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Piano Concerto - Forum pianoforte

thallo

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Tutto postato da thallo

  1. thallo

    Come Mai

    Opinione: i cori, anche quelli professionistici, sono spesso poco intonati perchè i maestri di coro considerano l'intonazione come una cosa secondaria. Essere del tutto intonati è una cosa difficilissima, ci si arriva con studi SPECIFICI. A me è capitato di cantare in un coro specializzato in repertorio rinascimentale, il "Costanzo Porta" di Cremona, un signor coro, e vi assicuro che la cura per l'intonazione di un coro che fa quel repertorio è al limite del parossismo. Tutto parte sempre e comunque dalla percezione degli armonici. Se rimaniamo convinti che la voce esegua una nota alla volta, anche in coro, allora non uscirà mai niente di interessante... più voci in unisono o in consonanza si amplificano naturalmente, vanno in risonanza, e quindi se 2 persone cantano tonica e dominante BENE, si percepisce CHIARAMENTE almeno il do in ottava superiore. Chi non ha provato questa esperienza di consonanza allora probabilmente non ha mai fino in fondo capito quanto si possa essere intonati in coro. Ovviamente uno studio di questo tipo mette in secondo piano la vocalità. Il suono deve essere chiaro, non vibrato, nasale (le risonanze vocali in coro dovrebbero sempre essere brillanti, mai cavernose). Per assurdo, in queste cose sono avvantaggiati i dilettanti. Ed infatti, escludendo gli specialisti in repertorio rinascimentale (che spesso non possono davvero essere chiamati dilettanti), i cori più intonati in Italia sono quelli degli alpini. Cori maschili di persone che non hanno mai studiato canto. E i cori meno intonati sono, notoriamente, quelli dei teatri d'opera...
  2. Una mia professoressa sosteneva che di Berio si inizierà a sapere davvero qualcosa solo alla morte di Talia Pecker Berio. Secondo lei ci sono moltissime carte private che la vedova non rende disponibili agli studiosi (nonostante lei stessa sia una musicologa...). Sulla discussione, visto che era stata iniziata da Giusantsot per una necessità specifica (una discussione con la sua professoressa di matematica, se non ricordo male), sarebbe interessante seguire i suoi spunti. Intendo dire: hai delle necessità particolari? Devi fare una ricerca, preparare un esame magari, o è soltanto una tua curiosità? ... aggiungo anche una cosa ... finora ci siamo soffermati essenzialmente su 1) fisica acustica 2) estetica musicale generale 3) qualcosina di armonia generale e contrappunto 4) singole poetiche di singoli compositori... 5) organologia ma ci sono anche altri campi il primo, che mi sono colpevolmente dimenticato di citare, è l'analisi! Ci sono tecniche di analisi che utilizzano in modo abbastanza pesante concetti e metodi matematici. Uno per tutti, la set theory. Ma anche le analisi statistiche, molto utilizzate nella musica antica e nell'etnomusicologia. Chissà se riusciamo a trovare ancora altri campi...
  3. Questo è un problema comune ANCHE nella musicologia moderna. Pensare che un procedimento tecnico debba influenzare in modo massiccio la ricezione o la percezione di una composizione è, spesso, falso. E' un errore di prospettiva, si pensa che la "formula" di un brano si uguale alla sua realizzazione. Quindi, se si trova un procedimento matematica in una tecnica compositiva, allora anche la composizione che ne viene fuori sarà in qualche modo "matematica" nel suo risultato sonoro. Ma non è quasi mai così! Lo abbiamo detto prima, la matematica è un mezzo, l'effetto sonoro è la composizione. Gli stessi mezzi possono creare composizioni lontanissime, Xenakis è diverso dalla musica generativa. Sarebbe disonesto valutare composizioni tanto diverse, poetiche tanto diverse sostenendo l'esistenza di un principio "poetico" matematico. Ci sono svariati principi poetici ed ideali estetici, ed alcuni di loro sono legati a procedimenti più o meno matematici. La matematica nelle composizioni può essere applicata a vari livelli (già detto), ci sono composizioni pseudo-matematiche, che vogliono risultare in qualche modo ordinate, copiare modelli di distribuzione regolare, creare nuove relazioni spazio-temporali simili a quelle logico-matematiche o fisiche. Ma ci sono composizioni che non copiano la matematica ma la usano, come tecnica compositiva. E qui è solo l'analisi che rivela l'esistenza di modelli. Come la famosa sezione aurea, che pare essere una costante in moltissime opere artistiche, o le numerologie contrappuntistiche. Nella percezione di queste composizioni la matematica non dovrebbe avere nessun ruolo specifico, non più che nella percezione di altre composizioni, insomma. Ovvero, ascolti Ockeghem nello stesso modo in cui ascolti Donizetti, nonostante Ockeghem seguisse modelli matematici (occulti). cosa intendi per funzionale? Mi sa che questa affermazione nasconde un giudizio del tipo "bello" o "brutto"... In realtà ho l'impressione che tu e TheSimon cerchiate quasi di "confutare" una tesi. Anche se non capisco quale tesi il più rio pensiero con la più ria parola (cit.), su cosa non vi piace della musica moderna?
