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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. Ma caspita!!! L’opus 124, Consacrazione della casa, il più grande capolavoro sinfonico di Beethoven!!!??? Sapevo che la apprezzavi tantissimo, ma non mi aspettavo un’affermazione così “totale”. In un certo senso mi fa piacere. Perché se, da una parte, quello che mi piace sempre il te è il tuo equilibrio (il logos-Daniele di cui dice Armando), ora… mi piace vedere che tutto ciò viene per un momento cancellato da una affermazione così “sbilanciata”!.... Un’affermazione che si può fare a vent’anni (come vedi io cerco di non esser da meno facendo uso a dismisura di punti esclamativi… manco fossi Beethoven che scrive i fff sul primo movimento dell’Ottava!!!). Ma circa sei anni fa avevi scritto il primo movimento della Nona era quanto più avevi di caro a livello di brani sinfonici. Mi ricordo bene, vero? La vita è bella anche perché le persone non rigide cambiano le proprie vedute! Mentre scrivo la sto ascoltando (più volte) la consacrazione della casa: è stupenda davvero! È come un grande, luminoso, altipiano sonoro. Cosa di potrebbe desiderare di più!? Ma con quei colpi iniziali, tutto ciò si spalanca subito alle nostre orecchie: su questo altipiano ci arriviamo in elicottero, senza quella fatica (dura fatica delle salite) che si percepisce in tante opere di Beethoven che ci elevano dal buio alla luce forte. La mia preferita – ma sì, oso anch’io: la più bella Ouverture che sia mai stata scritta – è la Leonore III . Anche in quella arriviamo ‘alla luce’ del finale. Ma che salita per arrivarci !!!! E, anche dopo gli squilli di tromba… quanta strada ancora da fare! Die Weihe des Hauses! … Parlamene ancora. Così il caro amico Luca mi domanda nel diario musicale e, visto che quello è un diario, preferisco riportare questa sua domanda qui. Intanto è importante, Luca, il fatto che tu mi dica che « Die Weihe des Hauses è stupenda davvero», questo ci permette comunque di partire da una constatazione comune. Quello che dissi 6 anni fa sul primo movimento della Nona era che, ogni volta che lo ascoltavo, mi trasmetteva un'emozione indicibile e, questo proprio, fin dalle prime note, quando ti dà la sensazione di essere trasportato in un vuoto interplanetario che, più che farmi pensare al mondo del primo Ottocento, mi ricorda immagini moderne, sia visive che musicali. Questo è il miracolo di quel meraviglioso primo movimento e questo è quello che tutt'ora penso. Tempo fa ti dissi anche che consideravo l'Eroica il primo vero inizio sinfonico beethoveniano; non perché non ami le prime sue due sinfonie – tu sai che le amo anche loro alla follia – ma perché è con la Terza che si può veramente parlare di una sinfonia interamente beethoveniana nello stile. Dissi anche che se la Terza era il primo inizio, la Nona era il secondo, quello che poi si proiettò direttamente sulle meravigliose sinfonie di Brahms – e non dei primi romantici – di Bruckner e di Mahler. Ecco Luca: è questa cosa che voglio in parte correggere oggi del mio pensiero. In realtà ho meditato molto su quello che avvenne nel 1813. In quell'anno Beethoven compose due sinfonie: la Settima e l'Ottava. Fino a poco tempo fa si considerava la Settima – molti lo pensano – la miglior sinfonia di Beethoven, oggi sta accadendo, non dico un rovesciamento, ma la “piccola” Ottava viene ormai prediletta da altri molti e, per la verità, anche lo stesso Beethoven pensò che questa sinfonia fosse migliore della Settima. Nell'Ottava, Beethoven, si guardò indietro e dopo il “periodo eroico” per la prima volta nella sua vita compositiva, ritornò a Haydn, ma lo fece in una maniera diversa dal suo ex maestro, quasi a dirci: io ora posso rivisitare e rinnovare il passato. Un'operazione simile la fece anche Prokofiev nel 1917 – ma intanto passò un secolo - con la sua prima sinfonia detta “Classica” che qui voglio proporre perché è una vera chicca. Che c'entra tutto questo dirai! Nel “terzo stile” Beethoven tentò di ritornare a forme del passato, la fuga in primis, cercò di essere l'erede di tutta la storia della musica – cosa che riuscì solo a Schönberg e Stravinsky un secolo dopo – ma la morte lo colse prima che egli riuscisse in questo. Noi definiamo musica del “terzo stile” tutta quella da lui composta dal 1815 in avanti, ma è errato. In realtà questo ragionamento è valido per le sue Sonate e i suoi Quartetti, ma non altrettanto pienamente per la musica sinfonica: la Nona risente comunque ancora di quel clima eroico in certe parti. L'unica eccezione è l'Ouverture “La consacrazione della casa”. Lì, ispirandosi a Händel, conclude con quell'Allegro fugato che è questa veramente, espressione della magistrale tecnica compositiva dell'ultimo Beethoven. Un Beethoven che se non fosse morto avrebbe composto la sua Decima – e quello veramente sarebbe stato un nuovo inizio – l'Ouverture sul nome di Bach, un oratorio sullo stile händeliano - tutte opere che purtroppo sono rimaste solo nell'intenzione, facendo sì, che “il terzo stile” s'impadronisse di tutta la sua musica e facendone veramente il primo erede di tutta la storia della sua arte. Per questo dico che “Die Weihe des Hauses” è il capolavoro sinfonico di Beethoven, perché oltre ad essere stupenda è l'unica musica sinfonica che appartiene al terzo stile.
