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Piano Concerto - Forum pianoforte

thallo

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  1. E allora mi chiedo perché ti ostini a parlare di altro. Il problema è quello, ci sono persone a cui non interessa solo l'arte musicale. Ci sono artisti a cui non interessa solo l'arte musicale. In realtà il '900 è pieno di artisti, interpreti e creatori, che hanno deliberatamente cercato di fare cose che erano musica e anche qualcos'altro, o erano qualcos'altro e anche musica, o non erano nulla di preciso. L'arte concettuale non è puntiforme nel tempo... dire che risale al 1910, sottointendendo che è vecchia, sarebbe come dire che la pasta al sugo risale al 1800 e allora non la deve più cucinare nessuno... Con "figli deformi" volevo proprio mettere in campo una specie di assurdo, qualcosa che sia contemporaneamente frutto delle regole ma fuori dalle regole. Le regole, soprattutto in un'arte formalizzata come la musica, tendono a mantenere lo status quo, ad assicurare un equilibrio, sia esso formale, eufonico, concettuale o non so che. Io decido che il pezzo segue la logica tonale, imponendo delle regole, e lo faccio perché così suona bene, o perché voglio fare un pezzo in stile. Ma se seguo ostinatamente il gioco delle regole l'equilibrio si può trasformare in costrizione. Posso decidere di seguire la logica tonale "in stile", e fare un pezzo del '700, o posso decidere di seguire ossessivamente alcune regole tonali, facendo un pezzo circolare, non so, con un'infinita progressione cadenzale, posso portare l'ossessione all'altro estremo, un pezzo fatto di quinte parallele. Questa ossessione per il tonalismo era tipica del minimalismo delle origini ma era, a suo modo, un mezzo per rompere il sistema tonale dall'interno, saturandolo, seguendo in modo ossessivo alcune sue regole. Ed è assolutamente umano, direi quasi istintivo. Io sono molto per il post-moderno, il superamento della regola come fattore precostituito. Ma imporsi delle regole è normale, anche delle regole del tutto insensate, eccessive, inapplicabili. I bambini lo fanno spesso, provano a parlare con una sola vocale, provano per mezz'ora a fingersi ciechi, a tenere aperto un ombrello con la stessa mano con cui suonano. 1) Sì, ed è per questo che considero l'arte concettuale come figlia delle regole. Secondo me è la post-modernità che va oltre le regole, proprio perché le usa un po' sì e un po' no, senza considerarle fondanti. Ma rimane un discorso complesso e improbabile. Ci sono decine di tipi di arte concettuale diversi, migliaia di artisti che hanno seguito il loro proprio "stile" elaborando concetti, esperienze estetiche e oggetti più o meno collegati. C'è differenza tra il concerto per mano sinistra e ombrello e una composizione verbale, in cui sullo spartito hai scritto "disegna una linea dritta e seguila" (una delle Composition 1960 di La Monte Young) o una performance di body art di Marina Abramovich. 2) Tante regole fanno solo un concetto... non capisco fino in fondo cosa vuoi dire. Io ti dico che istituire delle regole non significa prevedere un risultato. L'arte concettuale, o comunque molte delle correnti d'arte contemporanea, vivono del processo artistico, insieme creativo e fruizionale. E' un'aleatorietà figlia di regole, quella per cui, non so, posso suonare cellule melodiche di 7 suoni seguite da accordi di 6 suoni seguiti a loro volta da altre cellule di 5 e poi accordi di 4 e poi cellule di 3 e poi bicordi e poi suoni lunghi. Ho inventato a caso delle regole stringenti, ma anche quando la regola è così ben congegnata da sembrare "matematica", bisogna ricordare che nella musica e nell'arte in genere la formula non corrisponde al risultato. 3) "La musica diventa tale solo quando riesce ad elevarsi dallo schema"... come sopra, penso che nessuna musica possa essere confusa col proprio schema. L'esecuzione è sempre diversa. Qui lo dico in modo un po' dogmatico, ma fidatevi, anche nelle composizioni più minimali, l'esecuzione riserva sempre delle sorprese. Per il resto, credo comunque che la tua frase sia troppo vaga per farmi dire "ok, sono d'accordo" :-) e allo stesso tempo, non posso che essere d'accordo con te! Ma, ti rivelo, quando ascoltavo Glass per la tesi, mi mettevo spesso al pianoforte a suonare una scala di Do maggiore seguita da una scala di Do minore. Io ci sentivo molte cose dentro, anche se non oserei mai dire che quella fosse una composizione bella "in sé". Qui sta tutta l'arte concettuale, credo. Se chi la fruisce è abbastanza stupido da credere alle stupidaggini di chi la crea, allora è stupenda. Io sono abbastanza stupido da farmi piacere quasi tutto. però "ad minchiam" è un complemento di modo, "a minchia" sarebbe di moto da luogo, non ha senso...
