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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. Grazie, in realtà stavo un po' scherzando! Ma non prenderò nessuna delle tue tracce perchè sono convinto che l'opera in assoluto più grande di Mozart, in realtà duri solo 46 battute ed è il Mottetto "Ave verum Corpus" K. 618. In essa, in queste ripeto 46 battute è riassunta tutta l'opera sacra di Mozart. Non so se ho detto poco! Ciao WAM!
  2. Tranquillo Simone l'amicizia è, per quel che mi riguarda, fuori discussione e quanto alle birre e alle salsiccie - ahimé - problemi di salute me ne sconsigliano l'uso. L'ultima cosa comunque che io voglio fare è convincere qualcuno di qualcosa. Ognuno -vivvadio - ha le sue idee ed è giusto che se le tenga o che le cambi se crede meglio. Io ribadisco e questa volta seriamente: c'è livello e livello di qualità fra gli artisti, alcuni sono geni, altri grandissimi, altri grandi, altri...mediocri! Poi sono alla fine convinto di una cosa che sia sempre questione di gusti: al quadro di un Raffaello qualcuno può sempre preferire quello fatto dal vicino di casa: O no? Per il resto che dire? Stravinskij è un genio e questo è indiscutibile aldilà del fatto che fosse russo, francese o statunitense...ma che abbisso, signori miei c'è fra lui e Rachmaninov...Poi ognuno la pensi come crede meglio, per carità! e sia ben chiaro a me Rachmaninov piace, non tutto, ma mi piace!
  3. Forse non mi sono spiegato bene Frank! Se vogliamo fare un elenco di tutti i compositori di ogni paese e fare a gara a chi ne dice di più ....oK, facciamolo! Ma io sto parlando di compositori che possano essere comparati a Bach, Mozart e Beethoven. E,,,allora Frank che c'entra Cui, e compagnia briscola? In Francia di grandissimo compositore mica mi metterai anche Saint-Saens ora? Intendiamoci, compositore grande, sono anche stato sulla sua tomba ma...Frank non scherziamo per favore! In Italia mi sono dimenticato di Monteverdi e me ne scuso. Berio andrebbe benissimo ma parlevamo di compositori classici. Puccini? E allora perché anche non Rossini? Vivaldi? Quello che per 500 volte a scritto lo stesso concerto, avrebbe detto Stravinskij !!! Sto scherzando Frank caro, ma per quanto sia bello Vivaldi, che c'entra con la grandezza di Bach? Ma secondo te nella storia della musica (occidentale ) in quanti compositori hanno saputo fare un qualcosa che sia grande quanto L'Arte della Fuga o il Quartetto Opus 130 con annesso come finale la Grande Fuga? - cavolo non mi viene in mente nulla di Mozart aiutooooooo!!!!! -. Dimmi quanti? Cui? Rachmaninov? e magari anche, perché no? Johann Strauss junior con annesso il padre? A no, pardon quelli erano austriaci! Ciao caro Frank, l'influenza è finita...e vado in pace. ...e scusami!
  4. Scuami sempre Claudio ma mi è venuto in mente mentre davo l'aspirapolvere. Tu affermi: "Noi tutti studiamo Bach Mozart e Beethoven, più di altri, perché la storiografia musicale tedesca ottocentesca ha affermato che loro tre sono i più grandi di sempre." Ora passi tutto ciò per noi italiani, noti esterofili in tutto e per tutto ma, i francesi, gli spagnoli, gli inglesi e la grande Madre Russia.... faccio un po' fatica a pensare che queste etnie e culture forti si pieghino al volere della cultura teutonica. La realtà, a me sembra, sia che il dato di fatto è che essi - a parte la Russia che ha avuto uno Stravinskij ma che poi è diventato francese e infine statunitense - non hanno compositori - o almeno a me non viene in mente nessuno - che possano competere con quei tre. Noi lo avremmo ed è Verdi. Ma noi siamo così pirla che arriviamo al punto di fare aprire la stagione lirica del massimo ente lirico italiano da Wagner in questo bicentenario. Lo so! Non sei d'accordo neanche con questo, ho letto la tua discussione con Carlos in merito: ma lì lui ha ragione|
  5. Va bene Claudio, sicuramente tu avrai ragione e, d'altra parte ho chiesto venia per la mia eventuale ignoranza fin dalla partenza proprio per mettere le mani avanti e per non farmi troppo male nel cadere. Ripeto, non ho pregiudizi verso le altre civiltà e tanto meno reputo la nostra superiore e sono sempre pronto a combattere le battaglie degli altri. Sul primato nella musica ho già detto la mia nel topic giusto - almeno sul primato della musica occidentale - ma penso che se tu hai conoscenze che vanno aldilà, non dovresti limitarti a dire " Le musiche non occidentali hanno una classicità, hanno degli autori," ma a erudirmi quali siano questi autori famosi e grandi - almeno qualcuno - e anche come poter rendere possibile a me il poterle ascoltare, affinché possa farmene un idea! Se no quello che dici sono solo delle parole d'ordine fini a sé stesse e dunque aria fritta! Non ti pare!
  6. Avete completamente ragione ma la cosa mi è scappata di mano perché, purtroppo come accade spesso, nei topic e nelle discussioni, una ciliegia tira l'altra e si va a finire di pala in frasca. Ho cercato di rimediare condensando il tutto in un nuovo topic ma l'operazione indubbiamente mi è riuscita male. Me ne scuso! Un cappello introduttivo, se così si può chiamare ce l'ho, e l'ho scritto già parecchio tempo fa e lo ripropongo nella sua integrità pur consapevole che lì ci sono cose che qui ho già riportato ma che sono consenguenziali al discorso e non posso ora eliminarle e anche di questo mi scuso. Qual è stato il massimo compositore della storia della musica? Quante volte ci siamo imbattuti o ci siamo posti questa domanda? Innumerevoli volte! E pensare che in realtà, è una delle domande più sbagliate che ci si possa porre e chiunque, a vario titolo, provi ad affermare con perentorietà un compositore piuttosto che un altro, commette sempre comunque un errore: ognuno di noi può, al massimo, esprimere una sua preferenza legata esclusivamente a quelli che sono i suoi sentimenti personali perché, per poter affermare un primato, si dovrebbe inevitabilmente partire dal presupposto che sia possibile paragonare la grandezza di un compositore di un'epoca e dunque, in quanto tale, rappresentante di una determinata estetica musicale, con un compositore di un'altra epoca e, dunque rappresentante di un'altra estetica musicale. Sarebbe come affermare che in una determinata epoca della storia della musica si è raggiunta una perfezione estetica assolutamente superiore rispetto alle precedenti e alle successive. Eppure, nonostante ciò, si è sentito e si sente spesso affermare da parte di musicologi, musicisti e intelletuali di vario genere l'affermazione di un primato. In realtà, questa domanda ha avuto una sua ragion d'essere, finché il repertorio musicale eseguito nei teatri – e dunque quello che unicamente il pubblico poteva conoscere - fu quello compreso sostanzialmente nei periodi Classico e Romantico. Oggi, che sempre di più, l'ascolto abbraccia – per quello che ci è rimasto ed è possibile – la musica composta nei duemila anni che ci distanziano dalla nascita dal Cristianesimo, la domanda ha perso ogni sua liceità e ragionevolezza. Il primato che oggi va per la maggiore è quello di Wolfgang Amadé Mozart. Un primato che partendo certamente dalla sua indubbia grandezza, è anche dovuto a caratteristiche che lo rendono il più consono fra tutti i massimi compositori a ricoprire in una società, basata sull'economia e il consumo, questo ruolo. Vediamo dunque di ripercorrere, a grandi linee, la storia del primato nella musica e di cercare di focalizzare il perché Mozart lo detiene in questo scorcio di tempo. Come ho già detto la musica d'arte come tutte le arti ha i suoi massimi geni che si distribuiscono in tutte le sue varie epoche; uomini che hanno saputo elevarsi per loro capacità, innovazioni, caratteristiche, al di sopra di quella che era la media standard della loro fase storica compositiva. Ma come sappiamo la musica fino all'età dei Lumi, più che un'arte fu considerata un momento di svago o di celebrazione di una qualche occasione liturgica. Solo nell'Ottocento con l'accesso nei teatri della nascente borghesia, si fece sempre più pressante l'esigenza di riascoltare anche la musica del passato e non solo quella composta dai compositori del presente. In realtà il passato per lungo tempo si limitò ad arrivare a Haydn e Mozart e, solo con Mendelssohn, iniziò lo sdoganamento della musica di Johann Sebastian Bach mentre, come ben sappiamo, per tanti altri compositori del periodo Barocco e, ancor più, dei periodi precedenti si è dovuto attendere il Novecento e tuttora la cosa non è ancora arrivata al suo giusto traguardo. Come ho già detto l'avvento nella storia della musica di Beethoven portò ad un cambiamento totale, al punto che il compositore di Bonn può essere considerato un vero e proprio spartiacque. Dopo di lui tutti i compositori nel bene e nel male dovettero inevitabilmente fare i conti con quel suo enorme e, sotto tanti punti di vista, misterioso e assolutamente ingombrante lascito. In questo ambito il mondo musicale si iniziò a dividersi fra beethoveniani e mozartiani. A tal proposito sono molto sintomatici le frasi di tre fra i più importanti protagonisti del dopo Beethoven. Alla sua morte Franz Schubert disse: « Beethoven sa tutto, ma noi non possiamo ancora tutto comprendere e scorrerà anche molta acqua nel Danubio prima che tutto ciò che questo uomo ha creato sia universalmente compreso. Non soltanto egli è il più sublime e fecondo dei musicisti; è anche il più forte. Egli è altrettanto forte nella musica drammatica e in quella epica; nella lirica e nella prosaica; in una parola , egli può tutto. Mozart sta a lui come Schiller a Shakespeare. Schiller è già compreso, Shakespeare non lo sarà ancora per lungo tempo. Tutti comprendono già Mozart; nessuno comprende Beethoven. » Hector Berlioz: « (...) L'altro giorno ho ascoltato uno degli ultimi quartetti di Beethoven (...) c'erano quasi trecento persone; fummo in sei soltanto a sentirci tramortiti dall'intensità dell'emozioni provate, e inoltre noi sei fummo gli unici a non trovare questa composizione assurda, incomprensibile, barbara. La sua musica ha raggiunto altezze tali che ci sentimmo mancare il respiro (...). Si tratta di una musica adatta – soltanto – a lui e a quelli di noi che lo hanno seguito nelle altezze incommensurabili del suo genio.(...) » A Parigi dimorò però, anche Luigi Cherubini che, da Beethoven, fu considerato il più grande dei compositori in vita. Sebbene lui non fosse molto convinto che il grande tedesco meritasse quella fama di cui godette, fu proprio lui, in qualità di direttore del Conservatorio di Parigi, invece a contribuire a portare molta della sua musica al pubblico francese: l'Eroica, la Quinta e altro ancora e se Berlioz nell'ascoltarla ne rimase folgorato, la stessa folgorazione riguardò Liszt e Mendelssohn – anche lui per qualche mese a Parigi dal dicembre 1831 – ma non Chopin che, come Goethe continuò a nutrire fortissime contrarietà per il genio musicale tedesco, fino al punto di arrivare a rifiutarsi di essere presente all'inaugurazione, nel 1845, del monumento al Titano a Bonn perché la cosa gli dava la nausea. Chopin fu certamente di gran lunga più vicino e sostenitore della maggior grandezza di Mozart. All'inaugurazione furono invece ben presenti i coniugi Robert e Clara Schumann, anch'essi ferventi ammiratori della musica di Beethoven. E, a tal proposito, è molto sintomatico e illuminante per comprendere appieno quello che fu il reale rapporto del mondo musicale d'allora con Beethoven e con Mozart, quanto scritto da Clara il 24 novembre del 1842 nel loro diario: « (...) Provo un sentimento del tutto personale per entrambi questi grandi maestri, Beethoven e Mozart. Mozart lo amo in modo particolare, Beethoven però lo venero come un Dio, ma un Dio inaccessibile, che non diventa mai parte di noi.