Jump to content
Piano Concerto - Forum pianoforte

La sottile arte della guida all'ascolto


LucaCavaliere
 Share

Recommended Posts

come alcuni di voi già sanno in questo periodo mi sto addentrando nelle sinfonie di Mahler: autore di cui fino a tre mesi fa avevo ascoltato (bene) solo la Prima sinfonia.

 

Non ci sono davvero parole per dire quanto sia bello per me questo progressivo ascolto delle sue opere in ordine cronologico. Ascolto ogni sinfonia almeno 4 o 5 volte prima di passare alla successiva.

Ora ho ascoltato una sola volta la Settima ma .... Scusate: posso dire che nel complesso la trovo pesante!?.. Oltre che, al momento, per nulla piacevole da ascoltare.

 

Per una mia fissa personale quando ascolto qualcosa di nuovo evito di leggere guide all'ascolto (dopo averla ascoltata una o due volte però sì).

 

Ora su Flaminioonline leggo queste cose sulle due guide all'ascolto presenti per la Settima

 

«La "Settima" è tra le più difficili e complesse delle nove sinfonie di Mahler» (dalla guida 1)

 

«Fra le Sinfonie di Mahler, la Settima contende all'Ottava il primato della meno eseguita e, di conseguenza, è con essa la meno conosciuta e apprezzata dal grande pubblico (...) Che si tratti di una Sinfonia ostica, perfino sgradevole in certi passaggi, è indubbio»  (dalla guida 2 di Sergio Sablich)

 

Bene. In parte mi consola, in parte mi incoraggia: vorrà dire che per apprezzarla ci vorranno più ascolti che con le altre sei precedenti.

 

Sempre Sergio Sablich, più avanti, prosegue:

«Del resto, nessuno pensa ormai più di accostarsi a un lavoro di Mahler attraverso un ascolto ingenuo e disimpegnato: la forza e l'interesse della sua musica stanno proprio in questa richiesta»

 

Ecco: nemmeno io mi sogno di fare ascolti disimpegnati con Mahler.

Ma leggere la guida di chi, ben più avanti di me, mi dà atto che l'opera in questione ha qualche difficoltà di approccio... Non son come dire: è un bell'incoraggiamento.

  • Like 2
Link to comment
Condividi su altri siti

Non ci sono davvero parole per dire quanto sia bello per me questo progressivo ascolto delle sue opere in ordine cronologico. Ascolto ogni sinfonia almeno 4 o 5 volte prima di passare alla successiva.

Ora ho ascoltato una sola volta la Settima ma .... Scusate: posso dire che nel complesso la trovo pesante!?.. Oltre che, al momento, per nulla piacevole da ascoltare.

 

 

 

Non so, ovviamente ciascuno ha i propri gusti. Per me è una delle più belle sinfonie in assoluto... nonché una delle più "mahleriane" (ovvero una delle più caratterizzanti il suo stile) a mio parere .

Fantastica e sorprendente la strumentazione.

Prova ad ascoltare più volte solo il secondo movimento:

 

https://youtu.be/QdxvC7NNSLQ?t=1227

 

Se puoi, non guardare il video, ascolta tutto al buio (è musica notturna ;))

Più che una guida all'ascolto (sempre utilissima, per carità) forse dovresti scoprire quali sono (se ci sono) le tue  affinità di spirito con il mondo che questa musica definisce. Altrimenti qualunque musica diventa difficile e pesante.

  • Like 2
Link to comment
Condividi su altri siti

 forse dovresti scoprire quali sono (se ci sono) le tue  affinità di spirito con il mondo che questa musica definisce. Altrimenti qualunque musica diventa difficile e pesante.

Lo penso anch'io! :)

 

con Mahler le affinità ci sono. Non da molto a dirla tutta.

 

Con la Seconda sinfonia ci ho messo un po' ad assimilarla. Forse proprio grazia alla Seconda con le altre è stato via via più veloce.

Un po' presuntuosamente pensavo di essere totalmente a mio agio col linguaggio di Mahler.

Ora mi ritrovo con questa Settima che mi è dura (a dire il vero solo nei movimenti estremi).

