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Piano Concerto - Forum pianoforte

lezioni di pianoforte on line


Jack
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Dando per scontato che le lezioni di pianoforte "classiche" con un maestro che segue l'alunno vis a vis siano l'ottimo, volevo conoscere la vostra opinione circa le lezioni online.

Possono avere una loro utilità o sono una perdita di tempo, e di soldi?

Mi domando se un maestro riesca a seguire un allievo tramite il monitor di un pc, e avere contezza delle sue specificità in modo da poterlo guidare e indirizzare nella crescita pianistica.

Mi viene da pensare che via skype un maestro non riesce ad avere neppure una "visione d'insieme" dell'alunno al pianoforte. Come potrà correggerne eventuali difetti posturali?  

Però magari sono mie suggestioni ed ogni problema è risolvibile.  

Sono determinato a riprendere le mie lezioni di pianoforte ma, un pò per il  problema covid, un pò per la difficoltà di trovare in loco un maestro che sappia colmare le mie specifiche lacune, pensavo di orientarmi su lezioni via skype con un maestro di comprovata esperienza. 

Grazie a chi vorrà darmi un parere.    

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Grazie per la risposta.

Per stimolo per la "scadenza" intendi l'approssimarsi di esami di conservatorio o concerti?

Non è il mio caso. Ho fatto un annetto circa di lezioni ma senza grossi risultati. Sento di dover ripartire quasi da zero, ma con un altro maestro. Ciò che mi preme è acquisire innanzitutto una buona tecnica di base.  Sto studiando solfeggio, teoria e un pò di armonia. Ci si riesce discretamente anche da autodidatti. Ma quando ci si approccia al pianoforte bisogna che ci sia una guida, perchè nella migliore delle ipotesi si corre il rischio di prendere abitudini errate.   

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La scadenza è anche la lezione. Sono piccoli tragurdi di studio. Poi ci sono sicuramente esami ma anche saggi, concerti e concorsi che sono traguardi più "grandi".

 

Il pensare che solo lo strumento comporti implicazioni sulle abitudini è molto comune. Gli schemi mentali degli aspiranti compositori sono spesso letali in quanto anche essi possono essere ridotti ad abitudine. Per direzione, stesso discorso...maturare un buon gesto richiede "buone" abitudini. 

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Mi trovo pienamente d'accordo con Frank. Il maestro di strumento deve essere vicino all'allievo. L'osservazione e il suggerimento devono essere fatti con la presenza dell'allievo e l'allievo, suonando, deve avere la presenza del maestro. Inoltre l'ascolto on line è scadente e non educa al suono! Se ci mettiamo, un pianoforte che non funziona, un maestro-virtuale lontano e suono non buono, possiamo chiaramente immaginare quali risultati si possano ottenere. Il maestro deve avere anche la possibilità di fare esempi sul pianoforte sul quale l'allievo suona, anche per valutare la qualità dello strumento e riscontrare se ci possono essere "compensazioni" che l'allievo mette in atto nel caso lo strumento non funzioni bene. l'auditivo, il visivo e il cinestetico devono essere realizzati e proposti dal vivo. Questi mezzi di comunicazione, se on-line, sono molto "nascosti" e, a volte, addirittura alterati. 

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Mi pare di capire che la via maestra nell’approccio allo studio dello strumento sia quella di prendere lezioni in presenza.  

Come già accennato, qualche tempo fa ho preso lezioni di pianoforte presso un’accademia musicale della mia città, per quasi un anno. Il rapporto umano col maestro è stato davvero buono. Nulla da eccepire. Mi resta il ricordo di una persona gentile e sempre disponibile. Ricordo che sovente la lezione si protraeva oltre l’ora canonica, senza obiezioni.

Da un punto di vista didattico, invece, direi luci ed ombre. Non ho esperienza per poter valutare in maniera oggettiva la preparazione di un maestro. Però, un'opinione se la fa anche l'allievo più sprovveduto.