  4. La questione è complessa... e val bene mettere una premessa, premessa fondamentale per OGNI tecnica di analisi: Forte dà sue opinioni, storicizzate, e il suo sistema di analisi va calibrato per ogni repertorio. Da qui, alcune considerazioni. 1) l'accordo, per molti, ha una tonica. E la tonica è in genere il basso, espresso o non espresso. Questa è una teoria degli accordi che risale a Rameau e che dà preminenza al suono grave come suono principe. 2) in teoria, Forte dovrebbe negare questa cosa visto che il concetto di "set" prescinde dalla distribuzione degli intervalli. Ovvero, in qualsiasi posizione sia, un set è sempre se stesso (in varie permutazioni). 3) però se vuoi analizzare le permutazioni di un set, e dare UN SENSO alle permutazioni, allora devi anche valutare il basso e il ruolo sonoro, storico, "armonico" di un basso rispetto ad un altro. Se una permutazione accordale di un set si struttura come una quinta con dentro altre note, ha senso che tu dica "la cornice di questa permutazione è una quinta ed è credibile pensare che anche il compositore lo sappia". Come è credibile pensare che ascoltando il brano tu percepisca la quinta... e allora che facciamo, ignoriamo che c'è quella quinta solo perchè la composizione è dodecafonica? Così buttiamo tutto Berg 4) tutto si risolve dando peso a cose che hanno peso e togliendo peso a cose che non hanno peso. Ovvero: ci sono compositori che anche nella musica seriale individuano gradi più importanti e compositori che anche in una musica non seriale diminuiscono drasticamente li ruolo della tonica (e degli intervalli a lei relativi). Aggiungo un'esperienza personale. Ne parlo ormai spesso, ma avendoci fatto la tesi sopra, è un argomento su cui mi trovo molto ferrato... La Monte Young scrive in intonazione naturale. Ci sono dei "set" che lui utilizza, set molto semplici fatti essenzialmente di quarte, quinte e settime minori. Questi set, però, sforano sempre l'ottava e si configurano in posizioni precise. Semplicemente, seguono molto spesso la configurazione degli armonici naturali. Non solo, essi non possono essere ridotti ad una forma primaria, perchè Young suona su strumenti accordati in modo particolare da lui stesso, quindi quella settima minori lì (7/4, settima settimale minore) c'è solo in relazione ad alcune "toniche". In questo caso ho rinunciato a utilizzare la set theory (anche se sarebbe stata comoda perchè avrebbe messo in luce questi intervalli ricorrenti in modo molto immediato) perchè avrebbe stravolto la concezione del compositore. Aggiungo ancora una riflessione. Le serie sono diverse dalle scale anche perchè non riconoscono a prescindere un'organizzazione lineare delle gerarchie. Ovvero... in teoria, la dodecafonia elimina le gerarchie. In realtà, le riformula. Stessa cosa con la serialità. Il punto è che queste gerarchie spesso sono imposte in modo "non giustificato". Cioè, tu decidi che nella tua serie la nota più importante è la sesta nota della serie, non la prima. Come succede alla finalis dei modi plagali gregoriani, per esempio. O ancora, puoi decidere che la "tonica" sia, in realtà, un agglomerato polifonico, tipo una terza maggiore, e trovare il modo di comunicare quest'idea. Ipoteticamente potresti decidere di dare un ruolo "attrattivo" ad un effetto, ad un rumore, o ad una dinamica o ad una cellula ritmica. Serializzazione è questo, è riformulare ANCHE le gerarchie. In questo senso dico che il ruolo della tonica e degli intervalli non è ovvio nelle composizioni seriali.
