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Piano Concerto - Forum pianoforte

LucaCavaliere

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Tutto postato da LucaCavaliere

  1. Grazie anche da parte mia Daniele! Ammetto che a tale argomento “rosa” non avevo mai dedicato attenzione. Per due motivi: una certa distanza da argomenti passionali amorosi, e il disinteresse per l’approfondimento della biografia di colui che ha creato i capolavori musicali che più amo. Non che la sua biografia non mi interessi, ma per l’approfondimento non ho capacità, non ho competenze. Ammiro gli approdi di Solomon, e… il tuo lavoro, con cui ci metti tutta la questione su un piatto d’argento. So bene che conosci anche altre congetture oltre a quelle di Solomon, se non le citi avrai le tue buone ragioni (non ultima quella di essere breve). Ora però penso di aver fatto male a trascurare del tutto l’argomento: stucchevoli sono certamente i film e le ricamature romanzesche; ma la storia, in sé, non la trovo poi così stucchevole: non è solo “rosa”. Le circostanze della vita – purtroppo per Ludwig – vi hanno portato sopra una spessa patina di grigio. Tre osservazioni Non le ha mai spedite. Non le ha mai distrutte. Non scrive mai il nome dell’amata. Due considerazioni Il fatto di conservarle può essere indicativo della grande importanza che Ludwig attribuì alla traccia di vita rimasta nel suo cuore di quanto vissuto con questa donna: un importanza che anche in anni successivi è rimasta per lui “celebrata” dalla presenza di quelle sue stesse lettere che conservò. [certo: può anche essere indicativo che non faceva mai pulizia tra le sue cose. Ma per me no] Il fatto di non spedirle e fare uso solo di iniziali può essere indicativo di quanto Beethoven volesse che il tutto rimanesse sepolto per sempre nella sua memoria senza mai cadere in altre mani. E questo bisogno di segretezza penso che dovesse essere – purtroppo – molto forte (come è bello infatti, quando si è innamorati, anche solo scrivere per esteso il nome dell’amata!... magari anche con grafia migliore delle altre parole…) Un sentimento Accettata da parte mia l’identificazione con Antoine Brentano (elementi ce ne sono abbastanza) l’epilogo ‘in dissolvenza’ che Beethoven decise di dare alla vicenda sentimentale, mi porta a una grande compassione per l’uomo-Beethoven: un sentimento che credo simile a quello di Armando quando parlava del testamento giuridico del 1827 (quello con la firma malferma). In ogni caso – chiunque fosse quella donna – quello che mi muove a umana tenerezza per Ludwig è l’importanza enorme che ha avuto nel suo cuore, unita alla decisione di lasciare la vicenda sentimentale tristemente incompiuta. A fronte di tanta possanza e compiutezza che si sente nell’eco di molta sua musica – come percorsi esplorati fino a orizzonti inimmaginabili ad altri –, questa vicenda del cuore, lasciata intenzionalmente senza tentativi di farla fiorire, mi pare la sua triste Incompiuta. Povero Ludwig… e chi non ne ha di Incompiute nella propria vita?...
  2. i limiti che un'interpretazione ha costituiscono la sua bellezza?...sì. Un grande opera musicale è come un oggetto complesso, o un paesaggio, un terreno complesso. Chi potrà mai coglierlo tutto nella sua totalità? Con un solo sguardo, un solo gesto.... Mi piace pensare a un'iterpretazione interessante, che sia "originale" o "ortodossa" (con tutte le sfumature da un estremo all'altro) come un 'punto di vista', un angolo di visuale su questo paesaggio. Ogni angolo di visuale - scelto da chi abbia "occhio" - ha la sua ragion d'essere. Ogni angolo coglie cose, aspetti, che da altri punti vanno persi. e così nella musica: di una composizione posso avere diverse 'regie', ogni interprete mette in luce ciò che vuole e adombra altre cose... chi ama il dettaglio, chi ama il campo lungo... chi illumina il paesaggio di una luce "irreale"... ma poi, un'interpretazione che di un'opera potesse dichiarare t u t t o (come una TAC), sarebbe anche bella?... io non credo.
