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Piano Concerto - Forum pianoforte

danielescarpetti

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Tutto postato da danielescarpetti

  1. Evviva, è sempre molto importante e costruttivo essere ... ottimisti!
  2. Sottoscrivo, Nono è immenso e il suo Prometeo - ma non solo il Prometeo - lo è!
  3. Webern fu allievo di Schönberg - assieme a Berg - e , come tale prese le mosse da lui. Io non voglio fare l'elenco di tutti quelli che hanno avuto un'influenza - allora andremmo ben oltre le due mani - o meno sulle generazioni posteriori ma ho indicato i compositori che con la loro netta rottura col passato hanno dato il la a sommovimenti nella storia della musica. E, dal mio punta di vista questi sono stati solo 3 a cui si aggiunge in maniera del tutto anomala la figura di Bach. Tutti gli altri, aldilà della loro grandezza, vengono di conseguenza.
  4. Ho detto sulle punte delle dita della prima mano ma, per come la vedo io, quella mano non è completamente coperta. In realtà io penso che solo di 3 compositori si possa dire che fanno da spartiacque nella storia della musica ed essi sono Claudio Monteverdi, Ludwig van Beethoven e Arnold Schönberg. Dal mio punto di vista, la storia della musica è fatta da compositori innovatori e da compositori sintetizzatori rispetto al loro periodo storico di vita e composizione. Fra i sintetizzatori ne esistono di quelli che pur non essendo portatori di cambiamenti accentuati, hanno comunque contribuito all’evoluzione di qualcosa e, altri, la cui mancanza ci negherebbe tanta bellissima musica ma che, dal punto di vista evolutivo, non hanno fatto nulla che già non fosse stato codificato dai predecessori. Per fare un esempio molto illustre: Mozart e Mendelsshon, hanno in comune il fatto di essere stati due bambini prodigio e di essere entrambi sintetizzatori, ma Mozart ha avuto un ruolo assai importante nell’evoluzione della musica da teatro, nel concerto per pianoforte e nella sinfonia. Mentre Mendelsshon è il tipico grandissimo compositore di cui si potrebbe dire che la sua mancanza ci avrebbe privato di tanta bellissima musica ma non avrebbe assolutamente influito sull’evoluzione storica. Nel gruppo degli innovatori, ovvero coloro che hanno più di ogni altro contribuito all’evoluzione storica della musica, si elevano e si distinguono i tre che ho nominato. Di Beethoven tralascio perché in queste pagine del forum ne abbiamo già parlato ampiamente e penso sia chiaro perché si possa parlare di un prima di Beethoven e un dopo di Beethoven. Fino alla fine del Rinascimento l’evoluzione musicale avvenne a gradi sotto la spinta di importanti compositori che, con le loro innovazioni portarono la musica dal canto cristiano e dalla monodia profana, all’affermazione della polifonia, l’ars antigua e l’ars nova, il madrigale, riforma e controriforma, la musica rinascimentale giusto per riassumere brevemente le tappe più importanti. Con Monteverdi tutto cambia e a giusta ragione egli fu definito il creatore della musica moderna. Egli affermò una concezione della musica come fatto essenzialmente espressivo, come mezzo per rivelare gli affetti dell’animo umano. Con lui si passa dall’estetica rinascimentale a quella barocca: la prima poneva nella forma e nell’armonia della struttura il culmine della perfezione, la seconda vedeva in tutti gli aspetti dello stile musicale la possibilità di portare in primo piano il vario e contrastante mondo della psicologia. Questo trapasso ebbe sul piano stilistico, la sostituzione della prassi compositiva basata essenzialmente sul contrappunto imitato di ascendenza fiamminga - prima pratica – con una scrittura più libera e che si modellava momento per momento, impiegando via via sempre più complessi stilemi, a seconda dei testi trattati –seconda pratica -. A tutti gli effetti, Monteverdi fu il primo grande crocevia della storia della musica, il primo compositore di cui si può parlare di un prima e di un dopo. Arnold Schönberg fu colui che per primo, con l’elaborazione della dodecafonia uscì dalla lunga tradizione tonale della musica occidentale e che diede il la anche per quello che avvenne dopo, a cominciare dalla