 

Di sicuro arriverò anche ad ascoltare il secondo movimento da solo.

Per ora solo ascolto e riascolto integrale della sinfonia.

 

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

Mahler la giudicava "...troppo complicata per un pubblico che non conosce nulla ancora di mio". :wub:

 

Sarà che a me piacciono molto le musiche complicate ...!!!

 

Ma tu Luca ormai conosci cosa è accaduto in precedenza nelle altre sinfonie ... e dunque, sono sicuro che alla fine potresti convenire con Bianca che "è una delle più belle sinfonie in assoluto... nonché una delle più "mahleriane". :) 

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

L'unico consiglio che mi viene in mente è di una banalità tale da rendermi sicuro che ci hai già pensato: hai provato ad ascoltare differenti versioni? Non so con la Settima, ma con altre opere di Mahler mi è capitato di sentire interpretazioni tanto diverse da farmi dubitare che si trattasse dello stesso brano! E se anche l'incisione che stai ascoltando rimarrà quella di riferimento, le altre forse ti aiuteranno a creare un po' di "prospettiva"...

 

In alternativa, potresti ascoltare la Settima Sinfonia di ... Bruckner! (o magari di Sibelius)

Link to comment
Condividi su altri siti

Io ho ascoltato questa

Ma tornando alla questione del pesante e dello sgradevole, viene in mente che talvolta, per varie ragioni, qualche compositore ha deliberatamente cercato il brutto, talvolta non si è curato del bello, talvolta ha scansato con cura il gradevole. Non avevo mai pensato alla Settima Sinfonia di Mahler in questa prospettiva, però ...

Link to comment
Condividi su altri siti

Scansare il gradevole... è vero.

Anche Beethoven in molte occasioni non mi pare che abbia avuto in testa il 'gradevole' come risutato.

Però non riesco a concepire un artista (non solo musicista) che cerchi di scansare 'il bello': magari il risutato sarà a molti sgradevole, ma si tratta - molto probabilmente - di una bellezza da.... capire? imparare ad apprezzare?

Credo che sia il caso di certi passaggi della Settima di Mahler

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

Scansare il gradevole... è vero.

Anche Beethoven in molte occasioni non mi pare che abbia avuto in testa il 'gradevole' come risutato.

Però non riesco a concepire un artista (non solo musicista) che cerchi di scansare 'il bello': magari il risutato sarà a molti sgradevole, ma si tratta - molto probabilmente - di una bellezza da.... capire? imparare ad apprezzare?

Credo che sia il caso di certi passaggi della Settima di Mahler

 

Bravo Luca, nulla di più sensato! Quanto sono importanti le parole!

Cercare "il brutto" nell'arte non è forse un controsenso? lo sgradevole, l'ostico, il difficile, lo stridente.... sono un'altra cosa, e non possono anch'essi essere mezzi, percorsi per giungere al bello?

ma che cos'è "il bello" nell'arte? Forse è una domanda che ci si pone sempre troppo poco.

Link to comment
Condividi su altri siti

Senz’altro Beethoven è il primo esempio che viene in mente – e non solo nell’op. 106 o nell’op. 133, ma anche in luoghi meno evidenti. Pensavo di poter distinguere il brutto/sgradevole/stridente che ha fine “rappresentativo”, dove insomma la dissonanza corrisponde programmaticamente a una immagine che si vuole raffigurare (gli esempi sarebbero innumerevoli, da Orfeo a Lady Macbeth passando per Don Giovanni, ma anche uscendo fuori dal teatro, nel cromatismo di una Passione oppure in uno sgraziato Fra Martino intonato dai contrabbassi) dal brutto/sgradevole/stridente come elemento costitutivo di una ben precisa “visione del mondo” (e quindi il Beethoven di prima, ma anche Mahler, e così via). Ma mi è sembrata ben presto una distinzione un po’ grossolana, e spesso incerta.

