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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. Secondo me conosci troppo poco del Sommo per pretendere di avere un rapporto con la sua musica. Ti consiglio, come avevo fatto oggi, di ascoltarne molto e meglio. Non è detto che debba piacerti per forza, ma da come ne parli lo conosci in maniera molto superficiale. Invece di fare zapping e cercare solo i pezzi che dimostrano la tua teoria, dovresti cercare tutti gli altri, ce ne sono moltissimi, fidati! Ho la stessa sensazione di Carlos. Forse Giovanni Bietti con le sue lezioni di musica potrà farti cambiare idea| http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-4e02a2ec-4046-486f-b7b2-54b8a5ab86ab-podcast.html?refresh_ce
  2. Chiedo scusa se solo ora mi appresto a rispondere ma purtroppo il tempo mi è tiranno. Ringrazio innanzi tutto Simone Renzi per l'ospitalità che mi concede in questo forum e poi mi sembra prima doveroso dare una risposta a questa affermazione di Pio: « Non mi ero reso conto della complessità della domanda che ingenuamente ho posto, ci sono spunti per fare 10 conferenze. Avrei altre domande che mi stanno tormentando a seguito delle vostre sollecitazioni...metabolizzerò un po' la cosa e vedremo » La tua non è una domanda ingenua è al contrario una domanda che centra l'obiettivo nel senso che, dal mio punto di vista, è vitale perché la musica colta continui a vivere e, sarebbe importante, che questa domanda ce la ponessimo con più insistenza cercando di trovarne la sua giusta risposta. Vengo ora a Thallo che ringrazio molto perché, pur nella sua estrema criticità nei confronti di quanto da me scritto, ha ritenuto valesse la pena analizzare il tutto con così estrema puntigliosità. L'esperienza di anni nei forum mi insegna che quando ci si trova di fronte a opinioni così contrapposte non ha molto senso continuare una discussione che, comunque sia o sarebbe, porterebbe ad un nulla di fatto, in quanto le due parti in causa rimarranno sostanzialmente ferme nelle loro idee e dunque come hai concluso giustamente tu: « vabbè, io ho detto la mia, tu hai detto la tua ». Non starò dunque qui a perorare le mie idee in quanto se qualcun altro vorrà – ma non mi sembra – potrà dire la sua in merito, però ci tengo a fare alcune puntualizzazioni tra il serio e il faceto. Se si volesse trovare un unico termine per distinguere quella che a me piace chiamare “musica colta” e, non tanto o non solo la musica da discoteca, ma la musica leggera o pop, penso che esso sia “complessità”. Non condivido. Ci sono "delle" complessità, non c'è "la" complessità. E' lo stesso discorso che facevo sul valore e sui valori. La galassia del "pop" ha approfondito complessità diverse da quelle approfondite dalla musica che tu definisci "colta". Qui mi fermo subito dicendo che il mondo accademico, oggi, tende a parlare di musica colta in modo inclusivo, inserendo al suo interno parte del repertorio una volta considerato "pop". E le spinte del mondo anglosassone portano a liquidare sempre di più le differenze tra colto e non colto, sia da un punto di vista sociologico (la cultura è cultura, che sia accademica o popolare) sia da un punto di vista tecnico-musicale (come dicevo, le complessità del pop sono complesse tanto quanto quelle della "classica"). Sì ci sono delle complessità ma soprattutto direi che c'è il “grado di complessità”. Dal mio punto di vista l'unico momento in cui la musica pop – o rock che si voglia chiamarla – ha raggiunto un certo grado di complessità fu la fra la fine degli anni 60 e gli anni 70, quando facendosi megafono della ribellione giovanile espresse delle potenzialità veramente eccezionali e notevoli che si avvicinarono e anche emularono quelle della musica colta. Mi riferisco a Hendrix, Zappa e a gruppi come gli Area, Il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata forneria Marconi in Italia e soprattutto nell'area inglese ai Deep Purple, Emerson, Lake and Palmer, i Genesis, i Jethro Tull, i Kim Crimson, i Led