  5. A me questa "guerra" tra arte e matematica sembra inutile... E, posso essere sincero e pungente? In una discussione sul burro non ha senso ogni tre per due dire "e però esiste anche l'olio d'oliva!". Ok, va bene, penso che TUTTI sappiamo che la musica è arte, uccellini che cinguettano e cuori che si infrangono. Ma se la discussione è "Musica e Matematica" mi pare OVVIO che si parli di Musica e Matematica E, ripeto, non siamo NOI a inventarci questo argomento, è LA STORIA DELLA MUSICA a parlare di queste cose.
  6. non capisco cosa vuoi dire, Tiger
  7. Le denominazioni classiche degli intervalli hanno senso SOLO nel sistema tonale. Detto questo, ci sono "altre" denominazioni che sono assolute, in senso fisico. Se valuti l'intonazione di un intervallo allora lo puoi fare chiamando l'intervallo genericamente col suo nome (tipo "quinta") e aggiungendo aggettivi di altro tipo o ratio di intonazione (tipo "quinta 3:2" o "quinta pitagorica" o "quinta perfetta"). Aggettivi come maggiore, minore, giusto, eccedente, diminuito hanno senso solo in un sistema tonale "classico". Detto questo, a maggior ragione se ti trovi in un altro sistema dovrai riferirti SEMPRE ad una tonica di riferimento o ad una scala. Il concetto stesso di intervallo non può prescindere da un punto di partenza, una tonica nel nostro caso, e in praticamente tutte le scale modali la tonica crea gerarchie intervallari. Le eccezioni ci sono solo nei sistemi seriali... lì, in teoria, non esistono toniche...
  8. Il problema della musica e del suono come elementi "fisici" analizzabili e malleabili secondo modelli fisico-matematici è un problema storico, oltre che filosofico. Cioè, io ne parlo perchè la storia della musica ne ha parlato dovremmo prendercela con Rameau e ancor prima con tutti i filosofi medievali che consideravano la musica come parte di un sistema COSMOLOGICO. Quando si dice che la musica si basa su leggi "naturali" (tipo le teorie naturalistiche degli armonici che dicono, sostanzialmente, che le consonanze sono naturali e le dissonanze sono innaturali) la si inscrive in un mondo che non è solo artistico ma anche fisico. Lo si è fatto, lo hanno fatto in moltissimi. Che poi noi non siamo d'accordo nel vederla così, vabbè, ognuno ha delle proprie piccole filosofie musicali. Ma in un discorso sulla matematica e la musica mi sembra eccessivo ignorarle... Sulle tecniche compositive che applicano processi in qualche modo "matematici". Ce ne sono moltissime... Frank introduceva le situazioni del contrappunto. Ecco, in un mondo tecnico pieno di costrizioni, le relazioni numeriche, la numerologia, danno spazio a nuove modalità espressive. Canoni mensurali ed enigmatici si basano su procedimenti matematici e metaforici, non sono un esperto di questo repertorio ma ricordo almeno un mottetto di Dufay, Nuper Rosarum Flores, in cui sezioni, prolazioni e vari altri elementi numerici avevano simbologie cristiane chiare (le prolazioni erano le misure del tempio di Salomone, per dirne una). Il numero è parte della simbologia musicale, come di quella teologica e filosofica. Salto a piè pari la tonalità per quanto, come detto, l'intera teoria armonica sia in parte una teoria matematica... Nel '900 la matematica torna in auge prepotentemente. Ovviamenti quando parlo di matematica, ne parlo in modo generico... cioè, cose come la serialità radicale, la dodecafonia, la musica stocastica, utilizzano approcci molto diversi, a volte geometrici, a volte pseudo-fisici. Per me è tutto esprimibile in termini matematici, quindi va sotto l'ombrello "matematica". Schoenberg è la causa di tutto (forse). La dodecafonia rende necessaria la serie, che è un concetto logico-matematico (è una stringa