  3. Sono molto d'accordo (non solo su questo piccolo estratto che cito)... Tanti tanti, troppi, gli spunti di riflessione (prima di cena ) Anch'io ho le mie piccole licenze interiori simili a quella tua sul "Macbeth". Mi pare divertente come (per me) siano tutte "corone" di valore (come la tua) e neanche una a stringere o tagliare... ma potrei sbagliarmi
  4. E meno male: i limiti sono il bello dell'esecuzione. Solo la fantasia non ne ha
  5. Carlos . . . messa in questi termini 'gestazione' non piace più nemmeno a me. è vero: dà un'idea di passività. Può andare meglio allora... 'travaglio'!?... in ogni caso (sapevo tutte qulle cose su Beethoven. Grazie comunque)... Ribadisco che sono d'accordo con Tiger e con te: con tutto ciò che hai appena scritto. E penso che leggendo i miei due messaggi precendenti (10:47 e 16:31) si possa capire.
  6. eeeh . . . forse il disordine delle nostre discussioni ha poco a che fare col classicismo
  7. ma certo . . . come si potrebbe non essere d'accordo?
  8. x Tiger, sono perfettamente d'accordo con tutto quel che hai scritto qui sopra. Ma non hai capito cosa io intendessi con 'idea romantica' del crare musica. Ci riprovo. Non intendevo che non sia necessaria la fase dell'elaborazione ('sostenere', 'portare avanti', 'mestiere', 'tecnica'...). L'eleborazione (che a me piace chiamare 'gestazione') c'è sempre. Anche in quelle opere che si crede siano nate "di getto" in una notte... sono proprio favole. Con 'idea romantica' del creare musica (di cui posso fare a meno) intendevo l'immagine - idealizzata appunto - del compositore chiuso nel proprio mondo interiore, che crea i suoi capolavori senza aiuti esterni: senza aiuti tecnologici, senza pianoforte, e magari (per assurdo) essendo anche un po' sordo.
  9. x Ilenia No, non sapevo cosa fosse la musica algoritmica, e nemmeno che esitesse l' IRCAM. Prima di scrivere questo messaggio ho dovuto prendere una minima nozione di ciò (anche grazie a Frank). Devo dire che il mio scetticismo rimane: quello scetticismo che mi ha fatto scrivere "musica" (tra virgolette) nel mio messaggio precedente a proposito di quelle cose-sperimentali il cui fine principale è sperimentare. Se la composizione algoritmica nasce per scrivere, come appena scritto da Frank, questa cosa mi pare come un 'sub-appalto' del lavoro di composizione. Si potrebbe dire che l'utlizzo di mezzi altamente tecnologici in grado di produrre una certa quantità di 'materiale semi-lavorato' sia inaccettabile per chi ha un'idea romantica dell'eleborazione interiore di una crazione musicale. Si potrebbe dire - al contrario - che è alla fine è sempre il compositore (l'architetto) colui che decide cosa gli piace e cosa non gli piace di tutte le campionature che le sue 'maestranze algoritmiche' gli hanno messo davanti perchè se ne serva a suo piacimento. è lecito sub-appaltare?... diciamo di sì. E dicendo di sì, io mi devo forzare, perchè ho un'idea romantica del creare musica (idea da cui mi posso anche liberare). Ma la convinzione da cui non mi voglio staccare, è che, quando si producono 'cose-musicali', io sono disposto a chiamare 'musica' quelle in cui l'intento prioritario fosse 'creare bellezza' e non 'sperimentare'. In questo ammetto una mia rigidità. Ma nel pormi così ho prima (onestamente) risposta a questa domanda: «cosa posso/voglio chiamare 'musica'?». Mi consola che c'era (molto tempo fa) gente così rigida da considerare 'musica' solo l'armonia delle sfere, ritenendo quello che producevano gli strumenti un femomeno di bassa lega.
  10. «uno si perde tutto stando attaccato al telefonino...» è proprio vero Egidio. Ma la cosa ridicola è che, stando sempre attaccati a un cell. (sempre più evoluto), si pensa di prendersi tutto, e non di perdersi tutto.
  11. «spesso la musica sperimentale nasce né più né meno con lo scopo di vagliare una nuova possibilità, un nuovo linguaggio, un nuovo effetto, a prescindere da qualsiasi messaggio questo linguaggio possa veicolare, e quindi a prescindere da chi ascolta, e quindi nasce morta». (Carlos) questa è un'affermazione in cui mi ritrovo molto. Sono scettico nei confronti di una "musica" che stabilisce a tavolino le sue regole grammaticali. Amo 'il nuovo' che emerge dal 'vecchio' e vi si mischia, a volte sornione, a volte spaccone: quel 'nuovo' che ad insaputa del 'vecchio' - e anche dello stesso compositore - convive col vecchio nella stessa casa (stessa opera). Poi, un giorno, anche quelle novità saranno tradizione. Questo va da sè. Ma sono nate, per così dire... 'in natura'. Non in laboratorio. Di certi brani sperimentali (ai quali immagino Carlos alluda con "musica morta") mi pare potesse essere già pronta la guida all'ascolto quando il brano stesso ancora non era abbozzato.
