Leggendo in questi giorni il secondo libro di Alex Ross, Senti questo (Bompiani 2011), mi sono imbattutto nella citazione di un passo di una delle lettere di Mozart, contenuta nel volume «W. A. Mozart, The letters of Mozart and his family», a cura di Emily Anderson, NY, Norton 1985, per chi fosse interessato. Ve la propongo.
Questi concerti [n. 11, 12 e 13] sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo difficile; sono brillanti, piacevoli all'orecchio e naturali senza essere insipidi. Qua e là ci sono passaggi da cui solo gli intenditori possono ricavare diletto; ma questi passaggi sono scritti in modo tale che i meno eruditi non possano non esserne contenti, pur senza sapere perché... Il giusto mezzo della verità in tutte le cose non è più conosciuto o apprezzato: per ottenere il plauso bisogna scrivere cose tanto vacue che un vetturino le possa ricantare, o tanto indecifrabili che piacciano proprio perché nessun uomo assennato le può comprendere.
Sono rimasto abbastanza colpito sia dalla lucidità di Mozart, che non avevo mai pensato a calcolare l'effetto sul pubblico della sua musica (l'idea del Mozart geniale che «scriveva quello che aveva in testa» punt'e basta è dura a morire...), sia dall'attualità di un'affermazione del genere, che potrebbe uscire dalla bocca di un compositore o di uno studioso dei nostri giorni. Cosa ne pensate?