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Piano Concerto - Forum pianoforte

Aforismi: musica versus testo


Rotore
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Riprendo questo scritto di RedScharlach per proporre una questione.

 

L'Orchesterstück op. 10 n. 4 di Anton Webern non ha nulla di narrativo: sei battute, meno di mezzo minuto, pochi brevi suoni dispersi qui e lì. Lachenmann dedica un paio di pagine ad una analisi serrata dei minuscoli eventi del brano, raggruppandoli per affinità, individuandone la consequenzialità (appunto!). Poi, d'un tratto, cambia registro.

 

Il tutto non è poi null'altro che una serenata al chiaro di luna del suono flautato, con echi che giungono dal luogo in cui le belle trombe suonano e il trombone annunciatore di morte, strumento del giudizio universale, risponde, finché il tamburo militare suona la ritirata, disturba l'idillio e l'innamorato si mette a pizzicare il mandolino sotto il suo braccio, mentre la sua adorata gli fa un cenno con una figurazione di violini.

[Helmut Lachenmann, L'ascolto è inutile senza ascolto. Possibilità e difficoltà.]

 

Questo Webern riascoltato attraverso l'orecchio di Mahler rivela alcune cose.

La principale mi sembra la possibilità di leggere un romanzo in un aforisma: si tratta di piani di tempo. Con Mahler ci possiamo sedere con tutta calma, una Sinfonia dura due ore, abbiamo tutto il tempo per entrare nel suo mondo sonoro, capire cosa succede, seguire il dramma, partecipare emotivamente (come leggendo un grande romanzo di fine Ottocento). Webern, al confronto, è incredibilmente scarno ed ellittico: non facciamo in tempo a renderci conto che il brano è iniziato, ed è già finito. Eppure Lachenmann dimostra che osservando la musica con la lente d'ingrandimento, muniti di grande attenzione e grande fantasia, le dinamiche sono le medesime.

Non è insomma la qualità degli eventi sonori a determinare la narratività; a quanto pare, non è nemmeno la relazione fra gli eventi, "in sé"; forse si tratta della possibilità di descrivere tali relazioni tramite le categorie della narrazione, con tanto di personaggi, conflitti, risoluzioni (ma qui entro nel campo delle ipotesi).

 

Si parla di un opera aforistica di Webern che vorrei affiancare a questa poesia di Ungaretti:

 

Soldati

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie

 

 

 

riprendo questa frase:

"Lachenmann dimostra che osservando la musica con la lente d'ingrandimento, muniti di grande attenzione e grande fantasia, le dinamiche sono le medesime."

 

mettendola da parte a quella di Messiean (proposta da Frank), eccola:

 

Propongo questa interessante citazione di Messiaen a proposito del ritmo e dell'ascoltatore:

 

[…] egli [l’ascoltatore] non avrà il tempo, al concerto, di verificare le non-trasposizioni, le non-inversioni e, in quel momento, questi problemi non lo interesseranno più: essere sedotto, sarà questo il suo unico desiderio. Ed è esattamente ciò che accadrà: egli subirà suo malgrado il fascino strano delle impossibilità: quel certo effetto di ubiquità tonale della non-trasposizione, quella certa unità di movimento nella non-inversione dei ritmi (oppure quando inizio e fine si confondono perché identici); tutte cose che lo condurranno progressivamente a questa specie di “arcobaleno teologico” che cerca di essere il linguaggio musicale, e dal quale noi cerchiamo incitamento e sostegno teorico.

 

In rosso la parte interessante che si scontra con l'idea di Lachenmann ... durante il concerto uno non ha la lente d'ingrandimento. A parte che probabilmente se serve la lente...la narratività è andata a pallino, ma il punto di questo topic vuole capire il senso dell'aforisticità in musica.

 

Ecco che pensando ad ungaretti:

“Al termine “soldati” è però facilmente sostituibile quello di uomini, e alla guerra è applicabile la più ampia nozione di vita, nel momento in cui la riflessione ungarettiana si universalizza, e ragiona non più solo ed esclusivamente sulla tragicità della guerra ma sull'assurdità dell'intera condizione umana e sulla sua intrinseca finitudine, sul suo essere condannata ad una fine come le ultime folgie autunnali degli alberi. E questo parallelismo tra uomo e foglie è sia un'immagine molto efficace che un rimando intertestuale (che cioè ricollega il testo di Ungaretti a quelli di una illustre tradizione colta) alla tradizione classica, come ad esempio quella dell'Iliade.”