 

Sulla possibilità del brutto nell’arte, francamente non lo so – temo del resto che con questi termini non intendiamo le stesse cose. Spero però concorderemo sul fatto che il bello non è il fine dell’arte – è casomai un mezzo (l’artista se ne può servire o meno). L’esempio di Stravinskij, anche se fosse apocrifo, rimarrebbe comunque evidente e significativo (http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/1726-lorchestrazione-di-mozart-parliamone/?p=14005). Del resto stavo ascoltando Scales, e ora mi chiedo: quante delle sue numerose indicazioni espressive rimandano a un suono “bello”? (anche senza contare quel “Inatteso, poco a poco molto brutto” al tredicesimo minuto).

Link to comment
Condividi su altri siti

Io penso che "bello" e "brutto" siano valori assolutamente relativi nella vita e nell'arte lo siano ancor di più.

 

Musicalmente parlando cosa è bello e il brutto per me? E' bello tutto quello che ascoltandolo mi trasmette piacere. Il brutto è tutto quello che mi da il sentimento opposto.

 

La musica che Red ha proposto, ad esempio, per me è bella anche in quel fatidico tredicesimo minuto.

Link to comment
Condividi su altri siti

ma che cos'è "il bello" nell'arte? Forse è una domanda che ci si pone sempre troppo poco.

 

Dieci anni fa avevo molto più voglia di pormela questa domandona.

 

Ora molto meno. Più vado avanti (ammesso che vada 'avanti'  :rolleyes: ) e più mi sento inadeguato alla domanda.

Però non mi è venuta meno la voglia di cercare il bello nell'arte; anche senza capire davvero che cos'è e in cosa consista.

 

Sull'utilizzo dello 'sgradevole' a scopi espressivi mi pare - Bianca, Red - che siamo d'accordo.

In fondo si tratta di quello che intendeva Dante nell'esclamazione «S'io avessi lerime aspre e chiocce» con cui inizia il XXXII canto dell'Inferno.

 

(Se io avessi rime aspre e così sgraziate... sarei più netto e chiaro nell'esprimere l'immagine - orribile - che ho in mente)

 

Ecco: senza pretendere di dare LA risposta, il 'bello' nell'arte è, in parte, la 'chiarezza' con cui si esprime ciò che si ha da esprimere; che sia tragico o comico, epico o quotidiano.

Link to comment
Condividi su altri siti

La musica che Red ha proposto, ad esempio, per me è bella anche in quel fatidico tredicesimo minuto.

 

beato te Daniele.

io, dal primo al ventesimo minuto, non riesco a sentire nulla di musicale.

 

A meno di considerare musicale anche l'occupare il tempo e lo spazio con oggetti sonori organizzati (considerazione che, francamente, non riesco a fare)

Link to comment
Condividi su altri siti

"Fair is foul, and foul is fair:
Hover through the fog and filthy air."

 

"Bello è il brutto, e brutto il bello"

 

Chissà qual è il fine dell'arte? Al più ci potremmo chiedere qual è il fine di ciascun artista.

 

Ma le parole, se esistono, hanno un senso e tendono, prima o poi trovare una loro collocazione nel mondo di ciascuno.

  • Like 2
Link to comment
Condividi su altri siti

beato te Daniele.

io, dal primo al ventesimo minuto, non riesco a sentire nulla di musicale.

 

A meno di considerare musicale anche l'occupare il tempo e lo spazio con oggetti sonori organizzati (considerazione che, francamente, non riesco a fare)

In effetti il punto è questo Luca: tu non riesci a sentire nulla di musicale in quel brano e questo fa sì che, inevitabilmente, per te non sia musica.

 

Berio diceva che " musica è tutto quello che ascoltiamo con l'intenzione di ascoltare musica, e che tutto può diventare musica ... a condizione che questa totalità possa essere musicalmente concettualizzata, analizzata e tradotta su livelli diversi. Tale concezione e tale traduzione sono possibili solo con la nozione di musica come Testo: un testo pluridimensionale in continua evoluzione."

 

In parole povere tutto è relativo, come sempre, a ciò che noi vogliamo sia o non sia - ma sarebbe valido per qualsiasi cosa - musica.

 

Allora io non sono un beato Luca, Sono solo uno che ad un certo punto della mia vita di ascoltatore musicale mi sono posto il problema se la musica da una certa epoca in avanti, fosse tale o no. Me lo sono posto perché, evidentemente, fino a quel momento, tale non lo era.