rivolta di Boulez nei confronti dello stesso Schönberg – la famosa frase pronunciata a poche settimane della sua morte Schönberg è morto – a tutte le avanguardie che lo hanno seguito e alla stessa musica atonale di oggi. Per questo motivo si può parlare anche in questo caso di un prima di Schönberg e di un dopo Schönberg. Quanto a Richard Wagner fu certamente un grande e importante innovatore, sia della musica sia del teatro e, tuttavia, seppur la sua influenza fu enorme su tutta la cultura di fine Ottocento e inizio Novecento, egli non ebbe seguaci ma, semmai dei semplici epigoni in quanto la sua esperienza estetica ebbe un forte peso su compositori come Bruckner, Malher, Wolf, Richard Strauss e, anche, inizialmente, sullo stesso Schönberg e, dunque, in questo caso non si può parlare di un prima e di un dopo ma solo di una tappa assai importante nell’ambito evolutivo della storia della musica. Attenzione però: a questi tre crocevia della musica se ne aggiunge un quarto che è anomalo e paradossale: Johann Sebastian Bach. Se dovessimo collocare Bach fra le due categorie di cui sopra, inevitabile sarebbe quella di inserirlo fra quella dei sintetizzatori. Bach fu certamente il perfezionatore sommo della sintesi finale di tutta quella tradizione rinascimentale e barocca. Ma poi se noi andiamo a vedere, con il senno del poi, come sono andate le cose, abbiamo assistito e assistiamo, ad un suo rapporto diretto con i musicisti delle epoche a lui postume fino anche a quelle più moderne. Questo perché se fu vero che egli in vita si contrappose allo stile galante, allora in voga per riferirsi esclusivamente alle musiche del passato, la sua assoluta genialità nell’astrattezza dell’invenzione si proiettò nel futuro. A lui si riallacciò per prima Beethoven nel suo estremo stile e poi Arnold Schönberg: le sue ricerche seriali sono basate anche e soprattutto su Bach. Dunque non si può parlare di un prima e di un dopo di Bach, ma la sua importanza assoluta nell’evoluzione storica della musica a posteriori è innegabile.
  5. In verità, pochissimi altri e Monteverdi sicuramente fra questi, che si contano nelle dita della prima mano. Se nella storia della musica mancassero anche tanti grandissimi compositori non cambierebbe assolutamente nulla in termini di evoluzione; avremmo purtroppo tanta bellissima musica in meno certamente, ma non sarebbe influente sulla sua evoluzione. Monteverdi da il la alla musica che va dalla fine del Cinquecento alla fine del Settecento. Beethoven ha dato il la alla musica che, non è iniziata dopo di lui, ma esattamente un secolo dopo.
  6. Penso che hai ragione! Però è indubbio che se non ci fosse stato Beethoven la storia della musica sarebbe stata molto differente da quel momento in avanti e, dunque, se oggi siamo a questa musica è perché dapprima - molto prima - c'è stato Beethoven.
  7. Il divario c'è e, d'altra parte come potrebbe non esserci quando si parla di musiche composte a distanza di secoli? Dal mio punto di vista, in generale, è sempre molto auspicabile affiancare brani di epoche diverse, soprattutto con brani contemporanei. Il passaggio è sempre - o spesso - molto forte ma serve a far sì che il pubblico si abitui a considerare l'evoluzione storica della musica occidentale. come quello che è, e cioè, un qualcosa che, nella sua enorme diversità, trova comunque le sue radici comuni nei primi canti cristiani e nelle prime monodie profane. In particolare invece l'accostamento Beethoven, contemporanei, dal mio punto di vista, ha il merito di mettere in risalto la funzione che Beethoven ha avuto nell'ambito della storia della musica: il risultato finale a cui approda il compositore di Bonn nel giro di pochissimi decenni, è quello di comporre musica che si proietta direttamente sul Novecento e non solo sul Romanticismo che avanza per motivi di cui abbiamo già ampiamente parlato. Con Beethoven nel mondo musicale avviene la frattura che creerà i presupposti del Novecento e di tutto quello che è avvenuto in seguito. Ecco perché è giusto parlare di "Beethoven e i contemporanei" in senso più ampio possibile. In questo, non tanto - o non solo - la Nona è l'inizio ma lo è tutta la produzione finale di Beethoven.