  2. 8 Maggio 1878 prima rappresentazione nel Königlich-Sächsisches Hoftheater (Sächsische Hofoper-Semperoper) di Dresda di "Carmen", opera comica in 4 atti e 26 numeri di Georges Bizet (recitativi di Ernest Guiraud), libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy (da Prosper Mérimée)
  3. Mauro Giuliani (Bisceglie, 27 luglio 1781 - Napoli, 8 maggio 1829)
  4. Johannes Brahms (Amburgo, 7 maggio 1833 – Vienna, 3 aprile 1897) Questo è un grande giorno. Due dei miei più amati compositori hanno avuto la ventura di nascere lo stesso giorno e, quello che amo più di ogni altro, ebbe la prima della sua (nostra) Nona. Sulle reali cause della morte di Ĉajkovkij, sono state fatte tante congetture ma, appare sempre più chiaro che il grandissimo compositore sia stato costretto al suicidio da una società profondamente bigotta perché omosessuale. La “Patetica che tu Frank hai giustamente proposto, si chiude con quel meraviglioso “Adagio lamentoso” che può essere visto come il suo tristissimo addio al mondo. In questa pagina di questo magnifico forum, oggi qui riunite, ritroviamo queste tre pagine che, simbolicamente parlano di fraternità, di uguaglianza e di giustizia, valori che non dobbiamo mai smettere di chiedere e pretendere. Il 7 maggio 1824, furono eseguite, assieme alla Nona, anche tre parti della “Missa Solemnis” e l'Ouverture “La consacrazione della casa Opus 124” e, caro Frank, felicissimo della tua scelta e che tu mi abbia preceduto, mi permetterò di proporre anche questa musica che, per me, è il più grande capolavoro sinfonico di Beethoven, seppur ingiustamente poco eseguito. http://www.youtube.com/watch?v=0UwcFisphsg
  5. Johannes Brahms che incanto di compositore. Come mi piace Brahms! Penso al suo catalogo e penso a quanto abbia ragione Carlos, quando ha detto che nell'isola deserta glielo porterebbe proprio tutto. Nel suo catalogo c'è ben poco da scartare, himalayani capolavori, altri alpini e ben pochi appenninici. È vero che egli - come Edgar Varèse – ha distrutto le sue prime opere perché ritenute indegne, ma questo nulla toglie alla sua grandezza immensa. Iniziamo da quelle che ritengo un po' più colossali, quelle dell'Opus 24, le “25 variazioni per pianoforte su un tema di Händel” che furono concepite nel settembre 1861. In generale per Brahms la sua conquista in questo genere consiste nel perfetto equilibrio tra il rigore classico della sua struttura e l'ispirazione assolutamente romantica, ricca di melodie e di soluzioni espressive. In questo caso si tratta, di un'aria di Händel estrapolata dalla sua “Suite n.1 da Leςons pour le clavecin” che qualcuno paragona, dal mio punto di vista con troppa severità, a quella del “Valzer di Diabelli”. Brahms partendo dalla lezione beethoveniana, da questo tema, crea un miracolo di stile, tecnica e invenzione, pur nell'osservazione rigorosa dei tratti armonici, ritmici e melodici del tema ispiratore. Si tratta di 25 tessere musicali compiute e definite nella loro autonomia e, se il pianoforte non viene trattato da gratuite virtuosità, si toccano punte di difficoltà estrema e si può dire, a giusta ragione, che con esse Brahms pose una pietra miliare nella storia della forma variata, collocandosi nella scia delle “Variazioni Goldberg” di Bach e “Variazioni Diabelli” di Beethoven. Passo ora alle meravigliose “Variazioni per pianoforte su un tema originale Opus 21 n.1” risalenti all'estate del 1856, un periodo della vita in cui il genio di Amburgo studiò il contrappunto degli antichi e, naturalmente, Bach in particolare. Come non notare anche qui la fusione della sua soggettività romantica con il rigore stilistico degli antichi maestri. Ma come non notare anche che la tecnica che provoca una specie di polverizzazione del tema è anche legata alla variazione amplificatrice di Beethoven. Le differenze rispetto al “gigante” sono nei procedimenti di scrittura, nella conduzione, nell'invenzione. Pensate che Clara Schumann nell'eseguirle a Lipsia affermò che il compositore si era trovato in una condizione «Bach-beethoveniana-brahmsiana. Amici miei, questo è veramente un grande capolavoro pianistico. Ma come non concludere questa piccola invasione in campo brahmsiano senza parlare delle “28 Variazioni su un tema di Paganini Opus 35” del 1862/63, un altro caposaldo del repertorio pianistico del genio d'Amburgo, vero e proprio contraltare di quelle sul tema di Händel: due temi agli antipodi, due mondi agli opposti, due finalità diverse ma con un unico personale linguaggio nell'affrontare i due impegni. Divise in due libri, anche in queste si ripresenta l'unione delle tre grandi B tedesche e, in particolare il pensiero a Beethoven, va ai due finali dei due cicli. segue
  6. La frase, seppur non corretta, è estrapolata dalla prima partitura della “Pastorale”. La Natura di cui ci parlò Beethoven, è quella in cui l’uomo è parte centrale; in essa, non c'è un paesaggio tipico dell’Illuminismo ne, tanto meno, la Natura - favola del Romanticismo, ma la Natura intesa nel più profondo senso psicologico: io e Natura, per l’affermazione di una piena autenticità esistenziale che come coscienza soggettiva si afferma nella immagine “sensibile” e attraverso a lei diviene idea assoluta. Beethoven raccogliendo il materiale sonoro della Pastorale fu consapevole del pericolo di poter ridurre la musica ad una semplice illustrazione. In quegli anni nell'ambito musicale, erano presenti, i Tongemalde, quadri o pitture sonore, che ebbero come fine quello di voler riprodurre musicalmente avvenimenti, rumori, paesaggi, con il desiderio di dare alle note un preciso significato rappresentativo. Queste composizioni suscitarono in Beethoven un divertito sarcasmo in quanto ritenne che così facendo, questi compositori non facessero altro che una meccanica trascrizione di suoni che, inevitabilmente, rimase voce della materia anziché dello spirito. Il Tongemalde rappresentò un cauto annuncio di tempi nuovi, ma ciò che fece divertire Beethoven fu che la descrizione non avvenne – come poi successe in seguito per i Romantici – all’interno della composizione, ma accanto, se non addirittura al di sopra di essa. Fu quando Beethoven era ancora a Bonn che venne a conoscenza del “Tongemalde der Natur (Quadro sonoro della natura)”, un brano per 15 strumenti di Justin Heinrich Knecht composto nel 1784. Se si leggono i commenti dei 5 movimenti di quella composizione si può arguire, come Beethoven nel predisporre il piano formale della sua Sesta sinfonia, riprese quello del suo predecessore; ma egli, a differenza, seppe elevarli nel cielo sublime della forma, attribuendo loro quel contenuto morale che, per dirla con E.T.A. Hoffmann: « trasporta irresistibilmente l’ascoltatore nel meraviglioso regno spirituale dell’infinito ». Proprio discostandosi dal modello del Tongemalde, Beethoven insistentemente, nei suoi appunti che accompagnarono la gestazione della “Pastorale”, riportati poi anche nella partitura che servì durante la prima esecuzione, descrisse il vero rapporto fra la sua musica e il modello cui si ispirò. Egli fra l’altro scrisse: «(…) Ogni pittura quando sia spinta troppo oltre nella musica strumentale, si perde (…) Anche chi ha solo un’idea della vita in campagna, può immaginarsi senza molti commenti ciò che vuole l’autore. Così senza descrizione si riconoscerà il tutto più come sensazione che come quadro sonoro. (…) Sinfonia Pastorale, nessuna pittura, ma in cui sono espresse le sensazioni che suscita nell’uomo il piacere della campagna, e sono descritti alcuni sentimenti della vita campestre.» Nel secondo movimento, alla fine della “scena presso il ruscello” il suono dell’orchestra cessa e, in mezzo al più assoluto silenzio, un flauto modula a lungo un trillo, imitando il gorgheggio dell’usignolo; a sua volta l’oboe, con acute note, ripete il monotono grido della quaglia, il clarinetto mima il canto del cuculo. Beethoven presentò questi elementi, non nel corso della composizione, ma separati da essa, quasi a volerci fare intendere che se questi sono gli elementi che l'ispirarono, essi però si annullarono nel processo creativo che egli innalzò alla pura espressione musicale. Così infatti, sembra si espresse con il solito Schindler: «Le quaglie, gli usignoli, i cuculi l’hanno composta con me.» La sua frase va presa sul serio perché tutta la Natura, sia quella animata che quella inanimata, fu sentita nella sua totalità come parte di un Universo in cui anche lui, l’uomo, il musicista, fu partecipe. Questa sua partecipazione, questo suo sentire la Natura nella più totale intensità fu da lui già rivelato in un lied precedentemente composto “Il canto della quaglia” in cui le stesse note suonate dall’oboe sono accompagnate dalle parole rivelatrici: «ama Iddio, loda Iddio, ringrazia Iddio.»
  7. Ghena Dimitrova (Beglez, 6 maggio 1941 - Milano, 11 giugno 2005)
  8. Bravissimo Simone, sapevo fin dall'inizio che avresti fatto "la cosa giusta". Potessi non avere dubbi su tutto come non ho avuto dubbi su questo! Hai vinto per l'occasione altri miei innumerevoli pistolotti! Sempre con affetto, amicizia e stima! Daniele Scarpetti
  9. Approdiamo ora all'estrema stagione beethoveniana dove le Variazioni, assieme alla Fuga, acquisirono un posto centrale per la costruzione dei suoi massimi monumenti musicali. Esse sono infatti presenti, fra le altre, nelle Sonate per pianoforte Opus 109 e Opus 111, nel Finale della Nona, nell’Adagio del Quartetto Opus 127 e nel Quartetto Opus 131. Ma è naturalmente con l’Opus 120 che Beethoven raggiunse la monumentalità attraverso la forma Variazione. Esse possono essere paragonate ad un insieme di Bagattelle che racchiudono tutto l’universo e la fantasia musicale beethoveniana, dove l’elemento terreno e quello sublime si toccano ad un livello di ineguagliabile altezza, siamo di fronte ad uno dei monumenti musicali-architettonici più grandi di tutta la storia della musica. La loro eccezionale straordinarietà sta, innanzi tutto, nel fatto che Beethoven con esse riuscì a trasformare un semplicissimo tema in un monumento di enorme complessità. Da questo pezzo egli seppe ricavare la sua insospettabile infinita disponibilità, trasformandolo in una concatenazione di eventi musicali perfetti. È già infatti dalla prima variazione che il valzer viene completamente annullato da un'inventiva e immaginazione geniale che rende tutta l’idea dell'enorme grandezza del compositore. Il principio che Beethoven adoperò per comporre queste Variazioni è indicato all’inizio della partitura. “Variazioni alterate” cioè Variazioni la cui scrittura musicale è basata sull’alterazione degli accidenti: diesis, bemolle, bequadro. In questa maniera, il compositore, scrisse 33 variazioni di carattere diversissimo l’una dall’altra e tutte di altissimo valore. In estrema sintesi alcuni commenti su alcune variazioni: Variazione n. 1 “Alla marcia Maestoso”: già qui Beethoven dà la prova della sua capacità combinatoria separando l’armonia dalla melodia, sviluppando quest'ultima secondo una progressione diversa dalla prima: intervalli di quarta per l’armonia e di seconda per la melodia. Variazione n. 3 “Poco allegro”: Un vero e proprio Landler nel quale il tempo originale del valzer diventa un motivo estremamente romantico e popolare. Variazione n. 5 e 21 “Allegro vivace”: “scherzi” nel più perfetto stile beethoveniano, la prima si caratterizza per il suo colorito armonico, la seconda ha all’interno lunghe pause divaganti in adagio. C'è da aggiungere che le Variazione n. 21 assieme alla 6 e alla 26, rappresentano le più vicine allo stile bachiano per la loro geometricità e purezza. Già Luca l'ha rammentata, divertente la 22 con la sua citazione dal “Don Giovanni” di Mozart, dove viene richiamata l’aria cantata da Leporello proprio all’inizio “Notte e giorno faticar” Ma le più belle e abbaglianti sono le ultime: la 31 che ricorda la grandezza lirica della Hammerklavier; la 32 una fuga brillante; la 33 che è rappresentata da un delicatissimo minuetto, degna e serena conclusione di