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Piano Concerto - Forum pianoforte

thallo

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Tutto postato da thallo

  1. Zedef, hai tanato perfino il nome :-) ma mi consola sapere che era un omonimo... stavo davvero perdendo fiducia nel mondo ah, auguroni ;-)
  2. Tra le varie cose da cui sono preso in questi giorni c'è la preparazione di un concerto che dovrò fare martedì in una famosa ma normale città Toscana per un festival, al cui centro sta l'esecuzione di un brano per coro e organo vincitore di un concorso di composizione. È un appuntamento fisso da qualche anno e tutte le volte i ragazzi del coro si stupiscono della pochezza di ste composizioni... Non posso fare nomi nè titoli, ma poco fa mi sono messo a cercare il nome del vincitore del concorso (che a noi è stato rivelato da poco, le composizioni erano marcate solo da un motto) e ho scoperto che questo qui ha una bella e lunga carriera da musicista, ha fatto parte di famosi ensemble strumentali e ha perfino fatto altisonanti dichiarazioni poetiche. Ma, per dirne una, la partitura su cui abbiamo studiato era piena di errori, accenti sbagliati, sillabazione sbagliata, dinamiche impossibili (tipo i soliti soprani soli in registro medio che dovrebbero, secondo lui, cantare in forte, e il coro tutto che entra a battuta seguente in piano...). Il pezzo è lungo, senza idee tematiche, tra Hollywood e Gen Rosso, e come spesso accade in questi pezzi mi da sempre la sensazione di essere un esercizio, tipo "in un quarto d'ora vi faccio vedere quanto sono bravo a modulare ai toni lontani, a variare l'unico insulso tema che ho messo e a firmare il compitino". Il mio sfogo è inutile, ovviamente, ma mi sconforta vedere che un genere come la musica sacra corale che era la base della didattica, della formazione compositiva, sia diventato la deriva dei compositori poco creativi. Capisco sempre di più perché Part o altri hanno fatto successo con pochi mezzi, perché hanno almeno avuto la decenza di curarli e sfruttarli al meglio sti pochi mezzi. In quel concerto canteremo molte altre cose, e davvero il più insulso e ritrito pezzo rinascimentale che faremo è incredibilmente più bello e interessante di sta composizione vincitrice di concorso. Da qui, un monito piccolo piccolo: a me la sperimentazione piace molto, ma avere anche dei risultati decenti sarebbe stupendo. Confrontatevi con i grandi. Prima di scrivere un pezzi di qualsiasi tipo, ascoltate e analizzate i pilastri di quel genere, i differenti stili che lo hanno caratterizzato, è valutate sempre se il vostro è migliore o francamente imparagonabile. Una paginetta di Purcell è in grado di rendere RIDICOLI molti sforzi compositivi moderni.
  3. Alcuni miei amici la avevano sentita cantare in tarda età e dicevano che la voce fosse ancora lì, intonsa... !
  4. Prima cosa che non condivido. Oggi la nostra testa è adattabile, anzi, ci sono moltissime teste diverse, altrimenti non saremmo qui a parlare di cosa è giusto, bello e cosa no. Io sono dalla parte delle cose chiare e schiette ma aggettivi come "permissivo", "innegabile" o "originale", o "fuorviante", sono tutti ampiamente opinabili. A questo punto della discussione è un po' difficile uscirsene con un "vabbè, però sappiamo tutti che non è così" :-) molte delle cose che dici hanno delle contro argomentazioni forti. Non so, non esiste un valore dell'originalità, ci sono falsi storici stupendi; il fatto che i compositori del 600 fossero più permissivi potrebbe farci tranquillamente dire che anche questa permissività faccia parte del' "originale" o dell'ideale che cerchiamo; le esecuzioni non si dividono in fuorvianti e veritiere, non sono proposizioni matematiche. perfino il modo in cui ne parli urla che non parli di filologia ma di gusto personale. E non c'è niente di male. Ma parliamo appunto di gusto. Frank mette sul campo delle questioni di organologia storica, ma potremmo metterne molte altre, tutte cose che potrebbero far parte dell'ideale composizione originaria: la sala da concerto in cui venivano suonate quelle cose, il grado di precisione rispetto alle indicazioni in partitura, le differenze storiche nei tempi e nelle dinamiche... qua potrebbero uscirmi i fulmini dagli occhi perché questa