(...) » Potrei proseguire ma, penso sia già più che sufficiente per far comprendere quali erano i sentimenti verso la musica del genio di Bonn da parte dei suoi successori. Fino circa al 1920, il primato di Beethoven, pur fra i vari contrasti, fu sostanzialmente solido, anche se una forbita minoranza optò per Mozart. L'avvento però delle prime avanguardie portò definitivamente in giusta luce la grandezza di Johann Sebastian Bach e, specie negli ambienti più intellettuali, si fece sempre più strada la sua gigantesca figura. Da questo momento però, e sempre più con maggiore forza, negli anni successivi, cominciò a prendere il sopravvento, la figura di Mozart, Bach non fu più solo appannaggio di una certa intellettualità e i beethoveniani, di conseguenza, divennero sempre un po' meno, la poi riscoperta dei repertori antichi, portò ad una frammentazione di giudizi ben più ampia. L'inizio dell'affermazione del primato mozartiano, se ci si pensa bene, corrispose, con la possibilità mai avuta prima di allora, di poter ascoltare la musica, non più solo nei teatri ma anche attraverso supporti tecnologici. Questo fece si che la musica colta, fino a quel momento appannaggio, del solo pubblico dei teatri, poté essere ascoltata da chiunque avesse una radio o un grammofono a disposizione. In questa maniera anche essa diventò, suo malgrado, fonte di consumo, e si inserì inevitabilmente, in quella logica economica tipica del nostro modo di essere e di vivere. Ben presto, nell'ambito di questo discorso, la musica e la figura di Mozart fu la più idonea a svolgere un ruolo di “primato”. Ma perché Mozart è più “commerciabile” di un Bach o di un Beethoven? Un primo motivo lo si può individuare nel fatto che Mozart, fra tutti i giganti della musica, fu quello che seppe unire nella sua opera la perfezione alla bellezza, alla leggerezza, alla serenità e, in tantissime sue musiche ad una certa orecchiabilità, nel senso più positivo del temine ovviamente. Questo fa si che essa, oltre ad essere largamente apprezzata dagli ascoltatori più esigenti è anche – almeno in buona parte di essa - assai accessibile anche a pubblici di non grande abitudine all’ascolto della musica classica o anche assolutamente profani. Un secondo motivo, già di gran lunga molto meno nobile, è legato ai modelli vincenti dei nostri giorni, quelli che ci vengono bombardati e inculcati ogni giorno: Mozart è considerato il genio precoce per eccellenza, il genio “bambino” - anche se Mendelssohn lo fu in una certa maniera di più -. In un'epoca dove si è circondati da genitori ansiosi di fare dei propri figli “piccoli geni”, pronti a subissarli di corsi di ogni genere e questo, spesso a discapito del loro giusto diritto di giocare e divertirsi, il modello Wolfgang Amadé Mozart e Leopold – suo padre – fa certamente scuola. Il terzo, assolutamente non nobile, è legato all’immagine che solitamente ci viene propinata di Mozart: quella di un eterno fanciullo sempre pronto a ridere e scherzare molto dedito alle donne, disimpegnato sotto tutti i punti di vista, a cui il film “Amadeus” ha fatto da scuola e ciliegina sulla torta. Pensiamo invece un attimo a Bach, uomo integerrimo di grande fede dedito a sfornare figli e di morale ferrea: quanto di più fuori moda si potrebbe proporre al giorno d’oggi. Pensiamo a Beethoven uomo scontroso pieno di acciacchi, probabilmente, in certi casi, un po’ antipatico e rompiscatole, vero e proprio fallimento con le donne e per di più che si mise in testa di fare morale e filosofica con la sua musica. No! Un Bach e un Beethoven sono modelli assolutamente oggi fuori moda. E allora sicuramente Mozart, fra tutti i grandi geni musical è quello più adatto a svolgere la funzione del primato al giorno d’oggi dominato dal desiderio di essere tutti dei fenomeni, dal disimpegno, dal desiderio di divertirsi ad ogni costo e dove a dettare le regole è rigorosamente il mercato, con tutte le sue perversi leggi. Il musicologo Claudio Casini partendo dal presupposto che Mozart rappresentò un periodo di passaggio della storia quello di fine Settecento dove: « (…) una società cosmopolita si trovò in una fase di totale, irresponsabile sospensione tra la fine degli antichi regimi e l’annuncio dei nuovi. Questa potrebbe essere la spiegazione del perché Mozart è così vicino a noi. Mozart interpretò esattamente quel momento (…) Non riformò, non cambiò, non teorizzò (...) in un tempo – che anche in questo ricorda molto il nostro – in cui molti sono i precetti e poche le certezze (…) si limitò ad esprimere le incertezze di un’epoca di transizione. Ma lo fece con uno stile particolare, introducendo queste incertezze nell’universo certo delle forme tradizionali. (…) assimilò tutte le forme musicali esistenti (...) ma nessuna di esse dopo di lui, restò uguale a quella che era stata antecedentemente. Impresse dovunque il carattere della sua personalità che era eversiva, senza vocazioni e manifesti messaggi e volontarismi, come sarebbe poi capitato a Beethoven, ma in virtù di una vitalità irrequieta, parossistica al punto di bruciare in breve tempo le sue energie vitali. (…) Dopo Mozart, l’Europa andò in cerca di nuove certezze, sappiamo bene attraverso quale convulsioni: nacque l’ideologia borghese, sorsero i nazionalismi, l’arte espresse messaggi, i busti di Beethoven popolarono i pianoforti. Alla dissoluzione di tutto questo, l’Occidente nuovamente cosmopolita si riconosce nel musicista delle incertezze, in lui, il “fratello” Mozart, che aveva cercato nella cultura massonica gli ideali di un nuovo ordine.(…) » Sempre su questo argomento, il critico musicale Enrico Girardi asserisce che Beethoven è stato: « (…) per generazioni il musicista per antonomasia, come ancora dimostra la quantità di busti collocati sui pianoforti di centinaia di migliaia di abitazioni borghesi d’Europa (…) Oggi è un po’ meno così Nella percezione collettiva Bach resta il nume tutelare, ma è lì sullo sfondo, intoccabile, divino, lontano; nelle orecchie dei più il suono classico da cui si è investiti è quello di Mozart. La sbornia per il 250esimo della nascita del salisburghese non è stato altro che la certificazione di un fatto, forse perché un “Figaro” dice di più cose all’uomo odierno d’una sinfonia di Beethoven. (…) Beethoven è una Juve caduta in serie B (anche se non gli è stata addebitata colpa alcuna) che tornerà presto ai massimi livelli purché sappia trattenere i suoi “uomini migliori e acquisirne altri di valore. Fuori di metafora, il discorso ben si traduce se invece dei giocatori si considerano gli interpreti. Quanto Beethoven inutile si è suonato negli ultimi decenni. Togli Pollini e Schiff e altri di quel calibro, quanti interpreti sanno dire qualcosa di davvero interessante oggi suonando la Patetica o la Waldstein?» Ma, in realtà, su tutto questo, un grande musicologo come Massimo Mila, disse già tutto in un suo saggio dal titolo un po’ ironico “Programma per un circolo mozartiano” scritto nel 1942 all’indomani del 150esimo anniversario della morte del salisburghese e in piena seconda guerra mondiale: « (…) Molto verosimilmente stiamo passando – con la complicità dei tempi calamitosi – da un’età beethoveniana ad un’età mozartiana. Non si tratta, naturalmente , di revisioni dottrinali sul valore dei due artisti, ormai al riparo da ogni resipiscenza critica. Si tratta del seguito che l’arte loro, improntata a così diverse caratteristiche umane, può aspettarsi di trovare nel mondo contemporaneo. Si tratta – diciamo pure la parola screditata – della “moda” mozartiana che ha tutta l’aria di volersi sostituire alla “moda” beethoveniana.(…)». Mila ricordò poi che Mozart e Beethoven sono una copia ormai indiscutibile come « Aristotele e Platone, Ariosto e Tasso, Racine e Corbeille ecc » e che a seconda delle varie epoche storiche vengono distribuiti in base alle esperienze umane del presente. La popolarità di Mozart è « (…) Sintesi della cultura settecentesca, la sua arte è fiorita sull’estremo limite di un mondo tosto spazzato dalla Rivoluzione: e sulle rovine si eresse il secondo termine del binomio, Beethoven, folgorante profeta musicale dei tempi nuovi. (…) E questa disposizione si è perpetuata fino ai giorni nostri.(…) » Ma ora: « (...) la serenità mozartiana comincia ad apparire un balsamo all’amarezza dei tempi un benefico dono divino. (…) » Ne prendo atto ma era proprio necessario trasformarlo in un'icona del consumismo? Eppur tuttavia è incontrovertibile quanto scritto in occasione della pubblicazione dell'opera omnia di Beethoven da parte della Deutsche Grammophon:« Beethoven è il più grande compositore di tutti i tempi? Molti musicisti lo pensano. E’ comunque sicuro che nessun compositore ha saputo eguagliarlo nella sublime sommità delle Nove Sinfonie, la profonda disperazione della Sonata Appassionata, l’infinita bellezza della Cavatina del Quartetto in sib+, o la straordinaria originalità dell’Eroica. Le sue opere hanno certamente, più di tutte le altre, un’incidenza determinante sulla storia della musica,e nessun compositore, nel corso dei secoli che seguirono la sua morte ha potuto scappare dalla sua influenza diretta. Oggi ancora numerosi musicisti traggono la loro ispirazione o le loro idee dalla musica di Beethoven.(…) (…) Ludwig van Beethoven è stato uno dei più grandi creatori della nostra civiltà e fu probabilmente il compositore più influente di tutta la storia. (…) fu in effetti uno dei primi grandi artisti a creare una missione morale dell’arte in un senso umanistico piuttosto che religioso. Le sue nove sinfonie, i suoi sedici quartetti, le sue trentadue sonate per pianoforte, costituiscono non solo una sommità d’una ricchezza praticamente ineguagliata, ma anche una autobiografia spirituale del loro autore. In esse Beethoven transuma tutta la sua spiritualità e tutto il suo amore debordante per l’intera umanità. La musica è una forma di rivelazione, di filosofia, più alta di ogni altra e tramite essa Beethoven indirizza il suo messaggio a tutta la Terra intera.» È così infatti: la grandezza del genio di Bonn va infatti valutata non soltanto in base alla pura grandezza e bellezza della sua musica ma anche sotto un profilo ben più complesso. Egli seppe tradurre in musica tutto ciò che la cultura occidentale attraverso le varie branche dell’Arte, da Omero, a Socrate, a Dante, a Michelangelo, a Shakespeare, a Goethe, a Kant, rappresentò e a proiettarlo, verso il futuro ed è per questo che può essere considerato in assoluto uno dei più grandi creatori di tutti i tempi.