  2. Ah, quindi quando Shark parla della possibilità che il pianista si masturbi o si depili "la foresta" questo non è un modo di deridere il pezzo... io non ho idea di quale sia il risultato di questo pezzo, se sia di mio gusto o no, ma io inizio a non poterne più dello sbeffeggiare gli altri. Tutto il commento sul coro di peti e rutti è fuori luogo, mi colpisce davvero nel profondo... l'arte contemporanea è piena di ricerche profonde sulle verità del corpo e a fare gli schizzinosi si perde sempre l'occasione per apprendere e approfondire. Sono reduce da una stupenda produzione di "Dido and Aeneas" di Purcell. Eravamo con Fabio Bonizzoni e La Risonanza in Germania, a Regensburg. Noi del Costanzo Porta abbiamo fatto il coro, ma ci siamo ritrovati con una regista, che in realtà è soprattutto una coreografa di danza contemporanea, che ci ha assoldato per fare gran parte della regia. Ovvero, abbiamo "danzato" per tutto lo spettacolo. Questa "danza" consisteva in strusciamenti, abbracci, sguardi, rotolamenti per terra, a cui siamo arrivati attraverso un breve ma intenso training di 3 giorni. Eravamo sempre sull'orlo delle lacrime, è stata una delle cose più profonde che ho fatto su un palcoscenico, e alla prova generale abbiamo visto tutto il resto della coreografia, quello che non riguardava noi ma i danzatori solisti (quelli professionisti). All'inizio gonfiavano e scoppiavano palloncini di plastica. Noi che abbiamo lavorato in quella situazione eravamo col fiato sospeso, ammaliati dalla ritualità a volte insensata di alcuni gesti. I critici del Festival hanno scritto che la coreografia non aveva senso. Io non ho idea di come sia il risultato artistico di una composizione come quella che stiamo commentando, ma se avessi occasione di suonarla, mi metterei in gioco fino in fondo, proprio perché credo che ci siano possibilità che la musica "main stream" non ti dà. Rutti, pernacchie e peti sono da decenni usati per fare musica più o meno ironica, se gli Elio e le storie tese mi chiamassero per usarli, e io fossi in grado, li userei con gioia. Tra l'altro, anche se non benissimo, so ruttare a comando, sarei entusiasta di usare i rutti in modo musicale. E visto che sono un cantante lirico, non riesco a distinguere la musica da tutte le altre performance arts. Chi lo fa, soprattutto in campo professionale, è povero.
