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Piano Concerto - Forum pianoforte

pestatasti

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Risposte postato da pestatasti

  1. Sto cercando lo spartito di questa bellissima trascrizione di Busoni di cui linko l'esecuzione di Horowitz (di cui avevo un'incisione della deutsche grammophon della fine degli anni ottanta, aimhe smarrita):

    http://www.youtube.com/watch?v=5R8gmXp2Rh4

    Ho provato su Petrucci ma non c'è.

    Qualcuno può aiutarmi?

    Potreste indicarmi anche delle buone edizioni delle opere di Busoni?

    Grazie mille

  2. Hai ragione, apparente facilita'. Dopo 2 ore di studio la grossa difficolta' e' renderlo "fluido"

    Si, infatti. Secondo me la difficoltà maggiore è nell'esecuzione delle note ripetute che dovrebbero creare un tessuto armonico costante, dolce e appena sussurrato e appunto fluido nella parte iniziale, ossessivo e drammatico nell'inciso centrale.

    Nella parte iniziale, inoltre, la mano sinistra esegue un controcanto "incastrato" tra le crome ripetute, che dovrebbe suonare distinto dalle note ripetute e al contempo non disturbare la melodia della destra.

    Trovo inoltre molto difficile "rendere" l'atmosfera dell'inciso centrale dove la dolce malinconia svanisce lasciando spazio a un tema di semiminime oscuro e drammatico che, grave e appena sussurrato, cresce fino sfociare in accordi dapprima poderosi e poi nuovamente ripetuti in piano, il tutto trasmettendo un senso di tragedia ed ineluttabilità che mi ricorda alcuni passaggi del requiem di Mozart.

    Infatti credo che questo preludio sia avvolto da una atmosfera sacra, un presagio di morte, una sensazione di dolce sfinimento che mi sembra indispensabile trasmette a chi ascolta.

  3. Grazie ad entrambi per il tempo dedicatomi ovviamente menzione di onore a carlos, corro subito a studiarlo

    Auguri... secondo me, nonostante l'apparente facilità, è una delle cose più difficili da suonare... occorrono tocco e musicalità sopraffini altrimenti il pezzo si svilisce in una cantilena anche un pò monotona

  4. Scherzi a parte, la padronanza degli abbellimenti e in particolare dei trilli secondo me è fondamentale e da curare molto. .

    ..sarebbe ideale studiare queste opere su pianoforti di fine 800 o, per quei pochi privilegiati, Fortepiani dell’epoca di Mozart (vedi Stein) dove i fraseggi fluiscono che è una meraviglia e i trilli e gli altri abbellimenti che la musica richiede trovano la loro giusta collocazione.

     

    E' proprio quello che mi scoraggia in Mozart e nel repertorio barocco (Bach in primis). Trilli e mordenti mi vengono "loffi" (poco puliti) e troppo misurati!

    Sulla spinetta (che possiedo oltre al pianoforte) l'esecuzione non mi riesce meglio e le cose migliorano (niente da paragonare con quanto si sente nei dischi) solo dopo ore di esercizio che mi consentono di "adeguarmi" alla tastiera del cembalo.

    Forse bisogna articolare molto in sede di studio e poi cercare di dimenticarsi la metrica e cantare quando si esegue...

    Avresti qualche consiglio per lo studio dei trilli, dei mordenti e degli abbellimenti in genere?

    Mi interesserebbe molto.

  5. Mi spiace per lui ma oggettivamente sarà sempre un mezzo pianista semplicemente perchè un buon 40% del repertorio non potrà suonarselo ... Chopin sarebbe il meno dei mali ;)

     

    Meglio si orienti verso il repertorio antico, quasi quasi meglio che faccia il cembalista

     

    Questa si che è criticabile. Le donne allora, che hanno mani più piccole, dovrebbero considerarsi geneticamente meno dotate degli uomini? In realtà ci sono ottimi pianisti con mani piccole (ricordo una ragazzina che pur avendo cominciato a suonare dopo di me eseguiva lo scherzo n. 2 di Chopin quando io lottavo per imparare l'improvviso op. 90, n. 2 di Schubert) e ottimi clavicembalisti con mani grandi.

    Quanto a Chopin è vero, purtroppo, che lo suonano quasi tutti e quasi tutti lo "sfoggiano" come un "cavallo di battaglia" salvo poi andare in crisi di fronte, ad esempio, ad una sonata di Scarlatti.

    Quanto alle parole di Abbado riterrei che fossero motivate, più che altro, da intenti commerciali (infatti, come ci conferma questa discussione, per la stragrande maggioranza dei pianisti esiste solo Chopin, e suonare significa suonare Chopin).

    Nel prendere atto che l'unico che ha detto qualcosa su Debussy è TheSimon, vorrei chiosare sul rapporto tra tecnica, doti fisiche, studio e talento con una frase che credo di aver letto in un saggio di scrittura creativa:

    "nelle scuole di calcio bisogna rimproverare chi calcia di punta; eppure Maradona sapeva far gol anche di punta".

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  6. Concordo con Simone che ringrazio anche per la sua risposta. Quanto a Chopin (pure da "eretico" semi-autodidatta quale sono) ho notato che le mie capacità sono notevolmente progredite proprio dopo averne affrontato alcuni studi e la seconda e terza ballata (che non finirò mai, credo, in tutta la mia vita di continuare a studiare e perfezionare).

