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Piano Concerto - Forum pianoforte

...e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza


danielescarpetti
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«...e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza»

 

La gioia o la profondità? Domanda ingenua  :)

L'una equivale l'altra. Risposta secca.  :)

 

Risposta troppo "colto-occidentale". Si può provare gioia per molto poco,  in termini relativi.

No no. Gioia e profondità sono, sul piano umano, la stessa cosa.

 

'Gioia' non inteso come sinonimo di 'contentezza' o 'felicità' causate da «molto poco» o da molto-molto.

La 'gioia' è uno stile di vita lieto nonostante le tempeste le cattive notizie e i casini della vita.

Questa 'gioia' altro non è che la 'letizia' indicata da San Francesco nonostante le difficoltà

 

http://www.assisiofm.it/allegati/225-Della%20vera%20e%20perfetta%20letizia.pdf

 

Ed è questo tipo di gioia (stile di vita) quella che risona nel finale della Nona

 

Chi riesce a vivere con questo stile gioioso nonostante le avversità raggiunge una certa 'profondità' - posso dire 'saggezza'? - come persona, anche se non è uno che svolge attività artistiche o creative (personalmente, aimè, sono ben lontano)

E' ben strana la casualità delle cose ma proprio a Bonn, alla Beethoven-haus, ho trovato alcuni libri in italiano su Beethoven e, l'unico che mi mancava era "Le nove sinfonie di Beethoven. Un esemplare autobiografia musicale" scritto a quattro mani da Corrado Setti e Gabriella Goglio. Ebbene,nel primo capitolo i due autori ancora più esplicitamente di quanto fatto da te Luca, accostano San Francesco a Beethoven: <(...) Ogni essere umano dal momento in cui nasce, se non proprio dal concepimento, si colloca in un complesso vasto e vasto campo di forze, di energie, di tensioni e si inserisce nel tessuto culturale (...).> L'ambiente, la famiglia, la formazione culturale -sociale, contribuiscono poi a modellarlo e a costruire la sua personalità ma, quel qualcosa che ci rende unici e irripetibili, fa sì che ognuno di noi sviluppi una visione della vita e del modo di vivere diversi.
E qui si presenta ancora una volta quella dualità tipica del nostro modo di essere e di cui sia San Francesco che Beethoven sono stati ampi testimoni: Francesco, nato da una famiglia ricca e benestante per via di vicissitudini che lo portarono a diretto contatto della sofferenza umana , rinunciò ad ogni bene materiale per dedicarsi solo al bene trascendentale spirituale. Beethoven, a causa delle sue innumerevoli sofferenze patite fin dall'infanzia e accentuate dalla sordità, intraprese un percorso artistico-spirituale che lo portò a vedere la musica come Arte per i posteri e come mezzo per affermare, la fratellanza, la pace e l'uguaglianza fra tutte le umani genti: <La ricerca di Beethoven prende avvio proprio da questo punto, dall'intima consapevolezza di non poter prescindere dal drammatico problema dell'antitesi, della logorante lotta che dilania l'animo e rischia di distruggere l'individuo: la sua vita e la sua musica testimoniano la percorrenza di un cammino graduale, che conduce dalla "selva selvaggia" alle "stelle", dal patimento all'immedesimazione con il fenomeno dell'elevazione della più alta spiritualità, dal dolore alla gioia. Nella produzione beethoveniana ogni composizione rappresenta un mattone ineliminabile della costruzione finale;(...)> . Il percorso beethoveniano nella musica  è la testimonianza artistica di: <(...) una trasformazione sostanziale che determina una progressiva crescita interiore, perché ogni passaggio che si compie contiene il precedente e diviene condizione necessaria per un nuovo e più alto vasto sviluppo umano.>
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«...e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza»

 

"I migliori" di noi.

 

Permanere nella disperazione è un segno di sopportazione, come lo è di deficienza scivolare verso la stupidità dopo una prolungata sofferenza.

 

Solo coloro che, al culmine della sofferenza, non vogliono e non possono rinunciare all'amore sono capaci di raggiungere la gioia.

 

"Voglio dimostrare che chi agisce bene e nobilmente può, PER CIÒ SOLO, sopportare le sventure."

 

Al culmine della sofferenza si può arrivare alla gioia solo grazie all'amore, la sola fonte di speranza.

Ed anche se al tuo amore si rispondesse con disprezzo o indifferenza e la tua solitudine fosse senza appello, i raggi del tuo amore che non sono riusciti a penetrare negli altri per illuminarli, si rifrangeranno per ritornare in te, in un'estasi di assoluto splendore.

 

La sofferenza aumenta la capacità di "sentire", di interiorizzare, ma, senza l'amore, anziché alla gioia conduce all'inferno.

 

Quando ascolto le Sinfonie di Beethoven io mi sento tutt'uno con il mondo, in una fusione di estasi con la natura ed i suoi elementi.

