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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. Caro Armando, io penso che sarebbe veramente un'ottima idea. Ma potrebbe essere anche ottima per la casa Inedita! Evvai!
  2. Vorrei però ora riprendere questa parte del discorso di Gino perché mi consente di dire il mio pensiero circa il completamento – o che dir si voglia – di opere beethoveniane rimaste a livello di schizzi e abbozzi. Non so se tu, Gino nell'affermare questo tuo giudizio ti riferisci agli abbozzi rimasti tali di Beethoven, risalenti al 1815 e che sono stati catalogati da Hess col numero 15 e da Biamonti col n. 641, oppure ad una ricostruzione postuma sul genere di questa. Nel secondo caso – ed è anche il caso della decima sinfonia – si tratta di un'operazione assolutamente lecita ma la critica, nel bene o nel male, va unicamente rivolta a quel compositore che ha pensato di fare quell'operazione. Insomma, Beethoven è il punto di partenza e basta, tutto il resto è frutto del secondo protagonista dell'operazione. Se invece ti riferisci unicamente e puramente agli abbozzi lasciati da Beethoven e cioè, circa 70 pagine del primo movimento, alcune completate, altre solo abbozzate, di una stesura della partitura orchestrale che arriva fino a metà del solo, con segnali di indecisione ed insoddisfazione da parte del compositore, ebbene posso dirti che chi l'ha analizzata e ne sa astronomicamente – ad esempio Lewis Lockwood - più di me, afferma che si tratta di una delle più importanti opere di Beethoven non realizzate. Sul perché Beethoven non proseguì e portò a termine quest'opera si possono, ovviamente fare solo delle illazioni. Probabilmente la più gettonata è quella che fu perfettamente consapevole che un concerto che andasse oltre ai suoi due ultimi e che dunque proseguisse nella via della sua rivoluzione, non sarebbe stato assolutamente accettato dalla critica e dal pubblico del tempo e, questo lo consigliò di lasciare perdere ed di accantonare, almeno per il momento, la cosa. Ma è anche vero che il 1815 coincise con quella serie di eventi personali e politici che lo portarono ad un silenzio quasi totale, rotto solo dall'armonizzazione di canti popolari per lo più provenienti dalla Gran Bretagna. Finito questo silenzio, il compositore si gettò sul pianoforte solo, prima, poi sulla Missa Solemnis e sulla Nona e, infine sugli ultimi Quartetti. Se fosse ancora vissuto, almeno nelle intenzioni, c'erano ben altre cose che avevano la priorità: Decima Sinfonia, Ouverture sul nome di Bach, un Oratorio nello stile di Händel e un'opera sul Faust di Goethe. Tutt'altra cosa insomma, rispetto ad un Concerto per pianoforte e orchestra.
  3. Caspita Gino! Altro che pomodori, virtuali o meno. Ce ne fossero come te! Allora, quello che farà seguito è quello che io penso dell'Opus 58 di Beethoven e del perché non sono d'accordo con te sul Secondo Movimento. Scusa se inizierò a contestualizzarlo nella vita di Beethoven ma, dal mio punto di vista, questa operazione, non solo con Beethoven ma soprattutto con Beethoven, va sempre fatta, nell'avvicinarsi ai suoi massimi capolavori Beethoven e il Concerto per Pianoforte e orchestra Opus 58, ovvero la lotta fra principio d'opposizione e principio implorante Beethoven lavorò al suo «Quarto Concerto per pianoforte e orchestra Opus 58» dal 1802 al 1806, ma c'è chi ritiene che anche nel 1807 egli vi operasse ulteriori ritocchi. Quel che però è sicuramente certo è che il grosso del lavoro fu fatto fra il 1805 e i primi mesi del 1806 e, per tanto, esso fu contemporaneo alla «Sonata n.23 per pianoforte “Appassionata” in fa- Opus 57», ai «3 Quartetti Razumowsky Opus 59», alla «Sinfonia n.4 in sib+ Opus 60» e al «Concerto per violino e orchestra in re+ Opus 61». Ma non bisogna dimenticare che comunque, la sua lunga gestazione, lo fa contemporaneo, seppur più indirettamente della «Sinfonia Eroica Opus 55», della «Quinta Sinfonia Opus 68» e del «Singspiel Leonora-Fidelio» nelle sue due prime versioni. Tutto questo per dire che, in questo bellissimo concerto, è riassunto il Beethoven di quegli anni con tutte le sue contraddizioni psicologiche e biografiche del momento. E' il Beethoven che, dopo essersi ripreso dalla storia con Giulietta Guicciardi, dopo il Testamento di Heiligestadt, ebbe una reazione assolutamente contraria a quello che il testo di quella terribile lettera avrebbe fatto presagire, è il Beethoven che prese atto, con rassegnazione, di un destino cinico e baro ma che si ribellò a tutto ciò. E' un Beethoven che riprende di gran lena a comporre, sfornando capolavori dopo capolavori e che entrò a pieno tondo nel suo secondo stile, quello “Eroico”, il più romantico e che, infine conobbe un periodo di pace perché s'innamorò di un'altra donna: Josephine Brunsvik. Se questa pace interiore trovò la sua espressione più significativa nella sua Quarta Sinfonia, o nel Concerto per Violino e orchestra,certamente questa si riversò anche sul primo movimento di questo concerto “Allegro Moderato. Sul piano musicale è un Concerto assolutamente importante. Se le sue forme non sono certo rivoluzionarie dal punto di vista di una più forte drammaticità rispetto ai concerti precedenti e al modello mozartiano perché, come dice Piero Rattalino è «un ritorno alla forma-concerto nella sfera dell'interiorità», rappresenta pur, ciò nonostante, la definitiva rottura con lo stile mozartiano e l'affermazione dell'avvenuta completa maturità spirituale del suo autore. Con questo concerto si chiuse definitivamente l'era del concerto settecentesco e si aprì quella dove il solista e l'orchestra non sono più antagoniste e si fondono fra di loro: il primo esempio è dato proprio dall'inizio del primo movimento, dove per la prima volta è lo strumento solista a cominciare e non l'orchestra. Fu questo il movimento dove Beethoven rinunciò a quel suo linguaggio tipico di quell'epoca, il linguaggio “eroico” con forte tinte epiche e marziali, dove sempre centrale fu un forte senso di lotta fra le parti. Beethoven, per la prima volta nella storia non volle più porre in antagonismo il solista e l'orchestra ma integrarlo all'interno, fonderlo con l'orchestra. Dunque se non fu rivoluzionario dal punto di vista di un'accentuazione della drammaticità, lo fu invece in quest'ultimo senso. Berlioz si domandò come mai non si fosse proseguito per quella strada. La risposta è come sempre con Beethoven la stessa: perché il compositore, da grandissimo visionario quale fu, fu sempre molto più avanti dei suoi tempi e anche di quelli che lo seguiranno. Bisognò aspettare Brahms e i suoi due Concerti – soprattutto il Secondo Opus 83 – perché questa rivoluzione arrivasse al suo naturale compimento Dal punto di vista psicologico fu la pace interiore, seppur molto precaria e passeggera, di un uomo che attraversò uno dei suoi rari momenti di vita serena a dominare e, questo, si esprime pienamente, il tutto scandito da sonorità crepuscolari di carattere intimo e malinconico. Luigi della Croce individua in questo movimento quell'anelito al matrimonio che pervase il Beethoven di quel tempo e che venne espresso così compiutamente nella contemporanea Leonora-Fidelio, quel desiderio di un focolare domestico che la vita gli negò sempre. Il Secondo Movimento “Andante con Moto” una delle pagine più belle in assoluto della letteratura musicale tout-court. Bello e assolutamente spiazzante nei confronti di quella pace malinconica del primo movimento. Qui Beethoven introdusse i suoi due principi fondamentali: il principio d'opposizione assegnato all'orchestra e il principio implorante assegnato al pianoforte. I due contendenti intonano due temi assolutamente diversi. Dapprima entra l'orchestra con un forte, imperioso e autoritario, a cui, il pianoforte, risponde con un tema di tipo assolutamente dimesso, cantabile, d'implorante