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Piano Concerto - Forum pianoforte

tgdigit

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Risposte postato da tgdigit

  1. Una premessa e un augurio: Spero che un giorno si abbandoni il termine tecnica pianistica, termine che a me dà il senso di un freddo meccanismo, per un termine che dia più il senso di approccio ad un’attività musicale, nello specifico, pianistica. Il termine “pianismo” potrebbe avvicinarsi, a mio parere, a questo concetto.

     

    Quelli che seguono, sono miei ragionamenti sul pianismo, con la speranza che si sviluppino grazie ad interessanti interventi di altri utenti, non hanno la benché minima pretesa di essere dei precetti, conscio dei miei limiti di pensiero e conoscenza, e conscio che il pianismo deve ancora porre la parola fine alla sua definizione.

     

    La prima considerazione che mi piace fare quando ascolto suonare un strumento musicale o quando io stesso suono uno strumento musicale, è definire, quanto più possibile, in che modo si forma quella musica che fuoriesce da quello strumento musicale.

     

    Così trovo in questa ricerca di definizione un primo problema specifico, il problema dell’approccio allo strumento, ogni strumentista ne ha uno diverso, perché diverso è lo strumento che si intende utilizzare.

     

    Il pianoforte in particolare (generalmente tutti gli strumenti da tasto), poi, ha un’ ulteriore specificità, il problema della distanza tra l’azione del pianista (ridotto ai minimi termini, si tratta del contatto tra dita e tasto) e il suono prodotto, dovuta ad un meccanismo complesso (la meccanica del pianoforte), che si interpone tra il corpo del pianista e le corde, decisamente non si tratta di un rapporto diretto.

     

    L’obiettivo di ogni musicista è tradurre la sua idea di musica, il pensiero che ha il musicista, e come poi viene realizzato nella musica vera e propria, nella vibrazione dell’aria.

     

    Dal punto di vista fisico la vibrazione dell’aria si trasmette all’apparato uditivo dell’ascoltatore immerso nell’ambiente.

     

    Passando dall’apparato uditivo al cervello si raggiunge l’elaborazione ultima del messaggio musicale dell’interprete.

     

    Il pensiero musicale del pianista non è altro che la sua elaborazione cerebrale dello spartito musicale.

     

    Il tramite del pensiero musicale del pianista (come di qualsiasi altro strumentista), ossia della sua elaborazione cerebrale, è il corpo dello strumento, il proprio corpo, l’ambiente, il corpo dell’ascoltatore e infine l’elaborazione cerebrale dell’ascoltatore.

     

    In questo contesto, per brevità, faccio coincidere ascoltatore con esecutore, tant’è così nella fase di studio.

     

    Bisogna che il tramite (o catena di passaggi) non sia un ostacolo alla realizzazione del pensiero musicale, ma che rimanga un semplice tramite, poiché l’obiettivo per un interprete è realizzare la sua visione della musica, nient’altro.

     

    A questo livello di discussione il corpo dello strumento, il corpo dell’esecutore, l’ambiente, il corpo dell’ascoltatore, l’elaborazione cerebrale dell’ascoltatore, sono di minore importanza rispetto al pensiero musicale e alla sua realizzazione, talmente minore che l’ideale (chiaramente non realizzabile) sarebbe che non esistessero.

     

    L’ambiente in cui si diffonde il suono, ha una grande importanza per la corretta realizzazione del pensiero musicale dell’artista. Questo è un problema che non sarà mai risolto solo nella fase di studio del pezzo, ma anche nella fase delle prove generali prima e addirittura durante il concerto stesso (accenno solo al fatto che può cambiare in modo significativo la resa sonora dell’ambiente al variare del numero delle persone presenti in sala).

     

    Altra variabile in gioco (specifica del pianista e di non indifferente incidenza), è lo strumento che dovrà utilizzare nel luogo del concerto. Alcuni fortunati pianisti, allo scopo di risolvere questo problema, utilizzano sempre e solo il proprio strumento, sobbarcandosi perciò i relativi rischi di trasporto e i costi.

     

    Ora, facendo coincidere (per semplicità e ipotizzando che siamo nella fase di studio), corpo dell’esecutore e corpo dell’ascoltatore, elaborazione cerebrale dell’esecutore ed elaborazione cerebrale dell’ascoltatore, le variabili in gioco ai fini della realizzazione musicale sono il corpo dell’esecutore, il corpo dello strumento, l’ambiente.

     

    Il pianista si trova perciò nella condizione di dover risolvere il problema del rapporto pensiero musicale-corpo dell’esecutore-corpo dello strumento musicale-ambiente.