  3. Non hai neppure detto cos'è o di chi è la partitura che hai allegato. Il tuo rispetto nei confronti del lavoro altrui mi stupisce ogni volta. E, a titolo di cronaca, si dice "AD" minchiam, non "AB" minchiam. Pure il tuo latino maccheronico lascia a desiderare... Sempre per non essere off-topic, mi esprimo sull'idea delle "nuove regole per la composizione". Sono il parto di una mente frustrata. E non mi riferisco a Shark, per quanto sia ovvia l'ironia dietro alle mie parole, mi riferisco proprio alla natura delle regole. La smania di regolamentare è figlia di una frustrata mania di controllo. Tutti hanno, in parti variabili, la voglia di tenere sotto controllo le proprie percezioni, l'ignoto e l'inconoscibile mette ansia a chiunque. Avere a che fare con eventi in cui si riconosca una regolamentazione chiara ci calma, ancora di più ci calma avere a che fare con eventi che rispondono alla NOSTRA regolamentazione. La smania di controllo e la rottura di ogni controllo sono due delle vie di sviluppo preferite dalle correnti artistiche di ogni tempo. E parlo di arte in genere, non solo di musica. Forse Shark non lo sa, ma istituire una regola inapplicabile è un assurdo "ironico" che sta alla base perfino della composizione sull'ombrello di cui abbiamo simpaticamente discusso altrove. L'arte concettuale, infatti, è l'ultimo stadio sia della linea della rottura del controllo (non mi servono regole quindi vado oltre la materia) sia della linea del controllo (mi sono imposto così tante regole che posso solo fare cose sbagliate). Il "gioco delle regole" è alla base di quasi tutte le opere d'arte umane, ma è sempre un gioco pericoloso che può partorire figli deformi.
  4. Shark, temo di andare off-topic. Potrei risponderti che hai ragione, come ho scritto in altre discussioni. Ma preferisco essere sincero: considero questi tuoi commenti assolutamente inutili. Parlare di una composizione che non si capisce, col solo scopo di deriderla, equivale a pubblicare la foto di una donna barbuta. Sai benissimo come la penso rispetto ai bulletti che arrivano a ridacchiare delle cose che non gli piacciono. Per me è incivile, maleducato, anti-etico. Ma, soprattutto, assolutamente inutile ai fini di qualsiasi seria discussione. E' un infinito discorso da caffé. Detto questo, per evitare di finire off-topic, aggiungo che a me l'arte di stampo concettuale ha sempre affascinato. Mi sono commosso più di una volta ascoltando 4'33'' e sarei molto curioso di assistere ad un'esecuzione di questo concerto.
  5. c'è perfino un articolo sul Bostonglobe per un'altra esecuzione di questo concerto http://www.bostonglobe.com/arts/music/2013/12/14/score-pianist-reinier-van-houdt-debut-concerto-for-left-hand/5c4T7j7zKSagWdFoNuyOwM/story.html e questa è la presentazione che ne fa il Festival AngelicA, un po' più esaustiva di quella dell'agenzia ANSA http://www.aaa-angelica.com/aaa/angelica-marchetti comunque è sempre un piacere leggere i vostri interventi così acuti e ricchi di spunti
  6. Bravo Shark, bel commento. Soprattutto quel "caro" prima di Xenakis, quando immagino che Xenakis non ti sia minimamente caro, né l'utente né il compositore. La tua ironia mi lascia sempre interdetto
  7. da quello che ho capito, c'erano le ultime sonate di Beethoven. E le ultime sonate di Beethoven possono, in un certo senso, essere considerate vicine al cuore di una certa avanguardia. Io probabilmente non avrei scelto Lachenmann, ma immagino che chi ha scelto quel programma sia stato ampiamente in grado di giustificarlo. E lo dico perché non è mai così difficile giustificare gli accoppiamenti più assurdi...
  8. era un po' una domanda a chi l'aveva aperta, più che a te. Non so dove possa essere spostata, credevo ci sarebbero stati risvolti di discussione, ma così com'è sembra che non si parli neppure di musica
  9. mi chiedo per quale ragione questa discussione si trovi in "musica classica"
  10. tre delle persone che hai citato sono vive e compongono. Sono la prova vivente che la musica è viva...
  11. la musica è morta da 40 anni, quindi. E se me lo dite voi, anime belle, allora devo crederci...