  7. In verità Luca, l'ho introdotta per una sorte di par condicio, non voglio essere tacciato di non essere democratico. Ma poi come hai visto mi sono rifatto ampiamente con Carli Ballola.
  8. Strano, avrei detto qualcosa tipo Monteverdi, Bach, Beethoven, Wagner, Messiaen … sto scrivendo nella busta la tua risposta Resto dell’idea che non è detto che siano la “massima”, io punto ad altri modelli (e non soggettivamente, eh!) ma al massimo sono una parte della “massima”… (Kappa) Vediamo se scrivi la risposta giusta io scommetto di no...però devi essere onesto! Allora, nella storia della musica post-beethoveniana – e ritorniamo allo spartiacque – nacque l'esigenza di stabilire un primato nella musica che, seppur non fosse – e non è – condiviso da tutti lo fu - e lo è – dalla maggioranza di quelli che, a vario titolo, frequentano la musica colta. Per dare risalto a quanto dico che, detto da me vale una cicca, te lo farò dire da Eugenio Trias – la scelta è straordinariamente ampia c'è solo l'imbarazzo della scelta – non tanto per una preferenza mia, ma solo perché è l'ultimo in ordine di tempo ad averlo scritto e in questa maniera non corro il rischio che qualcuno mi dica di riportare idee ormai obsolete: « Se c'è un compositore che può dire, come il Re Sole, “la musica sono io”, quello è Ludwig van Beethoven, La sua popolarità è paragonabile soltanto alla grandissima stima che suscita nel pubblico più esigente: un privilegio che hanno avuto pochissimi artisti. L'espressione “Abbracciatevi moltitudini!”...sembra anticipare le folle entusiaste travolte dalla magia naturale di questo grande artista, che è riuscito a sedurre la massa, conquistando al tempo stesso le migliori intelligenze musicali. (...) Come è possibile, però che proprio negli ultimi decenni si sia avvertito un calo di entusiasmo, o un declino della sua bicentenaria egemonia? Si può interpretare l'ascesa di Mozart come un segnale di cambiamento nelle correnti di pensiero e di sensibilità? Al dominio di Beethoven durante la modernità postilluminista – che comprende il Romanticismo, il Post-romanticismo e le grandi correnti estetico musicali del Novecento – si risponde negli ultimi decenni con l'innalzamento di Mozart all'olimpo postmoderno.» Lo stesso Trias nel capitolo dedicato a Bach, ricalcando in questo il pensiero di ormai una vasta platea di intellettuali – assai meno di semplici fruitori di musica colta - afferma perentoriamente fin dall'inizio: « Johann Sebastian Bach è sicuramente il più grande musicista di tutti i tempi ». Come ti ho detto di scritti a tal proposito ne potrei riportare a iosa e quello che comunque li accomuna è l'affermazione di un primato nella musica di Bach, Mozart e Beethoven – l'ordine è cronologico e non di merito -. Non ho ora sottomano quanto un musicologo tedesco molto importante scrisse su una rivista del mensile Amadeus alcuni anni fa ma, sostanzialmente, questi diceva che lui ai tre noni ormai consolidati avrebbe accostato anche il nome di Johannes Brahms che, per quanto da lui composto, non ha nulla da invidiare ai tre grandi. Chi ti scrive è assolutamente d'accordo con questo musicologo – di cui non ricordo più il nome – ma nell'affermare ciò, dobbiamo essere consapevoli di dire un nostro gusto personale che non è suffragato da una vasta maggioranza come per i primi tre nomi. Qui sta la differenza. Kappa io non ho alcuna difficoltà ad allargare la “massima”, anzi lo faccio più che volentieri e lo faccio anche più di quello che probabilmente penseresti ma, nel farlo, sia tu che io dobbiamo essere consapevoli che stiamo esprimendo un nostro gusto personale – rispettabilissimo ci mancherebbe che non fosse così - ma non condiviso necessariamente da una maggioranza. Quando tu affermi « Strano, avrei detto qualcosa tipo Monteverdi, Bach, Beethoven, Wagner, Messiaen » affermi un tuo sacrosanto gusto personale che può essere più o meno condivisibile dagli altri. Ad esempio tu hai messo Monteverdi e Wagner e tolto Mozart e io sono d'accordo con l'intromissione e non con l'estromissione. Quanto a Messiaen, va benissimo anche lui – ci mancherebbe che non fosse così – ma rimango dell'opinione che il più grande del Novecento sia stato Stravinskij – e so che sono in buona e folta compagnia – e allora come escluderlo, se non per un gusto personale? Su questo probabilmente non ha senso discutere, però perché Bach e non Wagner? Wagner lo abbiamo già introdotto e va bene ad entrambi ma, Wagner, come tu bene sai è fortemente osteggiato da una gran parte degli amanti di musica a vari motivi e loro non saranno d'accordo con noi. Ma ora sono io che ti chiedo: perché Wagner e non Verdi che è altrettanto grande proprio nella diversità? O vogliamo continuare a perpetrare la diatriba ormai assolutamente obsoleta Wagner-Verdi, Wagner-Brahms, compositori che in realtà sono tutti dei giganti pur nelle loro differenze? In realtà c’è anche un tal Krzysztof Penderecki. Non so se conosci la sua musica ma è di gran lunga più ascoltabile di Boulez, anche più “teatrale”, passatemi la forzatura. Anche su questo siamo nei parametri dei gusti personali. Io ascolto molto più volentieri Boulez che Penderecki, e poi...anche l'ascoltabilità alla fine è un fatto del tutto legato al proprio sentire personale, alla propria sensibilità, non pensi? ma non sottovaluterei gente come Arvo Pärt per intenderci, vedi la sua ultima produzione. Infatti Kappa io non penso di sottovalutarlo ma non voglio incappare nell'errore contrario di sopravalutarlo. Ancora una volta come vedi siamo nei gusti personali. Ciao Kappa!
  9. Inutile dire che scrivere è una delle grande conquiste dell'umanità e, traslando il concetto in ambito musicale, mi sento di dire che questo fa la differenza. Anche prendendo culture molto ricche e con grande tradizione tipo quella giapponese, non è un caso che si inizi a conoscere qualcuno da quando c’è una sorta di “imitazione” di approccio rispetto alla cultura occidentale. Anche quando non mancavano i mezzi erano i compositori occidentali ad essere conosciuti altrove e non viceversa. Un discorso lungo che si può approfondire, ma in generale penso che solo musica per fine meditativo si può esimere dall’essere scritta … per altro la scrittura implica diverse cosucce, tipo il progettare. Un aspetto sottovalutato oggi in generale (qualcosa che deve diventare fonte di grande preoccupazione, per me lo è già) e comunque trascurato in ambito musicale da altre popolazioni. (Frank) Questa frase la posso sottoscrivere in toto. Ciao Frank! P.s: A te Kappa rispondo in un nuovo topic perché stiamo andando troppo fuori argomento.
