Leggevo da ospite e ho deciso di iscrivermi contribuire a questa discussione. Sono tantissimi i tecnici accordatori, anche illustri, che utilizzano il talco come lubrificante sui rullini o sul tavolaccio del pianoforte a coda, lo si utilizzava ancora prima che il teflon in polvere fosse immesso sul mercato. Il talco si applica con una fettuccia di feltro per tamponamento sui rullini, in modo che la pelle ne trattenga solo un velo. In questo modo non lascia residui e non danneggia in alcun modo la meccanica. É un materiale igroscopico, questo è noto a tutti, come lo è del resto la maggioranza dei materiali di cui è costituito il pianoforte, ovvero i feltri, i legni e, pensate un pó, la stessa graffite che si utilizza da oltre un secolo sullo spingitore o altre parti lignee. Il pianoforte, proprio perché costituito da materia igroscopica, deve essere conservato, tutti lo sanno bene ormai, in un ambiente climaticamente sano, con umidità limitata. In queste condizioni è difficile, anzi impossibile che il talco o la graffite possano impastatarsi e creare dei problemi, se questo capitasse le nostre corde sarebbero già belle che ossidate, il nostro tavolaccio sarebbe forse imbarcato e non so quali altri scenari potrebbero prospettarsi, ma questo è il caso raro di strumenti conservati in taverne o cantine assai umide. Rimuovere i grumi di talco a questo punto, ammesso che si siano formati, sarebbe l'operazione più semplice di tutte, perché di fatto non intacca i legni e le pelli. Trovo quindi eccessivo voler dimostrare l'inadeguatezza del talco rovesciandoci sopra dell'acqua, perché allo stesso modo si potrebbe dimostrare l'inadeguatezza dei feltri, dei legni e del pianoforte tutto ad essere stipati in un ambiente umido o immersi nell'acqua!!!! Che scoperta. Si potrebbe provare allora a metter dell'acqua sui martelli per verificarne gli effetti; Oppure buttar giù un pianoforte dal quinto piano per vedere se tiene l'accordatura; qualcuno di voi farebbe queste prove sul proprio strumento? Credo proprio di no. Gli esperimenti andrebbero condotti avendo ben chiare tutte le condizioni a contorno, con metodo scientifico ma soprattutto buon senso. Si potrebbe per esempio conservare un pó di talco è un pó di teflon nello stesso ambiente domestico per valutare se si verifica una alterazione dei due prodotti dopo qualche tempo, ma quanto tempo? Direi il tempo in cui dura l'effetto del teflon o del talco sui rullini del pianoforte (qualche giorno al massimo, a seconda dell'uso). Secondo voi quali risultati sorprendenti potremmo mai ottenere? Cercare di screditare l'una o l'altra pratica con tali espedienti è tempo ed energia sprecata, per chi scrive e per chi legge. Per me sono entrambe tecniche valide. Chi non capisce nulla di pianoforti potrebbe anche non dare il giusto peso a tutte queste argomentaIoni condite da buona eloquenza e pensare che il proprio tecnico sia poco professionale perché usa il talco anziché il teflon o perché si esprime in dialetto, e intanto di disastri veri sui pianoforti se ne trovano sempre più frequentemente, causati da inesperti convinti di esser bravi perché supportati da un giornale tecnico o da un forum in rete che non possono mai, secondo me, fare formazione agli stessi livelli di un artigiano cresciuto con anni e anni di semplice pratica nelle officine polverose o in fabbrica. Discutere troppo dei dettagli di rifinitura mette secondo me in secondo piano la vera missione del tecnico di pianoforti e serve solo ad instillare dubbi nel cliente non informato, a dare importanza ad una prestazione che è sacrosanta ma inutile in presenza di uno strumento scarso, che rimane comunque scarso. Sarebbe allora più interessante toccare altri argomenti che possono insegnarci a distinguere uno strumento brutto da uno strumento buono, per evitare di acquistarlo, argomenti che però devono essere supportati prima di tutto da una buona conoscenza della fase di progetto, delle fasi costruttive e delle correzioni che si possono apportare ad uno strumento finito anche in fase di restauro (penso alla quantità di carica, alla rigidezza della tavola armonica con le sue catene, al calcolo della cordiera, al posizionamento dei ponticelli...). Tutto questo bagaglio culturale deve essere custodito e conosciuto da un tecnico completo o da un pianista bene informato, a seconda del grado di approfondimento e della trattazione, senza rischiare di cadere nella banalità degli interventi finali volti magari a recuperare un rullino da buttare via e sostituire, per esempio, tutte pratiche utili alla revisione di un pianoforte quando una terapia a base di aspirina per un malato terminale. A mio parere talco e teflon sono equivalenti per l'uso descritto e negli ambienti in cui il pianoforte può essere ospitato senza che gli si arrechi danno. I tecnici che usano con successo il talco - da decenni - lo fanno perché è facilmente reperibile, economico e perché non ha mai comportato danni al pianoforte. Inoltre profuma! Non capisco il nesso con la meccanica Kawai, trovo l'esposizione degli argomenti a volte confusa e raffazonata, quindi mi perdo facilmente, sarà anche colpa dell'età che avanza. Ho trovato molto interessanti i contributi degli utenti, anche su altri spazi, che hanno documentato dei lavori di restauro completi su prestigiosi strumenti, valorizzando quel bagaglio di sapienza tramandata da generazioni in questo mestiere, quando ancora le riviste degli americani non esistevano, mestiere che, se continuiamo in questo modo, è destinato a scomparire per via della sfiducia che si è era nei confronti del professionista, e mi dispiace profondamente che tali interventi non siano stati dovutamente apprezzati e discussi, ma liquidati con totale freddezza e disinteresse come tutto ciò che costa fatica e non è una immediata fonte di reddito. Un cordiale saluto a tutti