  12. molto d'accordo con Berio, ho sempre pensato che l'unica possibile definizione di musica fosse una specie di tautologia fenomenologico-sociale. Mettendo da parte la questione sul testo, che secondo me viene fuori perché Berio era molto vicino alla filosofia del linguaggio e i suoi sconvolgimenti moderni, questa definizione è possibile solo se si parla di musica come insieme di fatti musicali, non come un ideale musicale. Ovvero, non si parla di 1) suono 2) armonia cosmica 3) musica prima della musica, ovvero musica senza esecuzione. Si parla di pezzi musicali, e questo è l'approccio di un pensatore lontano dalla metafisica e vicino alla pratica musicale vera. Comunque, su Beethoven vedo che si potrebbe davvero aprire una discussione. Io non sono la persona giusta, ma potreste farlo voi-tu (Daniele). Su Kant e lo stile classico. Nella mia critica all'articolo ho tralasciato una possibilità, ovvero che (senza dirlo chiaramente) Giammarino istituisse un vettore causale inverso: lo stile classico ha ispirato Kant nella sua teorizzazione. La questione sarebbe molto interessante, messa in questi termini. Tra persone serie ci sarebbe sempre la necessità di una prova o di un'argomentazione storica, bisognerebbe, insomma, dimostrare che Kant conosceva lo stile classico, e purtroppo le cronache dicono che Kant era non solo un ignorante musicale ma anche molto lontano dall'essere un appassionato di musica. Sarebbe molto strano, poi, che si sia riusciti a dare una sintesi filosofica di uno stile che ancora non era considerato uno stile coerente, congruo, neanche nella sola forma sonata (che non è l'unica forma dello stile classico, anzi...). E' grazie all'idea che ci possa essere un archetipo che Giammarino si salva da ogni possibile critica di natura storica. L'archetipo è intrigante, infalsificabile, non ha un giorno di nascita o di morte, si può trovare nelle note, nelle parole, nella copertina. E' una cosa molto utile per dare un tocco in più alle analisi musicali (ne parlammo per la narratività, che è fatta di archetipi narrativi), ma più diventa generico più diventa fuffoso. L'archetipo temporale della contemporaneità della permanenza e del divenire è così generico da essere adattabile a qualsiasi cosa. E noi potevamo dirlo meglio con parole più comprensibili :-)
  13. io come al solito, mi giustifico parlando di me :-) io ho fatto un anno di filosofia all'università e mi considero tutt'ora un appassionato di filosofia. Il mio problema, però, è quello di considerare la filosofia come una cosa non seria. Cioè, banalmente, io non ci credo. Mi piace riuscire a capirla, ma a un certo punto ho capito che la filosofia non mi dava nulla di più. Anche per questo mi trovo spesso a mettere in competizione filosofia e arte. Anche rispondendo a Talentuoso, per me il bello della musicologia inizia quando cerca di capire la musica e il mondo attraverso la musica. Diffidare dei musicologi è sempre giustissimo, proprio perché è alla musica che deve porgersi il nostro orecchio. I ragionamenti, le analisi e le discussioni non sono autosufficienti, sono sempre e comunque note a margine di un'arte centrale. I musicologi, secondo me, devono scegliere da che parte stare, se dalla parte della musica o da quella della filosofia. ... detto questo, io a Giammarino critico anche l'argomentazione filosofica. Ho avuto la smaccata fortuna di avere un logico come prof. di filosofia al liceo e di mio non sono mai stato un appassionato di metafisica. Se mi si dice che il suono è il sentire dell'essere sentito che si forma nell'esserci il massimo di risposta che si può avere da me è un rutto, molto risonante. La filosofia della musica dovrebbe essere epistemologia della musica, secondo me. Ovvero, meno fuffa e più conoscenza.
