Jump to content
Piano Concerto - Forum pianoforte

sessant'anni dalla scomparsa di Enescu , il signore della variazione che spaccava le note in quattro


Frank
 Share

Recommended Posts

Paolo Isotta ha recentemente scritto sul Corriere della Sera un bellissimo articolo in occasione dei sessant'anni dalla scomparsa di Enescu , il signore della variazione che spaccava le note in quattro

 

Condivido in occasione del suo compleanno :)

 

Venerdì 1 Maggio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA

«Dopo Mozart, George Enescu è il più grande fenomeno musicale venuto al mondo», dice Pablo Casals. Il 5 maggio fanno 60 anni che Enescu ha lasciato questo mondo; e il suo tempo deve ancora venire. Nato in Moldavia, a 14 anni abbandonò Vienna, ove aveva già conseguito tutti i diplomi, per stabilirsi a Parigi, ove, per la Composizione, fu allievo di Massenet e di Fauré. Fu uno dei massimi violinisti mai vissuti: fu pianista virtuoso; fu direttore d’orchestra. L’eccesso delle qualità gli nocque: sottraeva ore al sonno per comporre. Fu uno dei più grandi autori del Novecento. All’inizio del secolo divennero assai note le due sue Rapsodie romene per orchestra: e sebbene, in ispecie la Seconda, siano d’una nobiltà e d’un’ispirazione altissime, lontane dal facile folclore (penso a Aus Italien di Strauss), anche il loro successo a Enescu non giovò.
Mostro subito una conseguenza di tale equivoco: nel suo unico Dramma musicale, Oedipe (prima rappresentazione a Parigi nel 1936), egli ricorre, per taluni punti, a tecniche proprie della musica popolare della sua Patria: con ciò tutti parlano di una sorta di sincretismo da parte sua della realtà popolare rumena con l’antichità classica. In fatto, Enescu studia un’antichissima tradizione affondante le sue radici nella Dacia e nella Scizia indoeuropee donde la Romania latinizzata proviene: egli vi trova le tracce d’un nomos primordiale comune a tali genti come all’Ellade. Allo stesso modo il Maestro studia la fastosa polifonia barbarica del canto liturgico bizantino con la sua cosiddetta eterofonia e ne fa un’applicazione modernissima già nelle sue Sinfonie.
Ma in Europa i creatori in possesso di una cultura sufficiente a trasporre in invenzione viva e autonoma l’antica modalità sono Maurice Emmanuel, Gino Marinuzzi (col Poema sinfonico Sicania , del 1911, e con l’Opera Jacquerie , del 1917) e Franco Alfano: già con Risurrezione , del 1904, che una letteratura superficiale considera Opera «verista»; e con La leggenda di Sakuntala , del 1921, ove l’Autore ricrea le antiche ragas indiane anticipando di decennî Olivier Messiaen; e il più grande di tutti, Karol Szymanowski, morto nel 1937.
Enescu è grande già a 24 anni con la Prima Sinfonia . Un primo tempo di ben costruita forma-Sonata cede il passo a un Lent : dopo un appello del corno sinistri echi dei corni con la sordina portano a un oscuro pantano cromatico nel quale armonia e melodia quasi affondano: e se proprio si vuol vedere un’influenza di Wagner essa è qui, in questa sorta di rievocazione del Preludio al III atto del Parsifal . Quando dal pantano si esce l’orchestra incomincia a cantare con una meravigliosa efflorescenza melodica; e le sensuali armonie dissonanti mi pare debbano più a Franck (penso a Psyché ) che non a Wagner. Il terzo movimento, Vif et vigoureux , relativamente più breve, è una ventata di gioia e giovinezza che passa con grande rifinitura formale e magistrale mano di orchestratore.
La vastissima Seconda Sinfonia attinge vertici in specie nei passi di più spinta modernità, ossia nello Sviluppo del primo movimento e nel terzo. È questo bipartito, con un’introduzione lenta e un estesa parte veloce: un capolavoro assoluto di concezione ciclica rispetto al resto della Sinfonia e di elaborazione contrappuntistica conducente alla sovrapposizione e combinazione di tutti i temi. Dal punto di vista stilistico possiamo parlare di una forte influenza dello Skrjabin del Poème de l’extase : influenza che porta, a dir così, a uno Skrjabin depurato dalle scorie teosofiche.
La Terza Sinfonia vede uno Scherzo incastonato fra due fluviali movimenti lenti. Il primo, in un’ampliata forma-Sonata, è in un Do maggiore «misolidio»: l’iniziale esposizione del tema principale, che pare sorgere da abissale oscurità, diverrà il metafisico tornar nell’oscurità della fine. Tale esposizione è un’introduzione lenta: il timpano scandisce minacciosi e funebri dattili.