dolcezza. Dopo un alternarsi fra i due temi, quello d'opposizione un po' alla volta si spegne e, in contrapposizione, quello implorante prende sempre più quota in un canto d'intensa forza ma sempre assolutamente infelice e malinconico. Poi l'orchestra torna a far sentire i bassi, ma questa volta la sua forza è ridotta notevolmente rispetto a quella che aveva all'inizio, mentre il pianoforte si esibisce in bellissimi trilli. Fermiamoci un attimo. È del tutto evidente che la pace del primo movimento viene dunque interrotta dalla tipica dualità beethoveniana, qualcuno volle vedere nell'orchestra – Vincent d'Indy - un personaggio tirannico che si oppone ad un personaggio supplichevole ma, ancora una volta e, proprio per quel carattere intimistico di quest'opera di cui dicevo, penso che sia più probabile che ad essere figurato da Beethoven sia sempre quel destino che lui avrebbe voluto «prendere per il collo» contro cui, egli, attraverso il pianoforte che, non bisogna mai dimenticare, fu il suo strumento prediletto, si ribella con voce dapprima sommessa, poi sempre più forte, ma in una maniera – quei trilli, quei meravigliosi e strani trilli – quasi smarrita o rabbiosa. Poi senza una soluzione di continuità, rispetto al secondo, inizia il terzo movimento, dapprima l'attacco degli archi dell'orchestra è in pianissimo, quasi impercettibile, il tema però viene ripreso immediatamente dal pianoforte, mentre un violoncello suona una melodia completamente indipendente dal resto. La stessa cosa accade con la seconda idea e a questo punto l'orchestra riafferma con una grande forza il tema iniziale. È un canto di tripudio, di gioia, di vittoria, il destino, la prepotenza è stata ancora una volta sconfitta. I vari episodi si collegano fra di loro e si variano e, a collegarli, è un tema musicale che parecchi anni dopo – sarà un caso? Io penso proprio di no ovviamente - un po' cambiato, Beethoven usò per dare l'inizio al canto dell'Inno alla Gioia. L'ottimismo beethoveniano ha ancora una volta trionfato a dispetto di tutto, a dispetto delle tante avversità della vita e la conclusione sul motivo di testa del tema principale è assolutamente sfolgorante e intensa.
  4. Nella lettera n. 153 del 27 agosto all'editore Breitkopf & Härtel, Kaspar Anton Karl van Beethoven propose la pubblicazione di «variazioni per pianoforte, violino e violoncello con introduzione e gran pezzo finale». (Ludwig van Beethoven. Epistolario volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandenburg. Skira editore) Il problema sta nel fatto che l’unica opera beethoveniana con questo organico che corrispondere a questa descrizione è l'Opus 121a. In effetti, il suo ascolto, mette in risalto la discrepanza stilistica esistente fra l’introduzione e il postludio – musica tipica del Beethoven tardo– e le variazioni molto semplici e certamente non pensabili essere state concepite negli ultimi anni del compositore. Il 19 luglio 1816 Beethoven scrisse la lettera 950 all'editore Gottfried Christoph Härtel e gli offrì – fra le altre opere – anche la pubblicazione delle «Variazioni, con un’introduzione e un postludio per violino, violoncello e pianoforte» e, aggiunse, «(...) esse fanno parte delle mie prime opere, ma non si tratta di roba scadente». (Ludwig van Beethoven. Epistolario volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandenburg. Skira editore) In effetti, il manoscritto in nostro possesso, risale a circa quel periodo e contiene l’introduzione e il postludio che noi conosciamo. È dunque del tutto evidente che in quell’occasione e in previsione di un eventuale pubblicazione, Beethoven rifece il pezzo introduttivo e quello finale e, probabilmente, rivide anche qualcosa a livello di Variazioni. Ma, se così fosse stato, vuol dire che il manoscritto originario è andato perduto e si deve parlare di due versioni per quest'opera, la prima risalente al 1803, la seconda al 1816.