     

    Risolvere questo problema significa realizzare il pensiero musicale.

     

    Per quanto riguarda il rapporto pensiero musicale-corpo dell’esecutore, qui è il nucleo dello studio del pianoforte, aggiungo, basterà una vita di studio per dire fine alla sua soluzione?

     

    Importante per il pianista, per una maggiore consapevolezza di sé, è conoscere in generale l’anatomia della mano, delle braccia e delle spalle, la funzione muscolare e scheletrica.

     

    Mi piace sottolineare quanto vengono in aiuto le molte teorie sull’educazione motoria e, in particolare, il metodo di educazione attraverso il movimento di Feldenkrais.

     

    Cos’è il pianismo, nella sua essenza, se non consapevolezza dei movimenti del proprio corpo al fine di realizzare un pensiero, nel caso specifico, musicale?

     

    Per la realizzazione di un pensiero c’è bisogno di concentrazione, molta concentrazione, se c’è bisogno anche di un feedback uditivo.

     

    Anche qui entrano in gioco le molte tecniche, di origine orientale, per raggiungere la concentrazione.

     

    Il pianismo comporta movimento, respirazione e rilassamento. La tecnica orientale del Tai Chi Chuan, guarda caso, tratta proprio queste “problematiche”.

     

    Per quanto riguarda il rapporto pensiero musicale-corpo dello strumento musicale viene in aiuto un bravo tecnico del pianoforte, quello comunemente chiamato accordatore, che sappia ascoltare le richieste del pianista e che le sappia realizzare.

     

    Per quanto riguarda il rapporto pensiero musicale-ambiente è necessario un adattamento dell’esecutore nell’emissione del suono, adeguata alle dimensioni e alle risonanze in ambiente, è un lavoro che va assolutamente fatto, come detto sopra, anche in fase di prove generali e durante il concerto stesso.

  2. Racconto interessante.

     

    Anche a mio parere non andava bene né il primo, né il secondo insegnante.

     

    Non dò però nessuna responsabilità ai due sul loro metodo.

     

    Credo, con le dovute cautele, che non sarebbe andato bene neanche un terzo insegnante.

     

    A mio parere l'allieva doveva principalmente superare difficoltà non specifiche allo studio del pianoforte:

     

    ... Aveva un carattere molto particolare: introversa, timida, molto debole .. si scoraggiava con nulla, ansiosa. ... fu rimandata e bocciata diverse volte. Era mediocre .. poteva anche farcela .. ma l'emozione la distruggeva.

    ... Non era stata emozione .. Aveva suonato (nel frattempo era cresciuta .. faceva il V anno di Liceo) .. ma come aveva suonato!

    ...

     

    Problemi forse legati allo sviluppo del bambino e alla sua relazione con il mondo, con gli altri, problemi di psicomotricità (anche se una qualche crescita si può notare).

     

    Sarebbe stato il caso di consigliare la madre verso altre professionalità, al di fuori della musica o, meglio, parallelamente alla musica.

  3. Forse mi sono spiegato male ma nel mio post ho scritto che ORE E ORE di Hanon e affini sono inutili, cioè non sono inutili nella loro utilità da "scioglidita" per modo di dire ovviamente, ... perchè, credo, che il lavoro TECNICO VERO E PROPRIO avviene suonando una composizione da cima a fondo! Ho imparato a non sostenere gli estremi, cioè, dire, che fare esercizi di tecnica e basta o fare solo musica e basta, sono utilissime e uniche per raggiungere un fine sia (nei limiti e nelle circostanze e da diversi altri fattori) falso! ... Ovvio che ci vuole sia l'una che l'altra ma con le giuste dosi, anche se poi è molto relativo e soggettivo.

    Comunque ognuno è libero di seguire la propria scuola di pensiero nulla di male come ha citato Paolo Volitare, ma siccome non sono una autorità in materia e posso esprimere solo la mia opinione e esperienza personale, le voglio rispondere con questi luminari:

     

    "La delicatezza della forma dinamica e agogica ... gioca un ruolo decisivo nella tecnica e perciò quest'ultima dipende sempre dai concetti musicali ... Solamente grandi compositori sono stati capaci di comporre Studi la cui finalità tecnica desse ispirazione ad una concezione che potesse essere perfettamente espressa da una data formula tecnica.