  8. Avrei dovuto aggiungere da ogni formalismo precostituito e dato. Nel senso che, a differenza del XiX secolo,dove esisteva una forma fissa da cui non si poteva uscire e al cui interno si poteva e si doveva operare, oggi ogni artista ha - o inventa - una sua forma. In altre parole oggi non esiste più una forma ma una pluralità di forme che si sviluppano le une a partire dalle altre. Questo fa sì che ciò che ieri era considerato informe o informale, oggi non lo è più, perché si evolve con la discussione estetica, facendo sì che anche le forme evolvano con e grazie ad essa.
  9. Sarebbe certamente bello e più interessante se a poterti rispondere fosse un letterato. La mia non può che essere una risposta di carattere generale. Come per tutte le arti e le forme di cultura, soprattutto dalla seconda metà dell'Ottocento si fece sempre più viva e diffusa la esigenza di scrivere e di poetare in modo nuovo, anti-tradizionale anche sotto l’aspetto tecnico-formale, perché gli stati d’animo, i problemi, il costume degli uomini del tempo stavano profondamente cambiando in riflesso al mutare delle situazioni politico-sociali. Bettina Brentano con questa sua domanda fu visionaria perché anticipò quella che fu un'esigenza che sarebbe diventata realtà qualche decennio dopo: l'esigenza di uscire dalle metriche tradizionali - e dunque dalla forma - della poesia, per crearne una nuova che, nei suoi contenuti, riuscisse ad entrare nel vivo delle nuove problematiche e delle nuove figure che l'evoluzione della società proponeva. L'evoluzione profetizzata dalla poetessa comincerà a dare i suoi maggiori frutti sul finire dell'Ottocento quando poeti e letterati provenienti da correnti diverse: Scapigliati, Decadentisti ... furono comunque uniti nella comune negazione delle formule tradizionali, dando vita ad un rinnovamento radicale che non solo negò la validità delle forme metriche tradizionali, ma il vecchio spirito, la civiltà dei “padri” e. ovviamente, soprattutto quella romantica. Questo fu il primo passo, poi vennero anche qui le Avanguardie della seconda metà del 900 e la Poesia, come tutte le Arti è uscita da ogni formalismo.
  10. Pappanoinweb ... si può riascoltare e c'è anche Giovanni Bietti con le sue lezioni,
  11. In attesa che tu Luca vada in bicicletta a Lodi o che, ci si ritrovi – mi piacerebbe esserci anch’io naturalmente – in quei di Milano vorrei fare a tergo alcune considerazioni così per parlare o per scrivere e chiedendo scusa per i miei limiti. Ogni volta che sento parlare di forma e di Beethoven, la prima cosa che mi viene alla mente è questa frase : «La forma è il corpo individuale della poesia (…); ma non dovrebbe esserci anche una poesia profondamente penetrata nel vivo senza i limiti stabiliti da una forma? » Fu la domanda che la poetessa Bettina Brentano fece a Goethe e, attraverso il massimo poeta tedesco, di riflesso a tutto l’Ottocento. Come ben sappiamo fra Bettina e Beethoven si instaurò una grande amicizia nel 1810, fatta di lunghi pomeriggi a discutere di musica e poesia. Non mi meraviglierebbe – anzi mi farebbe piacere – pensare che fra i due anche di queste cose si sia parlato perché l’argomento era comune ad entrambi: il superamento della forma. Ho probabilmente sbagliato – o quanto meno sono stato assai riduttivo - nel parlare di forma-sonata: in realtà la forma classica era soprattutto quella che costringeva le sonate, quartetti e le sinfonie a 4 movimenti richiamandosi in questo all’ethos del dramma aristotelico, questo perché non bisogna infatti dimenticare che caratteristica fondante del Classicismo tedesco fu proprio l'anelito ad un ritorno agli splendori della Grecia classica. La filosofia aristotelica si basa su quattro temi principali, come sono del resto, i movimenti delle sonate e delle sinfonie classiche-romantiche: 1) Interesse per la natura, intesa come un tutto ordinato e autosufficiente organizzato secondo il principio della necessità razionale: Allegro scritto in forma-sonata. 