  5. Incise no e penso anche dirette, Il motivo però, non lo so!
  6. Emanuel Schikaneder, meglio famoso per aver scritto il libretto del Die Zauberflöte di Mozart, fu il direttore artistico del principale e più grande teatro di Vienna: il Theater an der Wien - già Theater auf der Wieden – dove si eseguirono opere per un pubblico borghese che prediligeva spettacoli divertenti e in lingua tedesca. Tuttavia, fin dal 1802, si fecero strada le Opere francesi di Luigi Cherubini e André Grétry, eroiche, drammatiche e con molta musicalità. All'inizio del 1803, Schikaneder, propose a Beethoven di comporre un'opera tedesca per vedere di arginare questo fenomeno. Nel contratto si offrì a Beethoven e al fratello Karl, di domiciliarsi in un appartamento di servizio del teatro al secondo piano, in qualità di compositore del medesimo. Il libretto dell'opera, naturalmente, fu lo stesso Schikaneder ad offrirlo al compositore e si trattò Vestas Feuer. Guardò Beethoven o non lo guardò il libretto? Sicuramente, comunque fosse, lo mise momentaneamente da parte. Nell'ultima parte dell'anno Beethoven cercò di iniziare a concentrarsi sul canovaccio che Schikaneder gli aveva proposto. Ma i lavori andarono veramente a rilento e di Vestas Feuer, il compositore non ne compose che la prima scena: non gli piaceva affatto la grossolanità del testo a sfondo magico e il «linguaggio e versi come le nostre fruttivendole di qui». Tutto ciò fece sì che egli si cominciasse a guardare attorno per trovare altri soggetti che lo convincessero di più. Il fatto di abitare in teatro, gli diede l'opportunità di frequentare le opere che lì venivano proposte. Fu così che scoperse il repertorio francese e, l'ascolto dell'opera, Les deux Journées di Luigi Cherubini gli fece scoprire quello che considerò il compositore più grande fra i suoi contemporanei. Quello che ho scoperto questa mattina, con mia somma sorpresa, ascoltando per la prima volta l'Ouverture di Les deux Journées fu come Beethoven avesse ben in mente nel comporre l'Ouverture Coriolan e soprattutto quella per l'Ouverture di Egmont la musica iniziale di quella di Cherubini. E non solo! No?
  7. Sono con Noa e con chiunque la pensi come Lei. Sono con tutte le persone di buon senso e buona volontà. Sono con tutti coloro che vanno verso il proprio prossimo senza pre-giudizi. Sono con chi sceglie di non stare con l'odio e l'ignoranza. Mai!
  8. Sì è vero, ricordo che me ne avevi già parlato. Allora mettiamolo!
  9. Gubajdulina iniziò la sua storia compositiva in ambito tonale per poi approdare al serialismo a metà degli anni 60. Le sue grandi capacità in questo ambito sono apparse subito, la sua produzione si è esplicata nell'affrontare sia testi antichi che moderni, sia cristiani che pagani. Per questo periodo io vedrei bene l'ascolto di: Pantomime per contrabbasso e pianoforte (1966), Quartetto per archi n. 1 (1971). Attaccata duramente dalla critica sovietica fu però incoraggiata da Dmitrij Šostakovič nel proseguire sulla sua sua strada. Il suo grande predecessore morì però nel 1975 e la compositrice rimase isolata. Da questo isolamento ne uscì dopo un breve periodo fondando un gruppo interessato alla scoperta del folclore nazionale. Nel 1980 conobbe Gidom Kremer che fu colui che la fece conoscere a tutto il mondo. Da questo sodalizio nacque Offertorium, (1980) un concerto per violino e orchestra, assolutamente da ascoltare, che prende spunto da quell'immenso capolavoro di Johann Sebastian Bach qual è l'Offerta musicale Bwv 1079. Potrei dire che se Gubajdulina avesse composto anche solo questo, meriterebbe di entrare sugli altari della musica colta. Compositrice molto religiosa e spirituale, dagli anni 80 in poi, probabilmente influenzata anche dalla figura e dalla musica di Olivier Messianen, fece affiorare tutto ciò nella sua musica. E qui, c'è solo l'imbarazzo della scelta: a me piace tantissimo la Passione di Giovanni (2000). Infine, per alleggerire un po' e visto che siamo nella sezione del XXI secolo direi: La Luce della Fine per grande orchestra (2003).