  12. Se è solo questione d'abitudine [RedScharlach] mi fa piacere. era un po' quel che pensavo. Ma questo mi conferma che "l'avangoardia" è un linguaggio (scusate: tanti linguaggi). è solo questione d'abitudine, come ... per un lingua! o no?... Prima non la capivi... poi ... aun certo punto... la capisci, e magari pure ti emoziona. Allora qualcuno concorda con me sul fatto che la-musica-è-un-linguaggio-universale sia una balla grande quanto l'universo!?....
  13. Thallo, non mi uccidere! . . . ma il musiforum esiste: è questo quà dove ci stiamo parlando! o no? Nella mia sostanziale ignoranza di modernità e avanguardie, molte delle domande poste da Frank toccano temi che mi porto dentro da alcuni anni. Cosa succede alla fine del concerto a livello interiore? . . . Penso che, per ogni persona, avvenga una risonanza - un armonico - di quanto quella stessa persona durante il concerto ha dato alla musica. è chiaro che ognuno può dare nel limite della propria sensibilità ed esperienza, ma una disposizione di 'apertura' deve pur esserci perchè a fine concerto succeda qualcosa (anche solo qualcosina). E quali sono quei fattori a cui si "appigliano" le possibilità di un brano di essere ricordato? Posso proporre la 'ripetitività'?... Voglio dire: il ritorno, anche variato (ma con tratti anche minimi di riconoscibilità) delle sue formule elementari motiviche. Traslando il discorso: non è forse la rima (in poesia) quell'elemento di ripetitività che consente un appiglio alla memoria? (che la poesia piaccia o non piaccia) Non è forse la ripetitività di colonne archi bifore lesene... a stabilire quel dolce appiglio che consente di ricordare un edificio? (che l'edificio piaccia o non piaccia) Ma quando si arriva a concepire musica che abbia carattere narrativo (e si può fare) ecco che devo confessare la mia debolezza. La 'narrazione' svolge qualcosa in cui, in genere, non c'è ripetizione. Una musica 'narrativa' a me risulta impervia: non mi offre appigli per entrare, poco a poco, nelle sue movenze: mi sorprende a ogni angolo, e devo seguirla pendendo dalla sue labbra (come una narrazione appunto). Posso sperare che dopo ripetuti (e ripetuti) ascolti io riesca a ricordarla "in blocco"? Forse posso sperarlo. Ma ci vuole molta... determinazione.
  14. i concerti che frequento, fino ad ora, sono delle 'retroguardie'. Quindi non ho elementi per fare a mia volta il confronto di Kappa. Però potrebbe essere dovuto a qualcosa di anaolgo a quel che avviene in fase di digestione. A me capita, quasi sempre, quando ho qualcosa di impegnativo da digerire di essere . . . poco di compagnia (se sono anche silenzioso bisognerebbe chiederlo ad altri!)
  15. Grazie all’intervento di oggi di Kappa mi è balzata all’occhio questa vecchia ma interessante discussione a cui vorrei portare il mio misero e tardivo contributo. A tale distanza di tempo da quando ne discutevate, anziché mettere dei ‘like this’ penso dia meglio citare quelle vostre affermazione che mi hanno colpito e in cui mi ritrovo totalmente. In ordine cronologico inverso, sono: «La mappa non è il territorio» (ScalaQuaranta) «La Musica è nata suonata e cantata prima di essere scritta. Ergo, la Musica è una cosa che si suona e che si canta e che (eventualmente) si scrive. Non il contrario». (Carlos) « la Musica non esiste se non quando la si suona. La partitura non è la Musica ». (Carlos) Quest’ultima che ho riportato, tra l’altro, mi “brucia” (felicemente) una domanda che avrei voluto fare a Carlos. Ammetto che ciò che ora scrivo è poco musicale, ma quello che Carlos afferma dicendo che la musica si suona e si canta e che solo successivamente (eventualmente) si scrive, si possa dire anche a proposito di quella ‘parola musicale’ che è la poesia. Per essere goduta… Per fare un esempio, guardando a me stesso… quanta emozione, ogni volta, nel leggere a voce alta! «S'ei posson dentro da quelle faville parlar", diss'io, "maestro, assai ten priego e ripriego, che 'l priego vaglia mille, che non mi facci de l'attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver' lei mi piego!» (If XXVI 64-69) (quando nessuno mi sente) Un emozione (o brivido o godimento) che proprio non c’è nell’osservare queste belle-parole fatte di belle-lettere stampate su carta… Un emozione che c’è solo in parte (veramente minima) nel leggersele mentalmente. Quindi anch’io dico di sì: deve essere eseguita.
