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Piano Concerto - Forum pianoforte

LucaCavaliere

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Tutto postato da LucaCavaliere

  1. Grazie per la risposta Daniele, mi offri lo spunto per ribadire un mia fissa sulla fruizione dell’arte in genere. Sono d’accordo: non ha senso contrapporre contestualizzare e decontestualizzare. Aggiungerei che non solo oggi non ha senso, ma che mai ce l’ha avuto, e che è un falso problema. Tu affermi che «entrambe le cose siano necessarie per poter addentrarsi realmente nei meandri complessi dei grandi capolavori d'arte del passato». Io mi sento di fare una precisazione (non so se sarai d’accordo). Ossia che contestualizzare la lettura di un’opera d’arte serve davvero a entrare nei suoi meandri (come dici tu). Decontestualizzare serve – dove è possibile farlo! – a vedere un po’ cosa esce da i quei meandri di cui sopra: cosa esce oggi, cosa mi dice oggi, questo testo questa musica questo affresco, di cinque secoli fa. La faccio breve perché mi rendo conto che sto riscrivendo con parole mie il tuo pensiero. Per la precisione là dove scrivi: «Ritorniamo dunque, caro Luca, all'importanza del “contestualizzare per decontestualizzare” (…) cosa possa ancora dare e cosa rende quella musica immortale». Faccio solo due piccole sottolineature. La prima è sul buon Mila: uomo coi piedi per terra! Nella piccola citazione che hai riportato – sull’uso dell’intervallo di quinta nella Sinfonia Pastorale – si capisce bene come egli desse sempre la precedenza alle opere d’arte come “campo di osservazione” e come ‘l’estetica’ con le sue teorizzazioni arrivi successivamente alle opere d’arte (e in sub-ordine a queste). La seconda è sulle affermazioni di Bloch riguardo il condizionamento sociale che la musica “subisce”. In particolare trovo curioso (nel senso che trovo interessante) il parallelo Oratori di Haendel < > ascesa imperialistica dell’Inghilterra, e anche tutti gli altri che vi sono riportati. Davvero interessante ma . . . non vado oltre. Come già sai, sono incline a decontestualizzare. E, qui sì, davvero mi ci potrei perdere ! Ma non ti pare che contestualizzare e decontestualizzare siano un po’ come un dualismo (concetto che ti è caro) nel rapporto con un’opera d’arte? E che bisogna serenamente accettare che alcuni di noi propendano per l’una o per l’altra pur riconoscendo l’importanza di entrambe? Un caro saluto a tutti! Luca
  2. Non credo che a nessuno, tra noi, interessi stilare classifiche e primati nella musica. Lo dico per me, e lo vedo anche in voi: sia in chi le rifugge con disgusto (Thallo), sia in chi (Daniele) si presta a porre mente a un fenomeno, che pure è avvenuto nella storia della critica musicale, cercando di capirne quali erano i fondamenti storico culturali di certi giudizi (sensati o insensati che fossero) talvolta approvandoli, talvolta rifiutandoli. Poi, è chiaro che ognuno di noi ha le sue personali classifiche “di gradimento” [termine riduttivo ‘gradimento’: non so quanti si sentirebbero soddisfatti di sostenere che ascoltano Beethoven, o Mahler o chi altro, solo «perché è gradevole». Ma tant’è. Per quel che voglio dire mi tengo questo termine con tutta la sua pochezza] È un gioco infantile dire chi sono, per me, i giganti, i grandi, i buoni, i meno grandi ecc. Ma è un gioco ingenuo a cui mi presto volentieri. Non fosse altro perché in passato, nel vecchio forum di Armando Orlandi, più di una volta grazie a uscite “ingenue” ho ricevuto stimoli per approfondire meditare e scoprire punti di vista e opere musicali a cui, forse, non mi sarei avvicinato. Certo: «la musica d’arte è cultura» (Lo ha scritto ttw e io sono d’accordo). Ma quando tre giorni fa ho scritto di preferire la musica alla cultura, intendevo dire – forse troppo laconico – che la musica rimane sempre ‘al di là’ di un qualsiasi ‘parlare di musica’. Questo intendevo. A me piace ‘parlare di musica’ e leggere saggi critici. E anche ‘parlare di musica’ per me è cultura. Ma tengo a precisare che ritengo altrettanto serie sia le analisi rigorose sia esternazioni più emozionali. Non c’è un solo modo di parlare di musica (e di arte in genere). È corretto ‘contestualizzare’ ma, personalmente, trovo più bello ‘decontestualizzare’. Ovviamente si può dissentire ma, per me, gli scritti di Roman Rolland meritano lo stesso rispetto della analisi di Hanslick: non per benevolenza ma per pari serietà. Ripeto: non c’è un solo modo – buono e fecondo – per ‘parlare di musica’. E mi conforta che in epigrafe alla Missa Solemnis Beethoven non ha annotato “dalla mente – possa giungere alle menti” (eccelse), ma, come sappiamo, «dal cuore – possa giungere ai cuori»