  10. Potrebbe essere l'occasione buona per conoscerla meglio, ne vale veramente la pena.
  11. Sofija Asgatovna Gubajdulina è, dal mio punto di ascolto, un gigante della musica contemporanea, Due giorni fa l'Italia – e in particolare la mia regione a Forlì – ha ospitato la prima assoluta del suo ultimo lavoro. Si tratta di "Warum? Wofur? Wodurch?" In attesa di ascoltarlo, io faccio una immersione totale nella sua musica. Buon ascolto.
  12. Altro video con una ricostruzione diversa
  13. Sul valore del Mozart teatrale non c'è alcun dubbio e altrettanto sulla sua ironia ma, non dobbiamo dimenticare che grande parte di quest'ultima è da attribuire a Da Ponte o ancor meglio all'accoppiata vincente Mozart-Da Ponte, in altre parole; Mozart senza Da Ponte non sarebbe stato lo stesso. Sono assolutamente d'accordo poi con la tua preferenza verso Don Giovanni e Le nozze di Figaro, mentre continuo a non amare Così fan tutte che rimane al di fuori della mia comprensione, riferendomi al testo in particolare. Amo poi tantissimo Die Zauberflote, ma non sopporto Die Entfuhrung aus dem Serail, mi piace sufficientemente Idomeneo re di Creta e continuo a pensare che La clemenza di Tito sia un capolavoro mancato.
  14. Ammetto che tu hai ragione e che io ho esagerato e detto anche sciocchezze. L'intervista di Castaldi mi ha confermato sicuramente una cosa – che per altro ho già intuito abbondantemente - che è assai difficile – se non proprio impossibile – parlare di questi argomenti – ma forse di tutti gli argomenti – in una maniera obiettiva, soprattutto quando si è sopraffatti – come è certamente nel mio caso – dalle passioni. Voglio dire: uno come Castaldi che ha la possibilità di sviscerare la musica anche – e soprattutto da un punto di vista tecnico e non solo storico – fa delle affermazioni che sono in assoluta controcorrente rispetto alla quasi totalità degli ascoltatori e studiosi di musica classica. Le fa però, partendo da concetti reali non solo da sensazioni personali. Ma è del tutto evidente che nel suo argomentare le cose, il tutto viene inquinato dai suoi gusti personali. Se lo è per uno come Castaldi, figuriamoci per uno come me che affida il suo punto di vista, solo all'ascolto personale e al dato storico, come il tutto possa essere fortemente inquinato dalla passione e dal gusto personale. Fatto sta che io trovo che le parole di Castaldi vadano in buona parte nella direzione giusta e non perché io voglia ridimensionare la figura di Mozart. No, tutt'altro! Ma perché penso che su questo compositore in questi anni si sia decisamente esagerato. Chissà? Forse anche perché si è intravvista la possibilità di creare su di lui un mito che ha come finalità il “consumo” in una logica che sol da tali leggi è governata: Vienna è piena di ogni ben di Dio con l'immagine di Mozart o della principessa Sissi e, anche questa la dice assai lunga sulla cosa. Su di lui è stato detto di tutto, compreso che ascoltare la sua musica – solo la sua? - rende più intelligenti, a tal punto che lo potremmo vedere bene anche in una farmacia. Tutti, molto convenzionalmente, indicano in Mozart il bambino prodigio per eccellenza della musica ma questo, in realtà è solo parzialmente vero. Se è vero che già a quattro anni suonava e a cinque risalgono le sue composizioni ed esibizioni in pubblico, è anche pur vero che il percorso infantile e adolescenziale di Mendelssohn, è più consistente, seppur più ignorato. Mozart aveva alle spalle un padre come Leopold che, pur non essendo un compositore eccelso era comunque un buon “artigiano” della composizione e questo fece sì che egli seppe ben intuire le qualità che quel bambino aveva innate e seppe ben sfruttarlo, facendolo diventare una sorta di “fenomeno da baraccone”, costringendolo a rinunciare a quella che è – o dovrebbe essere – una normale e sana infanzia, costringendolo ad esibirsi di fronte a corti principesche e clericali fin dalla più tenera età. Mendelssohn a differenza di Mozart, non ebbe ascendenti