  16. Interessante anche la successiva traccia di abbozzo che poi si è "asciugato" nella Nona! Però, scusa, "per augmentationem" (a mia memoria dell'Arte della fuga) non vuol dire semplicemente quando di una linea melodica si aumenta ad arte la durata delle singole note?... Non vedo il nesso con il modo che ha Beethoven di togliere di mezzo il "di più". Riguardo alla citazione latina di san Tommaso non posso dir nulla .... sono diplomato geometra e, purtroppo, col poco tempo che si ha, il latino non è una di quelle cose a cui mi sono potuto accostare dopo.... (e lasciamo perdere i traduttori on line se lavoro "di fantasia" probabilmente mi avvicino di più io!) ciao! Luca
  17. Comunicando ciò che si avverte nell’ascolto di un’opera musicale, rimanendo ‘in essa’ con una tensione volta a coglierne il senso, bisogna farsi coraggio ed esporsi a giudizio, sapendo che nessuno può giudicare appieno se stesso. Ad altri penso sia meglio lasciare una valutazione più obiettiva su ciò che è rigoroso e ciò che è arbitrario. In merito, per quanto si cerchi ovviamente di operare una scrematura personale, non è possibile – forse nemmeno utile – tentare in prima persona una perfetta distinzione tra quel che è frutto di ragionevole deduzione e ciò che va troppo ‘in là’ negli approdi delle proprie riflessioni. Questi ‘approdi’ – mai definitivi, mai propriamente ‘conclusioni’ – sono però a loro modo ‘soste retrospettive’ sul cammino personale e incessante che porta al cuore di un'opera d’arte. Penso sia meglio lasciare ad altri anche valutare gli sconfinamenti, debiti o indebiti, dal “puro musicale” verso “l’extramusicale”. Ma accolgo tale giudizio serenamente; oltre a non essere persuaso che su tale confine vi sia un muro-continuo – alto solido e cieco –, considero le possibilità di dialogo tra questi due terreni, delicate al pari di quelle tra posizioni differenti in materia di fede (sperando sempre che non arrivino a sfociare, come è accaduto nella storia della critica musicale, in guerra di religione). Cerco dunque di interrogare, di stare di fronte all’opera d’arte, ammettendo talvolta di non capirci nulla. Nei rari casi in cui avverto ‘qualcosa’ – pur ritenendo prudente partire dal presupposto che in sé un brano musicale non voglia significare nulla – , preferisco rischiare affermazioni contestabili, nella ferma convinzione che il valore di un'opera non sia solo circoscrivibile “legalmente” con locuzioni comprovate sul piano tecnico, ma anche (cosa ben più desiderabile) suscettibile di venir compreso con affermazioni capaci di aperture, di squarci sullo specifico umano della singola opera, la quale costituisce il luogo della ‘condivisione’ dell’esperienza umana tra compositore interprete e ascoltatore. Mi rendo conto che inseguire con le parole la musica sul suo terreno è un’azione indecente. In parte sicuramente lo è. Soprattutto per chi, come me, è convinto della totale autonomia espressiva della musica, non solo dalla parola o da concetti poetici, ma anche da suggestioni legate a tutto ciò che appartenga all’ambito visivo: pittorico, cromatico, grafico o scenico che sia. Cerco però di superare questo disagio nella convinzione che ogni brano musicale, anche quelli concepiti per assecondare un ‘programma’, sia poi stato creato seguendo necessariamente logiche ‘assolutamente musicali’ e che il contenuto più intimo di ogni opera, anche della più “assoluta” fuga di Bach, sia profondamente legato ‘all’umano. Cerco di superare dunque l’imbarazzo nel parlare di un’opera musicale toccando concetti “extramusicali”, convinto che il significato profondo della musica – delle opere in cui un senso davvero si celi – sia ‘umano’ e non asetticamente “musicale”. Se l’idea di una musica “assoluta” si rivela priva di consistenza in rapporto all’espressività di molti capolavori anche strumentali, i quali sono certamente ‘musica’ ma non “pura” ed estranea al travaglio umano dell’autore, d’altra parte non