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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. Gould? Allora, a differenza di Luca, non ho mai pensato che lo strumento preferibile per L'Arte della fuga fosse il pianoforte ma, altrettanto, non sono mai stato particolarmente soddisfatto da interpretazioni legate al clavicembalo o all'organo e cioè a strumenti a tastiera che erano ben presenti ai tempi di Bach e, questo perché, ho sempre ritenuto che affidare l'Arte della Fuga ad un solo strumento fosse assai riduttivo, in quanto non riesce ad esprimere appieno l'immensità della massima cima bachiana. Ho dunque sempre preferito le interpretazioni che erano basate su ensemble di archi e fiati. Ultimamente mi sono imbattuto anche in Ottavio Dantone e l'Arte Bizantina e trovo che la loro interpretazione sia superlativa, almeno per quello che sono riuscito ad ascoltare. Quanto a Gould - così rispondo anche a quello che si dice in altro topic - solitamente o è amato alla follia o osteggiato all'inverosimile. Io non faccio parte degli eccessi di nessuna delle due categorie e ho verso Gould un rapporto che se da un lato gli riconosce una genialità assoluta, dall'altro prende le distanze da sue interpretazioni su cui non mi riconosco. Detto ciò, resta il fatto che l'emozione immensa che mi provoca l'ascolto delle sue Variazioni Goldberg non ha eguali in nessuna altra interpretazione delle medesime.
  2. Quella che si ascolta a 1h 22' 30 è il terzetto finale della scena 19 del primo atto. Donn'Anna e Don Ottavio cantano: Protegga il giusto cielo lo zelo del mio cor mentre Don Elvira, contemporaneamente canta: Vendichi il giusto cielo il mio tradito amore. Poi perché la partitura che tu hai scaricato non lo riporti .... non so che dirti!!!!
  3. La motivazione di che Hegel esprimeva per giustificare la sua preferenza era chiaramente auto-ironica,Può benissimo essere che dietro a questa preferenza ci fossero delle motivazioni anche filosofiche ma, presumo che la scelta fosse più di legata a gusti di carattere musicale e teatrale che altro. Comunque sia le mie motivazioni sono certamente da circoscrivere a queste ultime in quanto, da un punto di vista musicale non c'è un attimo del Barbiere di Rossini che non mi piaccia o che, teatralmente parlando mi annoi, mentre altrettanto non posso dire del Figaro di Mozart, dove a fronte di momenti teatrali un po' noiosi, musicalmente parlando si salva, dal punto di vista dei miei gusti, il celeberrimo Dove andrai farfallone amoroso e, in particolare, tutte le arie cantate da Cherubino ... e poco altro in qual e in là. Ciò detto, anche se a tal proposito la discussione non si è sviluppata come avrei desiderato e premesso che Arrau è Arrau e io ... non sono che un semplice fruitore di musica classica, tengo a precisare che il suo pensiero circa le Sonate per pianoforte di Mozart non mi trova consenziente in buona parte del suo ragionamento. Mi piace moltissimo la distinzione che fa circa l'approccio mozartiano e schubertiano verso la musica rispetto a quello beethoveniano dove, come si vede, non risalta nulla che richiami la natura o il naturale, come si è evocato nei vari interventi precedenti, ma bensì si mette in risalto una distinzione caratteriale e filosofica diversa fra i due austriaci e il tedesco, come non posso che condividere il suo pensiero verso la Sonata K 310, vero culmine massimo del piano-sonatismo mozartiano. Mentre non trovo assolutamente convincente la parte che riguarda le Sonate ante parigine in quanto sono ancora assai legate ad un tratto assai convenzionale di tipo galante. Per quanto poi riguarda le Sonate post K 310 non si può che riconoscergliene una certa rilevanza, ma in esse Mozart non raggiunge più i livelli che aveva già raggiunto e che invece raggiunge di nuovo solo nella Fantasia K 475
  4. Andiamo dunque a scoprirlo il pensiero di Arrau. In grassetto ho evidenziato la parte che spiega il perché Arrau considerava "problema definitivo" Mozart - in particolare - e Schubert. Mozart è lo spirito stesso del suo tempo - del convulso secolo XVIII. Di esso, in lui si concentra tutto lo straordinario slancio verso nuovi e più alti traguardi umani, la forza vitale, il coraggio rivoluzionario, la capacità di invenzione e scoperta - e la fede nell'Umanità. Oggi, noi siamo soliti pensare al XVIII secolo come a un'epoca di sommovimenti e di rivoluzione. Insieme, però, ricordiamo anche che fu quello il tempo che vide la nascita dell'ideale della libertà e della dignità della persona (al contrario di Haydn, Mozart non era disposto a passare la vita in livrea, a corte, e seduto alla tavola dei servitori); che il Werther di Goethe uscì nel 1774; che il dramma di Maximillian Klinger intitolato Sturm und Drang venne stampato nel 1776 (e al titolo deve il suo nome un intero periodo di generale irrequietezza e rivolta - nelle concezioni del mondo come in musica e in letteratura, ben prima dell'avvento del movimento romantico); che la Critica della Ragion Pura di Kant vide la luce nel 1781. E che dire di Voltaire, di Rousseau, di Beaumarchais? Quanto a Mozart, non soltanto egli fu uomo del suo tempo in tutti i suoi molteplici aspetti, ma lo fu come creatore, come colui che realizza nel modo più pieno il suo tempo e lo trasforma insieme nel regno intemporale della grande arte. Malgrado questo, tuttavia, la grandezza di Mozart suole esser vista prima di tutto come classica perfezione, e la perfezione classica, secondo un modo di vedere che un po' ci riguarda tutti, è in qualche modo separata dalla profondità dei sentimenti umani. Ed è proprio da qui, naturalmente, che nascono i guai. Cosa potrebbe esservi di più