musicali e, dunque, su questo non fu agevolato. Le prime composizioni del giovane Felix, risalgono al 1820/24 e stiamo parlando dunque di un'età compresa fra gli 11 e i 15 anni e si tratta di un Trio, tre Quartetti, 11 Sinfonie per archi, vari canti religiosi, 3 opere comiche, un Concerto per violino e un Concerto per 2 pianoforti e a differenza della musica del giovane Mozart, è musica di un certo valore. Ed è qui, che a mio avviso, si apre la crepa più grossa su quello che si asserisce su Mozart e la sua opera complessiva. Quante volte ho sentito dire o ho letto che tutta la musica di Mozart non è banale? Quante volte ho sentito presentare un qualsiasi brano di Mozart, ma sempre con enfatizzazioni veramente fuorvianti ed eccessive? E, soprattutto, quante volte ho sentito dare eccessiva importanza a generi musicali, in cui l'astro salisburghese non ha affatto composto nulla degno di nota? Innumerevoli. Eppure, penso che non sia così! Mozart è assolutamente grande nel suoi capolavori di teatro, nella suoi capolavori di musica sacra, nei suoi massimi concerti per pianoforte e orchestra, nella sua musica per fiati, in certi suoi Quartetti e in altra musica da camera. Ma altrettanto non si può dire – come molti lo fanno – che lo sia stato, almeno a pari livello, per altri generi, compreso le Sinfonie e anche le Sonate per pianoforte solo, di cui si enfatizza, dal mio punto di vista naturalmente, veramente eccessivamente la sua funzione. Se io analizzo il suo corposo catalogo di 600 e passa opere, aldilà del solito stupore che posso provare nel prendere atto della sua facilità nel comporre – ma anche su questo ci sarebbe comunque da discutere – mi rendo subito perfettamente conto che fino alla K 270, non c'è nulla di particolarmente rilevante. C'è anche tanta musica piacevole – se piace naturalmente - all'orecchio di chi l'ascolta, ma nulla di particolarmente importante. La sua prima opera veramente tale è il Jeunehomme-Konzert K. 271 del 1777 che fa già ben intravvedere quella che potrà essere – e fu - la spinta innovativa di Mozart, nell'ambito del concerto per pianoforte e orchestra, rispetto agli stilemi in auge allora e, come questa si riverbera poi nel suo successore Beethoven. Ma se poi restiamo nell'ambito del concerto solistico, altrettanto non posso dire di quelli con violino solo. Eppure, grandi violinisti a decantarne le qualità non mancano certo, ma la realtà è che anche con i due migliori – K 218 e K 219 – siamo ancora pienamente nello stile galante e, anche questa la dice già tutta. Le Sinfonie degne veramente dell'appellativo “capolavoro” sono le ultime tre – su 50 e passa non è male direi – e Haydn, su questo fronte ha fatto un po' meglio sicuramente. Ma ancora più inspiegabile per me è il decantare le sue Sonate per pianoforte. Glenn Gould arrivò persino a dire che l'unico pregio di Mozart fu che morì presto. Ovviamente, si sa! Glenn Gould fu un temperamento molto particolare e sicuramente i suoi giudizi sul salisburghese furono troppo inquinati dal suo gusto personale ma, anche qui, è pur vero che da parte degli esegeti mozartiani, spesso, ci si trova davanti ad esagerazioni veramente sorprendenti. Dal mio punto di vista, a parte l'eccezione della K.310, la qualità non è poi così eccelsa, compresa la K 331, con la celeberrima Marcia turca. In realtà poi, io penso, che il vero capolavoro pianistico di Mozart sia la Fantasia K 475 e non vado oltre. Comunque sia, il grande successo di pubblico che riempe il “Festival Mozart” a Torino in queste serate – si parla di 15000/20000 persone ogni sera – mi fa ben comprendere quanto sia sbagliata l'affermazione da me fatta circa il cosa abbia ancora da dire la sua musica a noi contemporanei. Mi limiterò dunque ad affermare che, sicuramente, per il sottoscritto, non tutta, ma gran parte della sua musica – e io metto anche lavori considerati capolavori – non mi dice proprio nulla e che, tutt'al più, la consiglierei a chi vuole iniziarsi alla musica classica.