un cammino che partendo da un motivo insignificante arriva ad una vetta altissima e invalicabile. Su queste Variazioni una delle cose più autorevoli è stata detta dal pianista-musicologo americano Charles Rosen: «Un’opera come le Diabelli è soprattutto una scoperta degli elementi musicali più semplici, un'invenzione sul linguaggio della tonalità classica con tutte le sue implicazioni di ritmo, come pure di melodia e di armonia. Egli scoprì un universo, un linguaggio altrettanto ricco di possibilità di quello a cui avevano dato vita Haydn e Mozart. La sua unicità non trova paragone nella storia della musica.» http://www.youtube.com/watch?v=wctoxElV8Os http://www.youtube.com/watch?v=tVJ83WKmd9M http://www.youtube.com/watch?v=6IV70oWLVhw http://www.youtube.com/watch?v=Y5RN9a7d-Rk Siamo dunque arrivati alla vasta, sontuosa, monumentale chioma dell'albero, che Beethoven formò in 45 anni di carriera compositiva. Cosa era dunque avvenuto, in specifico, con Beethoven in tema di variazioni, nel suo miracoloso “terzo stile” e, soprattutto, cosa fece sì che tutto ciò si proiettasse, come “un ricordo al futuro” per dirla con Italo Calvino e Luciano Berio nel loro “Un re in ascolto” dandone i suoi frutti, fino al secolo scorso? la memoria custodisce il silenzio ricordo del futuro la promessa quale promessa? Questa che ora arrivi a sfiorare col lembo della voce e ti sfugge come il vento accarezza il buio della voce il ricordo in penombra un ricordo al futuro Il compositore Salvatore Sciarrino nel suo libro “Le figure della musica da Beethoven ad oggi” Ricordi editore, ha raggruppato 6 lezioni tenute in alcune città italiane dal 1992 al 1995, in cui egli cercò di individuare «l'albero genealogico» di alcune forme musicali della contemporaneità. Con Beethoven si ebbe il passaggio dalla modularità ostentata alla modularità nascosta e quindi dalla variazione fatta di più pezzi alla variazione in un unico movimento: «(…) Nell’epoca beethoveniana ogni movimento si estende in durata si ingigantisce; insieme al lavorio si rafforza la concezione unitaria dell’opera. (…) Beethoven si applicò caparbiamente all’arte delle variazione. Non per niente la logica è il punto di forza della sua musica. Esercitare la logica vuol dire possedere sensibilità analitica oltre che costruttiva. Beethoven è sicuramente il primo a intravedere anche il limite della forma a variazioni: ovvero la ripetitività della scansione strutturale. Con la generosità inventiva e anticonformista a lui solita, imprime un segno nella storia della forma e nell’animo di chi ascolta. Accogliamo lo scandalo di questo messaggio solitario.(…) Nelle ultime opere, Beethoven più volte ha piegato alla sua libertà individuale la rigidezza modulare delle variazioni. Quelle dell’Opus 131 mantengono la struttura classica e, allo stesso tempo, la superano. Anzitutto la varietà delle articolazioni impiegate, il grado di caratterizzazione di ogni variazione sono eccezionalmente alti. A qualcuno parrà una contraddizione, eppure Beethoven ha ottenuto questa gran varietà partendo da un’economia di mezzi veramente capillare. Egli mostra capacità immaginaria organica, spalanca un modo, qualcosa di più e diverso che semplice capacità combinatoria. Inoltre il compositore riesce a passare da una variazione all’altra senza che ce ne accorgiamo. Levitiamo in una continuità che ammalia. Il risultato complessivo non assomiglia ad alcuna musica che io conosca. Ingannevole all’ascolto, non è facile capire in quale forma sia scritto un brano tessuto così serratamente; la partitura in sé ci soccorrerebbe poco qualora gli abituali criteri di analisi convenissero integrati con criteri d’insieme. (…) Il compositore abolisce i ritornelli testuali (convenzionali fino a quell’epoca) e scrive per esteso le ripetizioni dando spazio a inconsuete varianti. (…) prima che il tema sia finito il bisogno di variare ha preso il sopravvento: la ripetizione variata slancia l’intera traiettoria musicale. Anche internamente ai pezzi seguenti la divisione in periodi non viene scandita. Anzi fra un periodo e l’altro non c’è soluzione di continuità, la musica tende a un fluire ininterrotto fatto di contrazioni e dilatazioni, addensamenti e rarefazioni (…)» http://www.youtube.com/watch?v=uGhsZwPLllc Ma la cosa più stupefacente, continuo a pensare, rimane la “Grande fuga Opus 133”, dove la Fuga si unisce alle variazioni, formando una simbiosi di altezza geniale inarrivabile: «il pezzo più stupefacente di tutta la letteratura musicale», come disse Glenn Gould. E per chi vuole e non l'ha ascoltato, consiglio a tal proposito, questo che, fra l'altro si può anche scaricare: http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-4e02a2ec-4046-486f-b7b2-54b8a5ab86ab-podcast.html segue
  10. 5 Maggio 1726 première nel King's Theatre in the Haymarket di Londra di "Alessandro" HWV.21, dramma per musica (1° versione) in 3 atti di Georg Friedrich Händel, libretto di Paolo Antonio Rolli (da Bartolomeo Ortensio Mauro: "La superbia d'Alessandro"), dirige il compositore {soprani litigiosi Faustina Bordoni-Hasse (Rossane) e Francesca Cuzzoni-Sandoni "la Parmigiana" (Lisaura), contralto Anna Vincenza Dotti (Cleone), contraltisti Francesco Bernardi "Senesino" (Alessandro Magno) e Antonio Baldi (Tassile), tenore Luigi Antinori (Leonato), basso Giuseppe Maria Boschi (Clito) http://www.youtube.com/watch?v=86f8RFEtinI