Zeppelin, i Pink Floyd. Ma ben presto anche questa grande corrente cadde in mano alla cultura dominante, quella industriale, e anche loro entrarono nei ranghi. Pare dunque assai improbabile poter convincere qualcuno che frequenta solo canzoni circa l'importanza di avvicinarsi a musiche che hanno come peculiarità principale rispetto a quella da loro abitualmente ascoltate, la complessità. argomenta questa importanza di avvicinarsi a musiche complesse. C'è stato un momento nella tua vita in cui hai deciso di ascoltare musica complessa per migliorarti, per attuare dei cambiamenti di qualche tipo, o semplicemente lo hai fatto e lo fai per ragioni di gusto? Penso, almeno in questo, di essere stato fortunato. Nella famiglia mio padre ascoltava la musica classica e lirica, ho avuto amici che ascoltavano la musica di quei grandi gruppi di cui sopra e del nuovo ed emergente fenomeno dei cantautori, parenti che ascoltavano il jazz – a pensarci bene manca solo il vicino di casa – e ho così potuto farmi un'idea di tutti i generi musicali e di conseguenza ho scelto quello più conforme ai miei gusti. L'importanza all'avvicinarsi a musiche complesse equivale a quella di avvicinarsi a testi letterari di grande complessità, alle arti più complesse: non rende la vita né meno bella né più bella ma ti fa sentire un po' meno ignorante e ...questo non guasta mai! Che ne dici? Fermo restando i gusti personali che devono restare sempre e comunque indiscutibili, la bellezza in musica è trasversale, nel senso può appartenere a tutti i generi musicali e non c'è nulla di strano se anche chi frequenta la musica colta, ascolti musiche di altro genere. Tempo fa lessi – non ricordo ora dove – che “Immagine” di John Lennon era stata decretata come la più bella canzone al mondo. Non m'interessa qui discutere quanto sia lecito o giusto decidere cose simili – e altrettanto potrei dire di sinfonie o quartetti ecc. - e non conosco esattamente i termini per cui essa ha meritato questo primato, – immagino che la bellezza della melodia e il testo di grande valenza poetica e contenutistica abbiano fatto la parte del leone – quello che qui mi importa affermare è che indubbiamente è bellissima e che, questa come tante altre canzoni, la preferisco all'ascolto rispetto a sinfonie che proprio non mi piacciono. Ecco, lasciando da parte i discorsi sulle complessità, "Imagine" è una canzone dalla portata storica gigantesca. Nessuna composizione di Sciarrino ha un ruolo tanto pesante nella storia dell'uomo. Questo rende di per sé importante e "colto" conoscerla (fermo restando che l'apprezzamento è una questione di gusti, appunto) In realtà come afferma invece il maestro Sciarrino questa: «(...) congiunzione ideale e originaria fra artisti e masse (...) si è verificata eccezionalmente nella storia, per esempio per la tragedia greca e il melodramma ottocentesco». Seconda volta che chiami Sciarrino "maestro". C'è una relazione di qualche tipo tra te e Sciarrino? a me piace la musica di Sciarrino, ma ci sono persone che fanno i musicologi o gli storici della musica, e ci sono persone che fanno i compositori. L'analisi di Sciarrino è così sintetica da diventare fuorviante. Da quanto dice Sciarrino sembra che il successo del melodramma ottocentesco italiano sia qualcosa di più del successo della musica pop oggi. O almeno tu la metti così. Non conoscendo fino in fondo il testo di provenienza della citazione, non so cosa volesse davvero dire Sciarrino. Ma anche in questi termini, è tutto un discorso connotato. Non si possono paragonare con questa facilità le situazioni dell'Atene di Pericle, dell'ottocento milanese e di oggi (un oggi allargato, perché magicamente se parliamo di oggi parliamo del globo). Quindi, a meno che il discorso non si faccia più specifico, più preciso, preferisco non dare opinioni in merito. Sai Thallo caro, son sicuro che in tutto il mio farneticare, non ho mai nominato un'opera del maestro Sciarrino da portare da esempio né tanto meno da paragonare ad alcunché, tanto meno la