2) La considerazione di Dio come pura intelligenza, garante dell'ordine del mondo, nel quale non interviene: Adagio scritto in forma di lied 3) La considerazione dell'uomo sopratutto come essere dotato di intelligenza, in piena armonia con la natura: Minuetto o uno Scherzo scritto in forma moderata. 4) La considerazione del mondo come eterno: Allegro finale Quello che Beethoven cercò – e in buona parte riuscì a fare – fu quello di uscire da questa forma che in qualche maniera gli stava profondamente stretta. E anche in questo stette il suo trasgredire rispetto alle regole date. Oggi per noi posteri è ovvio che tutto può sembrare del tutto lineare e scontato, ma non lo fu certamente per un compositore che componeva nel primo Ottocento e che si distinse, non solo rispetto ai suoi predecessori ma anche rispetto a tutti i suoi contemporanei. Milan Kundera ha ben delineato questo traguardo e risultato beethoveniano: «Beethoven è il più grande architetto della musica post-bachiana. Egli ha ereditato la sonata concepita come un ciclo di quattro movimenti (...) Tutta l'evoluzione artistica di Beethoven è contrassegnata dalla volontà di trasformare questo raggruppamento in una vera unità (...) egli cerca però di introdurre in questa unità il massimo di diversità formale. Più volte inserisce nelle sue sonate una grande fuga, segno questo di grande coraggio, giacché in una sonata, la fuga doveva sembrare allora tanto eterogenea (...). Il quartetto Opus 131 è il vertice della perfezione architettonica.» Quanto all’Opus 111, è vero che il primo movimento è in forma-sonata ma Thomas Mann si riferisce al secondo di movimento: «(...) La caratteristica di questo tempo è infatti il grande distacco fra il basso e il canto, fra la mano destra e la sinistra, e c'è un momento, una situazione estrema in cui sembra che quel povero motivo rimanga sospeso, abbandonato e solitario sopra un abisso vertiginoso – un istante di pallida elevazione cui segue subito una paurosa umiliazione, quasi un trepido sgomento per il fatto che una cosa simile sia potuta accadere. Ma molte cose accadono prima che si arrivi in fondo. E quando ci si arriva e mentre ci si arriva, dopo tanta collera e ossessione e insistenza temeraria, avviene alcunché d'inaspettato di commovente nella sua dolcezza e bontà. Il ben noto motivo che prende commiato, ed è esso stesso tutto un commiato e diventa una voce e un cenno d'addio, questo re-sol sol subisce una lieve modificazione, prende un piccolo ampliamento melodico. (...) È come una carezza dolorosamente amorosa sui capelli, su una guancia, un ultimo sguardo negli occhi, quieto e profondo. È la benedizione dell'oggetto, è la frase terribilmente inseguita e umanizzata in modo che travolge e scende nel cuore di chi ascolta come un addio, un addio per sempre, così dolce che gli occhi si riempiono di lacrime. “Non pensare al mai!” dice. “Dio fu – sempre in noi.”(...). » E allora: «(...) perché Beethoven non abbia aggiunto un terzo tempo all'Opus. 111? (...) Un terzo tempo? Una nuova ripresa (...) dopo questo addio? Un ritorno (...) dopo questo commiato? Impossibile. Tutto era fatto: nel secondo tempo, in questo tempo enorme la sonata aveva raggiunto la fine, la fine senza ritorno. E se diceva “la sonata” non alludeva soltanto a quella sonata in do minore, ma intendeva la sonata in genere come forma artistica tradizionale; qui terminava la sonata, qui essa aveva compiuto la sua missione, toccato la meta oltre la quale non era possibile andare, qui annullava sé stessa e prendeva commiato (...) un addio grande come l'intera composizione, il commiato dalla Sonata.(...) » Tutto questo Sciarrino lo definisce: «la grinta originaria di Beethoven» che «rimane ancora oggi percepibile nella sua musica» e che fa si «che Beethoven fa da spartiacque» fra il prima e il dopo di lui e lo rende individuabile come prototipo dell’evoluzione musicale che porterà la storia della musica alle Avanguardie del Novecento dove lì, sì, la forma e le regole vengono del tutto stravolte e superate.