  14. anche quando parla di Kant e dello stile classico dice una boiata indimostrabile: Ogni stile compositivo si può descrivere come rappresentazione di una specifica idea di tempo secondo archetipi mentali o modelli conoscitivi che regolano la percezione del mondo come movimento. Così com'è formulato, questo è un assioma indimostrabile che fraintendi moltissimo l'idea di temporalità: 1) non si può parlare di stili, bisogna avere il coraggio di parlare di opere, perché se no finiamo a fare gli schemini delle scuole medie; 2) non si può parlare con questa leggerezza di archetipi mentali e modelli conoscitivi senza dire cosa sono; 3) non si può lasciare questa vaghezza nell'individuare un legame di causa-effetto: l'archetipo che dice "il tempo ha una direzione e una teleologia" aleggia nell'aria respirata dal compositore? Dal pubblico? Agisce sulla scrittura o sulla fruizione? E' un dato storicizzato, che ci parla di come quella composizione veniva considerata dai contemporanei, o è un dato ricavato dalla critica attuale, che deduce una sorta di "ascoltatore ideale"? 4) ancora più nello specifico terminologico, cosa intendo per "rappresentazione"? Come è possibile rappresentare secondo un modello conoscitivo? Si dovrebbe apprendere secondo un modello conoscitivo e rappresentare secondo un modello espressivo, e se riconosciamo una fase conoscitiva allora dobbiamo riconoscere l'elaborazione di una fase espressiva autonoma e diversa. Ovvero capire le fasi in cui si è sviluppato questo ipotetico stile classico, che è il modello espressivo, e riconoscere eventualmente un modello percettivo PRECEDENTE, soprattutto nella formulazione (ricordo che Kant scrive i suoi scritti più importanti tra il 1780 e il 1790, quando la forma sonata era già bella e affermata). ... concludo dicendo una cosa molto infantile ... io sono stato finora l'unico ad aver commentato gli articoli di Giannino, e mi sono beccato un malcelato vaffanculo da parte sua (quando, sulla discussione su Beethoven, mi disse "saluti dalla Germania")... che dire... se qualcuno commenta sull'HuffPost dicendogli come minimo che non si capisce niente di quello che scrive, mi farebbe piacere
  15. In realtà ha scritto solo un articolo su Beethoven. Se consideri interessante il suo punto di vista puoi usarlo come spunto per un altro topic, non so. Io sono un po' incavolato col tipo perché ha scritto, nella risposta al mio commento, che la filologia musicale non è musicologia... detto questo, escludendo alcune specifiche frasi, io non posso dire di essere in disaccordo con Giammarino. Lo considero solo tremendamente noioso e abbastanza banale. E col passare degli articoli ha continuato imperterrito a scrivere di filosofia della musica e non di musica. Parlare di stile classico senza definire lo stile classico, metterlo accanto ad una teorizzazione filosofica posteriore che non spiega ma complica, è un atteggiamento che non mi piace. Fa molto musicologo, è vero, e poco storico della musica. Ma sono ansioso di leggere cosa ne pensi più nello specifico dei suoi articoli
  16. Giorni fa mi sono trovato a commentare un articolo su "Cos'è la musica?" sul giornale online Huffington Post. Ero contento perché era il primo articolo dichiaratamente musicologico della testa e l'autore sembrava una persona esperta. Col passare degli articoli, si sono materializzati i miei peggiori incubi... Quindi volevo condividere il mio scoramento con voi :-) http://www.huffingtonpost.it/giovanni-giammarino/ Finora Giammarino ha scritto 4 articoli, secondo me uno peggio dell'altro. Sono complicati, e già questo secondo me è un difetto, e sono complicati inutilmente, visto che dicono cose spesso banali. Primo articolo http://www.huffingtonpost.it/giovanni-giammarino/musica-suono_b_5372182.html Cos'è la musica? Boh, non si sa. E' un'opinione abbastanza comune. Secondo articolo