Oggi come oggi, dopo tante imposizioni, tanti ascolti, mi accorgo che le mie orecchie possono essere deliziate dai suoni anche di questa musica.

Io ovviamente non sono assolutamente in grado di farti "una "sottile arte" dell'ascolto: non sono capace per la musica tonale, figuriamoci per la musica atonale! :rolleyes:

E però ti dico che su Radio tre, anche in queste settimane, - sempre reperibili in podcast - Carlo Boccadoro, fa le sue Lezioni di musica  riferendosi a certi brani atonali  ormai storici del repertorio musicale ...  :)

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

"Fair is foul, and foul is fair:

Hover through the fog and filthy air."

 

"Bello è il brutto, e brutto il bello"

 

Chissà qual è il fine dell'arte? Al più ci potremmo chiedere qual è il fine di ciascun artista.

 

Ma le parole, se esistono, hanno un senso e tendono, prima o poi trovare una loro collocazione nel mondo di ciascuno.

Io continuo a pensare che la vera Arte è un'attività non economica che, collegandosi con l'evoluzione dell'estetica, vuole rappresentare la realtà che circonda l'umanità.

 

Ora la realtà che circonda l'umanità è fatto dal bello e dal brutto, dal gradevole e dallo sgradevole - poi ognuno decida in che percentuale - e l'Arte rappresenta il tutto. Facendo però il miracolo che anche il brutto diventa bello e mai viceversa.

 

Guernica, ad esempio, è una delle massime espressioni di questo concetto.

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

In effetti il punto è questo Luca: tu non riesci a sentire nulla di musicale in quel brano e questo fa sì che, inevitabilmente, per te non sia musica.

 

Berio diceva che " musica è tutto quello che ascoltiamo con l'intenzione di ascoltare musica, e che tutto può diventare musica ... a condizione che questa totalità possa essere musicalmente concettualizzata, analizzata e tradotta su livelli diversi. Tale concezione e tale traduzione sono possibili solo con la nozione di musica come Testo: un testo pluridimensionale in continua evoluzione."

 

In parole povere tutto è relativo, come sempre, a ciò che noi vogliamo sia o non sia - ma sarebbe valido per qualsiasi cosa - musica.

 

 

Sì, ma il guaio è che io ascoltando Scales voglio e sono intenzionato ad ascoltare musica. Purtroppo però non sento musica. Perchè?

 

Probabilmente (ad esser sincero ne sono  piuttosto sicuro!) è perchè le possibilità personali di fruizione estetiche di ogni opera d'arte devono necessariamente percorrere un'ascesa in cui non si possono saltare delle rampe di scala.

Se un brano come Scales si trova - poniamo - tra il 20* e il 21° piano, io non riesco a percorrere quel dislivello se mi trovo ancora al 10° piano. Nemmeno se lo voglio con tutte le mie buone intenzioni.

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

Sì, ma il guaio è che io ascoltando Scales voglio e sono intenzionato ad ascoltare musica. Purtroppo però non sento musica. Perchè?

 

Probabilmente (ad esser sincero ne sono  piuttosto sicuro!) è perchè le possibilità personali di fruizione estetiche di ogni opera d'arte devono necessariamente percorrere un'ascesa in cui non si possono saltare delle rampe di scala.

Se un brano come Scales si trova - poniamo - tra il 20* e il 21° piano, io non riesco a percorrere quel dislivello se mi trovo ancora al 10° piano. Nemmeno se lo voglio con tutte le mie buone intenzioni.

Su questo, come tu sai, con me sfondi una porta spalancata.

 

Io sono fermamente convinto che non si possa affrontare la musica della seconda metà del Novecento se prima non si è assimilato quella della prima.

Il punto della questione è che quasi tutti gli ascoltatori cominciano dai periodi Classico e Romantico e questo per ovvi motivi a cominciare dal fatto che rappresentano la musica che emotivamente coinvolge di più. Poi c'è chi si sposta andando verso il periodo barocco e addentrandosi a volte anche a musica più antica e chi invece propende ad andare verso il Novecento. Solitamente, in realtà, si fanno entrambe le cose, tanto è vero che a tutt'oggi, un medio ascoltatore di quella musica che solitamente sintetizziamo col nome di "classica", va, come ascolti, dal primo Settecento alla musica tonale della prima metà del Novecento.