    Questo perché, al di là di ogni elogio della qualità artistica dell'opera, credo che Chopin abbia davvero rivoluzionato la tecnica pianistica, facendo quello che nello stesso periodo i costruttori (Erard, Pleyel) stavano facendo con la struttura e la meccanica dello strumento.

    Nel forte-piano le corde erano fissate direttamente alle fasce, come nel clavicembalo, la tastiera era ancora molto leggera, poi è arrivata l'arpa in ghisa, il doppio scappamento... E così nelle scuole di Clementi si pensava ancora anzitutto all'articolazione... per questo la gestualità tecnica introdotta da Chopin (sbalorditiva per l'epoca) la troviamo in tutta la letteratura successiva, e in particolare in Debussy che, credo, dal punto di vista strattamente tecnico-pianistico abbia innovato poco o nulla.

    Non credo però che questo significhi che si debba necessariamente studiare quella tecnica proprio su Chopin o su Listz. L'importante è imparare e capire che il suonar bene, forse, è un mix irriducibile di articolazione, caduta, rotazione, movimento del polso che ognuno di noi dovrebbe raggiungere in relazione alle proprie caratteristiche fisiche e al proprio gusto... fino ad arrivare a quello "stato di grazia" che vorrebbe un buono strumento e il giusto approccio psicologico.

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  7. Buongiorno a tutti. Premetto di aver dovuto interrompere gli studi di conservatorio dopo l'esame del quinto anno ma ho sempre continuato (per quasi vent'anni) lo studio da autodidatta. Pur avendo ormai un vago ricordo del periodo accademico, mi ricordo bene come tutti i miei "insegnanti" insistessero sempre e soltanto su "poso rigido ed articolazione". Ho quindi pensato che la tecnica passasse esclusivamente dall'articolazione e mi sono pure torturato in esercizi "avanzati" (tipo Hanon) fino a quando sono comparsi pericolosi dolori tra 1° e 3° dito e le mie mani (sinistra soprattutto) anziché sciogliersi si stavano irrigidendo.

    Le lezioni del maestro Ferrarelli sulla tecnica pianistica mi hanno aperto un nuovo mondo e vi ho trovato conferma di un "diverso" modo di suonare che avevo sviluppato osservando la gestualità di grandi pianisti (che lavorano molto di polso e spesso articolano poco o nulla tenendo le dita distese e rilassate, quasi appoggiate ai tasti) e cimentandomi con la letteratura romantica e post romantica.

    Davvero credo che sia impensabile eseguire certi passaggi articolando pignolescamente (es. ottave spezzate di accordi ed arpeggi della mano sinistra in Chopin).

    Venendo al punto, e sempre che sia corretto quanto ho appena detto, mi piacerebbe aprire una discussione o anche solo sapere quale sia il giusto approccio tecnico per affrontare le estampes di Debussy (che amo) e in particolare gli arpeggi della mano destra nella coda di "pagodes" (dove a mio avviso le note dovrebbero fondersi creando un eco ondeggiante in sottofondo) e quelli di "Jardins sous la Pluie" (sporattutto dove le mani si incrociano con note ribattute).

    Inoltre, collegandomi al discorso sulla meccanica del pianoforte, secondo voi è indispensabile avere il doppio scappamento (e quindi la coda) per eseguire bene certi brani con note ribattute (es. proprio jardins sous la pluie)?

    Grazie mille,

    Francesco

  8. Mi permetto di dire la mia riguardo al paragone tra il jazzista e il classico: l'improvvisazione è spontaneità, nasce sul momento e, quando funziona, stupisce anche il musicista, è senz'altro molto divertente. Personalmente quando improvviso mi riesce molto più facile suonare, non penso mai a problemi tecnici, le mani scivolano con morbidezza e riescono a fare cose che, se dovessi leggerle sulla carta, dovrei studiare per giorni.

    L'interpretazione "classica" nasce da un testo, è fatta di studio, di comprensione, memorizzazione e sedimentazione e, senz'altro, esige anche disciplina e duro lavoro (chi è che si siede davanti ad una ballata di Chopin e la suona così, all'impronta?). Poi però, se lo studio riesce (e per me non è sempre così) ci si dimentica di tutto, della pagina, delle mani, delle dita, ci sentiamo tutt'uno con lo strumento e con il pezzo... la grande musica, quella scritta, più che piacere è in grado di trasmettere una sensazione di assoluto appagamento esistenziale.

  9. Avendo qualche esperienza di costruzione di clavicembali credo che effettivamente avrebbe dovuto usare colla alifatica che, se ben applicata (non in eccesso e senza lasciare spazi vuoti), crea una fusione molecolare tra le parti del legno senza alterare la vibrazione.

    Comunque, quanto costerà mai cambiare lo stiletto? Al limite fatti fare un altro paio di accordature gratis... (senza rompere le corde però!).

  10. Ogni interprete maturo dovrebbe basarsi esclusivamente su testi originali, magari privi di diteggiaure. Solo così infatti è possibile sviluppare una comprensione ed interprtazione del testo veramente "propria" e non indotta da qualche revisore.

    Premesso questo io "frugo" spesso della libreria musicale Petrucci (www.impls.org) che soprattutto per compositori antichi e barocchi, tra cui anche Bach, ha anche scansioni di manoscritti o prime edizioni (per le goldberg trovi la prima edizione di norimberga, Balthasar Schmid del 1741).

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