audio
  21. In realtà la Sand fu una personalità straordinaria. Anticonformista, "femminista", impegnata in politica, nell'arte... Scrittrice prolifera, donna dai mille amanti e numerosi mariti... difficile da digerire per la società borghese dell'epoca... di qui le maldicenze (lesbica, tiranna....) che ancor'oggi si tramandano. Non credo poi che Chopin fosse così sfigato... non doveva avere grossi problemi a trovare donne, se avesse voluto, visto il successo della sua musica soprattutto tra il gentil sesso... e nemmeno dal punto di vista economico doveva stare così male (scialaquamenti, veri o presunti, a parte)... Credo che tutti e due si attraessero profondamente. Erano due artisti, entrambi fuori dal comune (di qui anche le maldicenze ed i luoghi comuni sulla loro storia)... E anche la Sand, almeno nei suoi scritti, riporta dei momenti di assoluto affetto e cura. Se lo trovi leggi "Un inverno a Majorca", bellissimo romanzo-diario che, oltre a criticare i majorchini, racconta il soggiorno trascorso nell'isola spagnola con Frederich e i due figli ancora bambini... la nascita dei preludi, la malattia, i momenti di crisi, gli arcobaleni ed il chiostro del convento di Valdemossa che si riempiva di poesia quando suonava... purtroppo non ho trovato il libro ma tempo fa ho sentito la lettura di alcune stralci alla radio svizzera.
  22. che dire... un "KIT" non è che l'insieme dei "pezzi" che compongono uno strumento... la qualità del Kit dipende dalla qualità dei materiali e della lavorazione di questi "pezzi". Tanto per fare un esempio, senza fare nomi, alcuni kit forniscono salterelli in legno, tavola armonica in abete rosso, essenze di pregio (es: tiglio, pero, bosso...); in altri trovi salterelli in plastica, tavola in abete sitka... Da questo punto di vista vi sono dei kit ottimi che, a mio avviso, sono anche migliori rispetto a quanto si osserva in alcuni cembali costruiti artigianalmente dal legno grezzo. Ovviamente la qualità dello strumento dipende anche, anzi soprattutto, dal grandissimo lavoro che il Kit richiede: un Kit non è che il punto di partenza, il "concepimento" dello strumento, ed il lavoro di c.d. "assemblaggio" (in realtà è ben più che un semplice "assemblare" visto che si tratta di forare, rifilare, assottigliare, incollare, decorare, incordare ed intonare) è una lunga gestazione... Pensa soltanto all'importanza dell'assottigliamento della tavola armonica... alla delicata fase dell'incollaggio del ponte sulla tavola armonica; dell'incollaggio della tavola armonica sulla cassa; la voce dello strumento dipende in buona parte da queste lavorazioni. Per farti un esempio se (come mi è capitato con un conoscente) si incolla male il ponte, la tavola armonica non riceve come dovrebbe la vibrazione delle corde e lo strumento resta "debole"... poi (come in quel caso) si dà la colpa al Kit... Ancora, pensa ai fori per le punte delle corde: nel Kit trovi il ponte ed il capotatasto, dovrai essere tu a marcare il punto esatto e forare... e se non sei preciso rischi che le corde vadano "fuori posto" (troppo vicino o troppo lontano dal salterello) con inevitabili problemi di meccanica e disomogeneità del timbro. Pensa infine al lavoro di intonazione (ossia il taglio delle penne): la parte più "artistica" perché con essa si determina l'attacco, il volume e la pienezza del suono... Insomma, realizzare un Kit non è affatto uno scherzo; ci vuole una buona dose di disciplina, una buona conoscenza di questi strumenti, creatività e senso pratico, oltre ovviamente ad un adeguato ambiente di lavoro (non necessariamente un laboratorio ma nemmeno un angolo del salotto) e una minima attrezzatura (es. morsetti, trapano verticale, spessimetro, pialle, levigatrice, ecc...). Detto questo, se si parte da un buon Kit e si lavora bene e con passione... penso che il risultato non abbia nulla da invidiare al lavoro di un bravissimo cembalaro.
  23. De La Motte si proponeva forse, con questo testo (il "manuale di armonia", ovviamente) di "rivoluzionare" il metodo d'insegnamento (vedi anche l'interessante prefazione in cui contesta l'approccio antistorico all'armonia). Forse, a dispetto del nome, più che un manuale è un testo che approfondisce la storia dell'estetica musicale, ed è molto utile per avvicinarsi ancora di più ai grandi compositori del periodo tonale e comprenderne il gusto e la tecnica. L'ho trovato interessantissimo, a tratti illuminante e credo che non dovrebbe mancare.
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