canzone “Immagine”. Se ho nominato due volte il compositore siciliano è solo perché, almeno in questo caso, mi trovo in sintonia con il suo pensiero. Questo non vuol dire che necessariamente io sia sempre in sintonia con lui né tanto meno penso che un pensiero coincida nel bene e nel male con il valore qualitativo del comporre in una persona. Se dunque vorremo parlare dell'importanza reale o presupposta del maestro Sciarrino sarà dunque opportuno aprire un altro topic. Però ora che ci penso la tua provocazione mi fa venire alla mente una specie di gioco. È vero Thallo, non posso darti almeno qui che ragione: la canzone “Immagine” ha una portata storica gigantesca. Ma prendiamo quello che tu consideri il più grande fra i compositori di musica colta del secolo scorso – per me è Stravinskij, ma ti lascio a te giustamente la scelta – e di questi, prendi un suo capolavoro assoluto. Ebbene secondo te ha più importanza storica “Immagine” o quel capolavoro assoluto di quel compositore? Ho il sospetto e il timore che la tua risposta sia sempre “Immagine” e, purtroppo, ancora una volta a giusta ragione. E dimmi da questo cosa dovremmo dedurre? Quanto al “maestro” con cui chiamo Sciarrino, che anche tu dici piacerti, come dovrei chiamarlo essendo lui un compositore e per di più di una certa levatura: avvocato? Ingegnere? Architetto? Dottore?...Non certo Salvatore perché, posso assicurartelo, non è mio cugino. Di questa cosa ne ho avuto l'ennesima riprova leggendo sul quotidiano “La Repubblica” di venerdì 11 gennaio 2013, l'intervista ad Alessandro Baricco, musicologo, romanziere, scrittore di saggi e altro ancora. Baricco negli anni novanta scrisse un libro dal titolo “L'anima di Hegel e le mucche del Winsconsin” i cui contenuti furono da me in parte condivisi e in parte no. Se assolutamente incondivisibile mi apparse il suo finale contenente un'aperta critica a tutta la musica atonale da Schönberg in avanti, mi trovai invece in assoluta sintonia nel suo inizio, quando Baricco laureatosi sul filosofo Theodor Adorno, riporta una sua affermazione: «Le opere d'arte, e completamente quelle di suprema dignità, attendono la loro interpretazione. Se in esse non ci fosse niente da interpretare, se esse ci fossero e basta, la linea di demarcazione dell'arte sarebbe cancellata» così poi proseguiva di suo che la conseguenza è dunque che: «(...) si determina come musica colta, qualsiasi prodotto musicale a cui aderisca, nella realtà, la prassi dell'interpretazione.» Ora è indubitabile - dal mio punto di vista almeno - che se le altre Arti richiedono il bisogno dell'interpretazione di chi le fruisce, la musica colta richieda invece innanzi tutto l'interpretazione di chi quella massa sonora la rende fruibile al pubblico che a sua volta può intenderla e interpretarla in modo soggettivo. Oggi invece, Baricco non la pensa più così cancellando quella «linea di demarcazione» affermata da Adorno per distinguere l'Arte dal resto. Infatti lo scrittore così afferma: «(...) bisognerebbe capire che siamo andati oltre. Non c'è più nessuna linea di demarcazione tra l'arte colta e arte popolare. Esistono cose brutte e cose belle, vive e morte, semplici e più complesse. Tutto qui (...). Non ho rinnegato Adorno, ma conoscendolo bene ho potuto valutarne nel corso degli anni gli errori tragici ». Addirittura! - «C'è un errore di partenza. Noi scambiamo per arte colta un'arte che al tempo era popolare. Il teatro di Verdi era popolare. Era quello che facevano a quel tempo, senza domandarsi se fosse colto o popolare.» Ecco dunque che il processo di omologazione e conformismo del nostro tempo arriva a compimento e quando, intellettuali, uomini di cultura come Baricco ad esso si assoggettano c'è veramente da temere il peggio. Argomenta questo peggio :-) cioè, a cosa può portare questa cosa? All'estinzione della razza umana ed alla tirannide di una razza aliena? Non amo Baricco, ma credo personalmente nelle differenze di merito (di valore, potremmo dire qui). Evitare di distinguere tra musica "colta" e musica "non colta" ci permette di trovare cose belle e cose brutte in entrambe. Ovvero di fare differenze a posteriori (dopo analisi) e non a priori. Adorno oggi viene criticato da moltissimi, io non lo sopporto, per esempio, ma immagino che la mia opinione accademica sia ancora poco forte in questo senso... ma oltre al fatto che non vedo come un mondo di accademici anti-adorniani possa cambiare un mondo su cui Adorno non ha avuto NESSUNA influenza, dovremmo rassegnarci un attimo alla storia che va avanti. Il nostro discorso non cambierà nulla, le invocazioni contro o a favore dei bei tempi andati non cambieranno nulla, la storia dell'arte la fanno gli artisti e non i musicologi ed i musicologi dovrebbero cercare al massimo di interpretarla, di capirla, non di osteggiarla. Dire "non c'è più niente da capire" o, un po' come faceva Adorno, "voi credete di capire ma in realtà non c'è niente da capire" ha il valore di un borbottio di fronte ad un bianchino seduti al tavolo di un bar bergamasco. Io almeno la vedo così. Quanto detto prima sul maestro Sciarrino equivale anche per il filosofo Adorno: non ho espresso giudizi di merito sulla sua filosofia e qui non ha alcun senso farlo. Se l'ho nominato è perché Baricco ne parla e perché mi riconosco in questa sua frase. Il riconoscersi in un pensiero di una persona non vuol dire automaticamente condividerne tutto quello che lui dice. Se rimaniamo in tema di musica, ad esempio, non condivido per nulla quello che Adorno affermò circa la Messa Solemnis di Beethoven. Il peggio Thallo è quando si perdono pezzi della nostra cultura soprattutto quella che viene da lontano e ha un immenso valore. Ma lo è per qualsiasi pezzo di cultura. Ad esempio noi in Italia stiamo perdendo i dialetti – e cioè un grande patrimonio culturale popolare in questo caso – è una grave perdita che anche in questo caso non ci porterà né all'estinzione né alla tirannide ma che ci farà più poveri dentro. Già fin dalla premessa quel «bisognerebbe capire che siamo andati oltre» mi fa rabbrividire. È la solita solfa che accade ogni volta che una “nuova cultura” vuole scalzare la “vecchia”: si cerca di annullare quanto precedentemente affermato. Non condivido queste affermazioni a molti livelli. Come dicevo prima, penso che quando si parla di musica si dovrebbe ricordare che la musica è storicizzata, cambia col tempo e i suoi significati cambiano rispetto al tempo, alla storia, al momento in cui si ascolta, si compone, si suona. La "nuova" musica è nuova, la vecchia musica è vecchia. Bisogna rassegnarsi a questo, cercando di non estremizzarlo. Bach è vecchio, potete illudervi quanto volete ma Bach è vecchio non solo, chi ascolta oggi Bach (uno a caso dei tanti Bach) lo fa con orecchie diverse, con metodi diversi, con aspettative diverse. Ignorare tutto questo è da ingenui. Mi verrebbe da dirti che qui mi fai inorridire se i giovani musicologi la pensano tutti così siamo fritti. Dal mio punto di vista qui sei tu che affermi « una grande, grossa e grulla panzana ». Definire la musica di Bach in questi termini – come definire così quella dei massimi compositori del passato – è uno sbaglio che dimostra, ancora una volta, all'ennesima potenza quanto anche persone di grande cultura e intelligenza – lo so che tu lo sei! - si stiano omologando e conformizzando all'andazzo negativo dei tempi attuali. Quello che per altro mi meraviglia e mi rattristisce di più è constatare come in questo forum frequentato da tanti musicisti, nessuno – dico nessuno! – abbia avuto nulla da ridire almeno su questo. come quando a inizio novecento abbiano scalzato il romanticismo, e infatti oggi Chopin, Liszt e Schumann non li conosce nessuno e invece ascoltiamo tutti Korngold? In tal senso, la "cultura" novecentesca non ha scalzato la cultura romantica,. Il fatto che ci sia stata questa volontà da parte dell'intellighenzia e di molti compositori di inizio Novecento non vuol dire che questo sia poi accaduto – e per fortuna – ma questo non toglie che ci sia stato