  10. Eh, lo sapevo che mi avresti risposto così! Quando ho finito il post ho fatto una scommessa con me stesso...e ho vinto! Caro Kappa, i problemi di fondo sono sostanzialmente due. Il primo è che un conto sono i gusti di cui tutti noi, individualmente, abbiamo il sacrosanto diritto di averne di personali e un conto è determinare chi più di altri, nell'ambito della storia della musica sia il più rappresentativo, la punta dell'iceberg. Bach, Mozart e Beethoven lo sono sicuramente e questo a prescindere dai nostri gusti personali che possono andare tranquillamente e giustamente anche in altre direzioni se noi così lo riteniamo. Il secondo problema è che tu ora mi dirai insistendo giustamente anche qui: sì Daniele, ma della musica occidentale e non delle altre culture? Ok, Kappa, ma a parte che il Voyager fu un prodotto di un paese occidentale e che da lì partì, dunque ci fu sicuramente una parzialità nel scegliere il materiale musicale, anche in questo, piaccia o non piaccia, l'occidente – per altro anche pieno di obbrobri e ingiustizie imperdonabili - e dunque la cultura occidentale è l'unica – e sia ben chiaro lo affermo nel pieno rispetto della grandezza culturale delle altre civiltà - che ha espresso una classicità. Invano si potrà cercare e nominare grandi compositori che siano espressione di una classicità della musica indiana o di altre. Poi se mi sbaglio chiedo venia e torno indietro! In un mondo che già nel 1977 mostrava i primi segni di globalizzazione e che oggi è nel pieno di questo fenomeno, assistiamo ad artisti provenienti da paesi di cultura asiatica o altre culture che eseguono, dirigono, musiche di cultura occidentale o, compongono, musiche che cercano di coniugare la loro cultura originale con quella occidentale. O no?
  11. La notizia è vera e puoi trovarla qui: http://www.lvbeethoven.fr/Curiosites/Espace.html Per il resto Bach, Mozart e Beethoven non sono rappresentativi della musica del 1977 e tanto meno di quella del 2012 ma, piaccia o non piaccia sono la massima espressione della musica di tutta l'umanità.
  12. Scusa Daniele, una cosa non ho capito nel tuo chiarire la metafora di Hans Von Bülow (quello che pensava lui non è che mi interessi molto) ma . . . tu? senti che Bach con la sua musica parlasse direttamente con Dio? e un po' meno agli uomini? (a prescindere dal fatto che ci scrivesse sotto "Soli Deo Gloria") (Luca) Penso che la tua domanda, aldilà di quello che poi sarà la mia risposta, meriti una riflessione di più ampio respiro. In realtà la questione si inquadra ancora una volta in quello spartiacque che nell'ambito della musica fu la figura di Beethoven. Beethoven fu infatti il primo compositore che dietro la legittimazione di un neologismo di quei tempi: Genio, proveniente dalla “Critica del giudizio” di Immanuel Kant, ebbe la piena coscienza di comporre musica non solo per il suo presente ma per le generazioni future e, fu attraverso questa convinzione che lui parlò all'Uomo. Bach, Mozart pur avendo la consapevolezza della loro grandezza non ebbero la consapevolezza del loro essere Geni e furono convinti che, come per tutti i compositori del loro passato, la loro musica sarebbe andata nel dimenticatoio o tuttalpiù sarebbe servita come studio per specialisti gelle generazioni a venire. Quando Bach compose tutta la sua immensa mole di musica sacra lo fece esclusivamente per quei suoi “signori” di cui fu alle dipendenze e per quanti seguivano le messe in cui questa musica veniva eseguita. Lui, uomo di profonda fede luterana, certamente pensò solo, con la sua musica, di cantare e lodare Dio e con esso di rapportarsi direttamente. C'è poi, nella sterminata produzione bachiana quell'himalayana parte di musica speculativa: “Il clavicembalo ben temperato” “Variazioni Goldberg” “Offerta musicale” “Arte della fuga” - solo per citarne alcune fra le più immense – in cui, come afferma il filosofo spagnolo Eugenio Trias: « In esse, la musica e la teologia ruotano intorno ai grandi interrogativi sull'Uomo, l'Universo e Dio. ». Ritorno a Beethoven e precisamente all'Eroica, sinfonia che tu ed io abbiamo ampiamente in altre sedi discusso. Ci si è domandati spesso dietro a questa Sinfonia che uomo ci fosse: Napoleone? Prometeo? E se invece avesse ragione Trias: « Che sia, allora, L'Uomo, l'Uomo enfatizzato e con la U maiuscola il vero soggetto di questo dramma eroico? L'Uomo nella sua forma ideale (in lotta con sé stesso e con il suo “principio di realtà” come negli scontri e le opposizioni (...) culminata con Hegel nella “Fenomenologia dello spirito” opera contemporanea all'Eroica e vicina a questa come nessuna altra? (...) A essere mostrato e descritto nelle sue opposizioni e conflitti interiori e immanenti non è semplicemente l'Uomo. Si tratta piuttosto dell'Uomo-Artista, del Genio, a cui gli dèi hanno concesso il dono della sua morale, il dominio ferreo e assoluto della sua Volontà: quella imposta da un Io (Beethoven) pronto ad affrontare mille difficoltà pur di raggiungere, attraverso il culto del bello e del sublime, le stelle del firmamento, oltre le quali si trova il Padre Amorevolissimo (...). » Fu dopo dunque Beethoven che iniziarono quelle metafore che per innalzare e descrivere la grandezza dei grandi Geni, si ispirarono, come appunto nel caso di Von Bülov, ai testi biblici se non proprio, direttamente a Dio. Queste espressioni non si sono esaurite con il Romanticismo ma sono tutt'ora in grande auge. Famosissima fu l'affermazione, ad esempio, di Karl Barth, teologo cristiano della Chiesa riformata: « Forse gli angeli, quando suonano intenti a rendere lode a Dio, suonano musica di Bach. Sono certo, invece che quando si trovano fra di loro suonano Mozart, ed allora anche il Signore trova particolare diletto nell'ascoltarli. ». Ma anche Trias – e siamo dunque ai giorni nostri – non trova di meglio che rivolgersi ad una metafora divina per parlare della triade classica: Haydn, Mozart e Beethoven, paragonandoli ad una “Santissima trinità” viennese, anche se poi il terzo elemento non è lo Spirito Santo ma, appunto l'Uomo. Haydn è: « Dio Padre, il creatore, il demiurgo della forma-sonata, del quartetto d'archi e della sinfonia nel senso moderno del termine.(...) » Mozart: « il Figlio (...) Immolato sull'altare sacrificale della crudele Vienna contemporanea, (...) nella versione umana dell'Incarnatus est e dell'inquietante Crucifixus, stavolta non sub Pontio Pilato, bensì nel calvario e nel travaglio di un autunno freddo e burrascoso portatore di malattie che, quando meno, ci si sarebbe aspettati, stroncò una vita che iniziava a risollevarsi dopo un buio periodo iniziato nel fatidico annus horribilis del 1788. Ludwig van Beethoven (...) Si unisce al resto dell'umanità in un legame d'amore all'ordine dell'inno “Abbracciatevi moltitudini!”. L'eroe non è più il Dio Padre, il creatore, e nemmeno il suo Figlio (...). Adesso l'eroe è l'Uomo (...) nella sua forma ideale, come Artista Genio: il creatore stesso Ludovico van.» Anche noi nel parlare di questi grandi Geni usiamo metafore ieratiche. Spesso leggo e sento dire: « Il divino Mozart » aggettivo che in realtà è assolutamente improprio per la figura di Mozart. Corregge Giovanni Carli Ballola: « Ma se è vero che, secondo la mitologia delle arti, divino era detto Michelangelo piuttosto che Raffaello, o Monteverdi piuttosto che Palestrina, allora nell'ambito del Classicismo viennese sette-ottocentesco, divino dovrebbe essere Beethoven, non Mozart. Perché l'artista divino è quello che, come un novello iddio, costruisce, plasma , crea inventa dal nulla insomma osa superare quanto esiste già, quanto è elemento della natura. Appunto è Michelangelo con le sue figure innaturali e gigantesche, Monteverdi con i suoi madrigali inauditi e le sue musiche sacre letteralmente straordinarie è Beethoven con le sue forme dilatate, ispessite e propriamente titaniche (...). » Se uniamo i due ragionamenti di Trias e Ballola in realtà arguiamo che in realtà, i “divini” nel periodo classico furono due: Haydn – sempre troppo sottovalutato e ignorato anche da esperti – e Beethoven. Il primo fu il “Padre creatore” il secondo “ il Genio, l'Uomo-Artista che portò la forma-sonata alla sua massima vetta e da qui alla sua dissoluzione finale. Dunque, Luca a chi parla oggi – perché è a chi parla oggi che ha solo importanza – Bach? O meglio a chi parlano oggi Palestrina, Monteverdi, Bach, Haydn, Mozart, Beethoven e via discorrendo? La risposta che mi viene è questa: a chi ha orecchie e cervello da intendere!
  13. Ciao caro Ismaele come stai? Io personalmente ti consiglerei quello diretto da Tigani e Marco Rogliano al violino edita dalla casa Bongiovanni di Bologna, se è ancora in commercio. Rivolgiti a loro tramite il sito e senti.