assurdo? Appena l'altro giorno mi è capitato di leggere da qualche parte una critica a un pianista perché suonava Mozart con troppo... sì, niente meno che "con troppo sentimento". Ci vuole tutto il sentimento possibile già solo per cominciare a capire l'anima di Mozart. Non solamente Mozart era tutto anima, e tutto sentimento, e umanità (e lo esprime, e non fa che ripeterlo, ogni cosa che ha scritto, che ha detto o pensato), ma la sua stessa grandezza nasce proprio dal suo essere così pienamente e interamente umano. In uno, egli è stato Pamina e Tamino, Sarastro e Papageno. La condizione umana è espressa in Mozart in modo tanto più toccante precisamente perché sofferenza e tragedia vengono fatte camminare mano nella mano, per così dire, con lo stile musicale del suo tempo - il rococò, lo stile galante, la simmetria dell'equilibrio classico. Se non fosse per la straordinaria pienezza della sua auto-realizzazione come creatore, si potrebbe quasi dire che Mozart (e con lui Schubert) è la figura più tragica fra i grandi compositori. Per lui la tragedia era qualcosa che veniva da dentro, una parte della realtà del suo essere e della sua accettazione della vita - e dunque della morte. In Mozart, contrariamente a Beethoven, alla tragedia non v'è soluzione. In Beethoven, l'esito dell'eroica lotta è sempre un'affermazione, vittoria. Ma in Mozart è ben raro che la tensione tragica conduca a una conclusione vittoriosa. La letteratura mozartiana per pianoforte solo è ancora considerata una sorta di introduzione a Beethoven, e viene quindi data da suonare, nella maggior parte dei casi, a giovani allievi; e in tal modo rimane quasi sempre un libro chiuso per loro, e di conseguenza per gli altri. Come ogni cosa di Mozart, invece, questa musica richiede la piena maturità della meditazione di un artista. Nulla di meno. Il pianoforte è stato per Mozart lo strumento principe. Su di esso, Mozart era capace di improvvisare in modo da lasciare i suoi contemporanei a bocca aperta, folgorati. Per esso, nella sua qualità di massimo esecutore del suo tempo, scrisse le più sublimi composizioni sinfoniche - i concerti per pianoforte. Con esso, per tutta la vita rimase in confidenza come un amico prediletto; fin dall'inizio, e per sempre, fu lo strumento dei suoi più audaci voli creativi. E' nella musica per piano solo che per la prima volta possiamo ascoltare le prime intuizioni del Don Giovanni, dei grandi quartetti e delle ultime sinfonie; seguendo i movimenti lenti, uno dopo l'altro, veniamo a conoscere l'abisso della sua disperazione, e dalla musica pianistica dei suoi ultimi anni, in una misura che ben difficilmente trova eguali in alcun punto della sua produzione, possiamo percepire, e seguirne le tracce, il cammino di tutta la sua evoluzione. Così, nel susseguirsi delle sue ultime composizioni pianistiche, che si tratti delle due Sonate K. 570 e 576, del Rondò K. 511, dell'Adagio K. 540 o della Sonata K. 533/494, si rivela quasi con insistente iterazione lo stato della sua mente e del suo animo verso la fine della sua vita. La lotta è ormai prossima al termine, ed ogni cosa si riduce all'essenziale nella nuda purezza delle sue linee di contorno, fino a raggiungere le sfere espressive ove ogni cosa è nota e accettata, ove l'estrema sofferenza e angoscia si erigono nude, in solitudine senza timori. Le Sonate per pianoforte, dalle sei (K. 279-284) da lui composte tra i diciassette e i diciannove anni fino all'ultima (K. 576) del 1789, narrano la storia della vita di Mozart. Fino quasi dal principio egli comincia a riempire le convenzionali forme della sua epoca con il sangue stesso della propria vita. Fino a farne le interiori testimonianze della totalità del suo essere. Le prime sei sono chiaramente dei lavori di gioventù. Mozart le scrisse a Salisburgo mentre si preparava per l'ultimo suo grande viaggio, che doveva condurlo a Monaco, Mannheim e Parigi in un ulteriore tentativo di trovare un posto adeguato alle sue doti. Lo stile galante le pervade tutte; ma quanto scintilla, attraverso di esso, il genio di Mozart! Quasi tutti i movimenti lenti fanno presagire i sublimi e tragici movimenti lenti che verranno in futuro. Mai l'elemento galante rimane privo del soffio redentore del suo genio. In particolare il primo movimento, splendidamente espansivo, della sonata in mi bemolle maggiore K. 282, e la Sonata in re maggiore K. 284, un ampio lavoro, predicono già le grandi cose destinate a venire a maturazione quando una ricca varietà di nuove impressioni musicali e di esperienze emozionali lo avrebbe colpito a Mannheim con la violenza di un'esplosione. Da questo viaggio fatale derivano le sue successive sette Sonate per piano (le K. 309, 310, 311, che appartengono a Mannheim e Parigi, e le K. 330, 331, 332 e 333, legate al ritorno a Monaco e Vienna) e anche il compimento della sua prima grande opera, l'Idomeneo. Tutte e sette vennero pubblicate a Vienna, quando cominciava a dispiegarsi il suo primo grande periodo di successo. Sei anni sarebbero passati prima che egli tornasse a sentire il bisogno di scrivere una sonata per pianoforte, e ciò sarebbe accaduto proprio in un altro decisivo momento critico della sua vita. La Sonata in la minore, K. 310, composta a Parigi nella primavera del 1778, è fra queste sette la più sorprendente, e costituisce una delle vette della letteratura pianistica, senza pari non solo in quel periodo, ma nell'intera produzione di Mozart. E' una grande sonata tragica. Tragica come tragica è la Sinfonia in sol minore, come il Don Giovanni. Ma è anche qualcosa di più. Qui la tragedia è messa di fronte, faccia a faccia, alla giovanile rivolta contro il fato e, come