questo durissimo attacco. Pensa a Debussy e pensa, soprattutto a Stravinskij e a Cocteau. Guarda Thallo ora ti propongo uno scritto di un altro filosofo a noi contemporaneo di nazionalità spagnola, Eugenio Trias – dopo però non dirmi che anche lui non ha alcuna influenza sul mondo moderno, te ne prego -: « Già il Neoclassicismo, in particolare Igor Stravinskij, intraprese un percorso in questo senso. Gli anni venti sembrano far presagire la crisi della modernità e delle avanguardie degli anni Ottanta del Novecento. Le invettive scagliate da Stravinskij contro Beethoven, responsabile a suo intendere della musica romantica e dell'enfasi sull'emozione e l'espressione (due parole proibite nella fase neoclassica dell'estetica e della poetica stravinskijana) sono ben note. » Poi Stravinskij si redimerà su questo componendo nel 1944 una Sinfonia in do+ in tre movimenti con una scoperta citazione della Quinta di Beethoven e, soprattutto, ascoltando ripetutamente negli anni di vecchiaia gli ultimi quartetti di Beethoven, ma l'attacco al romanticismo ci fu eccome. farebbe in modo che tutti possano conoscere e scegliere quale musica ascoltare e amare e lo farebbe attraverso la sua scuola che ha come compito principale quello di educare e rendere edotti su tutto. rendere edotti su tutto? Mmm mi vuoi dire che tu ricordi ed apprezzi ogni cosa che ti hanno insegnato a scuola? Ok Thallo! "Dovrebbe avere come compito principale quello di educare e rendere edotti su tutto". Così va meglio? Vengo ora a rispondere a Simone ma qui farò prima perché penso di averlo già fatto. Da lettore esterno... Mi piace molto il buon senso di Thallo ma apprezzo anche le prese di posizione di Daniele che ha fatto molte citazioni per spiegare i suoi punti di vista. Sempre da lettore esterno mi sembra di capire che Daniele formula il suo pensiero sull'argomento partendo dalle fonti che ha citato mentre Thallo mi da l'idea che giudichi la questione in modo più personale. Citazioni e fonti a parte Daniele, tu come la vedi veramente la cosa ? Etc. Penso che quanto ora scritto a Thallo possa togliere ogni dubbio sul mio pensiero e, se così non fosse, sono pronto a cercare di renderlo ancora più chiaro. Per quanto riguarda il tuo intervento a parte “il buon senso di Thallo” che a me lascia per ora qualche dubbio sono sostanzialmente in sintonia con quanto da te scritto.
  3. Se si volesse trovare un unico termine per distinguere quella che a me piace chiamare “musica colta” - e non per un motivo di carattere meramente snobistico ma perché fra i vari aggettivi solitamente usati lo ritengo il più appropriato per i motivi che andrò adducendo – e, non tanto o non solo la musica da discoteca, ma la musica leggera o pop, penso che esso sia “complessità”. La complessità più o meno accentuata a seconda dei casi è quella che fa la differenza, fra una canzone che per quanto bella sia non potrà mai raggiungere quella di una sinfonia e ancor più di quartetti o pezzi di carattere polifonico-contrappuntistico, «ecco il vero motivo per cui il grosso della gente non ama la musica classica colta: impegnarsi nell'ascolto costa fatica.» come ha scritto il maestro Salvatore Sciarrino nel suo “Le figure della musica da Beethoven a oggi”. Pare dunque assai improbabile poter convincere qualcuno che frequenta solo canzoni circa l'importanza di avvicinarsi a musiche che hanno come peculiarità principale rispetto a quella da loro abitualmente ascoltate, la complessità. Fermo restando i gusti personali che devono restare sempre e comunque indiscutibili, la bellezza in musica è trasversale, nel senso può appartenere a tutti i generi musicali e non c'è nulla di strano se anche chi frequenta la musica colta, ascolti musiche di altro genere. Tempo fa lessi – non ricordo ora dove – che “Immagine” di John Lennon era stata decretata come la più bella canzone al mondo. Non m'interessa qui discutere quanto sia lecito o giusto decidere cose simili – e altrettanto potrei dire di sinfonie o quartetti ecc. - e non conosco