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Caro Daniele,

 

ho subito messo un 'like' al tuo post di apertura di questo argomento e mi ero ripromesso di rispondere con calma. Tanto più che le tue considerazioni venivano dopo un'immersione beethoveniana a Bonn. Ora non ho nulla da eccepire su quanto da te sostenuto, voglio solo portare due considerarazioni, e porre una domanda, prendendo spunto anche dalla risposta di Viola.

 

Prima considerazione.

il parallelo che più sento forte è quello con Dante. Come certamente ricordi io avevo affiancato la Nona Sinfonia, come itinerarium, alla Divina Commedia. E mi fa piacere trovare, per quel che posso capire dalle righe che tu citi di quel libro che hai trovato, un'opinione per cui, non la Nona da sola, ma tutta l'opera di Beethoven costituirebbe un 'andare verso'. Verso cosa?

«Le stelle», la gioia.

Ma nè le 'stelle' della Commedia dantesca nè la gioia beethoveniana della Nona costituiscono una 'meta beata',  bensi il raggiungimento di un nuovo stile con cui vivere i travagli della vita...che restano! Restano per i migliori tanto quanto per gli altri.

 

Seconda considerazione.

Mi è piaciuto anche ciò che ha scritto Viola, per due motivi: il primo - amaro motivo - è che ha iniziato rimarcando "i migliori", e l'altro perchè ha parlato delle sinfonie di Beethoven come «fusione di estasi».

Accidenti !... Qui arriva l'amarezza: dieci o quindici anni fa avrei detto anch'io le stesse cose nei confronti delle sinfonie di Beethoven. Anzi, mi correggo, le dico ancora adesso. Solo che di quella fusione di estasi che le sinfonia di Beethoven costituiscono, io sento di non farvi parte. Forse non faccio parte dei migliori?...

 

Domanda (che riguarda appunto il 'raggiungere'... la gioia o altro).

Gli autori di quel libro parlano di ogni composizione beethoveniana come dello step di una costruzioni. Tu in passato mi hai parlato del ciclo sinfonico beethoveniano come uno dei tre cicli sinfonici fondamentali nella storia della musica: quelli di Beethoven, Brahms, Mahler. Se ben ricordo aggiungevi Shostakovich.

Ecco, ora chiedo, pensi che ci sia una direzionalità (un 'raggiungere', un 'andare verso') anche solo a considerare non tutta l'opera di Beethoven ma semplicemente le sinfonie?

E inoltre, si può avvertire come un itinerarium (verso cosa?) anche negli altri cicli sinfonici sopra citati?

 

Questo lo chiedo perchè da quando Viola è nel forum, grazie ai suoi stimoli, ho intrapreso sul serio il mio viaggio nel sinfonismo mahleriano  dopo aver concluso quello nelle sinfonie di Brahms. Forse per me il tempo di Mahler non era ancora davvero venuto.

Sì può legare le sinfonie di Mahler con un filo rosso di consequenzialità?

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Caro Daniele,

 

ho subito messo un 'like' al tuo post di apertura di questo argomento e mi ero ripromesso di rispondere con calma. Tanto più che le tue considerazioni venivano dopo un'immersione beethoveniana a Bonn. Ora non ho nulla da eccepire su quanto da te sostenuto, voglio solo portare due considerarazioni, e porre una domanda, prendendo spunto anche dalla risposta di Viola.

 

Prima considerazione.

il parallelo che più sento forte è quello con Dante. Come certamente ricordi io avevo affiancato la Nona Sinfonia, come itinerarium, alla Divina Commedia. E mi fa piacere trovare, per quel che posso capire dalle righe che tu citi di quel libro che hai trovato, un'opinione per cui, non la Nona da sola, ma tutta l'opera di Beethoven costituirebbe un 'andare verso'. Verso cosa?

«Le stelle», la gioia.

Ma nè le 'stelle' della Commedia dantesca nè la gioia beethoveniana della Nona costituiscono una 'meta beata',  bensi il raggiungimento di un nuovo stile con cui vivere i travagli della vita...che restano! Restano per i migliori tanto quanto per gli altri.

 

Seconda considerazione.

Mi è piaciuto anche ciò che ha scritto Viola, per due motivi: il primo - amaro motivo - è che ha iniziato rimarcando "i migliori", e l'altro perchè ha parlato delle sinfonie di Beethoven come «fusione di estasi».

Accidenti !... Qui arriva l'amarezza: dieci o quindici anni fa avrei detto anch'io le stesse cose nei confronti delle sinfonie di Beethoven. Anzi, mi correggo, le dico ancora adesso. Solo che di quella fusione di estasi che le sinfonia di Beethoven costituiscono, io sento di non farvi parte. Forse non faccio parte dei migliori?...

 

Domanda (che riguarda appunto il 'raggiungere'... la gioia o altro).

