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Piano Concerto - Forum pianoforte

thallo

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Tutto postato da thallo

  1. nella discussione sulla narratività ho appena parlato un po' di performatività. Di cose da dire ce ne sarebbero, ma se non si azzecca la domanda è un po' difficile dare una risposta seria...
  2. Mi spiace di non poter partecipare molto spesso alla discussione, sono in Sicilia e ho poco tempo... Ma sulla possibile differenza tra narratività e drammatizzazione ci sarebbe molto da dire. Ognuno ha il diritto di scegliere e formulare i termini che vuole, ovvio, l'importante sarebbe chiarirne fino in fondo le implicazioni. La domanda più semplice per chiarire le eventuali differenze tra narratività e drammatizzazione sarebbe: può esistere drammatizzazione senza narratività? E narratività senza drammatizzazione? Se ha senso prendere i due termini come elaborazioni del "raccontare storie" da una parte e "mettere in scena qualcosa" dall'altra, ci sono prove a favore del fatto che si possano raccontare storie senza metterle in scena e che si possano mettere in scena eventi senza necessariamente raccontarli. Sono differenze capziose, forse, ma a naso penso che se ne possa parlare proficuamente, soprattutto se si parla di musica. Due domande, allora: Esiste narratività senza tematismo? Io penso di sì. Lo avevo anche accennato. Esiste drammaticità musicale senza retorica musicale? Praticamente ogni atto performativo presuppone drammaticità, ovvero qualcuno sulla scena, ma non necessariamente una retorica relativa alla composizione. Questo è un campo di studi abbastanza recente. Ricordiamoci che gli esecutori non narrano solo la storia della partitura, narrano la propria storia, la storia dell'esecutore che suona. Sembra un giro di parole, ma in un mondo in cui si ripete sempre lo stesso repertorio, la cui forza narrativa diminuisce di volta in volta, la performance prende il posto della partitura.
  3. sì che lo è. La definizione della musica come arte performativa è abbastanza intuitiva.
  4. io sono in Sicilia dai miei da una settimana... e mi sento un pesce fuor d'acqua. Tornare nella cameretta a casa è tremendo...
  5. tu sei in grado di elaborare campioni omogenei di compositori?? Il campione immagino sia "iscritti ai corsi di composizione in conservatorio" o "diplomati ai corsi di composizione in conservatorio", e con la qualità questo ha poco a che vedere
  6. ho lasciato cadere una serie di cose, tra cui lo scontro continuo tra me e Daniele :-) perché tanto non se ne esce :-) metto da parte un secondo il discorso sul mito e lo riallargo al discorso sui punti di accesso: io penso che ci siano stati nel secondo cinquantennio alcuni grandiosi punti di accesso alla musica meno conosciuta. Il primo che mi viene in mente è il cinema di Kubrick, che ha reso la musica di Ligeti un successo mondiale. Questo è il tipo di punto di accesso che mi piace di più, proprio perché non sfocia nel mito, nella mitografia (che è diversa dalla storiografia).
  7. Condivido moltissimo l'idea che quantità non voglia dire qualità. Per altro, io continuo ad essere un sostenitore del principio per cui ci dovrebbero essere meno studenti di musica in Italia...