  11. A proposito di fusto, Luca, mi è venuto in mente che forse sarebbe dunque meglio partire dalle radici, risalendo al fusto arrivando, dunque ai rami e alla vasta e monumentale chioma che Beethoven creò in merito alle Variazioni per poi vedere, infine, come questa robusta pianta abbia dato i suoi frutti. Frutti che come vedremo matureranno fino al secolo scorso. Le Variazioni, come si sa, furono presenti in buona parte della vita compositiva di Beethoven - la sua prima opera composta a soli 11 anni, furono proprio le “Variazioni per pianoforte su una marcia di Dressler WoO 63” La prima serie di una certa qualità sono le “24 Variazioni per pianoforte sul tema “Venni amore” di Righini WoO 65", risalenti alla primavera del 1791. Piero Rattalino di loro così scrive: «L'Arietta di Righini è schematica e scheletrica quanto basta per poter subire senza danno tutti i travestimenti a cui Beethoven la sottopose, e presenta anche la caratteristica di adattarsi bene a una delle possibilità del pianoforte – la contrapposizione di suono staccato e suono tenuto – che più sta a cuore al giovane Beethoven. Dalla schematicità sia melodica che armonica del tema sorge un lavoro di brulicante fantasia, che ha il sapore dell'improvvisazione nata alla tastiere e che non esprime una vera preoccupazione di organizzazione formale.» http://www.youtube.com/watch?v=5pJu4CTxqQU A queste variazioni fu legato un aneddoto assai significativo. Nell'autunno del 1791 Maximilian Franz, in qualità di Gran Maestro dei Cavalieri dell'Ordine partecipò a Mergenthein ad un incontro di quell'associazione. Al seguito del principe ci furono anche dei musicisti della cappella di corte e, Beethoven, fu fra questi. Essi fecero una vista di cortesia al Kapelmeister del principe elettore di Magonza, Franz Xaver Sterkel che, in quell'occasione, conobbe il giovane compositore di Bonn. Ciò lo rese molto contento e, per omaggiarli, eseguì una sua Sonata con accompagnamento di violino con una grande grazia. Fu dunque la volta di Beethoven che fu invitato da Sterkel ad eseguire le "Variazione sul tema di Righini", variazioni che egli considerava troppo difficili da suonare ma, il Kapellmeister, non riuscì a trovare lo spartito e chiese a Beethoven se potesse farlo a memoria. L'impressione che suscitò la sua richiesta negli astanti, fu quella di una certa incredulità da parte sua, circa le capacità di Beethoven stesso, di saperle eseguire. Questo atteggiamento fu colto dal giovane di Bonn che, accettando la sfida, si sedette al pianoforte ed eseguì le Variazioni con la stessa grazia che Sterkel aveva prima usato nella sua esibizione. Questo per fargli capire che le sue Variazioni erano per lui, facili all'esecuzione come la Sonata del Kapellmeister lo era stata per questi e, ancor di più, non contento di questa dimostrazione di abilità aggiunse due ulteriori Variazioni elaborate lì nell'occasione. Superfluo aggiungere che grande fu la sorpresa e l'apprezzamento sia da parte di Sterkel sia da parte degli altri presenti. Molto particolari e interessanti furono poi le variazioni che Beethoven elaborò su un tema del balletto “Le creature di Prometeo” Opus 43, poi riversato in una contraddanza della serie WoO 14 e che sali, infine, agli altari dell'immortalità diventando il finale della "Sinfonia Eroica". Si tratta delle “15 Variazioni e Fuga per pianoforte” Opus 35, dette “Variazioni Eroica” Si tratta di un'opera ragguardevole non solo per l'invenzione musicale ma, soprattutto, per la trattazione compositiva fuori dal comune che Beethoven gli riservò. Il compositore apre infatti con solo l'accompagnamento del basso senza alcuna melodia; da questo si inseriscono via via, le altre voci in contrappunto doppio, triplo e quadruplo e, solo dopo quattro episodi, arriva la prima Variazione completa, in cui il basso si fonde con il tema principale. La brillante fantasia nell'elaborazione del tema assieme all'arguzia dei ritmi e alla vasta estensione tonale, alla sontuosità degli sviluppi, fanno poi il resto. segue
  12. George Enescu (Liveni, 19 agosto 1881 - Parigi, 4 maggio 1955) Buon ascolto
  13. Tutto quello che facciamo, o non facciamo dipende unicamente dal cervello, li, solamente lì, nasce il nostro pensiero, il nostro modo di essere umani in questo mondo. Il cuore scientificamente parlando è un muscolo involontario, assolutamente centrale per la nostra permanenza sul suolo terrestre e basta. La religione affida al cuore il centro della nostra anima e dunque, per chi ci crede, della nostra bontà o cattiveria. Anch'io in un mio intervento ho usato le parole cuore e cervello ma, questo, nella piena consapevolezza di farlo per usare un ambito che può essere a noi molto caro ma non vero.
  14. Simone, non lasciare, non gettare la spugna. Non dare ragione e soddisfazione a chi assolutamento non la merita. Vai diritto per la tua strada che è quella giusta. Sono 2000 cervelli è vero, ma che è in confronto ad una intera popolazione e se ti arrendi per così pochi non va bene. Il tuo lavoro è ottimo non buttarlo al vento. Qui dentro c'è una grande maggioranza che non lo merita. Falcia il marcio e proscegui per la tua strada. Non ti arrendere. Con sincero affetto e amicizia! Daniele Scarpetti
  15. 1) La mia ignoranza di precedenti post in questo forum (o della critica musicale! ) non mi permettere di identificare quel “qualcuno” che hai messo tra virgolette. (Luca) Irrilevante, un musicologo molto accreditato sostiene che il ‘900 sia dominato da due grandi poli: Schoenberg e Stravinsky, descritti in una sintesi estrema come progresso e reazione. (Frank) Il mio pronostico può essere Adorno? (Gerardo) Io non penso che sia irrilevante affrontare questo argomento e, questo proprio perché perché costituì una delle più grosse cantonate che, almeno una buona parte dell'intellighentia di “sinistra”, prese nei confronti della musica e del suo evolversi. Il mio consiglio che do a Luca è questo: procurati al più presto questo libro che, finalmente è stato ristampato: Massimo Mila “Compagno Stravinsky” Bur saggi. Con esso potrai, non solo chiarire esattamente l'eterna e assurda querelle fra i sostenitori di Schönberg e quelli di Stravinsky, ma potrai cominciare ad entrare nel mondo musicale di questo grandissimo genio del secolo scorso. Da parte mia mi piace qui riportare una parte dell'introduzione di Pietro Gelli. Questo libro: «Era uscito agli inizi del 1983, quasi a chiudere le celebrazioni di un centenario che in realtà, per lo meno in Italia e direi in Europa, passò quasi in sordina, come, del resto scarso entusiasmo critico aveva suscitato la morte, nel 1971, di colui che nonostante tutto rimane il più grande compositore del XX secolo.