esattamente i termini per cui essa ha meritato questo primato, – immagino che la bellezza della melodia e il testo di grande valenza poetica e contenutistica abbiano fatto la parte del leone – quello che qui mi importa affermare è che indubbiamente è bellissima e che, questa come tante altre canzoni, la preferisco all'ascolto rispetto a sinfonie che proprio non mi piacciono. Questo discorso lo faccio anche perché voglio sia ben chiaro che da parte mia non esiste alcuna pregiudiziale verso qualsiasi tipo di musica e che però, pavento e sono assolutamente contrario, ad una “nuova cultura” che oggi sembra sempre di più prendere piede e che tende ad omologare e a rendere conforme un po' tutto senza alcuna distinzione. Di questa cosa ne ho avuto l'ennesima riprova leggendo sul quotidiano “La Repubblica” di venerdì 11 gennaio 2013, l'intervista ad Alessandro Baricco, musicologo, romanziere, scrittore di saggi e altro ancora. Baricco negli anni novanta scrisse un libro dal titolo “L'anima di Hegel e le mucche del Winsconsin” i cui contenuti furono da me in parte condivisi e in parte no. Se assolutamente incondivisibile mi apparse il suo finale contenente un'aperta critica a tutta la musica atonale da Schönberg in avanti, mi trovai invece in assoluta sintonia nel suo inizio, quando Baricco laureatosi sul filosofo Theodor Adorno, riporta una sua affermazione: «Le opere d'arte, e completamente quelle di suprema dignità, attendono la loro interpretazione. Se in esse non ci fosse niente da interpretare, se esse ci fossero e basta, la linea di demarcazione dell'arte sarebbe cancellata» così poi proseguiva di suo che la conseguenza è dunque che: «(...) si determina come musica colta, qualsiasi prodotto musicale a cui aderisca, nella realtà, la prassi dell'interpretazione.» Ora è indubitabile - dal mio punto di vista almeno - che se le altre Arti richiedono il bisogno dell'interpretazione di chi le fruisce, la musica colta richieda invece innanzi tutto l'interpretazione di chi quella massa sonora la rende fruibile al pubblico che a sua volta può intenderla e interpretarla in modo soggettivo. Oggi invece, Baricco non la pensa più così cancellando quella «linea di demarcazione» affermata da Adorno per distinguere l'Arte dal resto. Infatti lo scrittore così afferma: «(...) bisognerebbe capire che siamo andati oltre. Non c'è più nessuna linea di demarcazione tra l'arte colta e arte popolare. Esistono cose brutte e cose belle, vive e morte, semplici e più complesse. Tutto qui (...). Non ho rinnegato Adorno, ma conoscendolo bene ho potuto valutarne nel corso degli anni gli errori tragici ». Addirittura! - «C'è un errore di partenza. Noi scambiamo per arte colta un'arte che al tempo era popolare. Il teatro di Verdi era popolare. Era quello che facevano a quel tempo, senza domandarsi se fosse colto o popolare.» Ecco dunque che il processo di omologazione e conformismo del nostro tempo arriva a compimento e quando, intellettuali, uomini di cultura come Baricco ad esso si assoggettano c'è veramente da temere il peggio. Già fin dalla premessa quel «bisognerebbe capire che siamo andati oltre» mi fa rabbrividire. È la solita solfa che accade ogni volta che una “nuova cultura” vuole scalzare la “vecchia”: si cerca di annullare quanto precedentemente affermato. Così non accadde forse all'inizio del Novecento con la cultura romantica? Affermare poi che l'arte colta era popolare al suo tempo è dire una cosa non esattamente vera. In realtà come afferma invece il maestro Sciarrino questa: «(...) congiunzione ideale e originaria fra artisti e masse (...) si è verificata eccezionalmente nella storia, per esempio per la tragedia greca e il melodramma ottocentesco». La grande musica prima di Beethoven fu appannaggio esclusivo della nobiltà e del clero, da Beethoven in avanti anche dell'emergente classe borghese che accedeva ai teatri o nei salotti dove veniva eseguita. Solo con l'invenzione della radio – e dunque verso la fine dell'Ottocento - e, via via, sempre di più con sofisticate