nel pieno di una febbre turbolenta di crisi, Mozart getta al vento ogni cosa, galanteria e cultura insieme, e ne esce qualcosa di nuovo, e di sorprendente persino in lui - il sommo della passione umana fatta arte. E' una sonata grandiosa, romantica in tutti i sensi del termine, la vera controparte in musica, diversi anni prima di sonate come la Waldstein e l'Appassionata, dello Sturm und Drang. La sofferenza si fa sentire fin dall'inizio stesso del primo movimento, e per la prima volta non c'è una vera e propria seconda idea, ma solo una sorta di figurazione laterale, come se fosse impossibile arrestare il torrente della selvaggia passione per i consueti requisiti della forma. Nella sezione dello sviluppo quest'eruzione fiammeggiante si esprime nelle improvvise alternanze del fortissimo con il pianissimo, in cui Abert vede "degli improvvisi fulmini di luce che per un istante illuminano la nera oscurità notturna". Nella sezione centrale del movimento lento, nell'ansito delle sue frasi senza fiato, vi sono dissonanze stridenti come quasi in nessun altro luogo in Mozart, ed il Presto finale, con i suoi drammatici sbalzi e l'uso delle terze nel registro grave, con le sue selvagge grida estorte dal dolore, è quasi demoniaco. Dopo la grande Sonata in la minore, quella in do maggiore K. 330 giunge non come un anti-climax, ma come una reazione necessaria. L'intensità e la passione si erano espresse ed esaurite nella prima. E lo stesso può dirsi della famosa Sonata in la maggiore K. 331 che, ispirata alla voga "moresca" del tempo, ricerca una gradevole piacevolezza. Ma persino in questa sonata, che si vuole "leggera", non c'è mai nulla che sia leggero e basta; l'elemento galante è sempre elevato da quello personale e nella terza variazione, in minore, il personale giunge a farsi oscuro. C'è una vena melanconica che corre attraverso l'intera composizione, e non c'è errore peggiore di quello di suonarla come fosse un semplice scherzetto e a gran velocità. In Mozart, sono proprio i brani di questo genere, i più disarmanti, a richiedere con più forza la capacità di scorgere quel nucleo interiore che mai, o quasi, manca di essere presente. Nella Sonata in fa maggiore K. 332, Mozart ci ha dato un lavoro che, se non arriva alla turbolenza della K. 310, è però personale, toccante e originale. Per St. Foix, il primo movimento è alla maniera di Beethoven e per Einstein non ha nulla di beethoveniano. Ma è semplicemente Mozart, il Mozart in cui la galanteria viene trasformata da lampi drammatici nel primo movimento, con i suoi strani accenti minacciosi, che ricordano il Don Giovanni e insieme fanno pensare a Beethoven, e con il sublime movimento lento, simile a una grande aria di una delle sue sofferenti eroine, e con il magnifico movimento finale, pieno di incomparabili modulazioni di straordinaria efficacia. La Sonata in si bemolle maggiore K. 333, l'ultima delle sette, ci mostra ormai definitivamente un nuovo senso di quiete, un nuovo livello di maturità, come può accadere di raggiungere solo dopo una grande esperienza che ci abbia costretto a fare tutti i conti della nostra esistenza spirituale. I cinque o sei anni che passano tra la K. 333 e la Fantasia e Sonata in do minore furono gli anni del massimo successo come compositore e pianista di Mozart a Vienna. Sono gli anni delle sue "accademie" (i concerti a pagamento a suo nome), cui l'aristocrazia come il pubblico di Vienna accorrevano perché erano alla moda, e in questi anni egli scrisse la maggior parte dei suoi concerti per pianoforte. Ma quando la sua vita giunse a un nuovo momento di sconvolgimento emotivo egli torno a rivolgersi al pianoforte solo. A mio avviso, la Fantasia e Sonata in do minore, K. 475 e K. 457 (la prima datata Vienna, 20 maggio 1785, e l'altra 4 ottobre 1784), rappresentano una crisi nella vita di Mozart non dissimile da quella cui era andato incontro quando scrisse la K. 310 a Parigi. Lo stesso Mozart volle che i due brani fossero pubblicati insieme, e insieme essi formano un'impressionante opera unitaria, tanto che è ben difficile comprendere come mai capiti ancora così spesso che le due opere vengano eseguite separatamente. Suonare la sonata da sola è come presentare un grande dramma amputato del prologo. La dedica apposta dallo stesso Mozart alla prima edizione suona: "Fantaisie et Sonate Pour le Forte-Piano composées pour Madame Therese de Trattnern par le Maitre de Chapelle W.A. Mozart. Oeuvre XI.". Non ci è noto con precisione quali fossero i rapporti intrattenuti da Mozart con la bella e dotata, e sposata, sua allieva Therese von Trattnern, ma sappiamo che egli le inviò una lettera contenente delle istruzioni sul modo in cui il brano doveva essere eseguito. Essa è stata purtroppo perduta o distrutta (come anche tutte le lettere da lei inviate a Mozart). La Fantasia potrebbe realmente esser stata composta proprio il giorno che il manoscritto reca come data, a giudicare dall'intensità e dalla profondità di sentimenti che ne anima il ricco flusso improvvisativo. Pare una piccola fantastica opera, un mondo intero concentrato in cinque minuscole scene. La Fantasia costituisce "un gigantesco arco di ingresso" alla Sonata, per dirlo con St. Foix. E, come possiamo vedere in tutti e tre i movimenti, sono degli elementi tratti dall'una a far da scheletro all'altra. Nell'ultimo movimento, per quattro volte Mozart fa discendere la linea melodica della mano sinistra fino all'estremo grave della tastiera. E' una cosa misteriosa, ha persino qualcosa di grottesco, come una discesa all'abisso. Egli fa la stessa cosa quattro volte nel primo movimento e due nel secondo, e per tre volte la ripete nella