di senso compiuto, un polinomio). I trattamenti della serie sono geometrici (viene spezzata, rivoltata, rigirata etc). E le simbologie sono numerologiche in tutto e per tutto. La cosa si radicalizza con Webern, si sa, e con Boulez si passa alla serialità integrale, alla serializzazione non solo del materiale musicale tutto (altezze, ritmi, dinamiche...) ma delle DIMENSIONI musicali, in termini di spazio e tempo, da cui le fondamentali teorizzazioni di spazio liscio e striato e di tempo liscio e striato. Allo stesso modo, Stockhausen cerca di "serializzare" ritmo e altezze in un unico continuum, concependo una sostanziale coerenza di tempo e suono (vedi "...wie die Zeit vergeht", famoso saggio, più volte negato da scienziati veri, che considera il ritmo come scaturito da un'onda periodica troppo lenta per poter essere percepita come suono). Xenakis, si è già detto più o meno, elabora modelli statistici di articolazione e diffusione sonora, modelli pseudo-scientifici, diciamo. Altri versanti... i minimalisti introducono anche in occidente delle concezioni ritmiche "additive", tipiche della musica indiana. Il ritmo viene considerato semplicemente una somma di beat, non più il modello diviso costante di una cellula. E' quanto di più aritmetico si possa immaginare, linee melodiche che nelle loro ripetizioni aggiungono sempre delle note, dei beat in più. Come diretta conseguenza delle teorizzazioni temporali di Boulez e Xenakis, in più, la complessità della divisibilità delle cellule metriche occidentali diventa pazzesca, ormai le durate delle note si possono tranquillamente calcolare in radici, frazioni complesse, espressioni fantasiose (vedi Ferneyhough). ... per ora non mi viene in mente nient'altro, ma di certo mi sono scordato di molta roba
  9. Contare il numero di toni e semitoni personalmente lo trovo utile solo nel caso delle terze, quando analizzi degli accordi. Per tutti gli altri intervalli, e per le denominazioni complesse (intervalli diminuiti, più che diminuiti, eccedenti e più che eccedenti) il miglior metro di confronto è la scala relativa. Ovvero, gli intervalli che una tonica istituisce con i gradi della sua scala possono essere maggiori minori giusti. L'intervallo di quarte e di quinta è sempre giusto, sia nella scala minore che in quella maggiore. Tutti gli altri intervalli nella scala MAGGIORE sono maggiori (seconda, terza, sesta e settima). Nella scala minore solo l'intervallo di terza è sempre minore, gli altri (escludendo sempre quarta e quinta) possono essere maggiori o minori, a seconda del tipo di scala in cui ci troviamo. Il problema sta solo in questi, diciamo... e ci sono molti modi pratici per risolverlo. La seconda maggiore è un tono, la seconda minore è un semitono (e si trova nella scala minore napoletana); la sesta maggiore è un tono dopo la quinta, la sesta minore è un semitono dopo la quinta; la settima maggiore è a un semitono dalla tonica, la settima minore è a un tono dalla tonica. Da questo, derivano le altre diciture complesse. Un intervallo diminuito è un intervallo, minore o giusto, alterato di un semitono discendente. Un intervallo eccedente è un intervallo, maggiore o giusto, alterato di un semitono ascendente. Quindi... la seconda diminuita è oomofona della prima (ovvero sarebbe do-rebb) la terza diminuita è una terza minore con un altro bemolle (do-mibb) la quarta diminuita è una quarta GIUSTA col bemolle (do-fab) la quinta diminuita è una quinta GIUSTA col bemolle (do-solb) etc... per le eccedenti, una seconda eccedente è una seconda MAGGIORE col diesis (do-re#) terza eccedente è una seconda maggiore col diesis (do-mi#) quarta eccedente è una quarta giusta col diesis (do-fa#) e così via.