sembra corretto di fronte a un brano musicale cercare al di fuori della musica la radice dei suoi contenuti più veri. Questi ultimi certamente non sono extra musicali nel senso di chissà quali proclami, nobili quanto si vuole, perfettamente decifrabili pur con fatica, che però con la musica poco hanno a spartire e dei quali essa costituirebbe una riduzione sonora. Tuttavia, come appena detto, tali contenuti sono legati in profondità – non esplicitamente – al travaglio umano del suo autore: a questo ‘oltre’ cui l’opera musicale allude misteriosamente nel suo porsi semplicemente e null’altro che come musica. In quest'ottica mi sento portato al più alto rispetto dell’assoluta indipendenza espressiva della musica dalla parola e da ogni altro ambito percettivo, considerandola dunque – solo rispetto a tali interferenze – nella sua musicale purezza. Ma penso – senza rigidità a cui spesso si dà maschera di “rigore” – che ‘indipendenza’ non significhi necessariamente impossibilità di ‘rapporti analogici’. Bisogna distinguere i tentativi di tradurre il contenuto dalla musica alle parole i quali sono sempre maldestri, dai tentativi, forse doverosi, di avvicinare le parole alla musica sfiorandone il significato. Né questi ultimi, a mio avviso buoni seppur destinati a un’inevitabile parzialità, né i primi, destinati invece al completo fallimento, verrebbero intrapresi da nessuno se nel profondo dell’anima non si avvertissero arcane corrispondenze: misteriose ma concrete analogie, tra l’espressione verbale e quella musicale. Per correttezza si dovrebbe allora ripulire, o arricchire, il vocabolario delle riflessioni musicali. Le varie lingue non sono nemmeno provviste di termini adeguati a trattar di musica ‘in purezza’. Espressioni come ‘affresco sonoro’, ‘immagine sonora’, ‘gesto drammatico’, ‘tono narrativo’, ‘scena grandiosa’ ecc. sono moneta corrente anche nelle proposizioni dei più fieri sostenitori della musica assoluta. Questo dato di fatto, lungi da essere una riprova di impurità o dipendenza della musica dall’ambito verbale – e tanto meno indice di un effettivo bisogno di riforme lessicali, per carità! – è sufficiente a stabilire tra tutte le forme d’espressione artistica (non solo tra musica e parola) veri rapporti, non di dipendenza, ma di parentela originaria. L’anima è come un fiume che bagna queste ‘rive’ dell’espressione. Non vi sono ‘ponti’ che stabiliscano tra loro un contatto pieno e tangibile, ma talvolta esse sono visibili l’una dall’altra con ‘sguardo analogico’. Ovviamente non si raccomanderà mai abbastanza che ognuno si curi della decenza dei propri sguardi.
  18. Sono d'accordo Carlos, sul fatto che la Nona non abbia bisogno di niente dopo e niente prima. Concettualmente sono d'accordo. E questo vale per la Nona così come per le altre opere che hai citato. Dopo tali opere, personalmente del bis manco mi passa per la testa. Ma ci sono due dati di fatto a seguito dei quali cercavo di immaginare quale fosse il bis 'migliore' (potrei scrivere: 'meno peggio'). 1° dato di fatto: tempi "canonici" di una serata sinfonica Se sono lontani i tempi delle accademie (maratone!) in cui avvennero la premiere della Nona, il programmone del 22.12.1808 con la Quinta, La Sesta... è anche vero che il minutaggio della Nona è un po' strettino all'interno della durata moderna di un concerto sinfonico. Ma su questo mi rendo subito conto di aver scritto un'ingenuità: basta lasciare il monstrum dopo l'intervallo, e nella prima parte proporre qua lcosa di più leggero. Nel 1993 ho ascoltato la mia prima Nona live (Delmann-Orch. Verdi) con il Primo concerto di Beethoven nella prima parte, e nell'estate 2010 (integrale milanese delle sinfonie: Manacorda con l'Orch. dei Pomeriggi musicali) la Nona era preceduta dalla Prima Sinfonia. In entrambi i casi molto bello e... niente bis alla fine. 2° (banale) dato di fatto: il pubblico chiede insistentemente un bis in questo caso non sono d'accordo