Fantasia. Non può non esservi un significato simbolico. Il simbolismo di questo brano si muta nella tetra realtà nelle opere per pianoforte solo scritte nei suoi ultimi anni. Il senso della tragedia e della sofferenza della vita si mutano in rassegnazione e presentimento della morte. Tutte o quasi le sue ultime grandi composizioni per il pianoforte solo recano i segni di quest'ultima strana fase della sua evoluzione creativa. Vi è ancora la tremenda Sonata in fa maggiore K. 533/494, da considerare. Il Rondò K. 494 è del giugno 1786, poco più di un anno dopo la Fantasia in do minore, e l'Allegro e l'Andante risalgono al gennaio 1788. Come per la Fantasia e Sonata, è lo stesso Mozart ad aver accostato il precedente Rondò all'Allegro e all'Andante di più recente composizione per farne un lavoro unico. L'Allegro e l'Andante hanno la grandezza di respiro polifonico e di audacia armonica che tanto caratterizzano questo zenith della sua vita creativa. L'altezza di percezione che tocca l'Andante ha qualcosa di incredibile persino per Mozart. Il Rondò, con il suo trio in tre parti in fa minore, conclude quest'intera maestosa e ineffabile ampia composizione con una nuova cadenza che ricollega insieme il tutto e giunge a farne nel suo modo specifico uno dei risultati più alti da lui mai conseguiti in ogni genere musicale. La Sonata in do maggiore K. 545, che precede le K. 570 e 576, è comunemente considerata una sonata "facile", o "kleine", come è scritto in tante delle sue edizioni. Lo stesso Mozart scrisse "ad uso dei principianti". Eppure nulla potrebbe essere più fuorviante, perché pur essendo abbastanza semplice da suonare è tutt'altro che facile a interpretarsi. Composta nel giugno 1788, è tutta pervasa dal sentimento della fine, soprattutto nel movimento lento, ed è tutta scritta per l'anima di un fanciullo. Si tratta dell'ultimo Mozart, semplice e profondo a un tempo, da prendersi sul serio e non certo alla leggera. Vista in questa luce, questa diventa un'altra sonata - una rivelazione. Le ultime due sonate per piano, quella in si bemolle maggiore K. 570, e quella in re maggiore K. 576, sono per così dire la conclusione di un'esperienza spirituale. In quella in si bemolle, in particolare (quella in re maggiore è più una sonata galante), Mozart spoglia la sua costruzione pianistica fino quasi ai più nudi contorni e, in un tono di astratta remota lontananza, di solitario commiato, si spinge in un ultimo tuffo alle stesse dolenti radici dell'essere al mondo. E per finire: mi si domanda sempre perché mai io esegua tutti i ritornelli, il che in Mozart dopo tutto non è così obbligatorio come in Beethoven, che è più volontaristico. Lo faccio perché è così bello. Sopporta la ripetizione, e anzi essa quasi sempre rafforza la struttura e la grandezza dell'espressione. E poi è importante tenere presente che Mozart è intemporale - intemporale al di là degli "strumenti d'epoca autentici", ma non al di là di un'autentica pratica esecutiva, che fa parte della sua voce e della sua espressione. Intemporale al di là di ogni singola interpretazione, ma non dell'interpretazione del sentimento, del senso e della trascendenza che a lui appartengono in eterno.
  5. Beato te che ti accade solo con Mozart e Schubert di non riuscire ad "acchiappare tutti i fili". Io comunque continuo a pensare che se proprio desideri ascoltare i suoni della natura l'unica soluzione è addentrarti in essa cercando, per quel che ti è possibile, di evitare qualsiasi "inquinamento" di carattere umano.
  6. Sono stato due volte a Vienna e sempre a ridosso del ferragosto dove la situazione è quella da te descritta. Pensavo però che la cosa fosse dovuta al periodo ma, ora, leggendo quel che tu descrivi mi sembra di comprendere che le cose vadano ben oltre e, a questo punto, ho la sensazione che nella ex capitale della musica classica, aldilà delle stagioni legate ai teatri principali, tutto il resto sia di carattere pop e legato ad un discorso di carattere meramente turistico. Dunque è probabile che gran parte di quei 15.000 concerti siano delle bufale aventi come scopo quello di rinverdire i bei tempi musicali che furono e di dare ai turisti che magari ascoltano musica classica solo in quell'occasione un assaggio assai superficiale del tutto.
  7. Io penso che l'equivoco di fondo nel trattare la storia della musica è il confondere la "natura" - intesa come Madre Natura - con la naturalità, intesa come volontà - io non la definirei capacità - di mantenersi nei limiti dettati dalle regole date fino a quel momento nell'ambito dell'evoluzione musicale. Se noi distinguiamo le due cose, indubbiamente la musica di Mozart, ma alla pari di quella di Palestrina, Bach e Rossini ..., si colloca nei limiti dati dalla misura classica e dalla proporzione esatta e dunque dell'appollineo - quello che in pittura fu il ruolo ad esempio di Raffaello- producendo musica assolutamente, limpida, elegante e armoniosa. Ho detto che è meglio definirla volontà anziché capacità perché se così la definiamo, dobbiamo poi dedurne che questi compositori fossero però incapaci di creare, plasmare, costruire, inventare dal nulla: insomma di superare il già esistente e, in quanto tale, ritenuto naturale. Questo è stato il terreno in cui si sono mossi Monteverdi, Beethoven ... e questo per una loro predisposizione e scelta ad essere degli innovatori, dei compositori che vogliono rompere con gli schemi precostituiti come lo fu Michelangelo nelle arti visive e ricadendo, loro, nel temine del "divino" - non Mozart e non Bach che spesso così vengono definiti erroneamente e impropriamente - in quanto, come novelli iddio, ricreano e riplasmano il tutto.