Il mio percorso di penetrazione nel mondo atonale, iniziò verso i 25 anni e cioè, all'indomani della mia assimilazione da una parte dell'ultimo Beethoven - già! è incredibile ma solo a quella età sono riuscito ad ascoltare l'Hammerklavier, le Variazioni Diabelli e la Grande Fuga - e dall'altra all'assimilazione delle sinfonie di Mahler, dell'opera di Debussy e di Ravel. Da questo è scaturita la volontà di cominciare ad affrontare la dodecafonia e il serialismo integrale.

Sicuramente una grande spinta nel fare tutto questo fu data da Luigi Nono e dalle mie grandi affinità politiche di allora con il suo pensiero, tanto è vero che ancora oggi Nono è un mio compositore imprescindibile.

 

Ciò detto è però innegabile che, sempre  come ascoltatore, io rimango particolarmente in sintonia assoluta con alcuni miei capisaldi a cui non posso rinunciare e che sono stati gran parte della colonna sonora della mia vita: Beethoven, Bach, Brahms, la musica russa della seconda metà dell'Ottocento e Sostakovic.

Link to comment
Condividi su altri siti

Impercettibilmente, ma non del tutto imprevedibilmente, la questione slitta: da “bella musica” contro “musica brutta” a “essere musica” contro “non essere musica”. Capisco la metafora dei piani, ma non la condivido. Un po’ perché non riesco a pensare che Scales possa stare – in nessun senso – ad un piano superiore … non so … della Novantunesima Sinfonia di Haydn? O magari della Sesta Sinfonia di Mahler? Un po’ perché l’interesse per i differenti tipi di musica non segue un percorso lineare, né dal punto di vista storico (per cui per ascoltare Bertrand “in quanto musica” devo prima ascoltare Ligeti, e prima di ascoltare Ligeti devo ascoltare Bartók, e prima di ascoltare Bartók…) né dal punto di vista della complessità tecnica (in linea di massima io non capisco né il reggae né il melodramma, ma non credo che si tratti di musiche intrinsecamente più complesse di quella di Bertrand) … Insomma, la metafora del palazzo non regge: i differenti tipi di musica non stanno in piani diversi dello stesso palazzo – al massimo sono palazzi differenti, di fattura e grandezza differente, collocati in luoghi diversi …

 

Mi chiedo: se il differente interesse che ognuno di noi prova per differenti tipi di musica non segue un percorso ascendente, come lo possiamo spiegare? Non so da dove esso provenga. Lachenmann racconta che nel secondo dopoguerra, a Darmstadt, non ancora ventenne, rimase sconcertato dalla musica di Stockhausen (del resto solo sette anni più vecchio di lui): non ci capiva nulla, ma lo attraeva come un oggetto misterioso che, rispetto a tutto ciò che conosceva, pareva situarsi in un altro mondo. Più modestamente, pur nutrendo da tempo una certa curiosità, ho cominciato a interessarmi davvero alla “contemporanea” quando un amico, molto stimato, mi ha consigliato l’ascolto di un certo brano che per me “ha cambiato le carte in tavola”.

 

Non intendo però convincere nessuno: puoi vivere benissimo senza Bertrand e compari. Del resto, dopo Mahler ti aspettano Bruckner e Sibelius.

 

Per quanto riguarda Scales, una guida all’ascolto – forse non proprio “sottile” – ce la fornisce lo stesso Christophe Bertrand. Fatalmente ricompare, anche qui, Gustav Mahler. E fatalmente fa una certa impressione leggere nella chiusura “il mio futuro creativo” se si pensa che poco dopo, non ancora trentenne, Bertrand si sarebbe tolto la vita.