  12. Lo vedo come, non solo assolutamente pertinente dal punto di vista del testo cantato ma assolutamente in linea con quello che è lo spirito di questa serie dedicata a Beethoven dal titolo "Beethoven e i contemporanei", dove per contemporanei si intendono i contemporanei del compositore e i contemporanei di oggi. La musica e il messaggio di Beethoven sono ancora contemporanei e tali resteranno, finché la libertà non sarà un bene acquisito in tutto questo mondo e, in questo - e per questo, ma non solo per questo, - Beethoven va ancora ascoltato oggi come allora.
  13. Io penso che Beethoven intraprese, fin dalle sue prime opere del catalogo principale, una lotta estrema verso la forma - e in quel momento lì, per forma si intendeva soprattutto la forma-sonata - proprio per usarla, dapprima per i suoi fini e poi per superarla. Cosa che sostanzialmente gli riuscì nelle sue opere estreme e, in specifico nell'Opus 111, come Thomas Mann affermò nel suo Doktor Faustus. Che Beethoven infrangesse le regole e che fosse per lui assai stretta la via academica è, direi, inappuntabile e sacrosanto. Che le regole siano nemiche della libertà creativa è anche vero ma nessuno pensa che lo siano dell'Arte. Sicuramente però l'Arte vive e si evolve soprattutto perché ci sono artisti che infrangono le regole.
  14. ... e poi definitivamente nel 1792 ( non nel 1791 che è l'anno della data di Mozart). Errata corrige. Comunque, tante sono le volte che, davanti al mare con un tramonto, seduto sul bagnasciuga, ho intonato fra me e me, l'ultimo movimento della Pastorale. La Pastorale è la Natura e non importa che ad ispirarla siano stati alberi, cuculi e allodole. Essa è trasversale a qualsiasi paesaggio e il ringraziamento alla Divinità finale, è un ringraziamento a Dio per aver concepito il Creato.
  15. Era più probabile pensare a Beethoven e al mare ascoltando "Meerestille und Gluckliche Fart (Bonaccia e viaggio felice) Opus 112 da Goethe. Per quel che sono le mie informazioni sulla vita di Beethoven direi proprio di no. L'unico momento in cui l'incontro con il mare potrebbe essere avvenuto fu quando, assieme alla mamma, nel 1783, fece un viaggio a Rotterdam per esibirsi al pianoforte e dove conobbe Carl Stamitz. Rotterdam è bagnata dal fiume Nieuwe Maas e, in quell'occasione, fece un giro su un barcone patendo un freddo incredibile. Non so se il barcone raggiunse il mare che non dista molto, Dopo di che, Beethoven non si mosse più da Bonn se non per andare a Vienna una prima volta nel 1787 e poi definitivamente nel 1791. Da Vienna il suo spostamento più grande fu verso Praga e gli altri verso località termali. Dunque...mare nada! Come tu sai, Beethoven era più uomo di boschi!
  16. ...o forse stanno dicendo più semplicemente a noi di sta roba qua non frega nulla solo che ci costringono a vederle, come hanno detto generazioni a loro precedenti. Solo che le generazioni precedenti non avevano quegli strumenti lì per ...evadere! Suppongo che si tratti di una scuola dato il numero di ragazzi e la domanda che ci dovremmo porre, non è tanto su come ci siamo ridotti ma è forse fino a che punto le scuole sanno veramente coinvolgere ed interessare i ragazzi all'arte e più in generale a tutto.
  17. ... ehhh ragazzo mio sapessi quante cose ti stresseranno nella vita e quante volte ti sembrerà non poter sopportare più nulla. Beata anche la tua età che ti permette di pensare che ci siano verità assolute, alla mia si è imparato da un pezzo e amaramente che le verità - nella migliore delle ipotesi - sono assai relative e, soprattutto che ognuno di noi ha le sue di verità: sempre comunque relative. Detto ciò, che Beethoven fu Beethoven non c'è dubbio, ma Ligabue è ben lungi dall'essere un buffone ma un ottimo cantautore, e finché vi ostinerete a fare discorsi di questo genere, non solo non convincerete nessuno sulle vostre idee ma otterrete solo di renderli sempre più lontani ad un probabile ascolto della musica classica. Fidati è così! Se vuoi (volete) avere speranza di incuriosire qualcuno ad ascoltare la musica classica, non escludere ma includi. Cosi è per tutto e non solo per la musica. Ciao e un sincero augurio per domani!