  8. probabilmente l'onda lunga si ripercuote anche sul mondo di oggi. Ricordiamoci che l'Italia è uno stato in cui la discriminazione esiste ed è forte. Molte delle nostre madri sono casalinghe, abbiamo basse percentuali di lavoro femminile, che diventano bassissime se confrontate con altri paesi occidentali. Le donne hanno ancora ruoli specifici nel mondo del lavoro, adeguati al genere, ruoli di "cura": le donne sono infermiere, medici generici, assistenti sociali, insegnanti, commesse. Io tendo a valutare questi scenari pensando alle strutture e "storture" sociali, ai modelli che inconsciamente tendiamo a ripetere. Il mondo della musica è ancora più chiuso degli altri mondi lavorativi. Abbiamo insegnanti vecchi e tradizionalisti, che insegnano secondo preconcetti; c'è poco spazio per i giovani compositori, e quando c'è poco spazio in genere emergono i maschi (siamo più competitivi); avevo sentito parlare di uno studio sul maschilismo all'interno dell'IRCAM, ho ritrovato gli estremi, ed è stato scritto da tale Georgina Born, studiosa e compositrice britannica, secondo lei il mondo della computer music è molto maschile e tende a perpetrare una pedagogia elitarista e maschilista, come nei circoli privati. Non so se tutte queste cose possa "spiegare" le minori percentuali di compositrici e studentesse di composizione nel mondo, ma di certo ci fanno capire che esistono delle resistenze all'apertura totale del mondo musicale
  9. la sproporzione c'è stata, è innegabile, e c'è stata soprattutto per fattori sociali. Dal medioevo fino al novecento, con l'esclusione, in alcune zone geografiche, del rinascimento, comporre è stata prerogativa maschile. A cavallo fra ottocento e novecento la compositrice inglese Ethel Smyth venne considerata un mezzo mostro, perché voleva comporre e dirigere, perfino in stile tedesco (studiò con Reinecke). Mi era capitato di leggere degli stralci su di lei e ne parlavano come di uno spettacolo da baraccone, una donna che voleva essere un uomo, che si scontrava con generi troppo maschili come la sinfonia. I rapporti tra "genere" e musica sono stati per un bel po' al centro degli studi musicologici, diciamo dagli anni '90 in poi. E ormai è abbastanza acclarato che il sistema produttivo musicale ha spesso emarginato le donne, nell'accesso allo studio e in ruoli decisionali come quello di compositore o direttore
  10. ci sono anche lodevoli precedenti, soprattutto sulla linea di confine tra classica, rock e pop. E i nomi si sprecano: Yoko Ono, Laurie Anderson, Kate Bush, Bjork. A queste aggiungo altre figure chiave della musica del '900, le prime che mi vengono in mente: due grandissime compositrici del vasto mondo minimalista, Meredith Monk e Pauline Oliveros, e "la" maestra di contrappunto di quasi tutti i compositori americani del 900, Nadia Boulanger.
  11. Allevi è diventato un male ineludibile. Dice una stupidaggine e tutti i giornali la riportano. Bravo lui, ma vergogna sul Festival di Giffoni e sugli altri Festival e Teatri in Italia che spendono i soldi delle mie tasse per dare un microfono a questo sociopatico arrogante
  12. ne ho visto i primi due atti e me n'è parsa una noia mortale :-) devo ammetterlo... anche il preludio non mi ha lasciato molto, ci sono cose al suo interno che non mi piacciono proprio, è tutto molto smielato, a tratti mi ricorda quello del Macbeth ma con meno sobrietà. Voi avete "in mano" altri pezzi? Non sono arrivato a vedere nessun concertato, per esempio, ma credo che ce ne sia almeno uno con l'arrivo di Papa Leone...
  13. in realtà, Luca, io lo credo fortemente. Penso che ogni punto di accesso alla musica sia utile, e penso che il mito beethoveniano sia un punto di accesso molto diffuso. Detto questo, sarei felice che ce ne fossero altri, e sono convinto che ce ne siano. Se mai verrà scritto un libro tipo "Il Codice da Vinci" su qualche grande compositore, che non sia Beethoven, sarò moooolto contento. Tempo fa mi dissero che in "Cinquanta sfumature di grigio" c'era una playlist di musica classica e che in concomitanza col successo editoriale del romanzo, anche quei pezzi citati ebbero un boom di acquisti online. E io sono contento. Non voglio dire che mi spiace che Beethoven venga suonato molto in giro. Ma di certo mi piacerebbe che ci fossero meno gradini in questa scala gerarchica dei compositori. Non è possibile che tutte le volte si facciano discorsi in cui prima ci sono Beethoven, Mozart e Bach, distribuiti in vario modo, e poi tutti gli altri... e non è possibile PROPRIO perché noi facciamo un discorso fuori dal mercato, o consapevoli del peso del mercato. Ovvero, dobbiamo essere consapevoli che i punti di accesso alla musica di Beethoven non li ha creati solo Beethoven, li hanno creati i suoi ascoltatori, i suoi studiosi, i suoi fans. E sarebbe carino se noi provassimo a creare punti di accesso anche per altri compositori. Io parlo sempre male dei miti romantici, ma lo faccio perché mi scoccia vedere che non siamo riusciti a dare alternative.