  15. Dal mio punto di vista questa rimane insuperata:
  16. Appena uscito , in occasione dell'integrale presso la Società del Quartetto di Milano di Quirino Principe "I quartetti per archi di Beethoven" editoriale Jaca Book Euro 25. Parla, non solo degli ultimi quartetti ma dell'integrale dei quartetti beethoveniani. E' quanto di meglio in materia, secondo me. "Un saggio affascinante che analizza i modelli filosofici, poetici, visivi dei quartetti per archi di Beethoven e ne esplora il territorio musicale e i suoi confini".
  17. Pensavo a questa tua affermazione e, improvvisamente, mi è balenato in testa uno scritto di Massimo Mila che si trova nel libro dedicato alla Nona di Beethoven. Siamo ormai alla penultima pagina, si stanno tirando le somme del tutto e il celebre musicologo così scrisse: «(...) Si può concedere che altre Sinfonie di Beethoven sono più “perfette”, nel senso più preciso della parola: meglio finite. (...) Eppure, forse proprio per queste sue imperfezioni, la Nona, sembra più vicina all'uomo moderno e alle condizioni di crisi che lo travaglia. Che cosa ce ne facciamo oggi della perfezione plastica che Canova metteva nei suoi marmi? Che cosa ci dice?(...)» Dal mio punto di vista, non trovo affatto impertinente sostituire la «perfezione plastica che Canova metteva nei suoi marmi» con «la perfezione (...) per cui Mozart ci è arrivato a pieno titolo». Sicuramente io trovo questa perfezione – tutte le perfezioni a dir la verità - stucchevole, mi annoia, mi stanca e, soprattutto,ancora una volta, la trovo inutile. Mozart oggi ha giustamente un suo posto nell'olimpo dell'arte musica e, sicuramente non va discusso. Ciò detto e assodato, trovo che la sua musica, in effetti, - al netto di una parte del suo teatro – abbia ben poco da dirci a noi persone di oggi. Ne ha notevolmente di più quella di Beethoven, proprio nella sua sporcizia e rozzezza. Paolo Castaldi quando afferma che la musica di Beethoven non è sporca ma beethoveniana, dice una sacro-santa verità. Abbiamo ben presente, come i maestri di Beethoven: da Haydn, ad Albrechtsberger, a Salieri, furono assai critici nei confronti di questa caratteristica beethoveniana che fu sempre presente fin dagli albori della sua composizione e mai si spense. Ma è del tutto evidente che ci fu da parte del compositore un'assoluta volontà di muoversi e lavorare in quella maniera, infischiandosene degli insegnamenti e delle regole. Ma se la musica di Beethoven ha avuto quella forza travolgente di cambiare tutto il corso della storia della musica e di arrivare a noi intonsa è dovuto anche e soprattutto proprio a questo. Vorrei anche correggere un'affermazione fatta sul discorso fatto da me nel precedente post su Mozart e peso politico perché è assai ingenerosa: in effetti Mozart non fu affatto lontano dalla sua storia politica del tempo e dunque ho sbagliato nello scrivere. Resta il fatto che, almeno sicuramente per me, la maggior parte della sua musica si inquadra in quel clima tardo galante, di leggerezza e semplificazione e, dunque, pur se perfetta, rimane di una noia suprema. Sul resto dei discorsi di Castaldi, alcune cose mi trovano sostanzialmente concorde, altre meno e su altre, non so entrare nel merito. Trovo che sicuramente ha tutte le ragioni del mondo quando richiama e critica lo snobismo delle Avanguardie e sulla grande varietà e validità di voci che si ebbero nel Novecento. Mi da poi un piacere immenso il suo richiamo all'importanza di Edgar Varese.