  14. Anche qui vale la premessa fatta in quell'altro post caro Armando! Mi darai atto che è, se non altro, un po' forzato affermare che si tratta di un « concerto di musiche inedite - o molto rare - del nostro Ludwig. » quando in realtà di vera mano beethoveniana c'è solo il Concerto in do+ per violino e orchestra WoO 5 che però si ferma alla battuta 259 del primo movimento e che richiede comunque un intervento di una terza mano che, immagino sia quello assai convincente del tuo caro amico Roberto Tiem Tigani. Quanto al resto – ancora una volta ti chiedo scusa – ma io mi domando; che serve rimpolpare in maniera così “apocrifa” il catalogo beethoveniano che non ha bisogno certamente di aiuti. Di ouverture beethoveniane ce ne sono di bellissime e di veri capolavori e mi riferisco in particolare all'Opus 62 Coriolan, Opus 72a “Leonore 3”, Opus 84 Musiche di scena per Egmont e soprattutto, lasciatemelo dire, quel grandissimo gioiello che è l'Opus 124 “La consacrazione della casa” di cui mi domando – forse Carlos nella sua qualità di direttore d'orchestra può darmi una risposta – come mai venga tanto snobbata nei concerti di musica sinfonica e nelle registrazioni su cd. Anche il maestro Chailly registrando l'integrale delle sinfonie di Beethoven con i tempi metronomici dettati dal compositore alla fine del 2011, l'ha tralasciata preferendo altre di ben più scarsa qualità. Questo pezzo di musica della durata di circa 10 minuti si trova nel catalogo beethoveniano, fra quei due colossi che sono da una parte la “Missa Solemnis” Opus 123 e dall'altra la Nona Sinfonia Opus 125. Si tratta di uno dei più stupefacenti brani di musica concepito per l'orchestra da Beethoven. Musica festosa, maestosa, scintillante in cui Beethoven volle rendere omaggio a Händel « il più grande compositore che mai sia esistito » secondo il compositore di Bonn. Dapprima una citazione dall'amato compositore, poi il pianissimo dei fiati nella marcia introduttiva, il maestoso sostenuto, la fanfara di trombe e fagotti e poi il passaggio degli archi soli che annunciano la creazione polifonica dell'allegro fugato con brio finale dove il suono si afferma come pura forza. Ed è proprio in questo Allegro fugato finale dove, più che in qualsiasi movimento della Nona, si espresse il Beethoven del terzo stile nelle composizioni per organico orchestrale. Quel Beethoven che, se fosse vissuto, da lì a poco avrebbe composto la sua Decima e l'Ouverture sul nome di Bach e con esse avrebbe ulteriormente sconvolto e scandalizzato il mondo musicale degli anni 20 del XIXesimo secolo e dei decenni seguenti. E a proposito di sinfonie: ma Armando ne abbiamo 9 che sono tutte, nelle loro distinte peculiarità, dei capolavori, ma dimmi: che ce ne facciamo di una decima raffazzonata? E che ce ne facciamo di questa Sinfonia di Jena in perfetto stile galante che non sopporto? Capisco che tu l'ami come l'amava Antonio Bruers...va bé de gustibus!! Ciao Armando scusami per tutto è l'effetto influenza!
  15. Sono influenzato e dunque ho tempo in abbondanza e oggi mi dedicherò a te, caro Armando, e lo farò con una premessa di non me ne volere per alcune critiche che ti muoverò in maniera assolutamente amichevole. Penso che persone come te se non ci fossero andrebbero inventate perché è tanto e importante quello che tu hai fatto, fai e farai per il nostro Ludwig van Beethoven e la stima che provo per te è immensa. Dopo l'insaponata vengo a quanto da te scritto. Sono assolutamente convinto che quanto Beethoven scrisse in quella lettera fosse da prendere alla lettera (appunto) – cosa che non sempre accadeva perché in quanto a frottole ne raccontava spesso anche lui -: Beethoven non amò assolutamente trascrivere la sua musica e quando lo fece, lo fece di malavoglia, usando la mano sinistra e con il fine solo di guadagnare qualche quattrino che non faceva mai male. In realtà fra le opere da te menzionate ne mancano altre due che sono il Concerto per violino e orchestra Opus 61, trascritto per pianoforte e orchestra e il Quintetto per archi Opus 104 che fu una rielaborazione del Trio Opus 1. L'aggiunta di queste altre due opere potrebbe sembrare avvalorare la tua tesi ma in realtà, secondo me, non è così. Ma andiamo per ordine tralasciando le sciocchezzuole del catalogo Hess – forse non sarai d'accordo con questa mia affermazione ma personalmente la penso così! - Tu affermi che: « Nonostante ricerche accurate e numerose congetture, allo stato attuale è pressoché impossibile stabilire quali di queste opere furono composte direttamente dal Maestro e quali eseguite dai suoi volenterosi collaboratori, quali Ries e Czerny. (Questo vale essenzialmente per il quartetto di Opere 41-42-63-64. » Sicuramente sarà come tu dici ma, io ho altre informazioni che sono le seguenti: l'Opus 41 trascrizione della Serenata Opus 25 secondo studi recenti basati sull'analisi del manoscritto, è stato appurato che non si tratta di lavoro originale di Beethoven ma di terza mano. Il compositore poi revisionò il tutto. L'Opus 42 rielaborazione dell'Opus 8 fu effettuata da F. X. Kleinheimz e sempre revisionata da Beethoven. L'Opus 63 rielaborazione dell'Opus 4 – a sua volta rielaborazione dell'Opus 103 – secondo lo studioso Cooper avvenne senza l'autorizzazione e l'intervento di Beethoven, e la stessa cosa vale anche per l'Opus 64. Ora Armando, sia comunque quel che sia ma, una cosa a me pare assolutamente evidente: tutte queste trascrizioni sono nettamente inferiori come qualità rispetto agli originali e, a questo punto, preferisco pensare che non sia stato Beethoven a farle perché non sarebbero molto degne delle sue capacità. Le opere che sicuramente Beethoven trascrisse sono anche loro tutte inferiori all'originale anche se bisogna riconoscere un'accuratezza maggiore: l'Opus 4 come disse Abrahm: « (...) non è un semplice arrangiamento...è sotto molti punti di vista un lavoro nuovo. (...) ». Sicuramente è inferiore è anche Hess 34 trascrizione dell'Opus 14 n.1 che di per sé non è un capolavoro di sonata, così come l'Opus 16a dell'Opus 16 e l'opus 38 dell'Opus 20. Discorso diverso per la trascrizione della Sinfonia n. 2 Opus 36 in Trio per pianoforte, violino e violoncello dove:« (...) l'efficacia del discorso sinfonico diventa il il viatico per una sperimentazione sonora che cambia da cima a fondo: sebbene al pianoforte spetti il compito di dare corpo alla struttura del discorso, violino e violoncello non si trovano in posizione subordinata, giacché a loro compete la definizione di quell'elemento timbrico che in Beethoven non ha più nulla di decorativo, ma parte integrante del senso della composizione. » come afferma il bravo Stefano Catucci che ascolto sempre volentieri a Radio Tre. A questo punto rimangono fuori dal gioco solo le Opus 104 e Opus 134. Iniziamo dall'Opus 134, trascrizione per pianoforte a 4 mani della Grande Fuga Opus 133. Anche della sua gestazione si può parlare di 4 mani, perché, sempre per quel che mi risulta, fu affidata dietro pressione dell'editore Artaria da Beethoven al suo allievo Anton Halm, poi però, in un secondo momento, non per nulla soddisfatto decise di rivederla personalmente. Comunque, anche qui, sia quel che sia, è innegabile che la trascrizione è nettamente inferiore all'originale nonostante abbia i suoi fans. Ho volutamente lasciato per ultima l'Opus 104, non certamente per la sua importanza che è non enorme ma perché è legata ad un bel romanzo di Vikram Seth. Questa trascrizione fu anch'essa compiuta precedentemente da mano ignota e poi ripresa da Beethoven con l'aiuto di Kaufman come risulta dalla lettera n. 1158 del 14 agosto 1817. Sul manoscritto dell'Opus 104 si possono poi leggere le seguenti parole: « Trio arrangiato (...) dal Signor Buona Volontà, e aggiornato di cinque parti in apparenza e cinque parti vere, e in tal modo elevato da uno stato di grande miseria a una posizione veramente importante. 1817, il 19 agosto. N.B. La partitura originale del Quintetto in tre parti è stata offerta in solenne olocausto agli dèi dell'inferno » E questo alla faccia di chi sostiene che Beethoven fosse privo di spirito. Dicevo del romanzo di Vikram Seth “Una musica costante” Longanesi & C. editore: per chi non l'ha letto si tratta della storia di un suonatore di violino alla ricerca di quel raro quintetto di Beethoven e di altre storie parallele che si intrecciano, ma quello che mi piace quivi riportare è il suo finale che mi commuove ogni volta che lo leggo: « La musica, questa musica, è un dono sufficiente. Perché chiedere la felicità, perché sperare di non soffrire? È abbastanza, è una benedizione sufficiente vivere giorno per giorno e udire questa musica – non troppa, altrimenti l'anima potrebbe non resistere – di tanto in tanto. »
  16. Compito del mattino: non devo parlare male di Von Bülow non devo parlare male di Von Bülow non devo parlare male di Von Bülow.... Lo scrivo 100 volte sulla lavagna tipo Bart Simpson nella sigla della serie omonima. Bella l'idea del tutto romantica di scrivere qualcosa per qualche strumento e pensare di lasciare un testamento.... Mannagg.... per rispondere me lo sono letto in modo bulimico, fra treno di andata e ritorno Pontedecimo - Genova Bignole e ritorno (ma anche - "Alcandro lo confesso!") sul lavoro. (Armando) Mannagg...Armando, non volermene ma è molto probabile che il fatto che il libro di Schift te lo sei letto in treno in modo bulimico ti abbia fatto scappare qualcosa. Scherzi a parte, tu puoi parlare male di Von Bülow che a me non interessa un granché ma, francamente il romanticismo c'entra ben poco con questa cosa. Von Bülov non pensava certamente ad un testamento spirituale quando definì le 32 – a proposito come mai si continua a parlare e ad eseguire solo 32 sonate per pianoforte quando in realtà sono state almeno 35? - sonate di Beethoven “Il nuovo testamento” ma in realtà la sua era una metafora biblica. Il “Vecchio testamento” del pianoforte fu per lui “Il clavicembalo ben temperato” mentre il “Nuovo testamento” furono le sonate di Beethoven. Questa metafora prendeva anche spunto dal fatto che Bach con la sua musica parlasse direttamente con Dio mentre Beethoven parlasse direttamente agli uomini. Nel “Vecchio testamento” è Dio e la sua opera al centro del racconto, mentre nel “Nuovo testamento” Dio si fa uomo in mezzo agli uomini e parla con loro direttamente. Comunque anche oggi - non ultimo il violinista Salvatore Accardo - ha affermato di amare Beethoven perché è un compositore la cui musica parla agli uomini