affermazione fa un po' compositore romantico che schifa la musica teatrale... Cercando di essere super partes, dico che no, il teatro musicale, visto che tira in mezzo moltissime persone, non può permettersi l'improvvisazione. È il solista che si permette l'improvvisazione, ed è una precisazione cruciale perché nella storia della musica OGNI solista si può permettere un grado di improvvisazione. Sono pochi i punti in cui un cantante può improvvisare, in genere si tratta di variazioni che non cambiano la natura armonica e ritmica di un pezzo, proprio perché il cantante è quasi sempre accompagnato da qualcuno. Di contro ricordo come una percentuale schiacciante del repertorio per tastiera barocco sia frutto di improvvisazione, di come la musica da ballo di ogni epoca sia ampiamente improvvisata e di come improvvisazione e imperfezione siano termini che non hanno legami ovvi tra loro
  5. faccio l'avvocato del diavolo contro me stesso, facendo notare "dei buchi"... cioè... parlare di Vattelappescolo, morto nel 1685, o parlare di Rossini, morto nel 1868, o parlare di Cilea, morto nel 1950, cambia drasticamente le nostre possibilità di "giustificare" scelte interpretative. Vattelappescolo regge fino in fondo la ritrascrizione, come l'improvvisazione libera, il pastiche e quant'altro. Col mio coro ho cantato "Dido and Aeneas" di Purcell (fine '600) e l'ensemble che ci accompagnava ha sempre variato tutto quello che c'era scritto, ragionando "a giri", cioè aggiungendo liberamente giri armonici di 8 battute o quello che era per permettere ad alcune azioni sceniche di compiersi. Rossini regge una serie di azioni, ma non le stesse che potrei compiere con Vattelappescolo. Posso sostituire gli archi con gli strumenti a fiato nella cassazione scritta da Vattelappescolo, ma non posso fare lo stesso nell'orchestrazione del Guglielmo Tell. Però posso aggiungere mezz'ora di cadenza, tagliare intere scene delle sue opere, inserire arie da altre opere, facendo anche qui una sorta di pastiche, variare parole nel libretto, improvvisare durante i recitativi, in modo anche pesante. Cilea è tutt'altro mondo. Le prospettive diverse dovrebbero farci riflettere oltre che sulla musica dei vari periodi sul NOSTRO atteggiamento verso il ruolo dell'autore. Col passare dei secoli la musica "colta" è sempre più diventata proprietà esclusiva degli autori, dei compositori. Una volta non era così, era molto più una creazione di gruppo (con le dovute specifiche). Tutto ciò è, paradossalmente, anti-filologico. Cioè, i "filologisti", che in genere professano la superiore volontà originale dell'autore, fraintendono spesso il ruolo dell'autore nelle varie epoche.
  6. rispondendo idealmente anche a Frank e alla questione sulle bande, ovvero su "quale strumento usare per suonare qualsivoglia compositore"... quelli che capita :-) spiegando... elenchiamo le possibilità sul campo: 1) suono Vattelappescolo (compositore barocco che si è gentilmente reso disponibile alla simulazione) su uno strumento di un'epoca diversa da quella in cui Vattelappescolo è vissuto; 2) suono Vattelappescolo su uno strumento dell'epoca in cui è vissuto e della zona in cui ha operato; 3) suono Vattelappescolo su uno strumento dell'epoca in cui è vissuto e di una zona in cui NON ha operato. Tutte e tre le possibilità sono lecite. 1) Vedi Gould e Bach, e non solo, molti repertori antichi e moderni hanno una tradizione di trascrizioni, e poche composizioni erano scritte pensando specificamente a uno strumento. O meglio, anche se le composizioni avevano un rapporto stretto col proprio strumento, era pratica diffusa eseguirli in trascrizione o , per lo stesso compositore, approntare versioni diverse. Sono pratiche più presenti in alcune epoche, ma visto che noi seguiamo la prassi "DI OGGI", allora concettualmente basterebbe dire che oggi è possibile eseguire Vattelappescolo su un organo Hammond senza che muoia nessuno. 2) versione più ovvia. Vattelappescolo con le sonorità della sua epoca. 3) versione più che lecita, Vattelappescolo suonato da uno sconosciuto contemporaneo finlandese che nei suoi viaggi ha ritrascritto un'esecuzione ascoltata a Busto Arsizio. In realtà potrebbe essere un interessante spunto, che credo sia coerente con le mode storiografiche di oggi.