  8. E su questo non ho cambiato idea anche se però è doveroso chiarire il mio punto di vista per non ingenerare equivoci. Io sono fermamente convinto che la musica - in quanto arte e dunque come tutte le arti - sia legata nel suo essere e nel suo svilupparsi indissolubilmente , al periodo storico e dunque culturale e sociale in cui è stata ed è composta e sono altrettanto convinto che qualsiasi musica - aldilà della sua importanza o genialità - sia legata al compositore e dunque alla sua personalità, storia, idee, carattere e ... sostanzialmente a tutto ciò che fa sì che ognuno di noi sia unico e irripetibile. Detto ciò però, è altrettanto indiscutibile per me che, quello che distingue la musica da tutte le altre arti - e anche dalla letteratura e dalla poesia - è il suo essere forma aleatoria e, in quanto tale, non è descrittiva e nemmeno figurativa. Ma, paradossalmente, questo essere - o non essere - della musica, la rende superiore a qualsiasi altra forma artistica e letteraria umana, in quanto noi possiamo ascoltarla per quello che essa rappresenta puramente - cioè sé stessa - oppure attribuirgli dei significati che per l'appunto - non per niente - vengono definiti extra-musicali . Questi significati possono essere stati posti dallo stesso compositore, da un editore, ma anche dalla nostra mente e dunque essere squisitamente personali e infiniti. Ora qui il tema è Mozart e la sua presa con i bambini però, come spesso accade, la discussione prende delle pieghe che portano molto lontano e dunque, mi fermo. Quello su cui io continuo però ad insistere - sempre dal mio punto di vista - è l'inadeguatezza con cui si è definita la musica mozartiana, anche in termini purtroppo spesso accademici, creando dei modi di dire e pensare che sono forzati e sbagliati.
  9. Messa così la cosa può anche "suonarmi" più accettabile. Più accettabile fermo restando che, come tu ben sai, io continuo ad intendere la musica come rappresentativa solo di sé stessa compresa quella a programma. Ora Fabio - o chi è d'accordo con lui - ci darà il suo punto di vista di che cosa intenda esattamente circa lo sgorgare naturale dei suoni nell'ambito musicale e mozartiano in particolare ma, nell'attesa, il mio forte sospetto è che questa sua affermazione avvalorata da RedScharlac, sia legata ad uno dei tanti e abusati luoghi comuni su quanto si è detto e si dice sulla musica di Mozart: e cioè che nessuno più di lui abbia saputo con estrema naturalezza esprimere la musica. Ora, ricordando come uno dei cavalli di battaglia più abusati dai contrari alla musica atonale sia proprio il fatto che essa sia innaturale mentre la tonale lo è, mi rendo conto già fin da questo presupposto di quanto sia sbagliato affrontare il tema musica, incentrandolo nell'abito della naturalità.
  10. Per quel che mi riguarda gli unici suoni che sgorgano naturalmente sono quelli ... della natura stessa e basta. Tutto il resto è artefatto dall'uomo a cominciare proprio dalla musica: qualsiasi tipo di musica fatta da una qualsiasi mano umana, anche la più geniale. Continuare ad usare gerghi di questo genere fa parte solo di un'eterna retorica senza senso tipicamente umana - e probabilmente più di stampo culturale occidentale che di altre culture - che ci da l'illusione di essere l'emanazione più assoluta e perfetta della natura mentre invece così non è.
  11. Mi spiace ma me ne accorgo solo ora e devo fare un'errata corrige sul mio post precedente: ovviamente non è Le nozze di Figaro ma Il Flauto magico,che considero opera di massima genialità nell'ambito della produzione teatrale mozartiana. E' stato un lapsus che mi ha messo in contraddizione verso quello che avevo appena scritto e me ne scuso
  12. Non ho sottomano la frase esatta ma Hegel a proposito di Rossini e di Mozart diceva che, forse a causa della sua vecchiaia e dell'instupidimento che spesso causa, preferiva di gran lunga il Figaro di Rossini a quello di Mozart. Io come lui, la penso nella stessa maniera e non potendo addurre a scusa la vecchiaia, posso sempre ripararmi dietro la mia enorme ignoranza musicale. Sta di fatto che, dal mio punto di vista, il pesarese ha composto tanti capolavori teatrali e molto di più di quelli che ha composto i salisburghese di cui, al netto di alcune parti in alcune opere, trovo assolutamente geniali solo il Don Giovanni e Le nozze di Figaro. Io penso che se ai bambini - e non solo loro - facessimo ascoltare molta della musica di Rossini probabilmente, molti di quei bambini da grandi ascolterebbero più musica d'arte in generale. Mozart è sicuramente un genio del periodo Classico ma Rossini lo è altrettanto.
  13. ... fermo restando che tutto ciò è assolutamente opinabile - senza voler togliere nulla alla grandezza e bellezza di Don Giovanni naturalmente - a cominciare soprattutto dalla frase Che Mozart arrivi lì dove altri non arrivano, in fin dei conti, è nulla di nuovo, per finire sul fatto che Mozart sia il più grande di tutti gli autori classici.