Lo Scherzo ( Vivace, ma non troppo ) è la pagina più dura mai scritta dall’Autore. Si vuole intenda esprimere le immagini della più terribile guerra della storia. Una marcia atroce, dello stesso genere di quelle e di Mahler e di Sciostakovic ma non parente a loro sotto il profilo stilistico, cresce avvicinandosi a chi ascolta: magistrale la scrittura delle percussioni; giunta che sia all’acme subentra una sorta di palude cromatica che fa pensare al fango delle trincee; indi una serie di lampi maligni ch’evocano a lor volta le granate, i mortai e i cannoni. Un dissonante Corale degli ottoni, la tromba in posizione acutissima, urla tutto lo strazio; poi il tempo si spegne discendendo verso il silenzio, con ultimi spasimi del controfagotto e dei timpani: la carne è spolpata in scheletro. Insieme con la Danza Macabra dell’Ottava di Sciostakovic, questo Scherzo è il più grande Trionfo della Morte della musica del Novecento.
Ma dopo giunge la catarsi. Il Lento ma non troppo finale, che dura 19 minuti, è la purificazione da ogni scoria umana in una contemplazione alla quale può addirsi solo l’aggettivo di sublime: ogni cosa ha la calma metafisica di chi contempla l’umana vicenda da sfere paradisiache; e il coro femminile a bocca chiusa sulla vocale A dona uno straordinario apporto timbrico. Ovvia l’influenza di Sirenes , il terzo dei Nocturnes di Debussy: ma anche qui Enescu salvaguarda la sua originalità. Gli ultimi minuti posseggono colori di diamante ottenuti anche mercé l’uso del campanello. La glorificazione del Do maggiore pare l’esatto opposto dell’inquietante Do maggiore dell’ Ottava di Sciostakovic.
L’ Oedipe è uno dei sommi Drammi musicali del Novecento. Il poeta Edmond Fleg inventa con grande arte un testo che parte prima della nascita di Edipo per giungere alla luce di Colono, nel IV atto: Sofocle ne è la fonte principale; ma la lotta di Edipo contro il Destino, il suo ribellarsi a una colpa originaria, egli ch’è innocente, lo conduce a una redenzione attraverso la sofferenza ch’è bensì implicita nel medesimo Sofocle ma qui vien vista come un uomo del Novecento non può non vedere, in chiave anche cristiana. La luce meravigliosa della partitura al IV atto, quel La bemolle maggiore, quel Si maggiore e poi il finale Sol maggiore sono davvero trasfigurati. Al contrario, la cupezza drammatica dei primi tre atti è spaventosa; Enescu v’impiega i mezzi d’un autentico artista d’avanguardia misurando tuttavia ogni particolare. A Sofocle si aggiunge anche, nel II atto, il dialogo con la Sfinge e la sua morte, e i mezzi musicali impiegati ben sovrastano quell’uso dei quarti di tono che piace ai musicologi segnalare e che in qualsiasi altro compositore darebbe fastidio: l’introduzione orchestrale descrive il suo luogo maledetto seminato di cadaveri con colori spettrali che non si sono mai uditi prima, gli archi con sordina e la tromba piccola in Re: e qui il pensiero non può correre a nessuno dei pittori che han raffigurato la scena, nemmeno a Moreau: o nemmeno a questo Moreau: ma a quello di Ercole e l’idra di Lerna . Poi quando il mostro parla una nuova atmosfera timbrica la circonda: qui translucida: armonici degli archi, pianoforte e celesta: translucida ma ancor più sinistra. La partitura, che ha un suono affatto nuovo (inane parlar d’influenza di Stravinskij o altro), è insieme un monumento al dramma (vi è anche un impiego del tutto originale della tecnica wagneriana dei motivi conduttori), all’armonia e all’orchestrazione. Una delle sue cose sorprendenti è l’invenzione ritmica, tanto originale quanto inesauribile; sotto tale profilo l’Autore ha pochi confronti nel Novecento; e la sottigliezza della sua prosodia francese lo rende almeno pari allo stesso Debussy.
Delle altre tre Sinfonie di Enescu e della sua musica da camera parlerò in un mio prossimo libro: ma dirò ancora una cosa: nella musica di questo Sommo non troverete mai lo stesso tema enunciato due volte allo stesso modo: la Variazione continua è una delle sue divinità .

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Rispondi a questa discussione...

×   Incollato come rich text.   Incolla come testo normale invece

  È permesso solo un massimo di 75 emoticon.

×   Il tuo link è stato incorporato automaticamente.   Visualizza come collegamento

×   Il tuo contenuto precedente è stato ripristinato.   Cancella editor

×   Non è possibile incollare direttamente le immagini. Carica o inserisci immagini dall'URL.

Loading...
 Share

×
×
  • Crea nuovo...