  7. si proponga un brano, su :-) che io in realtà odio Brahms...
  8. ancora d'accordissimo con Daniele, le interpretazioni si dividono in belle e brutte. Detto questo, se ti capita di "conoscere" alcune cose, poi iniziano a piacerti, ci prendi gusto e non riesci più a farne a meno... io amo molto il timbro del clavicembalo e le sue possibilità di accordatura storica. Ma non è questione di filologia o meno: ricordo sempre che "filologia" significa una cosa diversa da quello che intendono alcuni di voi. Non esistono interpretazioni filologiche, esistono edizioni filologiche. Filologico può essere uno spartito, insomma, e anche lì bisognerebbe descrivere cosa si intende per edizione filologica. Una interpretazione può essere storicamente informata, che non significa avere un nazista che ti punta un mitra alla tempia, significa che in quanto esecutore ti prendi cura di studiare tutto quello che c'è sul campo per farti un'idea ANCHE dello stile esecutivo dei tempi di Bach. Da lì in poi, però, ogni scelta è tua. Da cui, ci possono essere esecuzioni brutte ed esecuzioni belle.
  9. Anch'io l'ho vista per coincidenza :-) molto interessante. Comunque, credo che il modo di fare di Toscanini fosse davvero in parte figlio di un periodo storico ben diverso dal nostro. Io non sopporto i direttori maleducati ma, ahi noi, molto spesso vale la pena di avere a che fare con persone spiacevoli quando il loro valore è alto e indiscutibile. Toscanini era un'autorità indiscussa e indiscutibile, e forse le orchestre con cui aveva a che fare non erano fatte da professionisti per come li intendiamo noi...
  10. Storicamente anche pianisti e organisti hanno spesso fatto a meno di studiare in conservatorio, limitandosi all'istruzione privata. Ma ai fini della formazione di un'orchestra giovanile ci sono cose, come la preparazione musicale generale, molto difficili da valutare... Il diploma o la laurea in discipline esecutive è una specie di passepartout. E infatti il livello musicale medio dei cantanti lirici non diplomati è abbastanza basso...
  11. è uno dei problemi intrinsechi alla musica, soprattutto a quella "lunga": la musica ti costringe ad ascoltare, non puoi chiudere le orecchie, e quindi se non ti piace o ti annoia o ti fa schifo, al punto da viverla come una violenza. E' quello che molti provano con la musica contemporanea. Andare ad una mostra d'arte contemporanea è meno faticoso. Ma l'arte ha meno repertorio... come dire, è molto difficile fare formazione artistica, far vedere tutti i quadri di Tiziano a uno studente. Ma è più facile far ascoltare allo stesso studente tutte le sinfonie di Beethoven. Se si riuscisse a creare questa formazione di base allora andare a sentire un concerto sarebbe più facile
  12. Frank, le logiche teatrali sono ancora molto localizzate. Almeno secondo la mia esperienza. Durante la mia recente e breve esperienza a Regensburg in Germania ho visto che il teatro d'opera di quella cittadina, non particolarmente di spicco, aveva messo in scena "Die Feen" di Wagner, un'opera rarissima, e aveva fatto nel giro di due mesi più di 20 recite di Flauto Magico. Cioè, io a settembre faccio il Don Giovanni con regia di Graham Vick, uno dei più grandi registi d'opera viventi, e facciamo due recite a Como?! Una città dove probabilmente hanno i soldi per schiavizzare mezza Regensburg... la Germania è tradizionalmente un confronto impari, ci sono moltissimi teatri, moltissime orchestre e grande cultura musicale diffusa (una volta era così anche in Italia...). Ma ci sono situazioni simili in Francia, in Belgio, in Olanda, in tutto il nord Europa. Io spesso faccio l'esempio dell'Islanda, che è uno stato di 320.000 abitanti, che ha orchestre, solisti, gruppi da camera tutti di livello internazionale. Credo ci siano almeno una decina di cantanti d'opera di alto livello, tutti islandesi... proprio perché siamo in epoca di globalizzazione, per emergere un piccolo stato come quello ha bisogno di un livello culturale diffuso molto alto. Che spesso coincide con un buon mercato culturale. La crisi discografica è presente ovunque, è vero. Ma ci sono strategie per evitare che questo si ripercuota sullo spettacolo dal vivo. Noi speriamo sempre che queste strategia vengano adottate dalla politica, ma le figure giuste sono quelle commerciali, quelle che analizzano in mercato e ne capiscono le logiche. E che, incredibilmente, sono del tutto estranee dalla musica classica in Italia. Se escludiamo Allevi, che non è per nulla in crisi.