  14. Per quel che mi riguarda, penso che aldilà dei "peli" e delle "influenze", quello che ci avvicina o ci allontana da tutto - e dunque anche dalla musica e dai suoi compositori - sono sempre le "affinità elettive". Noi ascoltiamo la musica che sentiamo più vicina a noi al nostro "essere". Questa vicinanza non è data sempre e solo dalla qualità di quella musica ma anche nel sentirsi affini all'uomo e alla vita del compositore che l'ha composta. Io ascolto prevalentemente musica di Beethoven, Bach, Musorskij, Sostakovic, Brahms e Nono e sono completamente consapevole del perché ho queste predilezioni che sono legate comunque e sempre al mio "essere".
  15. Penso che abbiate entrambi ragione, ci si avvicina ad un compositore - o ad un genere musicale - quando i bisogni personali e lo stato d'animo del momento lo richiedono e spesso spinti da persone che, avendo influenza su un'altra può "forzarci" implicitamente ad ascoltare musica distante dal nostro gusto. La dimostrazione è proprio nel fatto che tu Luca, ti sei avvicinato a Brahms, non quando io ho cominciato la mia "predica", ma quando ne hai sentito quella necessità psicologica e la stessa cosa è avvenuta con Mahler. E qui ritorniamo a Frank e ai suoi figli. I figli di Frank hanno la fortuna di avere un padre che ama un certo tipo di musica che non è quella che normalmente i bambini ascoltano. Questo fa sì che essi possano accedervi con naturalezza. Frank, giustamente, non li influenza con ASSOLUTi e questo fa sì che essi scelgano le loro musiche nell'ambito di quel repertorio senza essere influenzati. Ma ora sono bambini e crescendo indirizzeranno le loro scelte in maniera più "adulta" che li porterà a confermare certe scelte dell'infanzia o anche a stravolgerle completamente e questo dipenderà da tanti fattori che vanno, innanzi tutto, dal rapporto che avranno - o continueranno avere - con la musica ma anche da scelte di carattere squisitamente psicologico, da incontri, amori e disamori e dunque da quello che gli accadrà nella loro vita.
  16. Mi spiace se ti ho dato la sensazione che la tua domanda fosse inutile, non era certo questa la mia intenzione. L'interpretazione dell'Adagio della Patetica è ormai consolidato in questa maniera e tu stesso dici che così ti piace se non ricordo male. E dunque io continuo a domandarmi perché porsi dei problemi eccessivi su questa questione? Io penso che si possa tradire un compositore, lo si è fatto abbondantemente con Bach e dunque perché non farlo anche con Beethoven o con qualsiasi altro compositore. Io non sono un fanatico della filologia ma non ne sono nemmeno un detrattore e, dunque, facciamo così,se vuoi un'interpretazione fedele allo spartito, puoi suonarla tu e mandare il link così vediamo l'effetto che fa!
  17. Mozart è comunque ... Mozart! Considerando poi che ascoltano anche Bartok ... penso che prima o poi arriveranno a Beethoven anche perché Bartok è proprio partito da Beethoven nei suoi Quartetti.
  18. Io penso che il punto della questione stia proprio nella risposta di Frank ed è anche quello che sostanzialmente mette in evidenza Rosen nel suo libro: da che Beethoven ha composto le sue Sonate sono passati due secoli, gli strumenti - e in particolare il pianoforte - sono completamente cambiati ed è anche cambiato il contesto in cui noi ascoltiamo la musica e la nostra percezione della medesima. Beethoven concepì quelle sonate su uno strumento completamente diverso da quello che oggi si usa, per concerti di 20, 30 persone in sale spesso piccole, Oggi le stesse Sonate vengono eseguite in luoghi che possono contenere migliaia di persone con una sensibilità musicale che non è più quella di quel tempo. Come afferma Rosen: <Suonare un pezzo di musica in un tempo sbagliato non è un crimine ...è errato ritenere che un tempo con cui oggi ci sentiamo a nostro agio debba essere quello corretto.> e questo per i motivi che prima elencavo. Voglio però che sia chiaro che questo non vuol dire come molti pensano - o hanno pensato in passato - che quando un tempo non ci è congeniale sia Beethoven che abbia sbagliato nell'attribuire i tempi metronomici - cosa che può anche essere accaduta come è accaduto per tutti i compositori - ma semplicemente dobbiamo pensare a quelle decisioni contestualizzandole nel loro periodo storico. In generale gli Adagi di Beethoven nel nostro tempo vengono eseguiti in modo più lento rispetto alla sua epoca, ma ci sono i suoi motivi che sono, ripeto , da ricercare in quelli già da me espressi ma anche ad un cambiamento di carattere culturale dell'ascoltatore di musica classica che ha maggiori pretese culturali. Questa fenomeno iniziò proprio alla fine del 700, quando ad ascoltare la musica dei grandi compositori non fu più un ristretto pubblico di nobili o clericali ma fu un pubblico che si richiamava sempre di più alla borghesia emergente e che si è poi ulteriormente sviluppato nei secoli successivi, fino ad arrivare all'oggi dove la musica classica è un patrimonio a disposizione di tutti - volendolo naturalmente - . Ma anche i pianoforti oggi incoraggiano un tempo più lento perché alle orecchie dell'ascoltatore lo rendono di gran lunga più affascinante rispetto a quelli dei tempi di Beethoven che non erano certamente adatti per una sala di grandissima ampiezza ricettiva. Da tutto ciò e da altro ancora i motivi del perché un interprete oggi, abbia buonissime motivazioni per optare per tempi che Beethoven non poteva immaginare al suo tempo e che, allora, non avrebbe giustamente approvato. Domandarsi se oggi lo farebbe o meno non ha alcuna importanza ed è una domanda inutile perché quello che è veramente importante è vedere come una musica che viene dal passato, tramite interpreti sempre nuovi, possa, di generazione in generazione, rendersi sempre attuale e immortale. E dunque, qui veniamo a quello che è il ruolo centrale dell'interprete che è e resterà imprescindibile per fa si che la musica del passato non diventi mai un pezzo da museo ma resti musica viva.