Gli autori di quel libro parlano di ogni composizione beethoveniana come dello step di una costruzioni. Tu in passato mi hai parlato del ciclo sinfonico beethoveniano come uno dei tre cicli sinfonici fondamentali nella storia della musica: quelli di Beethoven, Brahms, Mahler. Se ben ricordo aggiungevi Shostakovich.

Ecco, ora chiedo, pensi che ci sia una direzionalità (un 'raggiungere', un 'andare verso') anche solo a considerare non tutta l'opera di Beethoven ma semplicemente le sinfonie?

E inoltre, si può avvertire come un itinerarium (verso cosa?) anche negli altri cicli sinfonici sopra citati?

 

Questo lo chiedo perchè da quando Viola è nel forum, grazie ai suoi stimoli, ho intrapreso sul serio il mio viaggio nel sinfonismo mahleriano  dopo aver concluso quello nelle sinfonie di Brahms. Forse per me il tempo di Mahler non era ancora davvero venuto.

 

____

 

 

SONO SINCERAMENTE COMMOSSA.

Grazie a te, caro Luca.

 

 

(i migliori spesso ignorano di essere i migliori, ma lo sono!) :-)

 

 

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Sì può legare le sinfonie di Mahler con un filo rosso di consequenzialità?

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Caro Daniele,

 

ho subito messo un 'like' al tuo post di apertura di questo argomento e mi ero ripromesso di rispondere con calma. Tanto più che le tue considerazioni venivano dopo un'immersione beethoveniana a Bonn. Ora non ho nulla da eccepire su quanto da te sostenuto, voglio solo portare due considerarazioni, e porre una domanda, prendendo spunto anche dalla risposta di Viola.

 Prima considerazione.

il parallelo che più sento forte è quello con Dante. Come certamente ricordi io avevo affiancato la Nona Sinfonia, come itinerarium, alla Divina Commedia. E mi fa piacere trovare, per quel che posso capire dalle righe che tu citi di quel libro che hai trovato, un'opinione per cui, non la Nona da sola, ma tutta l'opera di Beethoven costituirebbe un 'andare verso'. Verso cosa?

«Le stelle», la gioia.

Ma nè le 'stelle' della Commedia dantesca nè la gioia beethoveniana della Nona costituiscono una 'meta beata',  bensi il raggiungimento di un nuovo stile con cui vivere i travagli della vita...che restano! Restano per i migliori tanto quanto per gli altri.

 Seconda considerazione.

Mi è piaciuto anche ciò che ha scritto Viola, per due motivi: il primo - amaro motivo - è che ha iniziato rimarcando "i migliori", e l'altro perchè ha parlato delle sinfonie di Beethoven come «fusione di estasi».

Accidenti !... Qui arriva l'amarezza: dieci o quindici anni fa avrei detto anch'io le stesse cose nei confronti delle sinfonie di Beethoven. Anzi, mi correggo, le dico ancora adesso. Solo che di quella fusione di estasi che le sinfonia di Beethoven costituiscono, io sento di non farvi parte.

 

______________________

 

A proposito di "fusione d'estasi", lascio che sia MEISTER ECKHART a risponderti:

 

Quell'uno che intendo è ineffabile. Unisce uno con uno, risplende puro nel puro.

 

Fino a qualche anno ero convinta di essere atea.

 

La montagna e la musica classica mi hanno convinto del contrario.

 

La bellezza della Musica, come quella della Montagna, è una bellezza diversa da quella puramente estetica.

È una tendenza, almeno per quanto mi riguarda, all'Assoluto.

 

Cosa mi ha condotto alla Musica Classica? Solo l'Amore.

Per questo motivo, spesso, le mie reazioni al limite del parossismo, non vengono comprese.

 

Il mio furore è autentico, sebbene possa essere (anche comprensibilmente) avvertito come "insano".

Non so che esprimermi in questo modo nei confronti della Musica.

 

 

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Forse non faccio parte dei migliori?...

 Domanda (che riguarda appunto il 'raggiungere'... la gioia o altro).

Gli autori di quel libro parlano di ogni composizione beethoveniana come dello step di una costruzioni. Tu in passato mi hai parlato del ciclo sinfonico beethoveniano come uno dei tre cicli sinfonici fondamentali nella storia della musica: quelli di Beethoven, Brahms, Mahler. Se ben ricordo aggiungevi Shostakovich.

Ecco, ora chiedo, pensi che ci sia una direzionalità (un 'raggiungere', un 'andare verso') anche solo a considerare non tutta l'opera di Beethoven ma semplicemente le sinfonie?

E inoltre, si può avvertire come un itinerarium (verso cosa?) anche negli altri cicli sinfonici sopra citati?

 

Questo lo chiedo perchè da quando Viola è nel forum, grazie ai suoi stimoli, ho intrapreso sul serio il mio viaggio nel sinfonismo mahleriano  dopo aver concluso quello nelle sinfonie di Brahms. Forse per me il tempo di Mahler non era ancora davvero venuto.

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SONO SINCERAMENTE COMMOSSA.

Grazie a te, caro Luca.