  13. io mi considero fuori dal mercato, perché sono ufficialmente "disoccupato"... ma i miei 10-12 concerti annuali riesco a vedermeli :-) ma spendo sicuramente di più nel comprare libri, questo è vero, molto spesso discrimino la musica dal vivo prima ancora di andarla a sentire... il discorso sul concerto visto come svago è azzeccato, però, ed è parte del problema. Ci sono svaghi che costano molto ma che vengono considerati imprescindibili. Si parla sempre dei cellulari, ma potremmo parlare della pizza con gli amici, della serata in discoteca, del biglietto del parco acquatico. Non voglio fare un discorso moraleggiante, non voglio dire "la musica serve di più", ma è un dato di fatto che altri svaghi vengano apprezzati maggiormente, ovvero venga dato un prezzo maggiore, vengano considerati meritevoli di una spesa maggiore. Allo stato delle cose questa è la situazione italiana, e orchestre e teatri dovrebbero rassegnarsi, cercando disperatamente di rendere appetibile il proprio prodotto. Ma non possiamo andare contro il mercato. Non penso che il concerto in sé sia un bene che lo stato deve tutelare, mettendo nell'indotto sovvenzioni e soldi (più di quanti non ce ne siano già). Preferisco meno concerto e più soldi nella scuola, a sto punto, perché è così che si ricrea il mercato.
  14. Ma quali sono queste responsabilità della politica? Premettendo che se parliamo di "responsabilità" in modo serio dovremmo riuscire a tracciarle inequivocabilmente. Io penso che la politica abbia soprattutto responsabilità secondarie, indirette, diciamo omissive. A naso direi 1) le mancate riforme scolastiche 2) riforme delle istituzioni culturali non precisamente azzeccate 3) una certa lontananza di immagine dal mondo della cultura. Queste, che sono le mancanze più frequenti, però, non sono "la causa" del problema. Dobbiamo sforzarci di essere onesti, 20 anni di Berlusconi NON hanno provocato la morte della musica classica. Anzi, per esperienza vi assicuro che il pubblico della classica e dell'opera tende ad essere di destra, conservatore, ricco, con la crisi c'ha poco a che fare, soprattutto con la crisi economica. Il problema principale della politica, a mio avviso, è un problema specifico, tecnico: sono stati individuati alcuni "dirigenti", a vari livelli, che hanno sbagliato. Allo stato delle cose in Italia il mercato musicale viene gestito da perfetti "parvenu", persone che si sono trovate al posto giusto al momento giusto, e che quello che sanno lo hanno imparato solo dalla pratica. E ciò non va bene. Campiamo ancora del mito del "quel tipo là conosce tutti", "quello viene tutte le sere in teatro", "la sua nomina darebbe prestigio"... in capo alle istituzioni non ci dovrebbero stare 1) politici 2) amministratori 3) filosofi 4) ammaniconi 5) MUSICISTI. Ci devono stare i manager della cultura, che ahimé in Italia non ci sono perché non abbiamo dei seri corsi di laurea che li formino. Questa è una responsabilità diretta, a mio avviso, ma che, ancora, non è la causa principale di nulla, perché i manager della cultura non ci sono neppure in Corea, ma lì la cultura vende... Quello che manca in Italia è il mercato. Semplicemente. La frase "chi non ha il pane non va ai concerti" è giusta, ma il punto è che oggi quelli che non hanno il pane sono relativamente pochi, e tutti gli altri se ne fregano comunque della musica. Io non sono bravo coi numeri ma in media un Teatro all'italiana (cioè tipo come La Scala) conta 2000 posti. La Lombardia è piena di teatri, quindi è meno impressionante il problema, ma immaginiamo la Puglia, dove esiste praticamente un solo teatro importante, il Petruzzelli a Bari, che virtualmente assorbe il pubblico anche del Molise e della Basilicata. Tutta la Puglia fa 4 milioni di abitanti... com'è possibile che il Petruzzelli non faccia il pienone sempre?? Per un teatro di spicco, in Puglia ci sono 5 conservatori. CINQUE. Io non conosco i numeri degli iscritti, ma metti pure che ce ne siano 500 per conservatorio (che sono pochissimi), fanno 2500 studenti di musica che trovano i soldi per comprare spartiti, strumenti, inutili libri di armonia complementare, ance, cuscinetti, lubrificanti e polvere di teflon ( :-) ). E' possibile che questi qui non abbiano 20 euro ogni due mesi per vedersi un concerto?? E' possibile. E' lo stato del mercato in Italia. Ed è la vera ragione dei problemi della musica colta da noi.