  18. ... dice delle verità ma le dice in una maniera talmente supponente e antipatica che, non solo corre il rischio di essere controproducente - anzi lo è - per la causa a cui fa rifermento ma risulta assolutamente insopportabile anche per qualcuno che le potrebbe condividere. Io penso che solo quando da parte di chi ha competenze in materia ci sarà un atteggiamento meno snobistico e altero, si potrà cercare di provare ad invertire le cose.
  19. Caro Terenzio, - si fa così per parlare naturalmente anche perché siamo abbondantemente fuori dall'argomento proposto da Luca ma, come si sa, le discussioni sono come le ciliege, una tira l'altra - tu stesso, seppur indirettamente ammetti che una messa che oltrepassa i canonici 45 minuti diventa un po' eccessiva per chi la segue. E questo anche ai tempi del nostro Bach. Come tu ben sai la Messa in si- venne iniziata nel 1733, quando il compositore scrisse il Kyrie e il Gloria destinandoli ai riti per l'elezione del principe elettore di Sassonia Federico Augusto II al trono di Polonia col nome di Augusto III. In quell'occasione e in quella forma ridotta fu eseguita a Dresda il 21 aprile 1733. Solo in seguito Bach compose le altre parti: Credo, Sanctus e Agnus Dei, terminandola nel 1740. In realtà non si hanno affatto notizie di una sua esecuzione nella sua interezza ai tempi di Bach e questo, probabilmente proprio perché assai vasta di dimensioni. Quanto alla protestantità e cattolicità di questa Messa, permettimi di ricordarti che Bach nel comporla ebbe ben presente, da un lato le messe fiamminghe e dall'altro quelle di Palestrina che aveva in parte copiate e , infine, i temi gregoriani. L'intenzione del compositore fu quella di comporre una messa che fosse protestante e cattolica allo stesso tempo. Che avesse l'oggettiva grandezza della scuola romana e il soggettivo misticismo protestante. Gli specialisti dicono che la cosa non è, sotto questo punto di vista, ben riuscita ... ma, a me (noi?) non importa per nulla: quello che conta è risultato generale dopo tutto.No? Ma ritorniamo alla Missa Solemnis di Beethoven. Quello che rende questa Messa più adatta alle sale da concerto non è solo, secondo il mio punto di vista naturalmente, il fatto che non è liturgica in quanto non segue fedelmente il messale romano e quindi non è eseguibile nel corso delle liturgie della Chiesa Cattolica - come tu giustamente affermi - ma il suo taglio sinfonico. E in questo Beethoven aveva avuto giù un predecessore nel suo maestro Haydn. Negli ultimi anni in cui Haydn compose, essendo libero da committenti di chiesa ma facendo riferimento esclusivamente al principe Nikolaus Esterhàzy, sfornò sei messe rimaste tutte in repertorio ma che, pur essendo rigorosamente rispettose del servizio liturgico, per il loro contenuto sinfonico non sono affatto adatte per essere eseguite durante il medesimo. L'influenza poi che la Missa solemnis ebbe su tutta la musica "sacra" a lei postuma, fu immediata. Schubert nella sua Messa in sib+ D 950, composta a metà del 1828 adattò il testo alla musica - e non viceversa come si faceva prima di Beethoven - favorendo i valori emotivi e spirituali del compositore e trascurando nella maniera più assoluta le necessità pratiche della cerimonia sacra. E poi ... si arriva a Schumann, Brahms ... ! Ma queste sono tutte altre storie che non sarebbero nemmeno immaginabili se prima non ci fosse stata la Missa Solemnis di Beethoven.