    Ma cosa accade se il concetto musicale e la formula non si fondano in un'unità organica, cioè se lo Studio è privo di qualsiasi valido contenuto musicale? Suonare questi studi è pericoloso perchè se la formula tecnica non esprime proprio nulla, li lavoro del pianista può essere solo meccanico, inutile, un mero esercizio muscolare delle dita." - József Gát, in The Techniques of Piano playing 1980 -

     

    E ancora sempre lui:

     

    "L'insegnamento tecnico deve render capace l'allievo di trovare - partendo dalla musica - la soluzione che corrisponde alla sua sensibilità. La musica non dev'esser forzata nel letto di Procuste da precostituiti modelli di movimento." - József Gát, in The Techniques of Piano playing 1980 -

     

    Inoltre:

     

    "Nel normale corso degli eventi, non tutti gli aspetti della tecnica pianistica si sviluppano equilbratamente e in progressione; le persone sono diverse e i loro modelli di sviluppo tecnico variano. Inoltre, la tastiera è in sè innaturale, i movimenti che richiede sono relativamente scomodi e le opere musicali che gli studenti di pianoforte di solito si trovano davanti sono solamente in relazione indiretta con un ordinato sviluppo tecnico. Gli esercizi tecnici 'standard' quali scale, accordi, arpeggi e studi, mentre sono molto efficaci per prendere familiarità con la tastiera, con gli stilemi classici, e con la teoria di base, non possono garantire uno sviluppo tecnico ben integrato. La probabilità di un sano sviluppo tecnico nei corsi elementari e medi di studio pianistico è certamente più bassa di quanto potrebbe e dovrebbe essere." - Seymour Fink, in Mastering Piano Tecniques 1992 -

     

     

    Un grande pianista scrisse, (e se lo dice lui :blink: ):

     

    "Io non ho mai eseguito esercizi tecnici. Sopratutto li considero interamente superflui. Una volta che lo scolaro ha imparato scale, arpeggi e simili elementi fondamentali della tecnica pianistica, egli la possiede! Perchè affaticare e annoiare le dita?" - Walter Gieseking in Metodo rapido di perfezionamento pianistico 1933 -

     

     

    "Poichè non crediamo nello studio ripetitivo e meccanico, raccomandiamo anzitutto di eliminare tutti quegli studi che hanno per oggetto la tecnica e non la musica (Hanon, Pischna, Czerny). Tutti gli esercizi e gli studi che utilizzano in modo ripetitivo determinate formule tecniche conducono fatalmente a un tipo di studio meccanico. E' molto più produttivo assimilare una data formula tecnica nella sua forma più semplice ed essenziale, e una volta appresa correttamente applicarla subito al repertorio ... la letteratura pianstica è così vasta (e c'è così tanto da imparare) che è assurdo perdere tempo con la cattiva musica una volta che gli stessi progressi tecnici possono essere ottenuti dedicandoci alla grande musica. ... Chopin e Liszt sono capolavori assoluti che meritano lo studio più attento." - Giorgy Sàndor in Come si suona il Pianoforte 1984 -

     

     

    Concludendo, ... il sopra non è vangelo ma ...

     

    "A proposito della tecnica. Quanto più chiaramente appare l'obbiettivo (contenuto, musica, perfezione dell'esecuzione) tanto più il mezzo di raggiungerlo si impone da sè. Il 'che' determina il 'come', benchè il 'come' condizioni il 'che'. Si tratta di una legge dialettica." - Heinrich Neuhaus, in L'Arte del Pianoforte 1971 -

     

     

     

     

    Mi scusi ma mi permetta, ... lei paragona la Medicina alla pari della Musica? Cioè nel campo dello scibile umano non credo che la Medicina si possa reputare come Arte, sono due campi uno opposto dell'altro rispetto alla Musica!

     

     

    "A rischio di sembrar vanitoso, dirò che la misura di un talento è inversamente proporzionale alla necessità di studiare". - Walter Gieseking -

     

    Ma poi mi domando: di chi è proprietà la Musica?

     

    Cordiali saluti. ;)

    :P

  4. Premetto che non è mia intenzione convincere nessuno delle mie opinioni.

     

    Cercavo di sottolineare la differenza e, di fatto, l'incompatibilità del confronto tra studiare su libri e appunti e dare un esame all'Università e studiare su libri e poi fare musica.

     

    Sempre a mio parere cercavo di spiegare che, se guardiamo bene, non esiste una consapevolezza tecnica, esiste una consapevolezza musicale.

     

    "qual è la differenza tra un allievo che lo studia al II/III/IV corso di pianoforte ed un allievo che lo ha portato al II livello ?"

     

    Appunto la maggior consapevolezza musicale.

  5. Voglio dire che il conservatorio si è istituzionalmente adeguato a quelle che erano le altre facoltà in una qualsiasi altra unviersità dove non sono ammessi studenti privatisti. Ci sono le facoltà senza obbligo di frequenza, si ... ma devi pur sempre essere iscritto.