che possa dipendere dall'eccitazione del momento: penso che siano ben pochi che dopo la Nona sentano bisogno di altro. Ma questo penso che valga anche per serate dalla portata meno filosofica (ti ho tolto le virgolette! ). Un pubblico che chiede un bis non lo fa perchè pensa di aver "avuto poco" ma, più semplicemente (più banalmente se vuoi), per attestazione di stima per gli interpreti ne reclama ancora la presenza scenica 'attiva' (cioè non semplicemente uscire per gli applausi). E allora . . . o si cerca di educare il pubblico negandogli il bis (e ci può stare). Ma, come con i figli, specie da piccoli, si sà quanto gradiscano al momenti gli interventi educativi; anche se poi serviranno. Oppure si cerca il bis migliore o 'meno peggio': quello che, pur nel minutaggio contenuto, può presentare anche solo una piccola affinità con la Nona: piccole affinità che io vedevo in quei due lavori beethoveniani di cui abbiamo parlato. per Armando, Quel frammento dell'abbozzo del tema del primo movimento che hai inserito nel tuo messaggio è illumimante nel suo rapporto con ciò che è divenuto nell'opera compiuta: è più ricco! Ed è la stessa impressione che ho ascoltando l'abbozzo dell'Arietta dell'opus 111. Questo è interessantissimo. Accostando queste due cose all'affermazione che il De Roda fa a proposito della "lavorazione" della Canzona dell'opus 132, mi vengono pensieri sul modo che aveva Beethoven di comporre . . . a presto
  19. Grazie Carlos! Allora: spero di aver cercato la risposta tra le righe giuste ! Mi pare di capire che quel che tu dici è che il Beethoven "beatificato" dalla discografia, e dal gusto più diffuso del pubblico, sia quello eroico imbronciato col pugno sul tavolo. Effettivamente anche a me pare così. E mi è capitato, una volta, ascoltando il Quarto concerto per piano o il Concerto per violino, di incrociare il suo sguardo che mi guardava severo dall'ennesima copertina di libro con uno dei suoi ritratti severi, e ritrovarmi a "dirgli" «ma no mio caro, stai tranquillo... io lo so, lo sento, che tu non eri sempre così...» Sta di fatto che anche la Consacrazione della casa mi sembra molto 'eroica'. Solo che siamo nei fasti di una battaglia già conclusa (e vincente!). A differenza della Quinta dove la luce del DO+ non è data così "a gratis" dall'inizio, e a differenza di Coriolano dove il dramma, la lotta, si risolve in sconfitta. Se c'è qualcosa di buono in questo che ho detto, sul piano del senso della musica (per chi non gradisce il termine, scusate), mi pare che a sfavore dell'opus 124, in epoca romantica, abbia giocato il fatto che... la lotta, il destino, il destino avverso etc. etc.... mancano. C'è solo luce sfavillante dall'inizio alla fine. Poi, sul piano della forma, potrebbe aver giocato a sfavore della sua popolarità la mancanza, non certo di costruzione - per carità: sentiamo il fugato! - ma di quella particolare costruzione in divenire dialettico (forma-sonata, opposizione temi) per cui Beethoven da molti è venerato. Tant'è. Cambio un po' discorso. Una volta Andras Shiff disse «ma come si fa a chiedere un bis dopo la sonata op. 111 ! Cosa può venire dopo la 111?». Non ha torto. La domanda si potrebbe fare anche per la Nona Sinfonia. Sta di fatto che il pubblico per abitudine i bis li chiede. Una volta a una Nona mi è toccato sentire un bis "rewind": il Finale risuonato dal dialogo stretto tra i solisti maschili e femminili (battuta 763). Vabbè. è andata ... Ma allora, questa Consacrazione, non potrebbe essere il bis giusto? Quasi che il suo entusiasmo fosse l'eco, il prolungamento, dell'entusiasmo della stretta finale della Nona? E non potrebbe essere un bis ancor più bello (con il coro!) l'altra opera che tu hai citato? Mehresstille und glückliche fahrt ! «Tiefe stille herrst im Wasser». Queste parole iniziali (Profondo silenzio regna sulle acque) non potrebbero essere un po' "memoria" di quel "profondo tremolo sulle acque" delle battute iniziali della Sinfonia? . . . Certo, una memoria meno inquieta. ciao