(i migliori spesso ignorano di essere i migliori, ma lo sono!) :-)

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Sì può legare le sinfonie di Mahler con un filo rosso di consequenzialità?

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Prima considerazione.

il parallelo che più sento forte è quello con Dante. Come certamente ricordi io avevo affiancato la Nona Sinfonia, come itinerarium, alla Divina Commedia. E mi fa piacere trovare, per quel che posso capire dalle righe che tu citi di quel libro che hai trovato, un'opinione per cui, non la Nona da sola, ma tutta l'opera di Beethoven costituirebbe un 'andare verso'. Verso cosa?

«Le stelle», la gioia.

Ma nè le 'stelle' della Commedia dantesca nè la gioia beethoveniana della Nona costituiscono una 'meta beata',  bensi il raggiungimento di un nuovo stile con cui vivere i travagli della vita...che restano! Restano per i migliori tanto quanto per gli altri.

 

Domanda (che riguarda appunto il 'raggiungere'... la gioia o altro).

Gli autori di quel libro parlano di ogni composizione beethoveniana come dello step di una costruzioni. Tu in passato mi hai parlato del ciclo sinfonico beethoveniano come uno dei tre cicli sinfonici fondamentali nella storia della musica: quelli di Beethoven, Brahms, Mahler. Se ben ricordo aggiungevi Shostakovich.

Ecco, ora chiedo, pensi che ci sia una direzionalità (un 'raggiungere', un 'andare verso') anche solo a considerare non tutta l'opera di Beethoven ma semplicemente le sinfonie?

E inoltre, si può avvertire come un itinerarium (verso cosa?) anche negli altri cicli sinfonici sopra citati?

 

Questo lo chiedo perchè da quando Viola è nel forum, grazie ai suoi stimoli, ho intrapreso sul serio il mio viaggio nel sinfonismo mahleriano  dopo aver concluso quello nelle sinfonie di Brahms. Forse per me il tempo di Mahler non era ancora davvero venuto.

Sì può legare le sinfonie di Mahler con un filo rosso di consequenzialità?

Il percorso beethoveniano è proiettato verso il futuro, un futuro che il compositore di Bonn pensava migliore. Le generazioni future sarebbero state quelle che avrebbero compreso la sua musica, troppo assurda e ostica per le orecchie della gente del suo tempo e inoltre, le generazioni future sarebbero state le fautrici di quegli ideali propugnati dalla rivoluzione francese e poi traditi e rinnegati prima da Napoleone e poi dalla restaurazione conseguita dal Congresso di Vienna.

Beethoven arriva a meditare il suicidio ma poi ci rinuncia perché sa che ha una missione da compiere: far sì che la sua musica diventi Arte e che attraverso essa egli possa tramandare il suo messaggio ai posteri. La gioia beethoveniana risiede in questo: la consapevolezza di acquisire l'immortalità attraverso la sua musica. E in questo senso non solo le sue sinfonie, ma ancor prima le Sonate per pianoforte solo o accompagnato - fucina dei suoi esperimenti musicali - e, infine, i Trii, i Quartetti, senza però tralasciare i Concerti, la sua unica opera e la Missa Solemnis.

 

Brahms e Malher sono invece espressione del mondo di fine Ottocento dove il male di vivere, il chiedersi il senso della vita e la paura di vivere sotto un cielo disabitato, dominano.

E Se in Brahms il sentimento è la malinconia, in Mahler che appartiene alla generazione dopo,  il sentimento che unisce il suo corpus sinfonico è il grido di un cuore ferito nel profondo.

 

Il percorso di Shostakovic è quello di un uomo che è testimone dal di dentro della storia dell'Unione Sovietica fino al 1975. Se uno vuole comprendere la storia dell'Unione Sovietica non può prescindere dalla figura di questo grandissimo compositore e da quel percorso di storia in musica che sono le sue sinfonie,

 

Seconda considerazione.

Mi è piaciuto anche ciò che ha scritto Viola, per due motivi: il primo - amaro motivo - è che ha iniziato rimarcando "i migliori", e l'altro perchè ha parlato delle sinfonie di Beethoven come «fusione di estasi».

Accidenti !... Qui arriva l'amarezza: dieci o quindici anni fa avrei detto anch'io le stesse cose nei confronti delle sinfonie di Beethoven. Anzi, mi correggo, le dico ancora adesso. Solo che di quella fusione di estasi che le sinfonia di Beethoven costituiscono, io sento di non farvi parte. Forse non faccio parte dei migliori?...

 

 

Chi sono i migliori? :rolleyes:

 

Forse sarebbe necessario dare una risposta sensata a questa domanda, Dopo di che, quando la si è trovata, potremo domandarci se noi siamo tra i migliori o no! :)

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  • 3 weeks later...

Mi spiace che non compaia Haydn. Verrebbe quasi da pensare che la sua sfortuna sia stata scrivere troppe Sinfonie (e in effetti le sue centoquattro Sinfonie non fanno probabilmente un “ciclo sinfonico”). A Brahms, che la sapeva lunga, ne sono bastate quattro.