(...) Mila lo rileva con chiarezza: «Quando Stravinsky morì, a ottantanove anni, le azioni della sua fama, si trovavano forse al punto più basso. Non dal punto di vista del successo, ben inteso, bensì da quello della quotazione critica da parte del mondo musicale. Trionfava l'offensiva dell'espressionismo, scatenato nel secondo dopoguerra, attribuendo a questa sola tendenza artistica ogni merito della sofferta resistenza alla degradazione nazista. Giocando sulle date e sulla contemporaneità dei fatti, il neoclassicismo stravinskyano venne quasi tacciato di fascismo, e in ogni caso di evasione». (...) Mila, per quanto uomo di sinistra, per onestà intellettuale e per quella sua tipica e un po' anarcoide insofferenza a sottostare a ogni schieramento d'ordine, a ogni diktat partitico, fin dal 1959 (...) aveva messo in guardia contro Adorno e accoliti - fra cui il nostro compositore Giacomo Manzoni – che tendevano a identificare il giudizio moralistico con quello estetico. (...) Adorno (...) ha con una faziosa aggressività fatto e disfatto, e poi imposto un'antinomia egemonica, cui per decenni dal dopoguerra in poi, la cultura italiana è finita in grande parte per soggiacere. Non tanto quella musicale (...) Fedele D'Amico, per esempio, in un articolo del 1958 (...) parla di «squallida teoria di Adorno per la quale Stravinsky e Schönberg sarebbero i due poli della musica moderna, l'uno rivolto al passato, l'altro all'avvenire». (...) E se quest'ultimo era indicato non quale rivoluzionario di un ordine musicale obsoleto o inadeguato, bemsì come un progressista, emblema del radicalismo moderno e il più acuto interprete della crisi contemporanea, capace di risolvere l'essenza magica della musica in razionalità umana, di contro Stravinsky, soprattutto, a partire dalla svolta neoclassicista fino al suo avvicinamento alla dodecafonia, era visto come il simbolo del conservatorismo più alienante. (...) le sferzate antistravinskyane erano così acide e feroci da suscitare perfino le difese del supposto antagonista, irritato con il filosofo suo mentore, verso cui curiosamente Schönberg nutriva scarsa simpatia (...).»
  16. «Visto che la musica è fatta anche di codice e sintassi trovo appropriato parlare di linguaggio anche se c’è da dire che è connotata ma non denota, può avere più sensi ma nessun significato» (Frank) «Secondo me per apprezzare una cosa non bisogna per forza conoscerne il meccanismo» (Frank) Daniele dice «meraviglia». Posso condividere la sua impressione, precisando un po’ la mia. Per me si tratta della meraviglia di chi, in un ambiente completamente buio, è attratto ora qua ora là, da un rumore o da un odore che non ha mai sentito. E si sente un po' a disagio. (Luca) Ma guarda. Il brano di Schoenberg è esemplare nel senso canonico del termine ed è un must per chi vuole conoscere la dodecafonia e la sua storia. Anche lui ha avuto la sua reazione, ci sono altre opere da spulciare più recenti… Mi permetto di chiederti cosa ti ha colpito maggiormente per farti spendere l’aggettivo: “Meraviglia” (non che non condivida) (Frank) Allora partiamo dal fatto che chi scrive è, innanzi tutto, un quasi analfabeta della musica e che, ancor di più, è assolutamente ignorante circa i meccanismi della dodecafonia. Fin da bambino, quando mio padre mi diede i primi due dischi di musica classica – si trattava, pensate un po', di due 78 giri, uno con due brani da “Il lago dei cigni” di Čaikovskij e l'altro contenente le “Danze polovesiane” da “Il principe Igor” e lo schizzo sinfonico “Nelle steppe dell'Asia centrale” di Borodin – ho affidato il tutto a come il mio orecchio trasmetteva quei suoni al cervello e, da questo, ne usciva il mio giudizio. Ne è passata di acqua sotto i ponti ma, nonostante tutto, quello che ancora prevale nel mio giudicare è legato a questo mio istinto. Ancora più di Luca quando le prime volte alla radio ascoltavo la musica dodecafonica e ancor più post-weberiana, la trovavo assurda e inascoltabile. Ma contemporaneamente pensavo: se grandi interpreti, a cominciare da Abbado e Pollini, dedicano ad essa tanto spazio, evidentemente sono io ad essere in errore. In quegli anni poi, fra di noi, si parlava molto del fenomeno Luigi Nono, che attraverso la sua musica, aveva incentrato il suo impegno ideologico e militante. La mia testardaggine mi ha costretto dunque a perseverare, ma debbo confessare, che prima di arrivare a loro, ho dovuto affrontare e digerire interamente e ampiamente il “terzo stile” beethoveniano, che allora mi “terrorizzava”. Beethoven, fin dall'ascolto della Quinta a nove anni, fu ed è l'amore musicale della mia vita, ma fino a 25 anni circa, per me Beethoven, a parte la Nona e la Missa Solemnis, fu sostanzialmente quello del primo e secondo stile. Come i romantici insomma! Taglio corto e oggi, sapete che cosa anche mi fa gridare “meraviglia”? È la meraviglia di come questa musica... anzi. di come tanta della musica del secolo scorso mi trasmetta quel piacere enorme che provo nell'ascoltare la musica degli altri secoli. Oggi questa musica è accettata dalle mie orecchie con la stessa facilità con cui potrei ascoltare una grande opera del passato remoto. Oggi, ho bisogno di questa musica, almeno quanto ho avuto bisogno di ascoltare per non so quante volte consecutivamente la “Passione secondo Matteo” di Bach in vinile diretta da Karl Richter e le Nove sinfonie, sempre in vinile, nell'edizione del 1977, dirette da Karajan, nei mesi scorsi. Questa, Frank è la “MERAVIGLIA” per me, scoprire che questa musica, pur nella sua differenza di regole e linguaggio, mi emoziona quanto tutta l'altra! L'ho fatta mia e ne sono tanto felice! Non so...? Ho quasi l'impressione, ogni volta che riesco a fare mio, un qualcosa che fino a quel momento mi risultava ostico, di avvicinarmi di un millimetro a quella veritàaaaaaaa di cui il grande Cesare Zavattini, parlò in un suo film degli anni 80. Ciao e grazie a voi!