  20. [L’ho già fatto con un messaggio privato, ma voglio ribadire con questo post un po’ meno laconico, e leggibile a tutti] Grazie Thallo… per aver speso un po’ di tempo a scrivere, qui sopra, come ti poni rispetto al parlare (e ragionar) di musica. Non che quelle cose che dici non le avessi intuite dal timbro di tanti tuoi interventi, ma mi ha fatto davvero piacere sentirti parlare direttamente di quella che io chiamo la tua ‘grammatica interiore’: grammatica alla quale non voglio assolutamente rinunciare (pur così diversa dalla mia). Anch’io, ovviamente, voglio sbrigarmi a scrivere qualcosa di me. Mio caro Daniele, sono d'accordo sul fatto che la musica vada soprattutto ascoltata. Come potrei non esserlo?... Sta di fatto che 'di musica', tra i partecipanti ad un forum, si parla e, sotto sotto, è bello farlo. tu di musica hai sempre parlato: e molto, e con molto interesse da parte mia. In questo momento però mi "accontento" del tuo guardare con fiducia solo alla bacheca del Diario musicale. E lo posso ben capire. Un caro saluto, a tutti! Luca
  21. Ecco Frank! . . . mi hai rubato le parole di bocca: era proprio questo che volevo chiedere a Carlos (lasciando un po' 'decantare' la discussione). cosa può essere quel «quant'altro» (extramusicale?) che ha sfavorito l'opus 124 in termini di vendibilità?
  22. PREMESSA La discussione sulla Consacrazione della casa (opus 124 di Beethoven), interessante e feconda di riflessioni sotto tanti aspetti, mi pare abbia avuto un epilogo non proprio bello: mi riferisco alle parole di Daniele dove lui sostiene di essere fuori luogo e di dovere delle scuse. Non sono d'accordo con lui. Caro Daniele, non sei fuori luogo. Non sto a riscriverti quanto io ho avuto da te il quella discussione (mi pare di averlo già fatto bene nel mio ultimo messaggio che è lì da leggere). Possiamo essere in disaccordo tra di noi due nel giudizio su un brano. Prendiamo ed esempio proprio quella ouverture di Beethoven. Tra me e te c’è pieno accordo per quanto riguarda l’impatto emotivo (ne siamo entrambi molto conquistati, mi pare che da quel che ne ho scritto si capisce bene), siamo invece in disaccordo sulla sua appartenenza al mondo del tardo Beethoven. Tutto questo va bene. Il problema che ha lasciato uno strascico così amaro è la differenza che abbiamo – tra tutti noi – riguardo a ciò che è lecito e ciò che lo è “un po’ meno” quando si va a parlare di musica, e in particolare quando si arriva a pronunciare giudizi su questo o quel brano. PROPOSTA (DI RIFLESSIONE) Quanto pesa l’impressione dell’ascolto? Quanto può “dire” a riguardo di un brano la partitura? La partitura è il brano, o ne costituisce le sue ‘generalità anagrafiche’? Quanto contano le intenzioni-originali-dell-autore? Ovvio che, riguardo a queste tre domande, ho le mie idee, e volentieri ne parlerei. Ma quel che adesso mi premeva era proporvele queste domande. Probabilmente sta nel fatto che ognuno di noi in proposito ha risposte diverse dagli altri, il motivo per cui spesso “ci piaciamo poco” non tanto nelle differenza di opinioni, ma nel ‘terreno’ su cui quelle opinioni riteniamo lecito o meno lecito fondarle. CONVINZIONE (personale, ovviamente) E facile cadere nella scorrettezza parlando di musica. L’ho già scritto altrove: mettendo a nudo il proprio sentire, si finisce inevitabilmente nella scorrettezza e nella parzialità. Io me ne sono fatto una ragione: per parlare di Musica in modo vivo, partecipe, fecondo di suggestioni, forse non ci sono che modi “scorretti”. PROPOSTA (DI METODO) Propongo dunque a tutti questo spazio, questa discussione, come luogo che potrebbe accogliere gli strascichi inerenti i modi e i limiti del 'parlare di musica': straschichi che io preferico vedere come interessanti fioriture. Forse mi sbaglio, ma che penso fioriranno ancora appena andremo a parlare di Per Elisa o della Rabbia per un soldino perduto.