  17. Ma più rileggo i tuoi scritti e più sembra che tu dia ragione a Berlioz, se tutti gli ascoltatori fossero di grande cultura, avremmo un popolo colto. E allora la musica colta sarebbe per tutti...ma tutti coloro che soddisfano questo requisito. Ecco, adesso è più chiaro tutto, le masse non sono e non sono mai state colte. Quando lo saranno (speriamo presto), allora lo scritto di Berlioz perderà senso... Diciamo che sul potenziale il discorso sta in piedi, ma praticamente parlando ...mi sto guardando intorno, la vedo dura ... Cosa ne dici a tal proposito? (Frank) Hai ragione, Frank: le masse non sono mai state colte. Aggiungerei che le stesse masse sono sempre state propense (e spesso usate, in questo senso) alle generalizzazioni. Che discendono direttamente dalla pigrizia di ritenere che, per qualche misteriosa ragione, vivere debba costare fatica solo agli altri, non a noi (che sta per me, per te, per le masse). (...) Allora è inutile girarci intorno: si comunica per cercare i propri simili. Se siano pochi o tanti è questione secondaria. Noi esseri umani dimentichiamo troppo spesso due semplicissime verità: la prima, è che siamo destinati a morire; la seconda, è che proveniamo evidentemente dall'infinito e che ritorneremo nell'infinito, la qual cosa ci collega inevitabilmente a tutto. Anche alle masse. Mi permetto di credere che Beethoven percepisse come pochi questo dato di fatto. Altrimenti non avrebbe potuto donarci così tanto (Otello) Buongiorno Frank e innanzi tutto ciao Otello, - al mio caro amico Luca mi dedicherò dopo, tanto lui non si offende - molto piacere di conoscerti virtualmente! Penso che le masse siano sempre state volutamente tenute nella più profonda ignoranza e questo perché il potere – qualsiasi potere – ha il suo tornaconto che così sia. Non è dunque una questione di pigrizia: le masse hanno dovuto, nel corso dei secoli fare fatiche di ben altro spessore e ben più umilianti e ingiuste. Alle masse non è stato mai permesso di accedere alla cultura questo però è avvenuto, volere o volare, con il Novecento, con il trionfo della tecnologia da una parte e, dall'altra delle “democrazie” - notare le virgolette - almeno nella nostra parte di mondo. Noi siamo le prime generazioni che sono completamente esenti dall'analfabetismo e che possono avere una visione reale su tutta la storia e tutta la cultura dell'umanità. Ho già riportato da altra parte quanto il maestro Sciarrino afferma circa la fruizione e l'accesso all'arte che costa fatica, studio, passione tempo e qui, lo riconfermo. Ma la grande differenza sta nel fatto che oggi tutti possiamo avere i mezzi per potervi accedere ed ogni alibi – se così lo possiamo definire - è caduto. Le prossime generazioni, in base alle loro scelte, potranno dunque essere acculturate in maniera esponenziale rispetto all'altro ieri e anche all'oggi. La scelta, ripeto, sarà dettata solo da loro e dalla loro capacità di non lasciarsi influenzare da un “Grande fratello” che, emanazione del solito potere, cercherà di sviarle per altre strade più consone e meno pericolose per la non messa in discussione del suo perpetrarsi all'infinito. Se si faranno incantare da quel potere, nonostante tutto, o se, viceversa, vorranno veramente prendere in mano il loro destino, dipenderà solo da loro. Una cosa è certa per me: senza la CONOSCENZA questo non potrà mai avvenire! A quel punto il discorso di Berlioz esaurirà veramente la sua valenza, ma... Frank, i mezzi per far sì che ciò avvenga son già tutti qui. Quanto a Beethoven? Ecco io penso che tutti gli artisti farebbero bene a ritornare allo spirito beethoveniano e vedere il loro “poter e saper fare” - dote che a non tutti è data e soprattutto a non tutti in dose eccelsa - come una missione per l'umanità. Già fin da giovane il compositore di Bonn scrisse in una lettera quello che fosse il dovere primario di un'artista: « Non c’è quasi trattato che sia troppo dotto per me. Senza presumere di possedere una vera erudizione, io mi sono sforzato sin dall’infanzia di comprendere il pensiero degli uomini migliori e più saggi di ogni tempo. Vergogna all’artista che non considera una colpa il non spingersi almeno tanto lontano. ». Lui, che fra gli arti adorò Omero, trascrisse sui suoi quaderni quel principio ferreo che lo contraddistinse in tutta la sua vita artistica: «Ma ora mi afferra il destino! Non lasciarmi cadere nella polvere senza lotta e inglorioso, non prima che io abbia compiuto grande imprese, delle quali sapranno anche le generazioni future.» Questa fu la sua maniera di « afferrare il destino alla gola » Le « imprese delle quali sapranno anche le generazioni future » che un'artista deve tramandare è il suo prodotto, il suo saper perseverare nella convinzione che quello che sta facendo, seppur largamente incompreso, osteggiato, economicamente non sufficiente– mettiamoci pure anche quello – è nel GIUSTO. Il grandissimo poeta tedesco Friedrich Hölderlin, poeta amato molto da Beethoven che lo studiò ampiamente nel comporre la Sinfonia Pastorale, scrisse nel settembre 1793, queste parole che sarebbero potute essere anche di Beethoven e che, ancora oggi, a distanza di due secoli, hanno, dal mio punto di vista una valenza veramente eccezionale: « Il mio cuore è per la razza umana (...) Amo il popolo dei secoli che verranno, Perché questa è la mia più dolce speranza, la fede che mi dà la forza e operosità, che i nostri discendenti saranno migliori di noi. (...) Viviamo in un'epoca in cui tutto lavora per giorni migliori (...) Questo è il termine sacro dei miei desideri e della mia attività: ridestare nel nostro tempo i germi che nel futuro giungeranno a maturazione.» Stravinskij è un addetto ai lavori, chiedilo al panettiere (Frank) Capita a volte di essere i più severi giudici di se stessi (almeno, a me è capitato). Venti anni fa non apprezzavo le Variazioni Goldberg, eppure sono un capolavoro. Pure le Diabelli fino a quattro anni fa non è che mi fossero . . . così vicine. Eppure sono un capolavoro, eppure adoro Beethoven... cos'è che non capivo? Cosa avevo che non andava? Non è possibile, secondo voi, che nel rapporto estetico con un'opera d'arte (qualsiasi, anche non musicale), ci sia un fattore di affinità spirituale? . . . io penso di sì. Certo, un minimo di erudizione in materia aiuta, ma non può essere la garanzia di un “buon matrimonio” (tra l'ascoltatore e l'opera in questione). Chi è in gradi di “vivisezionare” la Grande Fuga op.133 a livello formale armonico contrappuntistico, non è detto che ne sia poi veramente . . . toccato nel profondo. Penso che ci siano esperienze, percorsi di vita, di vedute (tutte cose che ognuno di noi porta dentro e che sono in continua evoluzione) che a seconda del fatto che facciano o non facciano parte del nostro vissuto, ci consentono o ci negano un rapporto “cordiale” con una determinata opera (a volte con tutta l'opera di un compositore, o di una determinata epoca, o di un determinato stile). Tutto ciò a prescindere dal fatto di essere in grado di riconoscerne il valore storico e le dinamiche interne a livello strutturale. (Luca) Luca, mio caro amico, lo sapevo – lo speravo! - che saresti arrivato, qui ti troverai in OTTIMA COMPAGNIA. Ho accostato queste due parti dei vostri discorsi perché tu Luca, rispondi già all'affermazione di Frank. Caro e stimatissimo Frank, Luca non è il panettiere ma è un ragazzo – ehm, ora non lo è più a dir la verità - che come me è venuto su dal niente e che però a differenza di me è diventato un pianista ed è la dimostrazione di come un ragazzino che non ha alle spalle una cultura musicale può con la propria volontà – solo con quella – accostarsi piano piano alla grande musica. Ma sarà lui a parlare di sé se vorrà. Premesso che è vero che Stravinskij è un addetto ai lavori, ma altrettanto lo fu quel Tovey che nel 1911 – e cioè qualche decennio prima appena – giudicò la Grande Fuga « ineseguibile », il panettiere, se vuoi, sono io. O meglio, sono il contadino, l'operaio, il manovale...e tutto ciò che vuoi, che però pur non studiando per nulla a scuola – e questo anche per rispondere a Claudio su quello che pensavo e penso della scuola - perché sono da sempre uno “contro”, poi mi richiudevo però in biblioteca o studiavo su testi extra-scolastici la storia, le arti, la letteratura e la filosofia. Se oggi uno come me che non è nulla di particolarmente speciale può amare la musica di Monteverdi al pari di quella di Bach, Beethoven, Brahms, Wagner, Verdi, Webern, Stravinsliy, Nono, Berio, Boulez, - mi scuso per gli innumerevoli non citati - vuol dire che questo è nelle possibilità, non dico di tutti, ma di molti sicuramente. Ci è voluto meno di un secolo e forse fra trent'anni sarà completamente assimilata. (Daniele) Di sicuro, lo spero, ma la sperimentazione avanguardistica degli anni '950/'990 la vedo molto distante da questo obiettivo, probabilmente resterà imbrigliata nei libri di storia e sarà solo oggetto di analisi per studiosi. Il novecento ha svelocizzato tanti processi, compreso il fatto che un genere di musica sopravviva o soccomba sotto i suoi limiti...riferendomi alle masse. Secondo me non è un caso che ci si fermi a Berg e che affiorino musicisti come Messiaen a discapito dei compositori osannati soprattutto dal mondo accademico, presumibilmente colto (guarda caso). Anche su questo io voglio essere discretamente ottimista. Il 6 ottobre è stato consegnato a Venezia, il Leone d’oro alla carriera al compositore e direttore d’orchestra Pierre Boulez ormai ultimo fra i compositori viventi di quella che fu definita l'Avanguardia di Darmstadt. Questo insigne riconoscimento seppur tardivo, viene a premiare uno dei massimi compositori del Novecento e, probabilmente oggi, il più grande vivente - lo dico con rispetto parlando verso tutti gli altri compositori –. In quella serata sono state eseguite di Boulez “Incises” del 1994 per pianoforte e “sur Incises” per 3 pianoforti, 3 arpe e tre percussioni del 1996, dove l’arte magistrale della trasformazione sonora, molto tipica nel compositore francese, è pienamente messa in luce. Io penso, caro Frank, che le cose si stiano muovendo e che il “buon senso” e la “giusta ragione” dovranno trionfare, prima o poi, e che anche questi grandissimi compositori avranno il posto che giustamente gli compete nell'ambito della storia della musica.