  3. Benvenuto Az201056 ! approfitto per ringraziare maestrosfredda per la ballata in SI di Brahms . . . incantevole!
  4. va bene. chiamala cultura. (preferisco la musica)
  5. Anzitutto voglio espletare le formalità del topic: 1) B&B! Beethoven Bach 2) Mozart, Haendel 3) Vivaldi, Corelli, Schumann, Mendelsshon, Benedetto Marcello, Preisner 4) . . . . . E poi dire un'impressione. Forse finirà a birra e salsicce. È ben prevedibile. Ma in questa discussione c’è un “problema” di fondo: quando si afferma qualcosa che si sente nascere ‘da dentro’, si finisce sempre per fare ragionamenti ‘politicamente scorretti’ (e venire bacchettati). È pur vero che a scuola non sono belli i discorsi su chi sia il primo della classe. Ma qui non stiamo parlando di una scolaresca. Parliamo – in loro assenza – di grandi artisti del passato più o meno lontano. Parliamo di uomini che hanno lasciato ‘qualcosa di impalpabile’ ma che sentiamo come parte prepotente – e buona! – della nostra vita. Mi pare una cosa ‘sana’ che ognuno di noi metta sul tavolo ciò che sente dentro. Gran bella cosa, a pensarci bene, la Musica... a cercare di parlarne senza sofismi, mettendo a nudo il proprio sentire, si finisce inevitabilmente nella scorrettezza e nella parzialità. Io me ne sono fatto una ragione: per parlare di Musica – non di forme, non di armonia – in modo vivo, partecipe, fecondo di suggestioni, non ci sono che modi “scorretti”. Ma parlare di opere musicali in modo rigoroso e corretto mi pare che non porti che a quello: alla soddisfazione (!?) di aver fatto qualcosa di rigoroso e . . . corretto. ciao a tutti Luca
  6. Ciao a tutti, mi sono letto il vecchio topic segnalato da Frank (grazie) e anche il nuovo aperto da Daniele su Il primato nella musica. io, nel tentativo di portare qualche spunto, rimango per il momento "sulla sonda Voyager". Per due motivi. 1) primato nella musica 2) comprensione della musica. 1) Primato. Le persone che hanno deciso cosa ci dovesse essere su quel disco allegato al Voyager hanno fatto, a loro volta, un discorso sul primato nella musica. é abbastanza usuale fare ad altri, o a se stessi, la domandina «su un'isola deserta potendo portare non più di 10 cose . . . cosa porterei?». Quelli invece si sono chiesti «volendo allegare un "curriculum" dell'umanità [e non avendo (sfortunatamente?!) una USB da 32GB] . . . Cosa mandiamo?». è chiaro che, in buona coscienza, avranno cercato di scegliere il meglio. 2) Comprensione. Immagino che coloro che hanno fatto queste scelte sperassero, anche solo un pochino, che un eventuale altra civiltà oltre il nostro sistema solare ascoltando il primo movimento della Quinta lo potessero capire, apprezzare, e che facesse anche a loro come a noi drizzare i peli (ammesso che li abbiano ). Ora mi riallaccio alla domanda che Thallo rivolgeva a CrazyPiano il 24.04.2012 nel topic segnalato qui sopra da Frank: Cosa intendiamo con "comprendere"? io riflettendoci, tempo fa, avevo trovato questa risposta. 'Comprendere' è com-prendere: prendere 'con me'. Sentire che quella cosa (quella musica, quel dipinto...) fa un po' parte di me, del mio mondo interiore. E Sentire che anch'io (nato da così pochi anni) appartengo un po' a quella musica nata molto prima di me, che in lei mi sento 'compreso' , 'capito', e che con lei sto bene. Mi piace. Ma se una determinata opera la sento così "mia", è perchè ho respirato la sua stessa aria, appartego allo stesso terreno (storico-culturale). è per questo che non comprendiamo la musica cinese (http://www.pianoconc...te-ed-occidente). Per lo stesso motivo per cui non comprendiamo il Cinese: non ci siamo stati immersi. Ma non capiamo nemmeno l'Italiano