 

http://www.christophebertrand.fr/notices/scales.html 

 

S c a l e s  (2008-2009) pour grand ensemble (20') 
Co-commande de l'Ensemble Intercontemporain et du Concertgebouw d'Amsterdam
A Susanna Mällki et les musiciens de l'Ensemble Intercontemporain
Création mondiale : 24 avril 2010, Concertgebouw d'Amsterdam - Ensemble Intercontemporain, dir. Susanna Mälkki
Première allemande : 9 mai 2010, Philharmonie de Cologne - Ensemble Intercontemporain, dir. Susanna Mälkki

 

« Scales » est sans nul doute la pièce qui m'aura donné le plus difficultés à composer – jamais je n'ai autant raturé, violemment déchiré, gommé, roulé en boule et jeté au panier ! Ces difficultés sont autant d'ordre musical que, en un sens, personnel : la remise en question permanente et apodictique face à laquelle je me suis trouvé lors de l'écriture de cette oeuvre, qui m'ont contraint – volontairement – à utiliser de nouveaux procédés compositionnels, que je vais succinctement détailler ci-dessous.

Ces nouveaux procédés, auxquels le titre fait référence – Scales fait écho autant aux échelles qu'aux modes, plus ou moins complexes qui ont été l'une des bases essentielles de mon travail – sont de différents ordres. D'une part, le principal paradigme est l'utilisation d'une septième d'espèce (cela va sans dire, sans aucune référence tonale), celle-là même qui irradie motiviquement aux trompettes le premier mouvement de la 3e Symphonie de Mahler, qui devient elle-même champ harmonique dans la « Sinfonia » de Berio, avec une insistance sur do-mib-sol-si, et qui finalement devient scalaire dans toutes les directions dans « Scales » : cette matrice est « translatée » de toutes les façons imaginables, et toutes les transpositions (les vingt-quatre !) sont présentes au fil de l'oeuvre. De plus, à de très nombreux endroits, cette septième est étagée de l'extrême grave à l'extrême aigu (cf. ms. 227) ; jamais je n'avais employé cette configuration harmonique, et je crois qu'elle confère une couleur tout à fait particulière à l'ensemble de l'oeuvre. Il y a bien sûr quelques autres références à certains compositeurs que je revendique tout à fait spontanément : Ligeti bien sûr, quoique moins que d'ordinaire, Berio, donc, mais aussi Berg (dans une indiction agogique – donc visible seulement par les musiciens : « delirante »), Strauss pour la virtuosité de l'écriture et l'orchestration très luxuriante, et sans oublier bien évidemment Xenakis, pour l'extrême violence de certains passages.

L'unité harmonique dont je viens de parler est contrecarrée par une structure en vingt-et-une sections très hétérogènes (même si elles répondent à des critères formels très minutieux), dont les proportions, suivant la suite de Fibonacci en ondulation, vont de 1 (9 secondes) à 13 (112 secondes) pour un total d'un peu plus d'une vingtaine de minutes – 19 minutes sont prévues (ma prédilection pour les nombres premiers) mais les aléas de la composition font que ces 19 minutes sont largement dépassées, et que la forme elle-même s'en est trouvée légèrement modifiée par rapport au projet initial. Cette structure est en fin de compte très « heurtée » : il n'y a pas à proprement parler de transitions (à de rares exceptions près), sans pour autant que l'ensemble sombre dans la facilité d'un patchwork ; mais il subsiste une grande unité gestuelle, harmonique, rythmique, motivique, ainsi que les nombreux signaux sonores (par exemple l'étagement des tierces aux cuivres dans le nuance ffff, revenant régulièrement – très référencée, et volontairement, à Berio. Pour reprendre l'expression de Brian Ferneyhough, je me crée des « carceri d'invenzione », des cellules dans lesquelles peut se déployer l'imaginaire.

Nonobstant cette astreinte compositionelle, j'ai ajouté fréquemment des événements « anectdotiques », qui sont sans rapport avec le processus, mais qui sont, en fin de compte, l'apanage du compositeur, à savoir le « droit » d'écrire des lignes, des accords, des gestes qui donnent sens, certes, mais qui sortent de la rigidité de la composition : plus la pièce avance, plus ces événements deviennent nombreux, pour finalement devenir les gestes constitutifs de la section finale. Ceci est une nouveauté dans mon langage, car jusqu'alors, je respectais à la lettre les contraintes, parfois les coercitions, que je m'imposais. Il y a donc une dualité entre le stricte et l'épiphénomène, de même que, comme à mon habitude, et comme un contrepoint, cohabite le laid et le beau.