  14. ho guardato il soggetto del laboratorio di fuga. Non sono convintissimo che tutte le note che hai citato siano "note portanti", ma a prescindere da tutto, pensiamo alla scala discendente "la sol# sol fa# fa mi". Sarà banale dirlo, ma il fatto che sia cromatica la caratterizza di più come tendente al minore che come tendente al maggiore. La premessa è che, comunque, non si può mai sapere. La tonalità di un brano va affermata e confermata, e senza una chiara cadenza, allora si è in una situazione ambigua. Detto questo, in una logica contrappuntistica, ovvero considerando le linee melodiche come portatrici autonome di un senso modale-armonico, il salto di semitono discendente finale "fa-mi" può essere inteso come una clausola, una "cadenza melodica" diciamo, ed essendo una clausola frigia, ci riporta per istinto ad una modalità frigia. Che per "assonanza" è più vicina ad una scala minore, con seconda napoletana. Guardando il soggetto, tutto è molto più semplice. Il fatto che in ogni battuta ci sia una sensibile che poi viene abbassata di un semitono quando è parte di un movimento discendente rende tutto smaccatamente minore. Poi, chiaramente, tutto questo in sede di composizione del pezzo, di riarmonizzazione del frammento, può essere stravolto e reinterpretato
  15. io abito a Crema e ho amici in consiglio comunale. Dubito fortemente che questa proposta (anche nel link è segnata come semplice proposta) possa trovare conferme materiali. Il comune di Crema non c'ha una lira...
  16. io la butto là. Siamo in grado di offrire esempi di musica narrativa e musica non narrativa? Ognuno il suo :-)
  17. Per quanto io sia un indomito sostenitore dell'ascolto, ricordiamoci che secoli e secoli e secoli di musica sono stati concepiti IN PRIMIS per l'analisi. Cioè, all'ascolto le differenze tra Josquin e, non so, Brumel possono essere minime. Gran parte delle cose belle si scoprono analizzando, e nella tradizione compositiva del rinascimento (come del medioevo o dell'ottocento e novecento) i compositori LO SAPEVANO e lo facevano apposta. Il primo e maggiore acquirente dell'opera musicale è l'esecutore (professionista o dilettante) e si dà per scontato che un esecutore sia in grado di effettuare un livello base di analisi. L'esecutore "casalingo" delle sonate di Beethoven ne comprendeva le innovazioni ed è lui uno dei primi artefici del successo del compositore. Non voglio rendere assolutistico questo mio discorso. Semplicemente vorrei che si capisse che non c'è una modalità giusta (l'ascolto) e una modalità "ingiusta", artificiale o anti-musicale (l'analisi). In molti contesti storici le due attività erano integrate. Sarà banale dirlo, ma l'ascolto DOPO l'analisi è una delle cose più belle e gratificanti che ho mai provato :-) lì sì che si può smentire Messiaen, perché se io ho studiato le sue tecniche compositive PRIMA di ascoltare un suo pezzo allora la mia percezione del tempo, e degli eventi nel tempo, cambierà di molto
  18. questa è una premessa che complica le cose. Ci saranno affermazioni che dovrai accettare per dogma... tratti la terminologia musicale come se fosse un sistema matematico formalizzato, con tabelle di verità a cui sottoporre le proposizioni. Non funziona così. le tecniche di analisi musicale moderne andrebbero vissute come proposte non come verità, come teorie in senso forte. Interpretano la musica a loro volta, non la decifrano. Se si parla di analisi musicale, poi, si dovrebbero sempre affiancare degli esempi. E qui, purtroppo, rimetto le mani avanti dicendo che non sono un esperto di narratologia musicale, non ho mai fatto analisi in questo senso, posso solo darne elementi che ho preso a mia volta da sporadiche letture. nel linguaggio tecnico musicale NON ESISTE il termine "conseguenza". Se lo hai sentito, lo hai sentito in modo colloquiale o metaforico. no, scusa, qui a me sembra