prima di esserci stati immersi per almeno due anni (pur senza ancora saperlo parlare). Poi, in età adulta, può esserci conoscenza anche senza comprensione. Voglio dire che posso venire a conoscere come si dice 'mamma' in Cinese senza davvero com-prendere quella parola: senza che risuoni dentro di me come dentro un Cinese, o come dentro di me risuona 'mamma' in Italiano. Immagino però - chi conosce bene un'altra lingua può dirlo - che dopo un po' di 'immersione' in una lingua nuova, oltre al significato delle parole (conoscenza), emerga anche il 'sapore' delle parole (comprensione). Purtroppo è un'esperienza che a me manca. Dunque se noi non capiamo il Cinese (la musica o la lingua, è lo stesso) così . . . con uno schiocco di dita, mi sembra molto improbabile che un eventuale alieno possa capire ed emozionarsi ascoltando quel disco che c'è sul Voyager (chissà dov'è? ). Ad ogni modo, da fervente beethoveniano, mi ha sempre fatto piacere che il primo movimento della Quinta fosse tra gli eletti (. . . che la giuria fosse popolare o musicologica . . . ) ciao!
  7. Eeehhh . . . Daniele (la battuta di Barth ) volevo citarla io nella mia domanda ma poi, siccome sei già influenzato . . . ho pensato di evitare a parte gli scherzi: grazie della tua ampia risposta. risposta che sgombra il campo da tanti falsi problemi. Mi fa molto piacere che tu chiudi dicendo «perché è a chi parla oggi che ha solo importanza». è vero: questo è ciò che importa. E mi fa piacere anche che tu - bella sorpresa per me! - allarghi il discorso a tutti quegli altri musicisti per cui non son state spese metafore bibliche, ma altrettanto benefici per noi oggi. Grazie! e non aggiungo altro.
  8. Caro Armando, è vero quel che dici: «quando si è in vita, e si gode ancora di una discreta salute, non si pensa di scrivere testamenti spirituali». Sono altri – dopo, e anche molto dopo – che in alcune opere, in alcuni testi, scorgono qualcosa di grande, di bello, di totale. E allora l’entusiasmo di trovarsi di fronte a una grande opera (in un rapporto vivo, partecipe) fa nascere parole come ‘messaggio’, ‘summa’, ‘testamento’. Queste espressioni sono frutto di un giudizio retrospettivo. Certo. Beethoven mica pensava a scrivere un “Nuovo testamento” con le sue sonate per piano. Ma ci sono persone – e non sono poche – che non considerano ingenuo o maldestro un giudizio di questo tipo: retrospettivo, legato alla propria epoca (e non a quelle in cui l’opera è nata), svincolato da quelle che potessero essere “le-intenzioni-originali-dell’autore”. Probabimente Hans von Bülow e Andras Shiff sono persone così. E anche io sento più fascino in questo modo di rapportarsi a qualcosa che mi arriva dal passato in cui sento la scintilla di qualcosa di grande (mamma mia!... potevo scrivere ‘opera d’arte’ e facevo prima). Metto le mani avanti: dico che mi sento più attratto da questo tipo di approccio, il che non vuol dire che ritenga inutili gli studi che mirano a una contestualizzazione storica dell’opera in questione. Ma anche in tempi lontani da romanticismo e tardo romanticismo, è pur sempre frutto di un giudizio retrospettivo, quello per cui venne canonizzato un Antico Testamento e Nuovo Testamento. Non credo che San Paolo – ma nemmeno tutti gli altri autori delle Scritture – quando scrisse le sue lettere alle varie comunità cristiane intendesse contribuire al corpus della Bibbia. Faceva quel che sentiva di dover fare, e basta. ‘E Basta’… per lui. Altri, dopo di lui, con occhio retrospettivo hanno avvertito queste sue lettere come parte di un Nuovo Testamento. . . . . Tutte boutades? . . . Buon pomeriggio Luca