...se è per quello non compare neanche Mozart, non so se ti dispiace altrettanto! :D

 

In realtà, come tu ben sai, si può paralre di cicli sinfonici da Beethoven in poi e cioè, quando le sinfonie diventano un mondo.

 

Quel furbone di Brahms ha fatto "solo" quattro sinfonie. Ma ... che Sinfonie!!!! ;)

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In realtà, come tu ben sai, si può paralre di cicli sinfonici da Beethoven in poi e cioè, quando le sinfonie diventano un mondo.

. . . in effetti :rolleyes:

 

'Sinfonia' è una parola che definisce tante "cose" che tra loro hanno ben poco da spartire.

Ahhh... Mi è venuto in mente che Bach ne ha scritte 15 di . . . sinfonie ^_^

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  • 2 weeks later...

...se è per quello non compare neanche Mozart, non so se ti dispiace altrettanto! :D

 

In realtà, come tu ben sai, si può paralre di cicli sinfonici da Beethoven in poi e cioè, quando le sinfonie diventano un mondo.

 

 

ciao Daniele

 

ci  pensavo in questi giorni : mi pare che le tre sinfonie 39 40 41 di Mozart costituiscano un vero ciclo sinfonico.

Inoltre pensavo a . . .  cosa intendiamo (o perlomeno cosa intendo io) con ciclo sinfonico?

 

Sono arrivato a questa risposta: un periodo omogeneo per linguaggio e stile all'interno del quale però i vari esemplari (le singole sinfonie) si differenziano fortemente tra loro.

Per Beethoven (tanto per prendere uno a caso) esitono tre cicli sinfonici: il primo di cui fanno parte le prime due sinfonie; il secondo di cui fanno parte le sinfonie dall'Eroica allìOttava, e il terzo di cui la Nona costituisce la prima - e purtroppo l'ultima - sinfonia.

il che non è nient'altro che tutto ciò che tu mi dicevi già un bel po' di anni fa.

 

Ma quello a cui ora più tenevo era notare le utime tre sinfonie di Mozart: così omogenee stilisticamente, eppure così lontane l'una dall'altra a livello emotivo.

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Ciao Luca! :)

 

Il termine sinfonia nell’ambito della storia della musica ha assunto tantissimi e disparati significati e solo nel XVIII secolo divenne una composizione orchestrale divisa in più tempi.

Nell’ambito teutonico la svolta che portò alla “Sinfonia classica” fu impressa dalla scuola di Mannheim e dalla nascita di quel movimento culturale che prese nome di Sturm und Drang.

Fu da questi presupposti che nacquero le Sinfonie di Joseph Haydn dapprima e in seguito e contemporaneamente quelle di Wolfgang Amadé Mozart.

La svolta che portò la Sinfonia negli anni 80 del 700 a diventare sempre più una musica in cui immettere pensieri essenziali ed importanti facendone così un lavoro più impegnativo sia sul piano tecnico che su quello espressivo si deve naturalmente a questi due compositori.

Questo fece sì che la composizione di nuove sinfonie si facesse un po’ meno frequente e, questo soprattutto in Mozart.

Quelle che furono le sue ultime 3 sinfonie furono composte nel 1787, dopo di che nei quattro anni successivi che lo separarono dalla morte, Mozart non ne compose più.

In questo dunque si può dire che esse possono essere considerate un “ciclo sinfonico”.

Ma ancora più di loro penso debbano essere considerate un “ciclo sinfonico” le 12 ultime sinfonie di Haydn – dette londinesi - che vanno dalla n. 93 alla 104, composte fra il 1791 e il 1795.

Fu da questi “cicli sinfonici” che prese le mosse il primo vero ciclo sinfonico, quello di Beethoven.

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. . . e così abbiamo tirato dentro anche Mozart e Haydn :)

 

Le sinfonie londinesi di Haydn erano note a Beethoven?

Ma più in generale mi chiedo (vi chiedo) . . . negli studi su Beethoven ci sono ricerche su quali siano state le opere grandi e meno grandi dei suoi contemporanei di cui ebbe una conoscenza diretta?

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Le sinfonie londinesi non potevano che essere a conoscenza di Beethoven visto che furono composte in gran parte nel periodo in cui il giovane compositore venuto da Bonn era allievo di Haydn. Probabilmente, le studiò e le ristudiò e, d'altra parte basta ascoltarle per verificare quanta influenza abbiano avuto su di lui.

Mozart era un compositore che era iper-esegutio, sia a livello di sinfonie che di concerti per pianoforte - e anche di opere - a Vienna, questo è riportato in tutte le cronache del tempo.

Beethoven era a completa conoscenza delle opere principali dei suoi due predecessori e su questo non c'è alcun dubbio.