http://www.huffingtonpost.it/giovanni-giammarino/musica-romanticismo-beethoven_b_5400346.html Il mondo non ha capito Beethoven, però lo ha imitato, e credetemi perché ve lo dico io con paroloni complessi... ecco, questa frase è vera con qualsiasi cognome di musicista ("il mondo non ha capito Chopin però lo ha imitato", "il mondo non ha capito Monteverdi però lo ha imitato", "il mondo non ha capito Berio però lo ha imitato"). Terzo articolo http://www.huffingtonpost.it/giovanni-giammarino/ascolto-suono-musica_b_5452448.html Fuffa filosofica. Anche questa abbastanza comune e, a mio avviso, inutile. Quarto articolo http://www.huffingtonpost.it/giovanni-giammarino/kant-sonata-classica-_b_5492173.html Kant e la sonata classica. Kant scrive i suoi libri almeno 30 anni dopo la nascita della forma sonata (e in un periodo lungo almeno 10 anni) ma visto che in filosofia vale tutto, allora facciamo libere associazioni mentali. Che con parole complicate dicono "la forma sonata è organicistica". Mamma mia che scoop! Diffidate dei musicologi
  17. La discussione era stata inserita originariamente in "Tecnica Vocale". Mi è parso più giusto spostarla in "Musica Classica"
  18. scusate il ritardo ma a sto punto si risolve tutto a un solo concetto: se compri il biglietto, sono c***i tuoi. Nel 2014 possiamo benissimo cercare informazioni sui compositori la cui musica andiamo ad ascoltare. Lachenmann è famoso e studiato, se le signore impellicciate della Scala si sono stupite del suo stile allora è colpa loro, sarebbe come comprare un gelato al limone e dire "diavolo, è acido!". Se, invece, ci sono stati drittoni vogliosi di spendere soldi solo per fischiare Lachenmann, allora viva la ricchezza e l'ignoranza. Il mio consiglio è sempre quello: se non vi piace questa musica, non ascoltatela e non venite a dire agli altri che voi siete i depositari del sacro fuoco dell'arte e voi soli sapete cosa è bene ascoltare e cosa no.
  19. è un esempio che però regge. Se poi hai necessità di pasta timbrica, e parliamo sempre di una dinamica in piano, allora i tenori te lo possono cantare pure un do grave. In generale considera una cosa, però: se trovi una bella soluzione tu, e la scrivi in partitura, allora hai la certezza di aver controllato fino all'ultimo la resa; se non trovi la soluzione tu, e quindi non scrivi nulla in partitura tranne la triade al basso, allora quel problema verrà risolto in qualche modo dal direttore di coro che avrà in mano quella partitura. Come dire, in un modo o nell'altro il problema si risolve
  20. sull'equilibrio delle sezioni, se parliamo di un pezzo a cappella l'ideale è che ci sia sempre lo stesso numero di voci per ogni sezione. Pezzi accompagnati danno una maggiore libertà di diminuire il numero di voci gravi e interne, da cui consegue che, in genere, la sezione in cui si è autorizzati ad aumentare le voci è sempre la sezione melodica, che nel repertorio il 99% delle volte è la sezione acuta. Anche la divisione delle parti dovrebbe seguire alcune di queste logiche. Se scrivo un pezzo per SCTB do per scontato che i numeri delle voci per sezione siano uguali. Se divido a 3 i bassi, prima di tutto sto dicendo che vorrei un coro di almeno 36 persone (...). Visto che questo numero non è basso, allora molto più spesso quella divisione a 3 viene fatta considerando bassi e tenori come un'unica sezione da dividere in 4, in modo tale che ci siano tenori primi, tenori secondi/baritoni, bassi primi e bassi secondi. Ipotizziamo di avere 5 tenori e 5 bassi, si potrebbe dividere con 3 tenori primi, 2 tenori secondi+1 baritono, due bassi primi, due bassi secondi. Tutto andrebbe adattato alle voci che si hanno a disposizione, ma in genere le parti da basso secondo possono essere cantate da meno voci. Aggiungo un'eventualità per nulla rara: se la divisione interna alla sezione corrisponde ad un'articolazione del testo MOLTO diversa, allora sarebbe buona norma dividere i pentagrammi...