  9. Scusa Daniele, una cosa non ho capito nel tuo chiarire la metafora di Hans Von Bülow (quello che pensava lui non è che mi interessi molto) ma . . . tu? senti che Bach con la sua musica parlasse direttamente con Dio? e un po' meno agli uomini? (a prescindere dal fatto che ci scrivesse sotto "Soli Deo Gloria") un caro saluto Luca
  10. Un saluto a tutti, a Daniele Scarpetti e Armando Orlandi in particolare (che conoscevo già dal precedente forum del sito di Armando) ma un «grazie!» a tutti per i vostri pensieri, i vostri spunti che leggo da alcuni giorni. Quest'ultimo argomento mi ha invogliato a portare qualche riflessione anche da parte mia. Quando ho letto nell'itervento di Thallo del 31 gennaio che il gusto non è solo questione di «mi piace/non mi piace» ma che vada anche inteso «come capacità di comprendere e recepire l'elemento artistico di qualcosa» mi è tornato un pensiero avuto qualche anno fa. Che sul gusto (sui gusti) non si debba discutere, è un imperativo che non porta da nessuna parte: a nessuna crescita. Sui gusti si deve discutere. Con rispetto. Ognuno di noi, in un monologo interiore, sui propri gusti “discute”. È vero che al cuore non si comanda. Ma questo non vuol dire che “la testa” non abbia diritto di chiere “al cuore” di rendere un po' conto (anche senza dettagliare) delle proprie scelte. A me capita di chiedermi cosa ci trovo in quel concerto di Corelli (ad esempio) che mi incanta: cosa ci trovo che in altri brani non trovo così, o trovo con sfumature diverse. Capita a volte di essere i più severi giudici di se stessi (almeno, a me è capitato). Venti anni fa non apprezzavo le Variazioni Goldberg, eppure sono un capolavoro. Pure le Diabelli fino a quattro anni fa non è che mi fossero . . . così vicine. Eppure sono un capolavoro, eppure adoro Beethoven... cos'è che non capivo? Cosa avevo che non andava? Non è possibile, secondo voi, che nel rapporto estetico con un'opera d'arte (qualsiasi, anche non musicale), ci sia un fattore di affinità spirituale? . . . io penso di sì. Certo, un minimo di erudizione in materia aiuta, ma non può essere la garanzia di un “buon matrimonio” (tra l'ascoltatore e l'opera in questione). Chi è in gradi di “vivisezionare” la Grande Fuga op.133 a livello formale armonico contrappuntistico, non è detto che ne sia poi veramente . . . toccato nel profondo. Penso che ci siano esperienze, percorsi di vita, di vedute (tutte cose che ognuno di noi porta dentro e che sono in continua evoluzione) che a seconda del fatto che facciano o non facciano parte del nostro vissuto, ci consentono o ci negano un rapporto “cordiale” con una determinata opera (a volte con tutta l'opera di un compositore, o di una determiata epoca, o di un determinato stile). Tutto ciò a prescindere dal fatto di essere in grado di riconoscerne il valore storico e le dinamiche interne a livello strutturale. Il gusto (il godimento di una determinata opera) mi pare una 'sintonia spirituale': a volte c'è, a volte non c'è, a volte può scoccare dopo anni di incomprensione, a volte proprio non c'è nulla da fare. Questa mia stessa idea, mi pare di indovinare nelle parole di Bernstein riferite alla comprensione della musica di Mahler « (…) solo ora, dopo due guerre mondiali, dopo le barbarie perpetrate dal nazismo e dal comunismo, dopo l'olocausto, la guerra del Vietnam e la strage dei giovani in Cina, ecco proprio dopo tutto questo noi siamo ora veramente in grado di ascoltare la musica di Mahler in modo più cosciente, di comprenderne il significato e il valore profetico.» [L. Bernstein – E. Castiglione, Una vita per la musica – conversazioni, Ed. Pantheon, 2003, p. 124]
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