  18. Arrau / Bernstein E un'accoppiata vincente e, dunque, il risultato non puo Essere Che meraviglioso. Io poi, li adoro entrambi, OGNI Volta Che ascolto il Quarto o il Quinto concerto, continuo a domandarmi Quale mi piace di Più. La risposta non Riesco Proprio a trovarla: un voltafaccia propendo per Uno A Volte per l'Altro. Fatto sta Che Sono entrambi meravigliosi! Se Penso al Primo Movimento, probabilmente preferisco quello del Quarto ma é una vittoria ai Punti. Il Secondo Movimento dell'Imperatore E, Quanto di più Bello Beethoven abbia Composto da Un Punto di vista squisitamente melodico ma, il Secondo del Quarto, continua ad Essere, per me, nonostante Gli innumerevoli ascolti, Assolutamente sconvolgente Nella SUA Costruzione e Concezione. Nel Terzo Movimento la vittoria Ai Punti va All'Imperatore: Ricordo Ancora La Prima Volta Che l'ascoltai con Artur Rubinstein al pianoforte, ne rimasi estasiato.
  19. Sì, Mozart ci è arrivato a pieno titolo e anche a pieno merito e mi va benissimo. Sul come oggi Mozart venga venerato ho invece molte perplessità e riserve, questo è il punto. A Kappa dico questo: ci sono compositori nella storia della musica - anche dei grandissimi o, appunto perché sono stati grandissimi - di cui si può dire che se non ci fossero stati , non sarebbe cambiato granché dal punto di vista evolutivo della materia Castaldi dice che Mozart è stato un compositore inutile e, in buona parte - non al 100% dunque - penso che abbia ragione per i motivi che ho già detto. L'inutilità di un'artista però, non necessariamente è data solo da un discorso evolutivo: la funzione svolta dalla musica di Shostakovic nell'ambito storico-politico sovietico è assai importante e, per me, questo è assai essenziale. In un certo senso anche qualcosa di Mozart, in tutt'altro contesto storico, lo fu, ma questo è legato esclusivamente - o prevalentemente - al suo teatro. Molto poco insomma. Poi, come sempre entrano in gioco quelli che sono i nostri gusti personali sicuramente e, Mozart, non fa certo parte delle mie preferenze, come già si è ben capito.
  20. Sì, sì, hai ragione sono io che ho sbagliato il verbo. Šostakovič ha dimostrato come doveva essere la musica tonale del Novecento e non come poteva. In realtà, il poteva era legato al fatto che però quella strada, per i motivi che ci siamo già detti, rimase sterile. La storia non si fa con i se e i ma naturalmente, sono però assolutamente convinto che se il potere sovietico fosse stato diverso anche la musica di Šostakovič, sarebbe stata diversa. Potremmo definire l'uomo e il compositore, un perfetto equilibrista, la cui vita è costretta perennemente su un filo su un baratro. Šostakovič, riuscì a coniugare tutte le istanze; fossero esse politiche, esistenziali o compositive, in una situazione veramente precaria e densa di trappole anche mortali. Su questo, almeno, bisogna dargli atto di essere stato veramente un grande maestro. Sarebbe stata sufficiente una piccola sbavatura di qua o di là e di lui dovremmo dire altre cose. Riuscì miracolosamente in questo ma, il prezzo di tutto ciò, ricadde tutto su di lui, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista psicologico. Grazie a Kappa per la spiegazione.
  21. Mi spiace ma ho ascoltato solo ora l'intervista e letto quello che avete scritto a tal proposito, e questo perché Luca me lo ha segnalato. Ricordo molto bene il tutto e tu ricorderai quel che io penso di Mozart. I termini e il modo usato da Castaldi è sbagliato, ma io sono sostanzialmente d'accordo con lui. Mi fa anzi piacere constatare che questa mia contro-tendenza, trova concordi persone del mestiere perché vuol dire che non è così peregrina e assurda. Parlare di Mozart in questi termini provoca sconcerto, ovviamente: stiamo parlando di un "mostro sacro". Molta sua musica è indubbiamente molto bella e, definirla "inutile" è sbagliato, se non altro per le orecchie che con essa ci si avvezzano. Ma, tolto il Mozart teatrale e il Mozart dei maggiori concerti per pianoforte, di tutto il resto, la storia della musica, avrebbe potuto tranquillamente farne a meno per la sua evoluzione. A Beethoven era sufficiente Haydn, per dirla chiaramente. Sarebbe stato sufficiente per le Sinfonie, i Quartetti e le Sonate. Non tutta, ma molta della musica di Mozart è musica per ragazzini, per neofiti della classica in cerca di musica altamente orrechiabile, di questo ne sono fermamente convinto.
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