Sentirlo suonare era un piacere. Ricordo che insisteva molto sul “suono”, anche quando i primi tempi a stento “beccavo” i tasti giusti. Al momento la cosa mi appariva bizzarra, ma poi, grazie anche ad alcune considerazioni lette qui sul forum, ho capito che l’emissione del giusto suono è essenziale, e tale abilità vada affinata sin da principio.

Eppure, ciò che mancava nella didattica era l'approfondimento “della via” per raggiungere un determinato obiettivo. Ricordo che le cadute le abbiamo risolte in meno di una lezione. Delle scale abbiamo curato soprattutto l'aspetto inerente la teoria musicale. Però, nel momento in cui dovevo eseguirle utilizzando il peso, non mi veniva spiegato il “come” riuscire a farlo.   

Il maestro non mi hai mai accennato alla muscolatura, quindi alla problematica inerente i muscoli antagonisti e alla necessità di farli lavorare alternativamente. Nessun accenno ai gesti di base. Nessun riferimento al come distribuire il peso fra spalla, braccio e avambraccio. Oppure su come ottenere un buon legato (ma forse i tempi non erano maturi).

Per evitare tensioni, l’indicazione era di mantenere il polso “morbido”… e di articolare.

Credo che un bravo maestro debba spiegare i movimenti giusti,  poi “mostrarli” praticamente, ed infine farli applicare all’allievo con gli esercizi/studi che ritiene più opportuni.

Sentirsi ripetere “… stai rilassato, mantieni il polso morbido e articola!” lascia il tempo che trova se non viene fornita un' adeguata didattica sul concetto e applicazione del rilassamento. Ciò che richiede una base di conoscenze di anatomia e adeguati esercizi per l’ottenimento della rilassatezza di spalle, braccia… etc.

Insisto su questo aspetto, magari sbagliando, perché penso che approcciare nel modo corretto la tecnica pianistica sia fondamentale anche per il semplice “amatore” del pianoforte. Se non altro per non incappare in tendiniti e quant’altro. Penso che un allievo col tempo possa spiccare il volo o restare al palo. Le variabili sono infinite. Però, in entrambi i casi, quando ci si siede al pianoforte bisogna farlo con la giusta postura e in assenza di tensioni. Altrimenti, meglio lasciar perdere, anche se il livello pianistico è modesto.

Ripeto, sono mie opinabili considerazioni.

Ed eccoci al dunque:

Volendo riprendere le mie lezioni di pianoforte, mi chiedevo ( e chiedo a voi gentilmente), se esistono dei criteri da seguire nella scelta di un “bravo” maestro. Oppure bisogna semplicemente affidarsi al passaparola e provare per un certo periodo se c’è il giusto feeling. 

Stante che un bravo maestro avrà un cachet adeguato, vorrei gentilmente qualche suggerimento per fare una buona scelta. Quali referenze chiedere, ad esempio.  

Ringrazio anticipatamente.

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9 ore fa, Jack ha detto:

 mi chiedevo ( e chiedo a voi gentilmente), se esistono dei criteri da seguire nella scelta di un “bravo” maestro.

... equivale a chiedersi: "esistono dei criteri da seguire nella scelta di un 'bravo' medico?"

Io dico sempre: "alla fine è medico chi cura"; so che è una non risposta ma se proprio dovessi dare un parametro ritengo che il "bravo" maestro si veda di più sugli allievi meno dotati. Quando un allievo "normo" dotato ottiene buoni risultati ... dietro c'è un bravo maestro (dicamo didatta, perchè questa è la capacità messa in campo). Con i fenomeni suono buoni tutti...e spesso capita di sentirne rovinati (da scarsi didatta).