  15. metto il link ad un articolo di Lidia Ravera, assessore alla cultura e sport della Regione Lazio... http://www.huffingtonpost.it/lidia-ravera/se-litalia-non-riparte-da_b_5601972.html?utm_hp_ref=italy l'articolo parla dello sciopero a Caracalla e dimostra come i politici non abbiano le competenze specifiche per affrontare simili problemi. L'economia della musica è un campo complicato, le politiche migliori scontentano quasi sempre qualcuno, ma bisognerebbe avere il coraggio in questo momento storico di dire che il mercato musicale italiano, l'organizzazione delle orchestre, dei teatri, dei festival sono in gran parte da riformulare. Si dice sempre che all'estero le cose funzionano in modo diverso. Questo ha portato da anni una conseguenza lampante: attualmente nel resto del mondo la musica è suonata meglio e porta profitto. Ci sono eccezioni, ovvio, ma se escludiamo il campo del solismo, che è sempre un mondo a sé, la qualità di un'orchestra o di un teatro si misurano anche rispetto a fattori poco legati alla qualità dei singoli: la stabilità di chi suona dentro, il numero di prove, la qualità dei direttori assunti, l'offerta formativa delle istituzioni, l'offerta musicale della città. Non so, l'Orchestra del Carlo Felice di Genova che possibilità ha di essere "migliore" dell'orchestra di una città come non so, Lipsia? La qualità di quest'orchestra non dipende solo dalle sovvenzioni pubbliche, dipende da quanto i propri orchestrali vanno a sentire altri concerti, da cosa offre culturalmente Genova come città, dai direttori che la dirigono. E, dico io, parliamo dell'Orchestra di Battistoni... io c'ho cantato diretto da Battistoni e vi posso dire che non vedo proprio come sotto la sua bacchetta qualsivoglia orchestra possa migliorare. Per la serie "il numero di prove", Battistoni ha saltato due prove su 5 organizzate l'anno scorso per l'opera in cui ho cantato con lui. Due su Cinque! Ora, se un Teatro come quello di Genova, che negli ultimi dieci anni ha avuto buchi di bilancio impressionanti, ha fatto concorsi senza poi assumere i vincitori, ha avuto una programmazione limitata e secondaria investe su uno come Battistoni, che è un uomo immagine e basta, cosa ci si può aspettare dalla qualità culturale del sistema? Io sono tranchant e sono un po' capitalistico. I teatri vanno chiusi. E poi riaperti. Le orchestre stabili dovrebbero avere programmazioni diverse, molto più varie, che diminuiscano il fattore "evento" (che ne so, le tourné o il mega solista) e aumentino la pratica del repertorio. Suonare tanto per suonare sempre meglio. E aprire sempre alle scuole. Si dovrebbero prendere accordi con i conservatori vicini, offrendo agli studenti di guardare tutte le prove, anche le sezioni. Sembra sempre assurdo, ma se TUTTI gli studenti dei conservatori italiani andassero a vedere i concerti della propria città, i teatri non avrebbero problemi di sbigliettamento. Ma, non si sa perché, i direttori dei conservatori odiano e sono odiati dai direttori dei teatri. Se nel nostro paese i musicisti non vanno ad ascoltare musica, cosa pretendiamo dagli altri? E cosa pretendiamo dalla politica? Dal mio punto di vista, se non ricostruiamo il pubblico, se non usciamo dalla "crisi" mentale ed economica, non riusciremo a fare nulla per la cultura musicale.