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Diciamo che la prima sinfonia di Beethoven ha molto di Haydn, già dalla seconda c'è una grande frattura...lo mostra anche la reazione di Haydn, dopo l'ascolto del suo pupillo :)

Sì, certo è così e da altra parte del forum, ricordo che ne avevamo parlato in proposito.

Quello a cui mi riferisco in particolare però è a certe idee e costruzioni musicali che furono già di Haydn e Mozart e che Beethoven riprese e sviluppò - o anche stravolse - alla sua maniera.

Alla costruzione della Sinfonia, come ad esempio, le introduzioni nel primo movimento in Adagio, molto tipiche di Haydn ...

D'altra parte la storia della musica occidentale è questo: un grande fiume che si ingrossa di acqua o viceversa, passa tempi di siccità, rispetto a quanto avvenuto più a monte e che trova la sua linfa vitale nelle sue radici greco-cristiane.

In questi giorni un commentatore della trasmissione di Radio 3 "Lezioni di musica" ha ad esempio detto quella che secondo me è grossa sciocchezza: tutti noi - noi inteso come compositori - veniamo da Mozart. E Mozart da chi viene? Mozart deriva dai suoi predecessori almeno quanto quelli che vengono dopo di lui, ignorando almeno fino ad un certo punto la grande figura però di Johann Sebastian Bach. Quell'eredità invece si riassume e trova una nuova linfa proprio in Beethoven che riesce ad essere invece l'erede di tutto: della forma-sonata classica ma anche del contrappunto, creando quell'unione, quell'ibrido geniale che caratterizzerà il suo ultimo stile.

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A proposito di Mozart, in realtà, non saprei dire – rappresenta come sempre il caso “più difficile”. Né so cosa intendesse quel compositore quando diceva “tutti noi veniamo da Mozart”. Curiosamente pensavo però qualcosa di simile, qualche tempo fa, riflettendo sul fatto che è impossibile rinnegare Mozart, perché è troppo naturale: in questo è il più classico dei classici, nel fatto che spesso le sue trovate migliori (semplici o difficili, ma spesso le più semplici) suonano così naturali da risultare impersonali, come se preesistessero a Mozart, o come se esistessero nonostante Mozart. Impossibile rinnegarlo, sarebbe come negare l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo (certo poi c’è sempre il Gould di turno che trova il modo di negare pure Mozart!). Invece la presenza di Beethoven è troppo incombente e persino minacciosa – un genitore che non sempre è possibile anche solo sopportare: a volte anzi è proprio necessario rinnegarlo. Haydn è sicuramente diverso. Impossibile non amarlo. Anzi penso lo si ami di più quanto più facilmente lo si dimentica, perché ogni volta c’è il piacere e lo stupore della riscoperta.

 

Ma pensando a quel “attraverso la sofferenza” vengono in mente altre cose – mi viene il sospetto che la sfortuna di Haydn, oltre all’aver scritto troppe Sinfonie, sia un’altra: l’aver sofferto troppo poco. E assieme a Haydn mi viene in mente Mendelssohn: entrambi caratterizzati da una bonaria superiorità (probabilmente per questo vengono apprezzati soprattutto dalle società più civili – e intendo dire più ordinate). E poi Richard Strauss, i cui poemi sinfonici non possono diventare un “ciclo sinfonico”, a differenza delle Sinfonie di Mahler – non tanto perché non sono Sinfonie, ma piuttosto perché non hanno un numero al seguito. In fondo anche i numeri servono per orientarci: Sinfonia 1, Sinfonia 2, Sinfonia 3 … e così l’accordo di settima di dominante è “l’inizio”, e la gioia è “la conclusione” (sempre perché non c’è stata una Sinfonia 10), simulando una specie di ciclo vitale.

 

“Attraverso la sofferenza” … Si sente dire ad esempio “una pagina sofferta”: un’espressione che vuole dire tutto o nulla allo stesso tempo (a volte le cose più tormentate e complesse si sprigionano con forza immediata da un approccio istintivo, altre volte il compositore si sarà dannato per dare un’aria di “naturalezza” a un paio di battute che all’esecuzione non riveleranno mai, con la loro scorrevolezza, le ore che gli sono costate). Ma allora – “attraverso la sofferenza” – non essendo in grado di perorare come meriterebbero le cause di Bruckner e Čajkovskij, richiamerei almeno il nome di un compositore che è forse l’eccesso di queste “qualità” (come in Mahler, percepibili anche attraverso i paesaggi più sereni e luminosi) a relegare “ai margini”: in Schubert bastano poche battute in Si minore per creare un mondo vastissimo – la vastità è rinchiusa come un presentimento in quelle poche battute. Non so se il suo è un ciclo sinfonico. Probabilmente ciclo sinfonico saranno le Sinfonie di Sibelius, che forse giungono ai nostri orecchi un po’ troppo estranee, un po’ troppo lontane, circondate da una luce un po’ troppo soffusa (nonostante siano quanto di più prezioso avremmo l’occasione di conoscere).