evidente che ce l'hai con me... a me sembrava OVVIO che mi riferissi a un campo semantico musicale. no, allora... non ci capiamo... in musica non si stabilisce quasi nulla. I dati oggettivi di un'analisi musicale sono pochi ed è buona norma seguire una metodicità nella loro definizione. Quindi, non essendoci una caratteristica tecnica musicale nota come "conseguenza", è vero dire che non c'è la possibilità di accertare oggettivamente nessuna conseguenza in una pezzo musicale. Ma, pur mettendo da parte il discorso che ho provato a fare sui conseguenti (elementi che non ho spiegato perché ne davo per scontata la conoscenza), nel momento in cui non usi in modo tecnico, ma in senso lato, il termine conseguenza, allora puoi accoppiarlo a termini come organicità, elaborazione, sviluppo, che sono la sostanza del nostro discorso. Queste specifiche sul termine "conseguenza" sono, secondo me, puro nominalismo. Ti sto seguendo nel discorso ma è un'impostazione che non condivido. no. Antecedente e conseguente sono due cose precise, almeno secondo la teoria fraseologica di stampo schoenbergiano. Sono le due sezioni di un periodo, ovvero due frasi che hanno una certa relazione fra di loro. La semplice definizione di antecedente e conseguente è semplicemente posizionale, ed è traslabile ad altri elementi musicali diversi dalle frasi. Nel mio sciagurato tentativo di interrogarmi sulle caratteristiche dei conseguenti, ovvero sulla loro supposta "consequenzialità", mettevo in campo una serie di possibilità, avvalorate dalla storia della musica, ma come esempi delle varie possibili forme, comunque irriducibili. ma di quale apertura stai parlando?! Convalide?! Non esiste un tribunale della musica che decide quali conseguenti siano conseguenti e quali non lo siano! Qui si parla di milioni di opere musicali che ci hanno fornito campi di analisi. L'analista, come l'ascoltatore, si rassegna a quello che c'è, non decide lui come può essere scritta una composizione, elabora modelli per comprenderle o per goderne maggiormente. vorrei davvero capire quanto questo sia un discorso generico e quanto si riferisca a me o ad altri. No perché io mi sono sempre considerato un paladino dell'argomentazione. Non esistono "prove" in senso scientifico in musica, ma esistono argomenti a favore, dati, fonti. E nel mio piccolo ho sempre provato a darne il più che potevo. Ma devo dire che è alquanto spiacevole questa discussione. Sarò vittimista ma mi sento ingiustamente alla sbarra. Sul resto, non mi esprimo.
  19. Il tuo commento è molto articolato. Ma mi preme chiarire subito una cosa: 1) io non sono stato aggressivo con te. Ma ho la sensazione chiarissima (qui come nella discussione su Beethoven) che tu sia aggressiva con me. Per quale ragione? Ho detto che sei pignola e hai risposto che "noi" sappiamo tutto. Mi sembrano livelli diversi. Io non sono qui a pontificare, metto a disposizione le cose che so, e decine di volte i miei messaggi contengono la frase "non sono un esperto". Perché non mi considero un esperto di nulla. Sono aperto alle discussioni, ma non mi piacciono i commenti incentrati alla demolizione di miei messaggi. E' anche per questo che ho iniziato il precedente intervento con un pacato "proponi". 2) sono intervenuto in questa discussione senza aver partecipato a quella di cui questa (mi pare di capire) è una propaggine. Solo ora dal tuo commento capisco che c'erano dei precedenti. Non ne ero a conoscenza. 3) nei tuoi messaggi noto una certa sistematicità. Sarei curioso di capire che studi svolgi o hai svolto. Ci sono molte cose in questo tuo ultimo messaggio, molte elementi metodologici, che cozzano con il modo di trattare tipico della musicologia. Mi piace chiarire le questioni, non per questo parlo ex cathedra, ma in definitiva capire quale sia il tuo background potrebbe aiutarmi a mostrarti un punto di vista diverso.