  19. E' un peccato che nessuno ti risponda su questa domanda ed io, sono sicuramente la persona meno adatta per farlo. Comunque il mio consiglio è che tu ti procura "Le sonate per pianoforte di Beethoven" di Charles Rosen dove troverai, penso, la - o una - risposta. Dico penso perché, aldilà dell'analisi molto tecnica che Rosen fa di tutte le Sonate di Beethoven - e dunque anche della Patetica - c'è un discorso di carattere più generale che riguarda i tempi in Beethoven e dunque anche l'Adagio che a me sembra poter soddisfare, seppur indirettamente, il tuo quesito in maniera soddisfacente.
  20. Vorrei mettere in risalto un altro luogo comune con cui ci si approccia parlando della musica di Mozat e che anche lo stesso Prosseda usa in questo suo video <La musica di Mozart parla al cuore> La cosa mi è venuta in mente perché, oltre ad aver sentito frasi di questo genere - generalmente si alterna la parola cuore alla parola anima - proprio ieri l'ho sentita espressa dal violinista UTo Ughi nei confronti di Mozart in un intervista al Tg regionale visto che suonava per beneficenza nella mia regione. Va bé, aldilà del fatto il fatto che dopo poi ha eseguito però due Sonate per violino e pianoforte di Beethoven - fra cui la meravigliosa Opus 47 - penso che questa frase sulla musica di Mozart sia un vero e proprio non-senso rispetto a quella assai discutibile della "semplicità-complessa". Un vero e proprio tormentone ripetuto a pappagallo da tanti professionisti della musica, senza domandarsi se quello che si dice abbia una verità provata. Ora, a parte il discorso che il cuore è un muscolo involontario e che l'anima esiste solo per chi ci crede, in realtà la frase giusta da dire semmai, dovrebbe essere che "la musica di Mozart parla al nostro cervello" e, in particolare a quella parte che ci rende più buoni e migliori verso il nostro prossimo o, parlando in senso psicologico che ci fa star meglio con noi stessi. La verità è che non è Mozart e la sua musica ad operare questo ma è quello che noi personalmente, attraverso l'udito e la conseguente elaborazione del nostro cervello, sentiamo più consono alla nostro essere esseri umani. Dunque ad un appassionato di musica Jazz, capiterà questo "miracolo" ascoltando il suo compositore preferito in quell'ambito musicale, così sarà per il rock ecc ecc. Io ho scelto la musica classica per poi allargare il mio orizzonte d'ascolto dalla musica antica fino a quella contemporanea "colta" - mi si passi l'aggettivo che non vuole essere assolutamente dispregiativo o minimizzante nei confronti del valore di altri generi musical - Ho detto che però Beethoven è il compositore che fin dall'infanzia non mi ha più abbandonato, intendendo con questo che, da un lato non è passato giorno in cui io mi sia trovato a pensare a lui almeno alcune volte e che soprattutto ho trovato compagnia, parole, conforto, risposte sempre nella sua musica e questo nei momenti peggiori. Quindi Beethoven mi ha parlato sempre in tutti questi anni più di ogni altro compositore e se io non avessi avuto il sostegno della sua musica, sarebbe sicuramente stata più dura. A me Mozart, in realtà, non ha mai detto molto e quello che mi ha detto è legato ad alcuni momenti specifici della mia vita e ad alcune sue opere precise. Con questo io non mi sognerei mai di affermare che universalmente e per tutti questo debba essere valido come molti lo fanno con Mozart perché non ha senso veramente questa frase. In realtà è tutto molto soggettivo. E' la nostra soggettività, il nostro modo di essere e di pensare che ci avvicinano o allontanano da un compositore e da un genere musicale. Quindi, smettiamola di dire cose di questo genere e limitiamoci a motivare le nostre preferenze con argomenti più oggettivi e pertinenti, tanto più se ad affermarle sono dei professionisti della musica perché, in quanto tali, hanno strumenti ben più validi per asserire le loro preferenze che non attaccarsi a cuore o anima.