 

A salvarci dal rischio della cattiva retorica, che con questa materia è sempre in agguato, viene Massimo Troisi: nell’indimenticabile sequenza di un suo film, lasciato da Francesca Neri, perseguitato dall’invadente amico, voleva che gli si concedesse la solitudine necessaria per riuscire a “soffrire bene”.

 

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A proposito di Mozart, in realtà, non saprei dire – rappresenta come sempre il caso “più difficile”. Né so cosa intendesse quel compositore quando diceva “tutti noi veniamo da Mozart”. Curiosamente pensavo però qualcosa di simile, qualche tempo fa, riflettendo sul fatto che è impossibile rinnegare Mozart, perché è troppo naturale: in questo è il più classico dei classici, nel fatto che spesso le sue trovate migliori (semplici o difficili, ma spesso le più semplici) suonano così naturali da risultare impersonali, come se preesistessero a Mozart, o come se esistessero nonostante Mozart. Impossibile rinnegarlo, sarebbe come negare l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo (certo poi c’è sempre il Gould di turno che trova il modo di negare pure Mozart!).  

 

Non so se Mozart è il caso "più difficile" in generale ma per me lo è certamente. Lo è nel senso del mio rapporto personale con questo compositore. E questa difficoltà è data da quelli che sono tanti giudizi di musicologi, musicisti, professori a vario titolo di musica nei suoi confronti e su cui io non riesco a riconoscermi e qui - sia ben chiaro nella maniera più assoluta - non si tratta di rinnegarlo ma di intenderci su quale sia stata la sua reale importanza nell'ambito della storia della musica e su quale sia il giudizio complessivo della sua opera.

Il caso che più sopra ho riportato è - naturalmente il mio punto di vista - l'ennesimo esempio di un giudizio acritico e fanatico che viene dato ad un compositore certamente grandissimo ma che non può essere considerato un capostipite di nulla.

 

Invece la presenza di Beethoven è troppo incombente e persino minacciosa – un genitore che non sempre è possibile anche solo sopportare: a volte anzi è proprio necessario rinnegarlo. 

 

Ho il vago sospetto che chi rinnega Beethoven - a cominciare da Chopin - è solo perché non è capace di comprenderlo.

 

Haydn è sicuramente diverso. Impossibile non amarlo. Anzi penso lo si ami di più quanto più facilmente lo si dimentica, perché ogni volta c’è il piacere e lo stupore della riscoperta. 

Ma pensando a quel “attraverso la sofferenza” vengono in mente altre cose – mi viene il sospetto che la sfortuna di Haydn, oltre all’aver scritto troppe Sinfonie, sia un’altra: l’aver sofferto troppo poco. E assieme a Haydn mi viene in mente Mendelssohn: entrambi caratterizzati da una bonaria superiorità (probabilmente per questo vengono apprezzati soprattutto dalle società più civili – e intendo dire più ordinate). E poi Richard Strauss, i cui poemi sinfonici non possono diventare un “ciclo sinfonico”, a differenza delle Sinfonie di Mahler – non tanto perché non sono Sinfonie, ma piuttosto perché non hanno un numero al seguito. 

 

Haydn è invece certamente più un capostipite nell'ambito del classicismo di Mozart ma la sfortuna di Haydn non è quella di aver sofferto troppo poco, ma quella di aver incontrato prima Mozart e poi Beethoven nel suo cammino di compositore. 

Mendelssohn è invece un caso completamente diverso: Mendelsshon è un compositore che potrebbe non esserci stato e nella storia della musica e non sarebbe cambiata una sola virgola. Noi oggi saremmo senza tanta bellissima musica ma dal punto di vista dell'evoluzione storica non sarebbe accaduto nulla.

La differenza fra un "poema sinfonico" è una sinfonia sta nel fatto che il primo è musica descrittiva, il secondo è musica pura. Strauss ha deliberatamente scelto di percorrere la prima strada e non la seconda. Questo però non toglie che da un punta di vista sinfonico * e naturalmente non solo sinfonico - egli non sia stato un grandissimo.

 

“Attraverso la sofferenza” … Si sente dire ad esempio “una pagina sofferta”: un’espressione che vuole dire tutto o nulla allo stesso tempo (a volte le cose più tormentate e complesse si sprigionano con forza immediata da un approccio istintivo, altre volte il compositore si sarà dannato per dare un’aria di “naturalezza” a un paio di battute che all’esecuzione non riveleranno mai, con la loro scorrevolezza, le ore che gli sono costate). Ma allora – “attraverso la sofferenza” – non essendo in grado di perorare come meriterebbero le cause di Bruckner e Čajkovskij, richiamerei almeno il nome di un compositore che è forse l’eccesso di queste “qualità” (come in Mahler, percepibili anche attraverso i paesaggi più sereni e luminosi) a relegare “ai margini”: in Schubert bastano poche battute in Si minore per creare un mondo vastissimo – la vastità è rinchiusa come un presentimento in quelle poche battute. Non so se il suo è un ciclo sinfonico. Probabilmente ciclo sinfonico saranno le Sinfonie di Sibelius, che forse giungono ai nostri orecchi un po’ troppo estranee, un po’ troppo lontane, circondate da una luce un po’ troppo soffusa (nonostante siano quanto di più prezioso avremmo l’occasione di conoscere).