  18. “Volere è potere” fermo restando che ognuno di noi deve essere conscio di quelli che sono i suoi limiti intellettivi, culturali, fisici e via dicendo, a cui tutti, dobbiamo comunque sottostare. Di Dante Alighieri, Leonardo, Michelangelo... Beethoven – questo lui lo gridò anche al principe Lichnowsky – ce ne sono stati solo uno. Nella consapevolezza dunque dei miei infiniti limiti so dove fin posso voler arrivare...ma lì ci voglio poter arrivare. Frank, io non sono un addetto ai lavori sono un semplice fruitore di musica, di arte, di letteratura, di filosofia etc., e da fruitore ti dico che seppur è vero che faccio parte di quei pochi ascoltatori della musica contemporanea, questo non toglie che la “costanza della ragione” - come l'avrebbe definita lo scrittore Vasco Pratolini - e dunque la perseveranza nella convinzione che questa sia la strada giusta, non deve mai venire meno. Beethoven fu completamente consapevole che la sua musica – soprattutto la sua ultima musica - sarebbe stata per le generazioni future. E così come vaticinò 50 anni affinché la sua Hammerklavier fosse compresa – era anche troppo ottimista in realtà – e che la sua Grande Fuga per arrivare ad essere considerata da uno come Stravinskij: « il più perfetto miracolo di tutta la musica » ha dovuto aspettare un secolo i compositori di oggi devono essere consapevoli che la loro musica sarà delle generazioni future. Non ho palle magiche e non so cosa sarà fra un secolo ma vedo che oggi la musica di Webern e della seconda scuola di Vienna – che ormai si può definire classica anche quella – fa breccia fra i pur sempre pochi giovani che si avvicinano alla musica colta. Ci è voluto meno di un secolo e forse fra trent'anni sarà completamente assimilata. Dove andrà il mondo futuro? Domanda che non può avere risposta ovviamente! Spero per i miei figli e per le generazioni che verranno che vada verso una civilizzazione sempre maggiore e, la civiltà, caro Frank, è fatta soprattutto di grande cultura.
  19. Oh, sì, caro Frank, è una delle frasi che dico più spesso ai miei due figli!
  20. Schubert in vita non ebbe affatto fortuna, solo piccoli concerti in salotti privati con pochi amici, nessuna accademia e molte delle sue opere furono conosciute e pubblicate solo dopo la sua morte per merito, soprattutto di Schumann. Questo fece sì che nella Vienna d'allora furono ben molto più famosi compositori quali Johann Nepomuk Hummel, Joseph Weigl, il boemo Adalbert Gyrowetz, tutti presenti ai funerali assieme al misconosciuto Schubert. Il grandissimo compositore austriaco dapprima, influenzato dal suo maestro Salieri che fu, precedentemente, anche maestro di Beethoven e dalla scarsa conoscenza della musica beethoveniana ebbe forti dubbi e perplessità di fronte a certe violenze espressive beethoveniane, agli scossoni che egli dette alle forme tradizionali. Significativo a tal proposito è un estratto dal suo diario del 16 giugno 1816 in occasione di un concerto in onore di Salieri dai suoi allievi: « Deve essere bello e confortante per un artista vedere tutti i propri allievi riuniti intorno a sé, ognuno impegnato a dare il meglio. Sentire in tutte quelle composizioni l'espressione di una natura pura, libera dall'eccentricità che frequentemente si trova nei compositori d'oggi, e che è dovuta unicamente a uno dei nostri maggiori artisti tedeschi; quell'eccentricità che unisce e confonde il tragico con il comico, il piacevole con il repulsivo, l'eroico con il terribile, il sacro con il buffo, senza distinzione, per stimolare la gente alla cattiveria invece di infonderle l'amore, incitarla al riso sfrenato invece d'innalzarla a Dio. » È del tutto evidente che, seppur non nominandolo, Schubert alludesse a Beethoven. Poi una maggiore maturità e una maggiore conoscenza lo portò a cambiare radicalmente la sua idea pur restandogli - vedi la frase pronunciata dopo la sua morte – non comprensibili fino in fondo le sue ultime composizioni e riconoscendone, pur tuttavia, l'enorme e inarrivabile grandezza. Schubert inoltre fu un uomo timidissimo e tutte queste questioni fecero sì che ebbe sempre una forte soggezione per questa personalità preminente, per questo artista che aveva saputo imporsi con la sola forza del suo genio. Beethoven dal canto suo non ebbe modo di conoscere alcunché delle musiche del suo sfortunato collega e molti dubbi ci sono anche su un eventuale loro incontro. Nei Quaderni di conversazione non è riportato nulla a tal proposito ma, se si vuol dare credito al solito Schindler – che ha raccontato innumerevoli panzane su Beethoven - sembra che fra i due ce ne fu uno unico nel 1822, quando Schubert presentò a Beethoven le “8 Variazioni sopra una canzone francese per pianoforte a quattro mani” composta nel 1818. Così scrisse Schindler: « (...) Il timido e per di più taciturno artista si mostrò sotto una luce sfavorevole, nonostante fosse accompagnato da Diabelli il quale, nel presentarlo, cercò di interpretare i suoi sentimenti verso il maestro (...) Beethoven scorse rapidamente la copia che gli veniva presentata e si imbatté in un errore di armonia. Con parole gentili attirò l'attenzione del giovane su quell'errore, affrettandosi tuttavia ad aggiungere che non era affatto un peccato mortale, ma Schubert, forse proprio per la gentilezza dell'osservazione, perdette completamente il controllo di sé. Solamente quando fu fuori dall'uscio riprese animo e si rimproverò aspramente. Non ebbe mai più il coraggio di presentarsi al maestro. »
  21. Ciao Frank! Giudizio da profano e dunque chiedo venia se dico castronerie! Dal mio punto di vista l'interpretazione della Berberian rimane sempre la migliore, trovo infatti che dal suo abbia una voce stupenda unita ad un'autorevole personalità e a un'estrema sensualità. Laura Catrani è anch'essa bravissima ed eccelle anche lei in tutte le qualità di cui sopra ma ha dalla sua, rispetto alle altre due cantanti, il fatto che la possiamo vedere e, indubbiamente questo la potrebbe avvantagiare. La sua espressività del viso è formidabile, giudizio che non posso dare delle altre. La Castellani è quella che mi è piaciuta meno, non mi soddisfa molto nella voce.
  22. La questione che tu poni in termini critici è, in realtà, assai significativa del modo di comporre di Beethoven soprattutto nel cosiddetto “Periodo eroico” che sostanzialmente prende avvio dal tempo del testamento di Heiligenstadt ed ebbe fine dopo il Congresso di Vienna. Sempre importante è, - e in particolare in Beethoven - contestualizzare – non mi stancherò mai di usare questo verbo – il periodo storico e psicologico per comprendere le sue scelte. Fu infatti dopo la crisi depressiva che lo portò sull'orlo del suicido, dovuta in buona parte dalla piena presa di coscienza dell'irreversibilità della malattia che lo rese completamente sordo, 14 anni dopo e, anche alla fine della sua storia d'amore con Giulietta Guicciardi che si avviò pienamente il processo creativo che va anche sotto il nome di “secondo stile” che però – attenzione anche su questo perché è sempre importante tenerlo presente – iniziò già la sua prima maturazione fino dalle prime opere del catalogo ed ebbe ancora ripercussioni nel tardo stile. Sostanzialmente Beethoven operò sulla forma – sonata ereditata da Haydn e Mozart, ingaggiando con essa una lotta che lo portò nelle sue ultime Sonate e nei suoi ultimi Quartetti alla sua – quasi - dissoluzione. Celeberrimo su questo argomento è quel passo del “Doktor Faustus” di Thomas Mann dove si discute del perché Beethoven nell'Opus 111 non abbia fatto seguire un terzo tempo: « (...) Un terzo tempo? Una nuova ripresa (...) dopo questo addio? Un ritorno (...) dopo questo commiato? Impossibile. Tutto era fatto: nel secondo tempo, in questo tempo enorme la sonata aveva raggiunto la fine, la fine senza ritorno. E se diceva “la sonata” non alludeva soltanto a quella sonata in do minore, ma intendeva la sonata in genere cone forma artistica tradizionale; qui terminava la sonata, qui essa aveva compiuto la sua missione, toccato la meta oltre la quale non era possibile andare, qui annullava sé stessa e prendeva commiato (...) un addio grande come l'intera composizione, il commiato dalla Sonata.(...) » Il principio che guidò lo spirito compositivo di Beethoven viene definito dei “principi opposti”, in quanto caratterizzato da un continuo alternarsi di contrasti drammatici: ai vari temi ed alle varie frasi, ne rispondono altre contrarie; ad un passaggio avente un determinato ritmo, ne risponde un altro con un ritmo diverso. Questa concezione, Beethoven, la fece discendere dalla filosofia di Kant e, precisamente dai “Fondamenti metafisici della scienza e della natura” dove il filosofo parlò della forza di attrazione e repulsione come originario impulso della materia. Il compositore scrisse in uno dei suoi Quaderni di conversazione: « Nell’anima come nel mondo fisico agiscono due forze entrambe ugualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione. » Con l’aumentare della sordità Beethoven per comunicare si affidò sempre di più alla parola scritta. Il visitatore che si recava a trovarlo veniva invitato a scrivere mentre - quasi sempre ovviamente - il compositore rispondeva oralmente. Questi scritti sono rimasti a noi purtroppo, solo in parte perché dei quattrocento Quaderni di conversazione - che risalgono agli ultimi 10 anni della vita del Genio di Bonn - ne sono rimasti solo 137, colpevole di ciò quel disgraziato di Schindler che bruciò i restanti. Luigi Magnani, grandissimo studioso beethoveniano, in un suo libro “Beethoven nei suoi quaderni di conversazione” pubblicato da Einaudi, fece un’analisi veramente interessantissima e coinvolgente che mise in luce il pensiero beethoveniano in una maniera veramente eccelsa. «“I temi ora vengono sentiti come idee, espressioni appunto del conflitto che agita l’animo umano fra materia e spirito, fra mondo e io soggettivo, fra senso