  10. Ok, rimaniamo amichevolmente in disaccordo
  11. Non sono d'accordo. Ma, anche qui, il discorso è complesso. 1) la conoscenza matematica su cui noi ci basiamo ha iniziato a svilupparsi nel '600, in termini molto vicini a quelli di oggi. I costruttori di strumenti settecenteschi non erano simpatici operai ignoranti, anzi! E' molto ingenuo credere che l'organologia si risolva in una questione di intuito o di fortuna. C'è costruttore e costruttore, ovvio, gli organari sono mezzi scienziati e i liutai sono cialtroni. Ma i "grandi" della storia dell'intonazione e dei temperamenti i calcoli li sapevano fare... Ci sono livelli e livelli, secondo me. Un organaro o un campanaro non potrebbero permettersi di fare cose così. Ma una cosa è dire che solo con l'intuito si possono costruire violini e una cosa è dire che grazie all'intuito un giorno un liutai ha migliorato i violini. Perchè quello che sto dicendo io è che ci vuole una base matematica, non che l'intuito non serve. I grandi cuochi sono creativi, ma se non sanno disossare una quaglia allora la creatività se la tengono a casa... in questo senso suppongo che il signor Steinway, prima di pensare ad una copertura di ghisa, si fosse rotto il cervello a calibrare le corde il passaggio dalla costruzione alla composizione è più largo di quanto si creda. Quindi, pur essendo in disaccordo con te sulla prima parte, potrei essere d'accordo qui. Ma con le dovute specifiche. Io NON credo all'innatismo, per me ci vuole sempre e comunque applicazione nel tirar fuori "l'ispirazione", qualunque cosa essa sia. Il mito del buon selvaggio, dell'uomo puro esente da influenze esterne, da tecnicismi, da didattiche, che arriva e ci impressiona per perfezione è, per l'appunto, un mito. Continuo a pensare che senza anni e anni e anni di studio Leonardo la Gioconda non l'avrebbe mai dipinta. Non solo, sono sempre convinto che l'immagine della Gioconda lo abbia tormentato per notti e giorni, che non l'abbia fatta "di getto", perchè lui era il più figo del pollaio. I grandi artisti sono meticolosi, in genere, a meno che non abbiano idee particolari sull'intuizione... e Leonardo, a quanto mi risulta, non era Pollock. Ci sono moltissimi studi musicologici sull'innatismo musicale, sulla famosa "grammatica" della musica (intendendo con grammatica una conseguenza della famosa grammatica generativa di Chomsky, ovvero una serie di conoscenze basilari presenti nella nostra mente, senza le quali noi non saremmo in grado di sviluppare i linguaggi). Questi studi sono riusciti a dimostrare ben poco. Tutto quello che noi consideriamo "universale" nella musica, cose come l'alternanza di consonanza e dissonanza, la preminenza della melodia, il valore trascinante del ritmo, sono TUTTORA questioni dibattute. La più probabile realtà è che OGNI conoscenza musicale sia l'unione di una sorta di predisposizione (invagliabile) e, soprattutto, di molta pratica (e non parlo di esercizio, parlo anche di ascolto, socializzazione, riflessione). All'interno di questa "pratica" c'è lo studio. Anche lo studio teorico, che è pratica perchè capire fino in fondo COS'E' una cadenza è faticoso tanto quanto imparare a suonarla. Queste pratiche ti danno un vocabolario con cui esprimerti, ti insegnano il "linguaggio" musicale. Ti insegnano l'intuito! Nel senso che ti rendono cosciente di quali siano i campi in cui applicarlo. Cioè, Stradivari non ha detto "cavolo! Ora applico una caffettiera al violino così quando i musicisti sono stanchi si fanno un caffè....". Se non conosci i problemi di un certo campo musicale (o compositivo) non sai dove applicarlo il tuo intuito. E vi assicuro che per ogni colpo di genio "utile", nella storia della musica ce ne sono stati almeno 10 del tutto inutili... Concludendo... intuito sì, ma non innato.
  12. Io evito sempre di presentarmi come cantante... soprattutto evito di palesarmi come tenore Detto questo, con "croma" intendiamo la Fiat croma, no?