 

 

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Non esiste una tipologia di maestro. Quello giusto è quello che va bene per te. Molti anche bravi pianisti possono non avere una preparazione didattica. Insegnanti si diventa. Il buon maestro deve sempre esemplificare e circostanziare quello che suggerisce. I principi, come in tutte le pratiche e le Arti sono pochi, ma sembrano così difficili e innaturali. Quando si è "avanti" e ci si guarda indietro, si osserva come sia necessario fare poche cose . Per esempio suonare "fuori tensione" non è facile. Sfruttare la compartecipazione dei diversi muscoli nemmeno. Anche gli sport sono basati su pochi e sani principi. Quando si osserva un bravo pianista o un bravo sportivo....sembra che non faccia niente. In realtà lui impara a "destrutturare" e abbandonare il credere che il corpo, le braccia, le mani siano solo schiavi  dell'allenamento. La concentrazione e le risoluzioni delle difficoltà attraverso la comprensione del "gesto" mettono in condizione l'artista, lo sportivo ecc. di crescere sempre di più in un micromondo fatto di attenzioni, micromovimenti e rapide piccole decisioni. Ecco perché credo che non serva "far muscoli", ma sapere come risolvere una volta per tutte quel passaggio. Certo, non è conveniente non studiare per lunghi periodi, perchè i muscoli piccoli e grandi perdono un po' la capacità del coordinamento nei micromovimenti e non solo e quindi l'energia che devono sviluppare senza tensione. Anche il "cantabile" , cosa più difficile da realizzare sul nostro strumento, ne soffrirà. Quella proporzione, naturale, tra intensità e durata del suono ( che realizza il cantabile legato ) si dovrà ritrovare. Però tutto ciò che si è tecnicamente compreso a fondo sarà ritrovato in poco tempo.

Il maestro deve sorvegliare e sviluppare tutto questo e non solo, in ragione, si capisce, alla capacità e al talento dell'allievo

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Leggo solo ora la risposta di Frank che condivido in pieno. Converrebbe sentire un saggio di questa o quella scuola. Fu la mia esperienza. Da giovanissimo, fino ad una certa età, non riuscivo per niente a capire i principi di base e non "andavo avanti". Cambiavo continuamente maestro. Mi dicevano tutti pochissimo o addirittura ascoltavano e basta!

Fortuna volle, non per lei, che mia nonna si ruppe una gamba. Andò a finire in camera, al CTO, con una signora attempata, madre di una pianista. La pianista fece un saggio dei suoi allievi in un piccolo auditorio a via Teulada a Roma. Io non mancai di andarci. Caspita! Suonavano tutti bene....anche i meno bravi (concetto espresso da Frank). 

Quella sconosciuta pianista, ormai quasi cinquantenne, era stata allieva del grande Bajardi e , in seguito, di Carlo Zecchi e Alfredo Casella.

Fu la mia insegnante fino al diploma. Nel ricordo di Lei, Le devo tutto!

Fu durissima ( ma buonissima al tempo stesso!) e fece bene, perchè io credevo di saper fare molte cose...che invece non sapevo fare! Molte volte mi mandò a casa con il libro sotto il braccio! Pochi giorni prima di andarsene, mi chiamò a casa sua e mi regalò, con una dedica, l'opera omnia di Chopin che contiene i segni rossi e blu della matita di Zecchi sulla sonata op. 58 in si minore. La sonata che fu una pietra miliare della sua vita di studio!

 

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Grazie per la condivisone del bel ricordo della tua insegnate, Paolo. 

A volte può risultare decisivo incontrare le giuste persone che sappiano valorizzare i nostri talenti. 

Vi ringrazio per i preziosi consigli.

Approfitto per un' ultima domanda. E anche una piccola curiosità.

La domanda:

Non mi intendo dei programmi di conservatorio. Credo ci sia un preaccademico di 5 e passa anni, poi un accademico di 3, e una "specialistica" biennale. Il tutto per ottenere il diploma che equivale ad una laurea in altro ambito.

In tutti questi numerosi anni di conservatorio bisognerà sostenere gli esami relativi a diverse materie/corsi. Esami di teoria, armonia, storia della musica, composizione, solfeggio, accompagnamento, e varie altre materie che neppure immagino.