e ragione.” Così si esprime lo stesso Beethoven e nei Quaderni definisce la dialettica bitematica della forma-sonata: il primo tema è inteso come “principio di opposizione” e il secondo come “principio implorante”. goethianamente, il primo è l’elemento “maschile” che si afferma come energia ritmo-melodica e tonale (cioè come scelta e imposizione di una determinata tonalità); il secondo, l’elemento “femminile”, è caratterizzato da un flusso melodico-armonico indeterminato, totalmente vago e modulante (tendente cioè ad altre tonalità). Da questa dialettica opposizione fra i due temi-idee, in continuo divenire, scaturisce il principio vivente: esso si riconduce a quel concetto dell’unità vivente che, proprio in quegli anni Hegel andava in modo dialettico sviluppando sul principio delle antinomie di Kant. Beethoven sembra registrare, con impressionante forza, questa nuova concezione del mondo che la cultura tedesca e la filosofia vanno elaborando agli inizi del secolo. Si comprende dunque come lo schema normativo della forma-sonata bitematica tripartita venga sottoposto ad una nuova funzione strutturale, perché riempito di contenuti ideologici che ogni volta tendono ad allargarsi, nell’ansia di un discorso il quale vuole essere il più possibile compatto, nella chiarezza della forma, come diretta emanazione della vita interiore dell’artista. (...) i temi ora vengono sentiti come idee, espressioni appunto del conflitto che agita l’animo umano fra materia e spirito, fra mondo e io soggettivo, fra senso e ragione.». Il musicologo Eduardo Rescigno aggiunge: « É questa forma che rispecchia la concezione dell’homo novus, di quell’individualismo che succedeva allo sfacelo delle vecchie classi sociali, conferendo consapevolezza anche a chi aveva dovuto fino ad allora accontentarsi di verità riflesse, esperite da altri: è questa forma, basata su un dualismo tematico, che diventa l’espressione di un’attività dialettica, logica connaturale allo spirito umano. (…) la forma sonata riesce così congeniale a Beethoven che egli ne assimila il dualismo volgendolo ad atteggiamenti di serenità e di tensione, con tutte le conseguenti derivazioni e sfumature ( il tema maschile e femminile ad esempio) al punto che tutto il suo spirito s’identifica nella plasticità dei due temi (…) Se in Haydn e Mozart il cosiddetto “sviluppo” della forma-sonata ebbe una connotazione di funzione elaborativa dei due temi presentati, in Beethoven divenne conflitto. La variazione non fu più solo tale ma divenne una vera e propria metamorfosi. La musica da intuitiva divenne pensata. Beethoven introdusse idee associative che, in quanto tali, sconvolsero completamente i temi, li frantumarono, conferendo in questa maniera, identità anche alle più piccole cellule musicali di quei brani. Se prima di Beethoven i temi e le relative variazioni si svolsero come una sorta di “moto perpetuo” – come li definì Giulio Confalonieri – che terminavano con la fine del pezzo, Beethoven proiettò la virtualità di ogni tema al di fuori come se in essi agisse una sorta di forza centrifuga, che ne eliminò le parti più scadenti, le riforgiò, cercando ogni volta di conferire alle sue opere una storia personale che le facesse vivere una vicenda autonoma. » E anche il più grande filosofo spagnolo vivente Eugenio Trias analogamente a Rescigno scrive di questo argomento sul suo libro “Il canto delle sirene” Tropea editore: « (,,,) Il netto contrasto fra il primo tema, impositivo e virile, e secondo tema, femminile cantabile, l'uno nel registro della tonica, in maggiore, e l'altro nella dominante, in minore costituisce senz'altro un novum, in quanto si gioca sul piano della drammatizzazione espressiva, pur coinvolgendo tutte le risorse del contrasto tonale e delle sottili gerarchie fra gli intervalli. (...) In Beethoven, l'espressività tematica e melodica è data dal carattere orecchiabile e conciso dei suoi temi e motivi; il compositore eredita questa caratteristica da Haydn, ma con lui diventa un elemento innocuo e persino infantile che contrasta con la scrittura sapiente (contrappuntistica) e drammatica (intensamente espressiva) che può raggiungere nella sezione dello sviluppo, suscitando meraviglia nell'ascoltatore. Le opposizioni, gli antagonismi e le contraddizioni drammatiche dei temi in Beethoven sono sostenute dalle contrapposizioni armoniche e dai calcolati contrasti tonali che i fattori dinamici potenziano fino al parossismo. In questo modo si ottiene una grande espressività, che si unisce alla sensibilità più raffinata. Si assiste alla nascita di un tema marziale dalla grande spinta dinamica che porta a una tranquillità ariosa e cantabile, creando un grande contrasto fra temi epici che ricordano il ritmo della marcia e arie dai toni sentimentali: questo crea una specie di armonia degli opposti fra Marte e Venere, fra la ragione eroica e la pascaliana raison du cœur, fra intelligenza pratica, assertiva e virile, ed emotiva (sensibile, evocatrice e nostalgica). »
  23. Si Frank capisco il tuo punto di vista, ma scusami se insisto sull’esigenza di contestualizzare il discorso. Quando Berlioz pronunciò quelle parole, i teatri. i salotti dove la musica era eseguita erano frequentati solo dalla borghesia e dalle classi sociali più alte: Il popolo, cioè il proletariato e il sotto-proletariato – perché è di questo che si deve parlare - e dunque la stragrande maggioranza delle genti, non poteva accedervi e dunque conoscere una qualsiasi di quelle musiche. Quel pubblico di cui Berlioz si lamenta è sostanzialmente lo stesso – come maturità culturale e musicale - che vent’anni prima, all’esecuzione della Grande Fuga fischiò e criticò aspramente il pezzo e a cui Beethoven rispose con un “Bestie, asini”. Come ho già detto da altra parte, oggi la musica – tutta la musica da Perotin a Berio – è disponibile per chiunque voglia accostarvisi, e dunque chiunque abbia un po’ d’inclinazione alla materia sonora può cercare di accedervi. E’ questa la grande differenza, e lo dico a ragion veduta visto che io vengo da quel popolo, sono una persona profondamente ignorante e però, nella mia vita, ho cercato e cerco tutt’ora di togliermene da addosso un po’ Se oggi riesco ad ascoltare la Grande Fuga e allo stesso tempo la Sequenza III di Berio è solo perché ho fatto – metaforicamente – sanguinare le mie orecchie e perché volevo arrivare lì, ad ascoltare e amare tutta la “musica colta –“ –scusate se continuo a chiamarla così -.
  24. Ciao Frank, mi fa piacere ritrovarti! Penso che tutte le frasi vadano comunque sempre contestualizzate nel periodo storico in cui vengono pronunciate. L'affermazione di Berlioz va vista in pieno romanticismo e risente di quella tipica enfasi. Il rapporto poi del mondo musicale del dopo Beethoven con il compositore di Bonn fu molto contraddittorio. Da un lato un 'incomprensione di fondo per quasi tutte le opere dei suoi ultimi anni – non dico “terzo stile” perché ad Armando non piace – troppo innovativo e avanti con i tempi. Molti compositori infatti fecero riferimento allo “stile eroico”, partendo ad esempio solo dai Quartetti dell'Opus 59. Per comprendere appieno questo rapporto, molte sintomatiche sono le frasi di tre protagonisti del dopo Beethoven. Franz Schubert disse: « Beethoven sa tutto, ma noi non possiamo ancora tutto comprendere e scorrerà anche molta acqua nel Danubio prima che tutto ciò che questo uomo ha creato sia universalmente compreso. Non soltanto egli è il più sublime e fecondo dei musicisti; è anche il più forte. Egli è altrettanto forte nella musica drammatica e in quella epica; nella lirica e nella prosaica; in una parola , egli può tutto. Mozart sta a lui come Schiller a Shakespeare. Schiller è già compreso, Shakespeare non lo sarà ancora per lungo tempo. Tutti comprendono già Mozart; nessuno comprende Beethoven. » In aggiunta di quanto da te riportato e sempre sugli ultimi quartetti, sempre Hector Berlioz affermò: « (...) L'altro giorno ho ascoltato uno degli ultimi quartetti di Beethoven (...) c'erano quasi trecento persone; fummo in sei soltanto a sentirci tramortiti dall'intensità dell'emozioni provate, e inoltre noi sei fummo gli unici a non trovare questa composizione assurda, incomprensibile, barbara. La sua musica ha raggiunto altezze tali che ci sentimmo mancare il respiro (...). Si tratta di una musica adatta – soltanto – a lui e a quelli di noi che lo hanno seguito nelle altezze incommensurabili del suo genio.(...) » Clara Schumann il 24 novembre del 1842 nel diario scritto assieme al marito Robert, così appuntò: « (...) Provo un sentimento del tutto personale per entrambi questi grandi maestri, Beethoven e Mozart. Mozart lo amo in modo particolare, Beethoven però lo venero come un Dio, ma un Dio inaccessibile, che non diventa mai parte di noi.(...) » Ecco Frank, «un Dio inaccessibile, che non diventa mai parte di noi.» penso che sia la frase che meglio di ogni altra possa riassumere il sentimento di adorazione, soggezione e incomprensione che caratterizzò i successori di Beethoven. Se pensiamo che la Grande Fuga Opus 133 fu giudicata ancora ineseguibile nel 1911 e fu rieseguita solo nel 1927, nel centenario della morte del compositore, possiamo ben comprendere come fu ostico e difficile il cammino del rapporto con l'ultimo Beethoven. Oggi non ha più senso parlare di questi sommi capolavori in questa maniera. Beethoven è il compositore universale per antonomasia e appartiene a tutti, anche a quelli a cui non piace.
  25. Ciao Armando, come stai? Complimenti per tutto il tuo lavoro che è stupendo. Non so se mi hai riconosciuto ma sono quel Daniele già iscritto precedentemente ai tuoi vecchi forum. Mi spiace per il grassetto che in realtà è venuto di suo e non intenzionalmente. Non pensavo potesse dare adito ad interpretazioni di questo genere e me ne scuso con Rotore se in tale maniera lo ha inteso.
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