  20. Facciamolo. Cioè, proponi. Io penso che rischiamo di sfociare nel nominalismo. Ci sono termini tecnici e ci sono termini non tecnici. "Conseguenza" non è un termine tecnico, quindi possiamo definirlo solo in modo vago, relativo ai NOSTRI intenti (analitici, compositivi o quello che è) o riferendoci a qualche definizione di altri. "Conseguente" è un termine relativo alla fraseologia musicale, quindi forse possiamo adattare il termine "conseguenza" alle caratteristiche degli elementi conseguenti. I termini conseguenti, siano essi frasi, semifrasi, temi, sono conseguenti in presenza di un antecedente. Questa dinamica è presente in modo molto forte nel classicismo, ma in realtà fa parte anche della sintassi della fuga (dux e comes sono antecedente e conseguente, anche se in una dimensione contrappuntistica e non melodica in senso stretto). In questi sistemi compositivi di riferimento, è ben chiara la presenza di un prima e di un dopo, e di elementi che hanno senso (o aumentano il proprio senso) nella loro posizione di prima o dopo. Definire questo senso è un'operazione analitica, parte da dati di fatto, cioè, mi trovo un periodo e sono io a dover capire quali legami ci siano tra antecedente e conseguente. La storia della composizione dà degli esempi, un "frasario", ma non limita le possibilità. Immagino che questo frasario possa comprendere le infinite tecniche di sviluppo (trasformazione in arpeggi, in scale, frasi a specchio, progressioni e Fortspinnung etc...), ma in una logica triadica di tesi-antitesi-sintesi, potrebbero anche non esserci legami forti tra antecedente e conseguente. Ed è qui che una necessità narrativa, quella dello scontro tra due elementi, rende di fatto coerente l'avvicendarsi di elementi non derivati l'uno dall'altro. Forse "avvicendarsi" non è uguale a "conseguirsi", ma neppure "derivare" è uguale a "conseguirsi". Cioè, i legami tra antecedenti e conseguenti sono legami la cui forza varia rispetto alle libere scelte di ognuno. I termini dell'analisi musicale, come della composizione, non sono scritti nel marmo, hanno sempre un margine di interpretazione. Ed è da questo che prendo la mia risposta agli altri tuoi quesiti. quando ho letto usare il termine narratività, l'aggettivo narrativo, e quando ho letto usare nuovi spunti analitici nel campo della "narratologia", ho sempre considerato la debolezza delle definizioni come un vantaggio. Si parla di uno scenario analitico molto ampio, poco normativo, che di volta in volta tira fuori nuovi conigli dal cappello. Io non sono un esperto, non mi è mai capitato di usare tecniche di narratologia, ma so che esiste anche lì un "frasario" di archetipi narrativi utili ad interpretare alcune dinamiche del discorso musicale. Ci sono dei dogmi iniziali a cui devi cedere, probabilmente. Devi "credere" che esistano delle forme narrative nella musica, anche quando nessuno le ha coniate nella storia della composizione, oppure devi credere che gli esseri umani percepiscono secondo forme narrative, e che quindi anche quando non c'è una specifica volontà del compositore rimane una struttura percettiva in un certo senso "gestaltica" che incasella quel discorso. Forse potrei riformulare la definizione dicendo che la narratività è la capacità di un discorso musicale di adattarsi a degli archetipi narrativi, siano essi volutamente intesi dal compositore o fisiologici all'atto dell'ascolto. su questo non sono d'accordo. La seconda è, anzi, fin troppo stringente, perché non esiste solo una sintassi prescritta, ma anche una sintassi "de facto". Io posso dire che ad un accordo di dominante non dovrebbe seguire un accordo di sottodominante, ma in realtà esistono milioni di casi in cui questo avviene. Anche nelle teorie della composizione la normatività è labile, e ovviamente lo è ancora meno nell'analisi. Per allargare ancora di più la mia definizione di sintassi potrei semplicemente dire che la sintassi è la regola che soggiace alle sequenze di elementi musicali (siano esse regole prestabilite o regole di fatto). Si parla spessissimo di sintassi armonica, ma esistono sintassi melodiche, sintassi formali, sintassi agogiche (ci sono delle regole, scritte e non, che definiscono dove rubare, dove rallentare, dove accelerare), sintassi espressive, sintassi dinamiche. Per comprenderle tutte mi sembra giusta una definizione vaga. e tu sei pignola... in un senso stretto, neppure il tempo è oggettivo. Ho detto (perché l'ho detto) che tempo e temporalità sono cose diverse e la temporalità è sicuramente soggettiva. Come molte soggettività inerenti alla musica, però, è, a volte, condivisa (non esiste solo soggettività e oggettività). Perché? Ogni volta per ragioni diverse. E' dimostrato che esistono meccanismi percettivi che creano un legame temporale tra l'ascoltatore e i pezzi musicali, soprattutto in presenza di alcuni specifici elementi musicali. L'effetto di trascinamento provocato dai ritmi ossessivi agisce in modo quasi inconscio e interviene in modo considerevole nell'elaborazione di una temporalità. Elaborazione, proprio perché rimane, comunque, un meccanismo soggettivo legato all'ascolto.