  17. Certamente, conoscendo tu Frank la tua amica, avrai pensato bene di proporgli Bach. Ma tuttavia, mentre leggevo e ascoltavo tutta la musica qui proposta, ho pensato che, forse, il modo migliore per addentrarsi nel mondo delle Variazioni, possa essere cominciando da queste: http://www.youtube.com/watch?v=YOTHiagFhqk Che ne dici? Quanto alle variazioni di Schoenberg e Stravinskij, che dire? "Progresso"..."Reazione"...? A me alla fine pare tutto "Progresso" e comunque "Meraviglia".!
  18. Ciao Lory, innanzi tutto piacere di incontrarti! Lo sfogo lo comprendo tutto e, sarei ipocrita se non ti dicessi hai anche ragione! Senza voler fare uno dei miei soliti pedanti pistolotti, mi permetto di chiederti di meditare solo su alcune cose: 1) Sei così sicura che tutta la colpa sia della televisione, ma piuttosto il perché per cuii siamo arrivati a questo punto non sia dovuto, innanzi tutto, a qualcosa di congenito e storico insito in questo nostro Paese e che viene da lontano? 2) Sei così sicura che su come sono andate le cose Grillo non abbia delle responsabilità? Nessuno dice bravo Bersani, visto che ha sbagliato tutto, ma ripeto: quanto ha sbagliato Grillo? O vuoi tapparti gli occhi e le orecchie anche tu? . 3) Lory, chi ti scrive ha vissuto in prima persona i "favolosi" anni 70 e sa bene quanto torbido c'è in questa Italia e altrettanto sa bene quanta poca memoria c'è negli italiani tutti. Siamo il paese del "chi ha avuto ha avuto scurdammuce il passato" e di questo siamo tutti complici, volente o nolente. Quante centinaia di persone sono morte in questo paese senza che si sappia il perché - almeno ufficialmente, o con una verità condivisa - ma tutti ce ne siamo scordati e nessuno da più importanza a ciò, a parte le emerite associazioni. 4) Infine, io invidio le persone che come te hanno certezze assolute. Anche io ne ho avute e tutte sono naufragate. Ciò nonostante continuo a pensare, nei miei milioni di dubbi, che forse veramente si possa cambiare...Ma di una cosa sono certo, non è continuando a parlare di pil che si cambierà: ma parlando di giustizia e ingiustizia, di onestà - ma quella vera - e di disonestà. Parlando e facendoci carico di tutte le persone che, in questo paese, sono di serie b, c d...Parlando e affrontando il problema cruciale dell'ambiente! E visto che di musica e cultura, scuola, parliamo in questo forum: preoccupandoci veramente di chiederci a chi veramente sta a cuore tutto ciò e a chi no? Mi fermo qui, e dico a te, come lo dico ad ognuno: nutritevi del dubbio e non delle certezze, perché la verità è più nel dubbio che nelle certezze! Ciao e buon lavoro! Daniele
  19. Io penso che, aldilà del piacere o meno, che possa dare il parlare di politica, ci sia un fatto imprescindibile: se io (noi, voi, loro) non mi interesso di politica, è la politica che si interessa di me. Detto ciò, sono ampiamente d'accordo sul dato statistico ma, resta il fatto, che noi faremmo bene a domandarci come mai questo benedetto Paese abbia bisogno di ultraottantenni per andare avanti. Se ci poniamo questa domanda e cerchiamo di dare una risposta obiettiva, scopriremmo probabilmente, che tutto quello che è accaduto in Italia dal 1992 - e anche da prima - in avanti, ha delle chiare responsabilità che riguardano tutti noi! Piaccia o non piaccia
  20. Premetto: c'è molto vero in quello che tu dici. Però a onor, sempre del vero, ne ha "solo" 88 , e, a conti fatti, non c'è poi molta differenza fra questi e gli 80 di un Rodotà e di un Marini! O no? In realtà il discorso dovrebbe essere molto più complesso e articolato se no, come sempre purtroppo, facciamo solo degli slogan che vanno bene alla pancia e non al cervello.
  21. Confesso che in un momento così problematico e che mi angoscia per il futuro del nostro Paese mi diventa difficile concentrarmi su altri argomenti non attinenti. La risposta alla domanda di Azzurro «Non trovate che la personalità di Beethoven sia inclassificabile?» è: no, assolutamente! È indubbio che Beethoven abbia «superato attraverso una ferrea volontà le prove di una vita segnata dal dramma della sordità» e, «fosse solo quello» - come scrive giustamente Carlos -, proprio componendo una musica che, almeno in una grande fase della sua vita «celebra il trionfo dell'eroismo». La musica che Beethoven compose, principalmente fra il 1802 e il 1814 – dico principalmente perché essa ebbe inizio parzialmente anche già fin dal 1797 ed ebbe una coda nelle sue ultime grandi opere – fu una diretta conseguenza di quello stato d'animo che nacque dalla presa d'atto che la sua sordità sarebbe stata irreversibile, che il suo stato di salute già precario fin dall'adolescenza, non gli avrebbe concesso che brevi pause. Ma sarebbe assai riduttivo circoscrivere il carattere di una persona – e di Beethoven poi in particolare - ad un solo fatto per quanto assai importante e funesto. Sul carattere di Beethoven pesarono – come in ognuno di noi – delle caratteristiche caratteriali congenite e altre cose che, nel corso della sua vita, a cominciare dal suo romanzo famigliare, andarono a segnarlo indelebilmente. La personalità di Beethoven non è inclassificabile perché, volendo, si può riassumere e definire in poche parole: fu un'erma bifronte – cosa di per sé non eccezionale visto che sostanzialmente lo siamo tutti – ma, questo egli lo fu in una maniera esponenziale. Tutto in Beethoven fu portato all'eccesso a tal punto che, ognuno di noi potrebbe tranquillamente, costruire il Beethoven che meglio gli aggrada, sia in senso positivo che in senso negativo. La cosa poi eccezionale è che ciò fu dovuta in prima persona alla sua stessa regia: in altre parole fu lui che contribuì in larga misura a costruire il proprio mito. Ho già detto del suo mai negare qualsiasi voce fosse detta su di lui, in una lettera del 1825; ebbene ciò ha fatto sì che su ogni cosa della sua vita si sia detto tutto e il contrario di tutto. Beethoven il progressista