  21. La domanda se io sia un padre corruttore o meno, in realtà, me la sono posto già rispetto a mio padre, quando a 9 anni, dopo avermi ben intortato con fiabe provenienti da Ciajkovskij, Prokofiev, Borodin e Musorskij, mi fece ascoltare la Quinta e mi disse : ascoltala questa è musica del più grande compositore di tutti i tempi. Sta di fatto che l'ho ascoltata e da quel, momento, Beethoven non mi ha più abbandonato. Ora, quanto quel giudizio così perentorio - e certamente discutibile - di mio padre abbia influito su di me e quanto, l'ascolto e la mia fame di conoscenza della musica beethoveniana - che, sia ben chiaro è venuta di pari passo con la scoperta di Brahms - importantissimo mio padre anche qui - Mozart, Bach - anche su Bach e in particolare la Passione di Matteo mio padre ha svolto un ruolo centrale - Chopin, Listz, Vivaldi, Verdi, Rossini, Puccini, - nel melodramma è centrale la figura di mio padre - Malher e.. a quel punto più adolescente non ero - abbia inciso, me lo pongo ancora oggi. Sicuramente è stato fondamentale, come penso possa essere stato importante per mio figlio il mio giudizio musicale. Ma mio figlio è molto diverso da me. Lui oggi studia clarinetto e pianoforte e suona in due bande, quella del mio paese e quella di Imola. La sua intenzione - poi se saran rose fioriranno e intreccio le dita - è diplomarsi in entrambi gli strumenti e... chi vivrà vedrà. Tutto questo per dire che lui ha già dei mezzi per "comprendere" la musica che vanno ben oltre le mie scarse capacità e dunque, suppongo che le sue scelte siano fondate da qualcosa che vada, di conseguenza, ben oltre al giudizio paterno. E a proposito del giudizio paterno qui mi lego ai figli di Frank che anche loro - le loro preferenze parlano chiaro - sono comunque fortemente influenzati dai gusti paterni: mi riferisco in particolare a Vivaldi e la musica del Novecento. Mozart invece ci sta per i motivi che ho già detto e che prescindono i gusti del genitore. E Beethoven? Il rapporto di Frank con Beethoven è piuttosto contorto - correggimi se sbaglio, caro Frank - e va a corrente alterna, lo intuisco dagli interventi che ho sempre letto suoi, in questo forum e in un forum precedente dove ci siamo virtualmente conosciuti. Ovvio, questa scostanza è percepita dai tuoi figli. Il tipo di elaborazione Beethoveniana è distante dal mondo infantile? Sicuramente lo è di più rispetto a Mozart ma diventa difficile affermare questo rispetto a compositori del Novecento. Dunque i tuoi figli sfilano la musica di Beethoven perché sentono che il loro padre ... in un certo senso non la fila del tutto, quanto meno. All'infante Daniele invece, la musica di Beethoven sembrava il massimo, così lo è stato per l'adolescente, il giovane, l'uomo di mezza età e ... se avrò una vecchiaia - a Dio piacendo - penso proprio che sarà ancora così. Comunque sia, buona musica a tutti e che ognuno ascolti ciò che gli va più a genio. L'importante è ascoltare musica.
  22. Che ad un bambino possa piacere più Mozart non mi stupisce affatto. La sua musica è certamente più facilmente abbordabile a quell'età rispetto a quella di Beethoven o Bach. Potrei dire che mi stupisce di più chi, avendo superato già l'età dell'infanzia e quella dell'adolescenza continui a preferire Mozart questo sì.. ! Ma, d'altra parte, persone sicuramente molto più sapienti di me in termini non solo di musica, per giustificare questo hanno attribuito alle musiche di Mozart l'ossimoro semplicità-complessa. Mah!!!!! Dal mio punto di vista per certe sue musiche è vero, altre sono solo veramente solo complesse e non piacerebbero neanche ai bimbi e tante altre sono legate ad un periodo storico-stilistico - quello galante - di cui chi mi ha già letto sa bene cosa penso. Tanto parliamoci chiaro, le musiche che i bambini adorano di Mozart sono sempre quelle: la Marcia Turca, altri movimenti da Sonate pianistiche, la K 525 e via discorrendo. Vorrei vederli ad affrontare il Quartetto delle dissonanze o certa musica per fiati ... ecco lì, li vedrei già un po' in difficoltà! No? Comunque, sempre per quello che può valere mio figlio, dopo un iniziale infatuazione verso certe sonate di Mozart, non ha avuto più dubbi: Beethoven e Bach.
  23. Il mio intervento era volutamente ironico e mi rendo conto della difficoltà che ci possa essere nel farlo scrivendo piuttosto che dirlo verbalmente a quattr'occhi. Ho messo due faccine per cercare di evidenziare il mio tono ma ero sicuro che non sarebbero stati sufficienti a trasmettere il mio spirito. Allora dirò che tu Simone hai ragione in linea di massima ma quello che io ho voluto trasmettere è lo spirito di un ascoltatore di musica classica che non ne può più di sentire o leggere che la musica di Mozart fa bene a questo e a quello, quasi la potessimo consigliare come prodotto omeopatico o da para-farmacia. E dunque veniamo al punto: o mi si dice che ascoltare musica classica è un bene in generale: per il nostro cervello, per accrescere la nostra cultura e ... via dicendo e mi va benissimo ma quando si incentra il tutto su un unico compositore che è il viatico, il mezzo e il fine della musica ... - questa dicitura riferita alla musica di Mozart semplicità - complessa, per cui Mozart va bene per tutti quelli che vanno da 0 a 120 anni la trovo molto discutibile - non mi va più bene. Io ho iniziato ad ascoltare la musica classica perché mio padre mi raccontava le fiabe attraverso essa e, nel farlo, faceva riferimento soprattutto a Ciajkovskij: quello del Lago dei cigni in particolare. Ciajkovkij è stato il mio primo compositore amato e io riinizierei da lì. Quanto a Mozart io non ne metto in discussione la genialità però mi piace fare le distinzioni nell'ambito dei vari generi da lui affrontati - praticamente tutti - e sul pianoforte solo ...bé ... permettimi di dirti che c'è ben poco di geniale a parer mio e fra il Mozart solo pianistico e il Beethoven solo pianistico altro che cubo :.. Poi sarà un discorso mio soggettivo ma ... dimostratemi a parte la Sonata K 310 e la fantasia K 475 dov'è la genialità mozartiana nel resto suo repertorio pianistico solo! Per un bambino potrà andare anche benissimo ed essere ad hoc... ma dopo .... ? A me no sicuramente! Quanto al fatto che io non amo Mozart, potrei dirti che non è così vero e assoluto come l'ho scritto precedentemente: in realtà c'è un Mozart che amo e un altro no. Quello che amo è quello dei suoi massimi Concerti per pianoforte, delle sue ultime Sinfonie, dei suoi massimi Quartetti, delle sue Serenate per fiatì, del Requiem, del Mottetto "Ave verum Corpus" e di due opere per il teatro: Don Giovanni e Flauto Magico. Poi però c'è tantissima sua musica che dopo un po' ... mi annoia e stanca. Che ci posso fare?
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