  23. [avvertenza: ho letto il messaggio di Daniele che immediatamente precede questo mio. Volutamente però non ne tengo conto perchè lì si aprono altre 'finestre' di discussione: interessanti sì, ma vorrei anch'io, prima, chiudere quella che Daniele e Carlos hanno già chiuso] Sì Daniele: «Beethoven ha saputo creare dalle cose più semplici e insignificanti delle cose monumentali». Su questo sono d’accordo. Giovanni Bietti, nelle Lezioni di musica che hai citato, coglie davvero nel segno. Anche per me la discussione si può chiudere qui. Ringrazio te e Carlos. Voglio però riprenderla – tra qualche giorno, in altri termini – con una domanda per Carlos. Il merito che ti dai, di aver richiamato l’attenzione su La consacrazione della casa, te lo do anch’io. E ti sono anche grato di avermela fatta davvero scoprire (che è diverso da sapere che esiste). Il fatto che io la ascolti molto in questi giorni, è perché mi da molto: è perché ho molto bisogno della forza di questa Ouverture. Mi è, in questo periodo, compagna di vita. A tanto – a volte – può arrivare un opera musicale. Il motto «sempre più semplice!» l’ho letto in qualche pagina del Beethoven del Riezler. E io me la sono “bevuta” senza troppo pensarci. Il nostro Armando (che invece beve solo acqua alle fonti di montagna! ) ci saprebbe dire al volo quanto sia attendibile. Forse Armando è molto preso in questi giorni ma, se ci legge, lo saluto di cuore e… oso riportare una sua affermazione di qualche tempo fa. A qualcuno che chiedeva quale fosse, a giudizio personale, la migliore opera di Beethoven facendo classifiche separate per generi, Armando per quanto riguarda le Ouvertures rispondeva [cito a memoria] «Qui non ho dubbi: l’opus 124… Ma ci vogliamo rendere conto del miracolo che ha fatto Beethoven!» di nuovo un saluto. A tutti!
  24. Daniele, anch'io vorrei dire una cosa che ti ho già detto: non dispiacerti di non saper leggere una partitura (a meno che tu voglia suonare uno strumento). Per ascoltare e vivere la musica servono mente-cuore-voglia-dedizione. E tu - lo so bene - hai tutto. Detto questo . . . 1) la 'complessità' di un brano è fatta di molti fattori: l'aspetto formale, l'armonia... Quello che un'analisi della partitura può fornire a colpo d'occhio, è un conteggio delle parti reali. Se è un raffronto di questo tipo ciò che ritieni opportuno, spero che possa accontentarti Carlos. io dovrei stare mezz'ora su una pagina quando a lui costerebbe mezzo minuto. 2) se anche da un controllo come sopra detto venisse fuori che "ai punti" l'opus 124 non è il brano sinfonico più complesso, le tue sensazioni che in primis ascolti - e a buon diritto! - continuerebbero ad attestarti il contrario. 3) ma il motto (uno dei motti) di Beethoven non era «Sempre più semplice!» ?
  25. Ballola Cappelletto e ugo Morale mi piacciono tutte tre (e mi piace anche ciò che scrivono sull'opus 124!). Così al volo (senza andare a tirarli giù dalla libreria) mi pare che Ballola e Cappelletto si trovino (citati) in Beethoven, signori il catalogo è questo! e Morale nel suo Introduzione a Beethoven. Giusto? Ma le mie orecchie continuano a sentire l'op. 124 come una splendida roccia del Beethoven eroico (alla Max Klinger, per intenderci). E ascoltarla è qualcosa che letteralmente fa bene, risolleva dalla polvere, un ipocondriaco lagnone quale spesso mi ritrovo ad essere. Proposta semiseria: una discriminate personale che mi fa identificare in un brano la voce dell'ultimo Beethoven è . . . quando non riesco a impararlo a memoria pur ascoltandolo tante volte! Per imparare a memoria non intendo dire conoscere le note, ma semplicemente, durante l'ascolto, sapere "dove va" il brano. Sono trent'anni che ascolto le sinfonie di Beethoven. Dopo un po' di ascolti, diciamo nel giro di un anno o due, di tutti i movimenti conoscevo "il sentiero" (per il primo movimento dell'Eroica è stato più lungo imparare a non perdersi). il primo movimento della Nona invece non sono mai riuscito ad impararlo. Ogni volta era come un mistero nuovo tutto da vivere. Solo tre anni fa - quando mi sono procurato la partitura e la Lettura di Mila - ho capito dove erano le giunture, i nervi, le articolazioni di questo meraviglioso organismo che prima mi arrivava come un blocco monolitico. Sotto certi aspetti rimpiango un po' quel rapporto spontaneo che avevo prima.
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