Pour revenir aux nouveautés qui sont présentes dans cette pièce, on peut citer ce passage de la section D, où vingt-trois fréquences différentes de vitesses sont superposées (encore un nombre premier), évoluant du grave et de l'aigu vers le médium. J'ai également utilisé des klangfarbenmelodien clustérisées, que j'avais ébauchées dans Vertigo, mais de façon plus simple (des gammes, alors qu'ici il s'agit de lignes accidentées beaucoup plus complexes). Et, chose rarissime chez moi, il y a quelques passages lents (!) ; lents, certes, mais très tendus, fébriles, absolument pas des respirations. La pièce doit tenir l'auditoire en haleine, nullement le conforter ou le rassurer : pour preuve, dans la section N, la stridence haineuse et sanguinaire dans le suraigu des bois et des cordes, dans la nuance ffffff ! est surmontée de l'indication : « Agressez l'auditoire !!! »

Comme cette phrase provocatrice le démontre, « Scales » est avant tout caractérisé par la violence. Ce n'est pas une violence joyeuse comme dans « Vertigo », mais une violence sauvage, comme en témoignent les passages de percussions solos (six toms, une timbale et une grosse caisse, tous dans la nuance fffff et chacun jouant à une vitesse différente), ou encore les dégringolades des cuivres dans le nuance fffff, là aussi. De plus, je n'ai pas hésité à utiliser des sons clairement hideux : la mesure 69 superpose multiphoniques et sons fendus des bois, les cuivres jouent tous en flatterzunge et les cordes écrasent l'archet, le piano qui fait un glissando sur les cordes graves en les faisant zinguer, sans oublier l'énorme roulement de grosse caisse qui terrasse l'ensemble : c'est une innovation chez moi, que d'utiliser la saturation comme élément structurel.

En ce qui concerne l'utilisation des micro-intervalles, il est à remarquer qu'elle est moins intensive que dans mes pièces antérieures. Ces micro-intervalles sont toujours présents, bien entendu, je ne saurais m'en défaire. Mais j'ai préféré utiliser des sons inharmoniques (cloches et gongs) voire des harmoniques naturelles aux cors et au cordes pour créer des halos mystérieux ou au contraire des agrégats volcaniques. A contrario de mon premier « Quatuor à cordes », où chaque quart de ton avait sa légitimité compositionelle et structurelle, ici ils sont relativement plus libres : il est important pour un compositeur de s'octroyer une part de licence, pour justement ne pas s'enfermer totalement dans ces « carceri d'invenzione » et se permettre une attitude en fin de compte démiurgique : c'est le compositeur qui décide avant tout !

Tout cela n'a pas pour but de faire un catalogue qui serait vain et dénué de tout intérêt : je cherche simplement à montrer quelles sont les quelques nouveautés que j'ai tenter d'exploiter dans cette nouvelle pièce. Bien entendu, il y a d'autres nouveautés, peut-être moins flagrantes a priori, mais tout aussi essentielles, qui ouvriront, j'en suis sûr, de nouvelles perspectives compositionnelles dans mon futur créatif.

Link to comment
Condividi su altri siti

Sì Red.... Lo sai quanto amo le metafore. E devo dire che questa volta mi sembra più azzeccata la tua: palazzi differenti in luoghi diversi.

 

In ogni caso parlando di piani alti non intendevo certo porre le cose più in alto a un livello superiore di valore.

Semplicemente a uno stadio successivo di modifica del linguaggio musicale (la metafora del viaggio forse sarebbe stata meglio).

  • Like 1
Link to comment
Condividi su altri siti

Join the conversation

You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.

Guest
Rispondi a questa discussione...

×   Incollato come rich text.   Incolla come testo normale invece

  È permesso solo un massimo di 75 emoticon.

×   Il tuo link è stato incorporato automaticamente.   Visualizza come collegamento

×   Il tuo contenuto precedente è stato ripristinato.   Cancella editor

×   Non è possibile incollare direttamente le immagini. Carica o inserisci immagini dall'URL.

Loading...
 Share

×
×
  • Crea nuovo...