  13. Spero proprio che arrivi anche Carlos... ma vedremo ;-)
  14. Ovviamente, Dino. Ma ai fini del nostro discorso, fini molto larghi e generici, sono entrambe connessioni tra musica e matematica. In più, se vuoi distinguere fra un livello organologico ed uno in un certo senso tecnico-compositivo, ti dico subito che ci sono e ci sono stati moltissimi compositori che si sono creati strumenti e sistema di intonazioni loro propri. Henry Partch, La Monte Young, Riccardo Nova, sono tutti compositori che hanno elaborato criteri di intonazione basati su sistemi matematici. Per quello che ne so, loro lo hanno fatto attenendosi alle "regole" dell'intonazione naturale, ovvero utilizzando criteri di consonanza e dissonanza in un certo senso "classici" (che poi non è vero, ma il discorso sarebbe complesso). Ma nulla toglie che domani il maestro pinco pallino non decida di intonare un violino con relazioni basate sul numero 666 e suoi multipli e scriverci una composizione apposta il bello della matematica applicata come criterio compositivo è anche questo. Puoi decidere tu a che livello applicarla. Cioè, la dodecafonia applica criteri commutativi ai 12 suoni, ma visto che i 12 suoni sono "discretizzazioni" di un continuum, io potrei benissimo applicare la serialità ai cents, ovvero alla suddivisione in 1200 parti dell'ottava. O, ancora meglio, potrei prendere un oscillatore e programmarlo direttamente con dei parametri. In questo senso i criteri matematici non sono mai OBBLIGHI, ma scelte compositive. Intendo dire... anche in questa discussione qualcuno ha "ingenuamente" contrapposto ispirazione a logicismo. Ma se io decido, non so, di fare un canone, che è un processo assolutamente "matematico", lo faccio alla luce di una serie di "ispirazioni" prima ancora di usare criteri meccanici. Devo sceglierne le note, il tempo, le dinamiche, la durata complessiva. Ci sono processi, come quello seriale o quello "additivo" della musica minimalista, che sembrano del tutto asettici, ma in realtà non lo sono perchè vengono applicati ad un MATERIALE che è comunque scelto dal compositore, "composto" in termini tradizionali. E' lo stesso principio su cui si basa molta alea musicale. Se tu decidi di applicare un criterio casuale, a primo acchito hai l'impressione di perdere totalmente il controllo sul risultato. Ma se valuti bene il materiale a cui applicare quel criterio, allora il numero di risultati possibili diminuisce drasticamente. In definitiva, se messi nelle mani di buoni compositori, anche i procedimenti compositivi più assurdi, logici e illogici, possono portare a belle composizioni.
  15. Sono nuovo del forum ma non nuovo di simili discussioni L'argomento è così vasto che finisce per essere banale parlarne. "Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi". Questa è la definizione di musica data da Cartesio nel Compendium Musicae. Si traduce più o meno come "la musica è un'attività matematica e nascosta della mente, mente che non sa di calcolare". Secondo Cartesio, e secondo una tradizione che parte da Pitagora, la percezione e il godimento musicali sono strettamente legati ad operazioni matematiche. E' da qui che nasce l'idea per cui una composizione "ben fatta", intervalli consonanti e giusti, la regolarità sono tutti elementi poetici apprezzabili. Di fatto è lo stesso concetto estetico dell'arte greca e rinascimentale. Il legame tra musica e matematica è filosofico, in questo senso. Ma ancora più importante è il legame FISICO tra musica e matematica o, meglio ancora, tra suono e matematica. Sempre Pitagora approfondisce per primo le relazioni armoniche e intervallari tra suoni, iniziando quella lunga strada che porterà alla fondazione dell'acustica come branca della fisica che studia il suono. Sempre Cartesio, assieme a Galilei e altri, riporteranno in auge questi studi, confrontandoli anche con i primi trattati "armonici" del tempo, nello specifico quelli di Zarlino. Siamo agli inizi della fondazione della pratica armonica (contro la pratica modale e contrappuntistica), ovvero all'emancipazione delle consonanze imperfette di terza e sesta e all'affermazione della logica accordale. Tra le varie conseguenze epocali, la necessità di risolvere i problemi di intonazione degli strumenti fissi, ovvero la creazione dei vari temperamenti. Accordare un strumento significa applicare logaritmi alle relazioni tra suoni in un'ottava. Calcoli abbastanza complessi, insomma Prima di arrivare a Xenakis ce ne vuole molto, quindi... ... troppe cose da dire e così poco tempo ...
  16. Ciao a tutti. Sono Claudio-Thallo, 30enne, cantante lirico (tenore primo nel coro As.Li.Co. e, a volte, altrove) e musicologo (laurea triennale in Discipline della musica a Palermo e specialistica a Cremona). Son qui grazie ai consigli di una serie di amici ;-)
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