 

 

Per onestà intellettuale riporto la fonte

http://www.oilprojec...riche-2822.html

 

 

Cosa dovrebbe scatenarsi nell’ascoltatore dopo i pochi secondi di ascolto di una serie di Webern (che è praticamente il brano) o l’opera indicata da RedScharlach?

 

Chiaramente chiedo per capire e non tanto per fare le pulci agli ottimi forumisti che stanno fornendo spunti molto interessanti su argomenti affascinanti.

 

Grazie in anticipo.

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Solo una precisazione (ma sicuramente è già noto a tutti): l'idea dell'aforisma e del romanzo non è mia - magari! - ma di Schönberg, che nella prefazione all'op. 9 di Webern scriveva

 

 

Sebbene la brevità di questi brani sia già un’eloquente intercessione in loro favore, pure proprio tale brevità richiede un’intercessione.

 

Si pensi a quanta sobrietà occorre per esprimersi in modo così conciso. Ogni sguardo può espandersi in una poesia, ogni sospiro in un romanzo, Ma esprimere un romanzo con un solo gesto, una felicità con un solo respiro: una simile concentrazione può trovarsi soltanto là dove manca in pari misura l’autocommiserazione.

 

Questi pezzi possono essere compresi solo da chi crede che i suoni riescano a dire cose che si possono esprimere solo con i suoni.

 

Essi reggono a una critica tanto poco quanto la critica stessa, e ogni sorta di fede.

 

Se la fede può smuovere le montagne, l’infedele, per contro, può non farle esistere. Contro tale impotenza la fede è impotente.

 

Sa ora l’esecutore come interpretare questi pezzi, e l’ascoltatore come accoglierli? Possono, esecutori e ascoltatori di fede, fare a meno di arrendersi gli uni agli altri?

 

E però, cosa bisognerà fare con gli atei? Ferro e fuoco possono tenerli a bada; la scomunica la temono solo i fedeli.

 

Possa risuonare per loro questo silenzio!

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Per quanto io sia un indomito sostenitore dell'ascolto, ricordiamoci che secoli e secoli e secoli di musica sono stati concepiti IN PRIMIS per l'analisi. Cioè, all'ascolto le differenze tra Josquin e, non so, Brumel possono essere minime. Gran parte delle cose belle si scoprono analizzando, e nella tradizione compositiva del rinascimento (come del medioevo o dell'ottocento e novecento) i compositori LO SAPEVANO e lo facevano apposta. Il primo e maggiore acquirente dell'opera musicale è l'esecutore (professionista o dilettante) e si dà per scontato che un esecutore sia in grado di effettuare un livello base di analisi. L'esecutore "casalingo" delle sonate di Beethoven ne comprendeva le innovazioni ed è lui uno dei primi artefici del successo del compositore.

Non voglio rendere assolutistico questo mio discorso. Semplicemente vorrei che si capisse che non c'è una modalità giusta (l'ascolto) e una modalità "ingiusta", artificiale o anti-musicale (l'analisi). In molti contesti storici le due attività erano integrate. Sarà banale dirlo, ma l'ascolto DOPO l'analisi è una delle cose più belle e gratificanti che ho mai provato :-) lì sì che si può smentire Messiaen, perché se io ho studiato le sue tecniche compositive PRIMA di ascoltare un suo pezzo allora la mia percezione del tempo, e degli eventi nel tempo, cambierà di molto

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Curiosità...tolti noi (chi più o meno avanti negli studi) ... oggi?

Oggi, come nel passato, l'analisi è accessibile solo a chi studia (non necessariamente solo ai professionisti... ci sono pure i dilettanti!).

 

Cosa dovrebbe scatenarsi nell’ascoltatore dopo i pochi secondi di ascolto di una serie di Webern (che è praticamente il brano) o l’opera indicata da RedScharlach?

Oltre a quanto detto da Thallo, aggiungerei che Webern non può essere affrontato con "un ascolto e via": per capire cosa succede, sono necessari ascolti ripetuti. E magari l'analisi della partitura. Proprio come per i Quartetti di Beethoven (esempio scontatissimo). Certo, il paradosso è che queste condizioni le realizzi più facilmente a casa tua che in auditorium (tutto sommato ... quante volte hai sentito l'op. 10 di Webern in concerto? io mai).

 

PS Quando parlavano di aforismi, non credo che Schönberg e Webern pensassero a Ungaretti... piuttosto, a Karl Kraus.

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