  16. non risolve i dubbi, purtroppo... almeno due dubbi, se l'accordo di sesta napoletana sia l'armonizzazione di un grado della scala napoletana o, piuttosto, un accordo "autonomo"; e quali origini precise abbia, ovvero da quale scala-modo derivi la scala napoletana, se è giusta l'ipotesi della scala, o da quale sequenza cadenzale - clausola modale arrivi l'accordo (e in che modo arrivi). Poi, è ovvio, sarebbe interessante trovare dei brani napoletani da analizzare, per capire l'uso "filologico" di questo accordo. Magari cose di questo Provenzale (immagino Francesco Provenzale), di cui non so nulla...
  17. La parte di Orchestra dell'Opera di Roma che suona al Festival di Caracalla (perché è una parte, non tutta) giorni fa aveva scioperato per la prima di Bohème, e più o meno per le stesse ragioni. Ahimé ci sono poche speranze che le cose cambino, e non è colpa della politica, almeno secondo me. E' colpa "anche" della politica...
  18. In questo senso, sono d'accordo con Schoenberg: l'accordo è espressione di una scala solo sul piano teorico, non su quello pratico. E infatti devo dire che non mi è mai capitato di leggere su trattati di armonia che la sesta napoletana è un diretto richiamo alla scala napoletana. Se lo fosse, dovremmo "postulare" una sorta di modulazione ogni volta che viene usata. E una modulazione non di poco conto, visto che parliamo di una tonalità minore. Ma questo non ha senso, stiamo perfino parlando di un accordo maggiore, che se inserito nella cadenza, come di solito avviene, non mi dà nessun richiamo ad un'ipotetica scala minore, né napoletana né non napoletana. E' un problema che, per formazione, sarei portato a risolvere in maniera storica. Ma non ho informazioni in merito, non mi sono mai occupato di musica napoletana, ma magari effettivamente nel '600 c'era una scala minore napoletana su cui veniva costruito normalmente questo accordo, e visto che la musica napoletana girava per il mondo allora nel resto dell'Europa tutti sapevano della sua esistenza. Ma se postuliamo l'esistenza e la conoscenza diffusa di questa scala, allora non possiamo limitarci a prenderne un solo accordo... oltre ad un accordo maggiore sul II grado, avremmo un accordo maggiore con quinta diminuita sul V grado (!) e una triade diminuita con terza diminuita sul VII (!!). Ora, visto che stiamo parlando di eventi collaterali non di poco conto, cioè due degli accordi più importanti che cambiano drasticamente la propria natura, secondo me la scala napoletana non è una vera e propria scala tonale. Magari veniva usata solo per questioni melodiche, o meglio, QUEL secondo grado lì veniva usato solo per questioni melodiche, e sostenuto da accordi sul II. Ma a prescindere dal fatto che tutto è possibile nella storia, io ho forti dubbi che potessero essere usati intensivamente accordi di dominante costruiti a quel modo. Cioè, una quinta diminuita al V?! In un periodo in cui si aveva ancora "paura" delle quarte scoperte? Continuo a pensare che le cose siano andate diversamente (ma sono solo supposizioni prive di dati storici, ahimé): 1) una normale cadenza frigia, in senso modale, che parta da un bicordo di sesta minore (ipotizziamo fa-reb) può risolvere su un bicordo di quarta (sol-do), precisamente perché ci sarebbe la clausola tenorizans frigia (reb-do) e la clausola cantizans frigia (fa-sol); 2) il "nucleo" fondamentale di un accordo di sesta napoletana è la sua sesta minore, visto che è sempre in primo rivolto, e la sua risoluzione "tradizionale" è sul secondo rivolto dell'accordo di tonica, che ha la quarta scoperta; 3) è probabile, allora, che un giorno qualcuno abbia voluto replicare l'effetto della cadenza frigia ma trasportandolo in una situazione tonale, e quindi l'abbia fatto con delle triadi rivoltate; 4) la scelta della quinta maggiore era obbligata, ovviamente, visto che se no sarebbe diventata una triade eccedente; 5) e quando un giorno qualcuno si è chiesto "ma come giustifichiamo questo accordo nella teoria tonale?", e se lo sarà chiesto molto molto tardi, visto che Rameau ammetteva con tranquillità gli accordi con la sesta aggiunta (anche se, se non sbaglio, prendeva in considerazione solo le seste maggiori), allora hanno detto "costruiamolo sul secondo grado della scala napoletana e diciamo che obbligatoriamente deve stare al primo rivolto". Un po' complicata come spiegazione, ma spero di aver beccato il punto...