     

    @tgdigit

     

    non ho mica mai detto che il corso di pianoforte debba essere fatto da solo hanon, czerny, cramer, pozzoli, longo e simili .. Ma che questi strumenti sono utili per l'assimilazione di una tecnica APPLICABILE senza alcun problema alla letteratura pianistica, al repertorio .. nel quale .. non si dovrà perdere tanto tempo per risolvere i problemi "di mani" .. appunto i problemi tecnici ... ma si potrà quasi da subito, dopo un paio di letture, passare ad uno studio sul suono, sul tocco, sul fraseggio, sull'intepretazione, sull'analisi ..

     

    Io non distinguo problemi "di mani", problemi tecnici (orrendo termine quando si parla di Musica), da problemi piuttosto musicali.

     

    Quando non si risolve un problema tecnico è perché quel problema tecnico in realtà non esisteva, pensiero e suoni sono entrati in comunicazione e si è cominciato a fare musica, tutto quello che c'è in mezzo è magicamente sparito.

     

    Per quanto riguarda poi le Università, ma che problema c'è nell'essere iscritto, non seguire nessun insegnante, studiare a casa e dare gli esami, ne ho visti e ne vedo moltissimi che fanno così.

     

    Cosa c'entra tutto questo con lo studio del pianoforte? L'esempio è estremamente stridente.

  6. La discussione per come si è sviluppata è molto interessante.

     

    Aggiungerei qualcosa riguardo specificatamente il lavoro di insegnante.

     

    Da ex studente di Conservatorio posso riportare la mia opinione in base all’esperienza fatta, in un tempo ormai lontano.

     

    Ho conosciuto alcuni bravi musicisti, assolutamente inetti però nell'insegnamento, pure spocchiosi, boriosi e assolutamente insensibili e poco inclini a mettersi in discussione come comunicatori e a cercare “soluzioni” adatte agli allievi.

     

    Non per niente questi non hanno formato nessuna scuola pianistica.

     

    Gli insegnanti quelli veri, dentro e fuori i Conservatori, a prescindere dalle capacità musicali, per mia esperienza andrebbero cercati con il lumicino, credo che ce ne siano davvero pochi, non basta essere musicisti per insegnare musica, bisogna avere attitudini verso questa disciplina e voglia-capacità di trasmettere qualcosa.

     

    Cioè siamo nel classico problema insegnante-frustrato che troviamo in tutte le discipline scolastiche di ogni ordine e grado.

     

    Ora, venendo all'argomento del 3d mi piacerebbe molto che si smettesse di parlare di tecnica pianistica come materia a parte, a se stante della musica, come se ci limitassimo a pigiare i tasti del computer o di una tastiera muta, come presupposto in seguito al fare musica; ma per caso studiamo dattilografia per poi applicarla alla musica?

     

    Indipendenza delle mani, cos'è? Tecnica pianistica?

     

    Ho studiato anch’io (e quanto ho studiato!) come tutti gli studenti di Conservatorio sull’Hanon, Cesi-Marciano, Longo e compagnia (poco) cantante, ma nel momento in cui si passa ai primi brani di Musica vera, quando si legge per la prima volta una pagina di Bach, signori, si apre un mondo meraviglioso, che quegli esercizi, con tutte le varianti che ci si poteva inventare, neanche sfioravano minimamente.

    Io personalmente anzi mi chiedevo cosa ci stessero a fare.

    A mio parere sono e restano pura dattilografia, un approccio datato di una vecchia scuola e nient’altro, un obbligo dettato da non mai rivisti programmi di Conservatorio, al quale alcuni insegnanti con nessuna voglia di mettere in discussione i “precetti” appresi si adeguavano “asininamente”.

     

    La Musica è Comunicazione.

    Le note, la diteggiatura, i tasti, la meccanica, le dita, sono solo un mezzo, un "incidente di percorso" (spero sia comprensibile ciò che voglio dire).

     

    Agli allievi bisognerebbe insegnare a dare un senso compiuto alla pagina che si sta eseguendo che sia di Bach o di qualsiasi altro Musicista. Una pagina di esercizi di tecnica pura non può essere Musica e perciò, sempre a mio parere, andrebbe presa con le dovute distanze, meglio, comunque sia, affiancarla ad un’applicazione nel mondo Musicale vero, cioè in pagine di Musica.

     

    N.B. Ho appositamente scritto Musica, Musicista, Musicale con la emme maiuscola per distinguerlo da quelli con la emme minuscola di cui questo mondo è pieno.

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