e il reazionario, lo scontroso intrattabile e il dolce appassionato, il generoso e l'egoista, il solitario e il conviviale, il malinconico sempre imbronciato e l'uomo pieno di spirito e con una risata grassa. Tutto questo fu Beethoven, tutto ciò convisse in ugual misura in lui. Uno degli aspetti più contrastante della sua vita fu quello relativo alla sua vita sessuale: si va da chi lo vuole assolutamente casto, a chi lo definì omosessuale, a chi pieno di donne che amò follemente per circa sei mesi per poi disinnamorarsene, a chi lo ritiene sia stato un grande frequentatore di prostitute per poi pentirsene amaramente subito dopo e sentirsi moralmente indecente. Famosa è la sua critica al “Così fan tutte” di Mozart, considerata un'opera immorale, mentre nella sua vita si sarebbe lasciato andare a comportamenti immorali di ben altro peso. L'opera più grande e più bella sull'amore coniugale la dobbiamo ad un compositore che mai si sposò e che con il sesso femminile ebbe sempre un rapporto assolutamente contrastato e, sotto tanti aspetti, di difficile interpretazione. Aldilà delle verità e delle falsità. delle parziali verità e delle parziali falsità, convisse in Beethoven molto di tutto ciò. Beethoven si paragonò a Socrate, a Egmont, a Leonore, a Coriolan,...e anche a Gesù. Non è forse a Gesù che pensò quando nel 1815, in una lettera alla contessa Erdody, così scrisse: «Noi esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito, siamo nati per avere insieme gioie e dolori; e si può dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza.»? Il suo rapporto fu sempre diretto con il Divino mai con Gesù! Beethoven fu un'artista assolutamente consapevole della sua incommensurabile grandezza e, nell'affrontare i suoi tanti malanni legati alla salute, seppe e volle coniugare queste due cose, costruendone sopra il suo mito immortale. «Sottomissione, la più intima sottomissione al tuo Destino, solo questo possono offrirti i sacrifici per questo tuo servizio dell'arte – o lotta aspra! - Fa tutto ciò che deve essere ancora fatto per progettare quanto è necessario per il lungo viaggio. Devi trovare quel che il tuo beato desiderio concede, e poi devi strapparlo a viva forza. Mantieni una ferma disposizione d'animo. Non devi essere un uomo , non per te stesso, solo per gli altri; per te non c'è più felicità se non in te stesso, nella tua arte. Dio! Dammi la forza di vincermi, nulla deve ormai incatenarmi alla vita.» La sottolineatura fu di Beethoven, mentre le parole in grassetto sono le mie. Esse servono per mettere in risalto l'intendimento messianico che Beethoven volle svolgere all'interno della sua arte: la consapevolezza che solo la rinuncia e la sofferenza potessero essere i viatici per portare a termine la sua grande funzione all'interno della storia della musica. Questo scritto da me riportato, costituisce la prima pagina del suo diario e risale al 1812 ed è molto probabile che, questo suo sfogo, fosse avvenuto, poco tempo dopo la fine della sua storia con la misteriosa “Amata immortale”. Non è un caso che proprio le uniche lettere che Beethoven non ha mai spedito – il cosiddetto “Testamento di Heiligenstadt” e le tre all'Amata immortale – siano servite, più di ogni altra, a creare il mito beethoveniano. Beethoven non si sarebbe mai suicidato e fin dalle prime righe se ne sente fortemente la netta non intenzione di farlo. Beethoven, curò la sua depressione sentendosi e convincendosi di essere un eletto, un eroe e, in quella lettera, si possono già intravvedere tutti e quattro i movimenti della Quinta. Le lettere all'Amata sono rappresentative di un Beethoven, assolutamente inedito e imprevisto: innamorato, dolcissimo e profondamente romantico. Ma quella «lotta aspra» di cui parla nel diario, in musica, Beethoven la tradusse in una lotta aspra che intraprese con la forma-sonata, dapprima assegnando ai due temi una contrapposizione assoluta – traducendo in questo la sua forte dualità – e poi portandola con le sue ultime sonate e i suo ultimi quartetti al suo quasi totale disfacimento; dopo i quartetti di Beethoven, non ci saranno i quartetti dei romantici, ma quelli di Bartók, dopo le sue sonate per pianoforte, non ci saranno quelle dei romantici, ma le due di Boulez: nella seconda, il soggetto della fuga dell'Hammerklavier è citato nelle prime battute e, tutto ciò, a dimostrazione che dopo Beethoven non ci poteva che essere la distruzione della forma.
  22. Che Birichini! Comunque, Daniele, prima di domenica non riesce a scatenarsi. Nel frattempo sarebbe bello e interessante che l'amico Azzurro rispondesse a Carlos, perché le sue domande sono assolutamente pertinenti. Ad esempio penso che il discorso sull'eroismo possa c'entrare con il carattere di Beethoven mentre non comprendo assolutamente - o mi sfugge - quello relativo alla sua frequentazione di tutti i generi musicali. Azzurro, se ci sei batti un colpo e dicci tu che ne pensi a tal proposito e anche più in generale se ti va!
  23. Sì, certo anche questo può essere un motivo! Ma di per sé non spiega perché, nonostante la ripetuta 'insistenza di suo padre, Nicolas, che lo invitò a terminare un concerto per pianoforte e orchestra, iniziato nel 1831, egli abbia abbandonato questo progetto, rielaborandolo nel 1841, per solo pianoforte e chiamandolo Allegro de concert Opus 46.
  24. Errata corrige: Dopo Beethoven, a cominciare dallo stesso Schubert che fu un compositore assolutamente poliedrico e geniale ma nel cui vastissimo catalogo pieno di ogni ben di Dio non risultano nessun concerto per strumento solista e orchestra? Questa parte del mio scritto va riscritta e intesa così: Come mai dopo Beethoven, a cominciare dallo stesso Schubert, compositore assolutamente poliedrico e geniale, nel vastissimo catalogo, pieno di ogni ben di Dio, non risultano nessun concerto per strumento solista e orchestra? Chiedo scusa!
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