  21. ricordatevi il punto 1, a me il pezzo non piace :-) però secondo me dire che è suonato male non basta per giustificare il suo basso livello. Come dire, se fosse la sonata al chiaro di luna sarebbe comunque un capolavoro, anche se suonata male, e potremmo dire "Delord scrive bene ma suona male". Secondo me, invece, i problemi del pezzo sono altri. E' lungo, le pause non si capisce a cosa servano, il giro armonico è sempre quello e anche la configurazione ritmica, la scrittura pianistica è banale, non c'è neppure una melodia riconoscibile. Facciamo un confronto con il pezzo più famoso di Nyman, "The Sacrifice" dalla colonna sonora di "The Piano" https://www.youtube.com/watch?v=QsxHuW26rc8 qui il pezzo non è molto lungo, ha una struttura appassionante, un clymax, un movimento armonico, perfino la scrittura a contrappunto a una voce (di cui abbiamo parlato altrove) riesce ad essere varia, perché le note che fanno la melodia stanno in posti diversi tutte le volte, e con il rallentamento finale, un procedimento semplicissimo, riesce a dare una sensazione conclusiva, di cadenza, e in un modo molto originale. Ma vi faccio sentire anche William Duckworth, un compositore meno conosciuto ma che è il vero padre spirituale del piano easylistening e delle composizioni post-minimaliste per pianoforte. Questo è tutto il primo libro dei preludi. lui scrive preludi, che è una specie di "genialata" perché effettivamente tutte queste composizioni sono preludi, o toccate, nelle intenzioni e nella forma (libera). La scrittura del contrappunto a una voce è variata in mille modi, con suddivisioni ritmiche interne molto interessanti, pur essendo minimaliste. Riesce a creare varietà con mezzi minimi, piani e forti, contrapposizioni tra parti diverse della tastiera, ambiguità maggiore-minore. Da un punto di vista armonico sembra Bartok, altro che Allevi! Ed è per questo che quando sento Allevi mi arrabbio, perché persone come Duckworth SONO riuscite a rendere interessante il post-minimalismo al pianoforte. Ok, non sono capolavori assoluti, ma sono pezzi interessanti, non solo gradevoli.
  22. considerazioni sparse: 1) il pezzo non mi piace. 2) questo pezzo appartiene a quel "genere" che oggi potremmo definire piano easylistening, che è un genere ben preciso, con grande seguito internazionale, un giro di soldi considerevole e, come vedete dal videoclip, linguaggi "visivi" molto simili a quelli del pop. 3) dal punto 2 consegue, secondo me, una semplice considerazione: giudicare questo genere con le categorie della classica è sbagliato. Come si dice in queste situazioni, se giudichiamo un pesce per la sua capacità di arrampicarsi sugli alberi lo troveremo sempre inadeguato. 4) Come mi capita spesso di dire, se vogliamo dare un giudizio serio e non vogliamo trasformare questi topic in conversazioni da bar, dobbiamo sforzarci di capire la musica dall'interno, non dall'esterno. In etnomusicologia si parla di punto di vista "etico" e punto di vista "emico". Il primo è un punto di vista esterno, quello secondo cui i cantanti folk sono calanti. Il secondo è un punto di vista interno, quello che giudica un genere musicale rispetto ai valori di quello stesso genere musicale. Ecco, secondo me sarebbe interessante sforzarsi di giudicare questo pezzo "come se" fossimo dei fan di questo genere. Capire, per esempio, perché Michael Nyman era meglio e questo è peggio. 5) Michael Nyman è un grande compositore ed è stato un grande musicologo e critico musicale. Potete non apprezzare le sue composizioni, ma sarebbe bello che chiunque si sforzasse di distinguere i propri giudizi di gusto da considerazioni di carattere professionale. A voi piace Ockeghem? Probabilmente non molto, ma non penso che vi mettereste a dire che sarebbe stato meglio abbatterlo. Chissà perché con Nyman e altri compositori contemporanei, invece, i giudizi sprezzanti si sprecano. E' possibile, e sarebbe auspicabile, riconoscere ai compositori "famosi" la loro professionalità, e un posto nella storia dell'arte. Michael Nyman è fuori da ogni dubbio uno dei più importanti compositori di musica da film viventi e ha un'invidiabile fama e capacità anche in altri generi.
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