  21. vogliamo quotare le tue piccate risposte a quel messaggio?? Detto questo, le emozioni di Mozart, Verdi e Beethoven non hanno a che fare col mio discorso, sono state esorcizzate assieme a D'Alessio. Io parlavo di vendibilità e riconoscibilità sociale del prodotto "musica classica". Sull'altro messaggio, non so. Pensi che l'appassionato di musica classica compri pezzi super famosi?
  22. ma io non mi offendo :-) sono abituato a provare affetto verso persone che non condividono quasi nulla di quello che dico :-)
  23. Non proprio, almeno non nel mio discorso. Teleologia significa, letteralmente, discorso orientato ad un fine, ad un obiettivo. Si dice spesso che la visione storica del cristianesimo è teleologica, perché pensano che la storia sia orientata verso l'apocalisse e la resurrezione. In teoria la teleologia parla di "un" fine, non di "una" fine. Il sistema tonale classico è teleologico perché la sua sintassi dovrebbe avere un obiettivo finale. L'obiettivo è la risoluzione di tutte le tensioni sulla tonica. Non è teleologico perché ci sono le tensioni ma perché si sente o si dà per scontato che quelle tensioni si risolveranno. Da qui, tutta una serie di teorie compositive, analitiche e dell'ascolto che tirano in mezzo l'attesa, la costruzione dell'attesa e il discorso direzionato in avanti. Negli ultimi anni del '900 una corrente musicologica statunitense chiamata in modo generico "New Musicology" ha iniziato a parlare di teleologia criticandola. E paragonandola, in chiave strutturalista, all'orgasmo maschile :-) ovvero una costruzione progressiva della tensione (armonica, melodica, espressiva) che porta ad un culmine finale. Il punto è che questo NON E' l'unico modo di scrivere musica. Un rondò, con la sua costruzione ripetitiva, è teleologico solo fino ad un certo punto; il lunghissimo duetto del secondo atto del Tristano e Isotta non è affatto teleologico, almeno non in senso macro-formale; molta musica da danza non è teleologica, moltissima musica antica non lo è; la musica modale lo è solo in parte, proprio perché alcune tensioni sono vissute in maniera meno strutturante che nel sistema tonale, cioè, per esempio (come dicevo), la sequenza delle cadenze non è regolata dalle funzioni tensive, secondo il circolo delle quinte ascendente, insomma. La narratività, invece, è una caratteristica meno tecnica e più metaforica. Tu l'hai definito come un percorso coerente che si identifica nella forma. Tradizionalmente può essere giusta come definizione, ma tra le forme andrebbero inserite anche le microforme. Non è la forma sonata "ebbasta" che rende narrativa una composizione (per quanto la forma sonata sia molto narrativa), è l'uso del tematismo, dello sviluppo, dell'organicismo, della processualità. L'uso dei Leitmotive in Wagner, per esempio, non è legato a delle forme. Ma le sue opere sono narrative in un modo profondissimo proprio perché, a prescindere dalla forma, c'è un continuo sviluppo delle idee musicali. La carica narrativa di un brano si sviluppa anche con il timbro, caratterizzando uno strumento o un gruppo di strumenti. Magari cercando da qualche parte troverei una bella definizione, ma forse potrei definire la narratività come la capacità di un brano musicale di trascinare l'ascoltatore in un percorso forzato.
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