  19. mi era venuta la curiosità di capire a quando effettivamente risale la sesta napoletana... Schoenberg (Manuale di armonia p. 296) si interroga sulla nascita "ideale", non storica, dicendo che effettivamente è un errore concettuale considerare l'accordo di sesta napoletana come costruito sul secondo grado "abbassato". In primis, Schoenberg lo ricollega al VI grado della scala minore (armonica o melodica). Poi dice che, nella prassi, è considerato come un "rappresentante", o diciamo un sostituto, del II grado. Andando avanti, e preannunciando più o meno le sue idee di pantonalità, azzarda dicendo che nei modi gregoriani e idealmente in tutte le scale avrebbe senso considerare il II grado come fatto da due suoni intercambiabili, Re e Reb nel caso di una scala su Do. E poi dice che un giorno, forse, la teoria dei gradi verrà adattata non alle scale diatoniche ma a quelle cromatiche... Comunque, la teoria di Schoenberg tende ad includere tutti gli accordi estranei. Spesso abusando delle argomentazioni storiche (li fa risalire ai modi, ma non ha senso) ma cogliendo un punto fondamentale: gli accordi estranei alle tonalità di impianto non sono meno usati degli accordi naturali, anzi. Mi è rimasta, però, la curiosità di capire quali siano le origini (tracciate) della scala napoletana. Potrebbe derivare dal modo frigio, ma non so
  20. il primo a scrivere un'opera in una lingua diversa dall'italiano no :-) a meno che tu non voglia intendere qualcosa di particolare che non ho colto. Comunque, la mia opinione su Mozart è che il diavolo stia nei dettagli. Non mi sono mai considerato un vero e proprio fan di Mozart, e anch'io ho spesso avuto l'impressione che dietro alcune cose si sentisse il rumore delle posate. Ma con l'opera non è così, e dall'opera ho "indotto" la considerazione generale per cui la profondità di Mozart stia nei dettagli e nelle ironie. L'ironia è una cosa molto difficile da comunicare, soprattutto in musica. Nel teatro musicale ci si riesce di più, ovvio. E l'esempio è presto fatto: il duettino del Don Giovanni in cui Don Giovanni canta alla finestra di Donna Elvira. Donna Elvira è malinconica e pensa che quel canto sia riferito a lei, in realtà Don Giovanni prende due piccioni con una fava, perché sta cantando per far affacciare la cameriera e far uscire Donna Elvira, che verrà portata a spasso da Leporello travestito. Bugie così profonde sono rare nella musica... e Da Ponte esprime bene il tutto dicendo "ah proteggete voi la mia credulità". Penso che i compositori e i direttori d'orchestra, personalità spesso molto forti, siano poco propensi a cogliere questo tipo di profondità e la chiamano musica da tavola.
  21. Brevi considerazioni sparse: 1) dopo aver cantato il Requiem e da ammiratore sconfinato del Don Giovanni e delle Nozze di Figaro, posso dire che non condivido il giudizio "sprezzante" su Mozart. 2) allo stesso modo, non condivido molte cose del discorso su musica e linguaggio (ovvero musica e lingua). Soprattutto gli esempi, che si concentrano sulla famosa "doppia articolazione" che la lingua non condivide con la musica. Il discorso sulla sintassi, sul significato e sul senso della musica è molto più complicato di così, ahimé, soprattutto se approcciato in prospettiva storica, ovvero come fa Castaldi (che lo usa come grimaldello per poter dire "io sono meglio degli altri"). 3) non mi piace l'atteggiamento, ha proprio una parola buona per tutti... 4) dice alcune cose interessanti sul dopo-Cage. Penso sia parzialmente vero che molti oggi "si fingono" nella musica che compongono, creano modelli fantasy e vi si adeguano. Ma non vale per tutti. Come al solito anche Castaldi non prende in considerazione la musica non-classica. 5) Nono non piace manco a me... 6) i discorsi sul passato, presente e futuro nell'ascolto musicale sono un argomento "hot". Molti lo smentirebbero, alcuni sarebbero d'accordo. Io riformulerei: non c'è un solo modo di percepire il passare del tempo durante l'ascolto musicale.