  20. In realtà, se ci pensiamo bene, la lunghezza della Messa in si- di Bach e della Missa Solemnis di Beethoven, sono entrambe inadatte al servizio religioso. Le messe di Mozart, legato al vescovo Coloredo e quelle di Haydn, non superano i 45 minuti e, in quanto tali adatte alle celebrazioni sacre. Ma sia Bach che Beethoven compongono le loro messe dando sfogo invece alla loro fantasia e non certo per rendere un servizio religioso. Ma se il filo conduttore del capolavoro bachiano è certamente quello di rendere omaggio al Signore, non altrettanto è chiaro quello beethoveniano, a tal punto che ancora oggi non c’è una lettura unanime di quale sia il significato che lega la messa beethoveniana. Personalmente io penso che il filo conduttore sia l’umanità e il suo disperato bisogno di ricercare, al di sopra di sé stessa, un Creatore che sappia colmare quel profondo bisogno, quella profonda sete di giustizia e di pace a cui l’umano, nel suo essere, non sa dare compiutezza e risposta. L’umanità emerge fin dalle prime battute della messa, quando la musica sembra arrivare proprio dalla terra e, da essa si spinge fin su, nelle più alte vette del cielo. Come nella coeva Nona, Beethoven isola, si ferma, ripete, esalta, le parole che l’umanità con estrema supplica e speranza rivolge al Creatore: Pater Omnipotens, Tu solus altissimus, Deo vero. ... Ma soprattutto quel Credo, ripetuto tantissime volte. E se uno dei momenti più sublimi e magici della Missa è la comparsa del violino solo, al momento dell’Elevazione nel Benedictus qui venit in nomine Domini, l’umanità emerge ancor più nel finale con la supplica intensa dell’Agnus, quando cerca remissione dei peccati e, soprattutto la Pace. La Pace interiore certamente ma ancor più la Pace fra i popoli. Poco prima abbiamo sentito i suoni della guerra e l’estremo messaggio beethoveniano è quello di chiedere: Pacem Pacem Pacem. Sul manoscritto originale Beethoven annotò: «preghiera per la pace interiore ed esteriore».
  21. Bè - lo so sto riaprendo antiche ferite - ma se per orchestrina si intende in maniera filologica - come Beethoven l'ha scritta, insomma - non è affatto negativo. Richter, Karajan ... va tutto bene sia ben chiaro. Ma filologico va meglio ... almeno dal mio punto di vista naturalmente.
  22. Vorrei, ora che sono alla mia scrivania e con davanti Beethoven nei suoi quaderni di conversazione di Luigi Magnani, precisare che la lettera in questione fu scritta allo stesso arciduca Rodolfo e che l'affermazione di Beethoven, relativa all genio di Haendel e Bach fu certamente inquinata dalla sua volontà di affermare il genio tedesco sopra a qualsiasi altra cultura. Questo non toglie che da parte di Beethoven, nella sua più intima convinzione e come si evince dalle conversazioni sui quaderni, non ci fosse il riconoscimento della grandezza e, soprattutto, della bellezza ispirata da altre tradizioni, culture o ideali. Sicché, nel Parnaso musicale beethoveniano, Palestrina fu comunque a pieno titolo, a fianco di Bach. Ma per Beethoven: Palestrina è inimitabile per chi non possieda il suo spirito. Questo perché l'arte di quegli antichi appare agli occhi del compositore di Bonn come luminoso riflesso della loro vita a formare, come anima e corpo, un'inscindibile unità. Musicalmente parlando, Beethoven riconobbe la classica purezza di Palestrina che, in quanto tale, la ritenne inimitabile perché lui puntò alla composizione di una musica completamente piena di dissonanze non risolte, passando con tenacia e coraggio dal puro all'impuro.
  23. Ciao Luca! Temo che la tua curiosità resterà tale, almeno per quel che sono le mie informazioni. Come sempre per il periodo in questione, le fonti d'informazione sono i quaderni di conversazione e le lettere. Dai primi apprendiamo che nell'estate del 1818 Beethoven si chiuse spesso nella biblioteca della residenza estiva dell'arciduca Rodolfo - colui a cui fu dedicata la Messa - per poter visionare le opere degli antichi e, fra questi, la maggior rilevanza fu data alle opere di Palestrina Zarlino, Haendel e Bach. Non sappiamo però quali furono le opere di cui Beethoven poté prendere visione. Sappiamo però che in una lettera - ora qui al lavoro non ho sottomano il numero e il destinatario - il compositore scrisse di avere preso visione degli oratori di Haendel e delle opere sacre di Sebastian Bach e di aver trovato che solo questi due compositori erano veramente e assolutamente geniali.
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