tecnologie, la musica colta è potuta diventare patrimonio comune di tutte le masse e, in realtà, noi siamo le prime generazioni che possono ascoltare e, volendo, avvicinarsi a tutta la musica, dal canto gregoriano a quella a noi contemporanea. Se il ragionamento di Baricco fosse vero vorrebbe dire che le generazioni passate erano di gran lunga più acculturate di quelle attuali. Ma non è così! Oggi noi siamo davanti al rischio che nel giro di poco tempo la musica colta passi nel dimenticatoio. Far cadere quella «linea di demarcazione» equivalerebbe a fare morire tutta la grande musica che ha reso grande e peculiare questa nostra società occidentale, quanto di meglio è uscito dalle mani e dai cervelli di uomini del nostro passato. Ritorniamo dunque alla domanda iniziale: cosa fare perché tanti si avvicinino alla musica colta? Oggi quei pochi che ad essa si avvicinano sono perlopiù persone che vengono da famiglie dove già la si ascoltava, pochi altri lo fanno perché alle medie – unica scuola in Italia in cui si studi un po' di musica, a parte i Conservatori ovviamente – hanno trovato un professore che ha saputo loro instillare la voglia e la curiosità di affrontare questo repertorio o perché hanno un parente, un vicino, un amico che l'ascolta ma, il triste dato è che essa va sempre più esaurendo il suo fascino sulle nuove generazioni. I giovani che ascoltano musica colta vengono tacciati dai loro coetanei come vecchi babioni che frequentano musica abbondantemente superata dai tempi e, non sanno, che la stessa accusa fu fatta trenta-quarant'anni a quelli che oggi sono già attempati. Perché questa musica, questa grande musica, viene da lontano e deve andare lontano e se ciò non avverrà tutti – indistintamente tutti - saremo molto più poveri e vuoti. Un Paese che fosse un po' più civile del nostro farebbe in modo che tutti possano conoscere e scegliere quale musica ascoltare e amare e lo farebbe attraverso la sua scuola che ha come compito principale quello di educare e rendere edotti su tutto. Ma noi siamo in un Paese dove alle scuole vengono tagliati i soldi, così come alla cultura, ai teatri e solo noi potremo, se vorremo, far si che il vento cambi direzione e non è certo omologando e conformizzando tutto, che questo avverrà. Da parte nostra, di chi in una qualche maniera, vuoi perché addetto ai lavori, vuoi perché semplice amante, non deve mai venire meno la voglia e la caparbietà di continuare a parlare con chiunque abbia l'intenzione di avvicinarsi ad essa e la voglia di lottare perché possa continuare a vivere e non diventare un pezzo da museo.
  4. Un caro saluto a tutti e in particolare a chi già conosco, seppur virtualmente. Penso che il pensiero di Bernstein su Beethoven sia ancor meglio esplicito in questa sua affermazione: “Quello che viene in mente a tutti quando si parla di musica seria, è Beethoven. Quando si apre una nuova stagione di concerti, si tratta normalmente di un programma tutto di musiche di Beethoven. Se si entra in una sala da concerto i nomi dei grandi sono sempre tutti lì attorno al fregio, ma giusto in centro, più in vista degli altri, a lettere d’oro: Beethoven. Quando si prepara il programma di un festival sinfonico, quasi sempre ne vien fuori un festival-Beethoven. Qual è il piatto forte di qualunque recital pianistico? Una sonata di Beethoven. O del programma di un quartetto d’archi? L’Op.132. Che cosa si esegue per una commemorazione dei caduti? L’Eroica. E per commemorare una vittoria? La Quinta. Cosa si suona ad ogni concerto delle Nazioni Unite? La Nona. Beethoven, Beethoven dappertutto. Perché non Bach, o Mozart, o Schumann? Perché, diciamolo una volta per tutte: Beethoven è il più grande compositore che sia mai esistito.” Opinabile come tutti i punti di vista naturalmente, ma è pur sempre l'opinione di un grandissimo direttore d'orchestra, nonché compositore. Di nuovo un caro saluto e....come dice il caro Armando, insostituibile beethoveniano: amicizia!
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