  22. Mi pare di capire, comunque, che Frank tenda a parlare di compositori che hanno avuto un posto nell'evoluzione della storia della musica. In questo senso, Shostakovich non ha avuto un ruolo preciso, non c'è un pre-Shostakovich e un post-Shostakovich, mentre ci sono dei post-Berio, dei post-Grisey, dei post-Messiaen. Daniele è più personale, mi pare. Parla di un compositore a lui caro, con una personalità affascinante e discussa. E che, da un certo punto di vista, è stato ed è un compositore "di successo". Io non mi schiero. E cercherò di espormi poco. Ma penso, per esempio, a "The Rest is Noise", il librone best seller di Alex Ross, in cui si dà molto spazio a compositori "snobbati" dalla storia della musica, come Grieg, come Shostakovich, come Britten, che, però, hanno avuto molto successo tra il pubblico e tra gli esecutori.
  23. Solo per invertire i termini cronologici, che cambiano i rapporti di causa ed effetto: se la rivoluzione di Schoenberg è la dodecafonia, essa è stata anche una reazione A Stravinskij. Tradizionalmente le Variazioni per Orchestra op. 31 di Schoenberg vengono considerate la prima opera dodecafonica del compositore, e datano 1928. La Sagra della Primavera è del 1913... e, a titolo di cronaca, anche se non sono le sue opere più conosciute e apprezzate, ci sono un bel po' di pezzi dodecafonici scritti da Stravinskij. A me piacerebbe molto approfondire Shostakovich. Come per tutti i compositori che si sono dedicati poco alla musica vocale ho avuto un approccio parziale e "manualistico". E anche La Lady Macbeth del distretto di Mzensk, l'ho ascoltata una volta, sono rimasto sconvolto ma non ho mai avuto il "coraggio" di riprenderla...
  24. E' uno squarcio su quanto ancora il mondo del canto sia legato a personalismi, divismi, dogmatismi e così via. E' sempre interessante quanto poco questi articoli si occupino di musica vera e propria. Juvarra ci prova ma in realtà non dà alternative vere e proprie, sta solo criticando. Ma i veri problemi che una tecnica dovrebbe risolvere sono altri: ti permette di essere intonato? Di coprire con uniformità una ragionevole estensione vocale? Di possedere un volume ragionevolmente ampio e modulabile? Di possedere agilità ragionevolmente veloci e precise? Di articolare tutte le consonanti e le vocali delle maggiori lingue in repertorio? Di svolgere tutto questo senza danneggiare l'organo fonatorio? Praticamente nessuna tecnica vocale porta al massimo tutti questi requisiti, ma quasi ogni tecnica vocale ti permette di arrivare ad un minimo accettabile. Io penso che, alla fine, tutti quelli che svolgono degli studi vocali siano in grado di affrontare una carriera professionale. Se ci limitiamo a questo, dovremmo avere un atteggiamento accogliente verso tutti, liberale e poco dogmatico. Il problema è che molti cantanti e moltissimi insegnanti vivono la vocalità (che non è la musica) come un percorso iniziatico. Il punto di arrivo non è il professionismo ma la perfezione e questo porta a vere e proprie guerre di religione, tra chi porta "la verità" e chi porta "la menzogna". Questo non è il canto che piace a me.
  25. l'amico esperto di vocalità, come molti cantanti, pensa secondo dogmi. No, non esiste una sola tecnica di canto e non esiste una sola tecnica "giusta" di canto. Se affronti la questione da un punto di vista storico, non può che essere così: il canto artistico si è sviluppato in secoli e in luoghi geografici diversi, questo ci dà una ragionevole conferma del fatto che ci sono state e ci sono tecniche diverse ma ugualmente autorevoli. Avrebbe senso, però, parlare anche di "scuole", oltre che di "tecniche". Ci sono principi tecnici che molte scuole condividono, ma ogni scuola ha delle proprie particolarità, che siano didattiche o sostanziali. Nello specifico, parlare di "tecnica fondata sull'appoggio" significa dire tutto e niente. Ogni scuola definisce l'appoggio in modi diversi, lo insegna in modi diversi, lo applica nei repertori in modi diversi.
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