Una premessa e un augurio: Spero che un giorno si abbandoni il termine tecnica pianistica, termine che a me dà il senso di un freddo meccanismo, per un termine che dia più il senso di approccio ad un’attività musicale, nello specifico, pianistica. Il termine “pianismo” potrebbe avvicinarsi, a mio parere, a questo concetto.
Quelli che seguono, sono miei ragionamenti sul pianismo, con la speranza che si sviluppino grazie ad interessanti interventi di altri utenti, non hanno la benché minima pretesa di essere dei precetti, conscio dei miei limiti di pensiero e conoscenza, e conscio che il pianismo deve ancora porre la parola fine alla sua definizione.
La prima considerazione che mi piace fare quando ascolto suonare un strumento musicale o quando io stesso suono uno strumento musicale, è definire, quanto più possibile, in che modo si forma quella musica che fuoriesce da quello strumento musicale.
Così trovo in questa ricerca di definizione un primo problema specifico, il problema dell’approccio allo strumento, ogni strumentista ne ha uno diverso, perché diverso è lo strumento che si intende utilizzare.
Il pianoforte in particolare (generalmente tutti gli strumenti da tasto), poi, ha un’ ulteriore specificità, il problema della distanza tra l’azione del pianista (ridotto ai minimi termini, si tratta del contatto tra dita e tasto) e il suono prodotto, dovuta ad un meccanismo complesso (la meccanica del pianoforte), che si interpone tra il corpo del pianista e le corde, decisamente non si tratta di un rapporto diretto.
L’obiettivo di ogni musicista è tradurre la sua idea di musica, il pensiero che ha il musicista, e come poi viene realizzato nella musica vera e propria, nella vibrazione dell’aria.
Dal punto di vista fisico la vibrazione dell’aria si trasmette all’apparato uditivo dell’ascoltatore immerso nell’ambiente.
Passando dall’apparato uditivo al cervello si raggiunge l’elaborazione ultima del messaggio musicale dell’interprete.
Il pensiero musicale del pianista non è altro che la sua elaborazione cerebrale dello spartito musicale.
Il tramite del pensiero musicale del pianista (come di qualsiasi altro strumentista), ossia della sua elaborazione cerebrale, è il corpo dello strumento, il proprio corpo, l’ambiente, il corpo dell’ascoltatore e infine l’elaborazione cerebrale dell’ascoltatore.
In questo contesto, per brevità, faccio coincidere ascoltatore con esecutore, tant’è così nella fase di studio.
Bisogna che il tramite (o catena di passaggi) non sia un ostacolo alla realizzazione del pensiero musicale, ma che rimanga un semplice tramite, poiché l’obiettivo per un interprete è realizzare la sua visione della musica, nient’altro.
A questo livello di discussione il corpo dello strumento, il corpo dell’esecutore, l’ambiente, il corpo dell’ascoltatore, l’elaborazione cerebrale dell’ascoltatore, sono di minore importanza rispetto al pensiero musicale e alla sua realizzazione, talmente minore che l’ideale (chiaramente non realizzabile) sarebbe che non esistessero.
L’ambiente in cui si diffonde il suono, ha una grande importanza per la corretta realizzazione del pensiero musicale dell’artista. Questo è un problema che non sarà mai risolto solo nella fase di studio del pezzo, ma anche nella fase delle prove generali prima e addirittura durante il concerto stesso (accenno solo al fatto che può cambiare in modo significativo la resa sonora dell’ambiente al variare del numero delle persone presenti in sala).
Altra variabile in gioco (specifica del pianista e di non indifferente incidenza), è lo strumento che dovrà utilizzare nel luogo del concerto. Alcuni fortunati pianisti, allo scopo di risolvere questo problema, utilizzano sempre e solo il proprio strumento, sobbarcandosi perciò i relativi rischi di trasporto e i costi.
Ora, facendo coincidere (per semplicità e ipotizzando che siamo nella fase di studio), corpo dell’esecutore e corpo dell’ascoltatore, elaborazione cerebrale dell’esecutore ed elaborazione cerebrale dell’ascoltatore, le variabili in gioco ai fini della realizzazione musicale sono il corpo dell’esecutore, il corpo dello strumento, l’ambiente.
Il pianista si trova perciò nella condizione di dover risolvere il problema del rapporto pensiero musicale-corpo dell’esecutore-corpo dello strumento musicale-ambiente.
Risolvere questo problema significa realizzare il pensiero musicale.
Per quanto riguarda il rapporto pensiero musicale-corpo dell’esecutore, qui è il nucleo dello studio del pianoforte, aggiungo, basterà una vita di studio per dire fine alla sua soluzione?
Importante per il pianista, per una maggiore consapevolezza di sé, è conoscere in generale l’anatomia della mano, delle braccia e delle spalle, la funzione muscolare e scheletrica.
Mi piace sottolineare quanto vengono in aiuto le molte teorie sull’educazione motoria e, in particolare, il metodo di educazione attraverso il movimento di Feldenkrais.
Cos’è il pianismo, nella sua essenza, se non consapevolezza dei movimenti del proprio corpo al fine di realizzare un pensiero, nel caso specifico, musicale?
Per la realizzazione di un pensiero c’è bisogno di concentrazione, molta concentrazione, se c’è bisogno anche di un feedback uditivo.
Anche qui entrano in gioco le molte tecniche, di origine orientale, per raggiungere la concentrazione.
Il pianismo comporta movimento, respirazione e rilassamento. La tecnica orientale del Tai Chi Chuan, guarda caso, tratta proprio queste “problematiche”.
Per quanto riguarda il rapporto pensiero musicale-corpo dello strumento musicale viene in aiuto un bravo tecnico del pianoforte, quello comunemente chiamato accordatore, che sappia ascoltare le richieste del pianista e che le sappia realizzare.
Per quanto riguarda il rapporto pensiero musicale-ambiente è necessario un adattamento dell’esecutore nell’emissione del suono, adeguata alle dimensioni e alle risonanze in ambiente, è un lavoro che va assolutamente fatto, come detto sopra, anche in fase di prove generali e durante il concerto stesso.