Si tratta comunque di materie "teoriche".

Ma, nel caso del nostro strumento, quali sono le materie di conservatorio che attingono alla pratica pianistica? Quali sono, cioè, quelle materie/corsi in cui c'è il maestro che ti insegna e poi ti mostra come si "mettono le mani" sul pianoforte? Chè so ... un fondamenti di tecnica pianistica... ?

Infine la curiosità:

Mi rivolgo soprattutto a chi ha fatto o ancora fa attività concertistica. E, in misura minore, esibizioni in pubblico.

La cosa che per certi versi mi "sconcerta" ? dell'attività concertistica per pianoforte, è che sia imperativo non commettere errori. In rete ci sono alcuni vecchi video di affermati pianisti (ad esempio Cortot) in cui si può apprezzare qualche piccola imprecisione. Ma ciò mi pare sia inaccettabile per le esibizioni dei nostri giorni. Credo che un Lang Lang che dovesse sbagliare una nota o che dovesse avere un vuoto di memoria.. si sia giocato la reputazione.

Tutto ciò è per certi versi "innaturale".

Non è neppure una questione di studio, di preparazione, di applicazione, di talento. Può esercitarti anche 24 ore al giorno, ma se fai concerti per anni e anni capita la volta che vai nel pallone. L'errore è umano. Gli errori sono previsti in tutte le attività umane. Anche un cardiochirurgo che commetta un piccolo errore può rimediare. Un ingegnere può rivedere un progetto. Un centometrista che sbaglia la partenza riprova alla successiva olimpiade. 

Restando in ambito musicale, il componente di un'orchestra che commetta una piccola imperfezione può "cavarsela" perchè il suo strumento è "coperto" dagli altri. Magari fra gli addetti ai lavori pagherà pegno, ma il pubblico non se ne renderà conto. 

E invece per un solista, per un pianista, l'errore non è contemplato. Ecco perchè diversi pianisti di oggi mi sembrano macchine.

E non mi capacito di come si possa reggere la tensione di dovere essere sempre "perfetti"... in ogni occasione.  

Oltre che talento e tecnica, un pianista di primo livello deve avere anche una "testa di ferro"... e una buona dose di fortuna.

Mi raccontava il mio maestro (ma non so se corrisponda a verità) che questa ricerca ossessiva delle perfezione, questa simbiosi maniacale e totalizzante con lo strumento, abbia condotto alcuni concertisti (mi ha fatto il nome di un concertista vivente) ad alienarsi un pò da tutto il resto.

 

 

 

 

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Sulla questione programmi di conservatorio puoi esplorare l'offerta formativa tramite i siti istituzionali. Vedi ad esempio quello di Milano:

https://www.consmilano.it/it/didattica

 

Per la questione errori, diciamo che ci siamo abituati ad avere esecuzioni sempre più perfette dal punto di vista del numero di errori che è difficile disabituarsi (l'uomo è un animale abitudinario per definizione). La questione però è un po' più ampia; mediamente in questo tipo di discorsi si tende a pensare che le esecuzioni siano sono quelle dei pezzi più noti, dove ci piace vincere facile a livello di "ricerca errori",  ma esistono inediti, repertori meno battuti, etc. ... qui l'abitudine dell'ascoltatore non centra. Da compositore posso dirti che gradisco che i miei pezzi arrivino per come li ho scritti e non con note inventate in quanto non esistendo registrazioni storiche, il rischio è di far formare una memoria sbagliata dei pezzi.

In tutti i casi è complice la registrazione; finchè un errore si sente in un concerto, "passa". Ma un disco, con tutte le tecniche di registraizone che esistono oggi, porta l'interprete a voler lasciare un'idea perfetta  della sua interpretazione e questo alimenta l'abitudine alla perfezione dell'ascoltatore. Siamo sicuri che è un male?

Non sbagliare note, non vuol dire automaticamente non essere musicali. Per cui se si riesce, c'è solo da beneficiarne.

 

 

 

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