 

Il ciclo sinfonico di Schubert è tale inconsapevolmente, come del resto Schubert fu un compositore gigante in maniera inconsapevole.

 

 

“Attraverso la sofferenza”… e così l’accordo di settima di dominante è “l’inizio”, e la gioia è “la conclusione” (sempre perché non c’è stata una Sinfonia 10), simulando una specie di ciclo vitale.

 

Che cosa fu esattamente la sofferenza in Beethoven e perché attraverso essa solo si può diventare i "Migliori"?

Socrate e Gesù furono i suoi esempi e già qui ho detto tutto.

Essere i "migliori" vuol dire essere portatori di buono e di bello nonostante la tua vita sia costellata di sofferenza. E', nel caso di Beethoven, di essere stato  un genio che mette in musica "tutti gli uomini saranno fratelli"chino sulla seggetta in preda a forti dolori di ventre e mentre è completamente sordo. (Corrado Augias)

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Rispondo solo ora perché mi ci sono voluti alcuni giorni per riprendermi dal violento shock provocato dalla lettura di un paio di frasi. Roba da perderci il sonno. Mi chiedevo: come si può scrivere con tanta tranquillità il contrario del vero? Mi rispondevo: probabilmente si tratta di ironia (anche se me ne sfugge il senso). Ma poi mi assaliva il dubbio: magari capita che qualcuno, passato di qui per caso, leggendo queste frasi non le interpreti come ironia, ma le prenda sul serio. E questo dubbio mi angosciava. Mi sento quindi in dovere di tranquillizzare il lettore capitato qui per caso, e angosciato come me, sia a proposito di Mendelssohn (confermo che se non ci fosse stato la storia della musica occidentale sarebbe stata diversa – e non solo più povera – anche senza tener conto del momento di svolta rappresentato dall’esecuzione della Passione secondo Matteo, ma limitandoci a considerare il suo apporto alla letteratura sinfonico-corale, magari anche solo pensando a un singolo esempio come il Deutsche Requiem, ma anche alla pagina pianistica, magari anche solo pensando a infiniti klavierstücke venuti dopo i suoi, oppure – se vogliamo scendere, o salire, su un piano tecnico, al rapporto di pesi orchestrali, alla capacità di svoltare l’armonia e assieme il fraseggio con un gesto leggerissimo – un gesto al quale tante volte sembra aspirare lo stesso Brahms ... ma insomma, basta vedere una pagina di http://ks.imslp.info/files/imglnks/usimg/f/f6/IMSLP104226-PMLP18979-Mendelssohn_op.090_Sinfonie_Nr.4_1.Allegro_vivace_MGA_fs.pdf per rendersene conto ) sia a proposito di Mozart (e qui si aggiunge quel qualcosa di imponderabile che Richard Strauss aveva colto così bene: sia nell’opera teatrale sia nella musica strumentale, in fondo pur sempre di naturale vocale). Ah! Visto che ho citato anche Strauss, sarebbe curioso ascoltare i poemi sinfonici come se fossero sinfonie ... Aus Italien è la Sinfonia n. 1, Macbeth (chi lo ha mai sentito alzi la mano) è la Sinfonia n. 2, Don Juan è la n. 3 e Tod und Verklärung la n. 4, Till Eulenspiegel la n. 5, Also sprach Zarathustra la n. 6, Don Quixote la n. 7, Ein Heldenleben la n. 8 e Sinfonia domestica la n. 9, e giustamente Eine Alpensinfonie la n. 10 (se non ho dimenticato qualcosa, più o meno ci siamo, come numeri). Teniamo conto anche di Metamorphosen, ovviamente. Insomma, cambierebbe qualcosa nella nostra coscienza di queste opere? Riusciremmo a considerarle tappe di un unico tragitto? Infine rimane il dubbio che su Strauss, ma anche su Dvořák, Čajkovskij e soprattutto su Sibelius, continui a pesare, persino inconsciamente, il veto di Adorno: in Italia più che altrove. Ma se anche non tenessimo conto di tutto ciò, il dubbio di fondo rimane un altro: perché dobbiamo veicolare la nostra coscienza a qualcosa di  “oggettivo” (e qui davvero le virgolette sono debitrici ad Adorno) come la storia della musica? Perché il compositore di sopra – ma sarebbe benissimo potuto essere ancora Richard Strauss – avrebbe dovuto filtrare la sua riconoscenza personale verso di Mozart con una “oggettiva” valutazione del suo peso nella storia della musica, quando il peso diretto e non filtrato è nella sua coscienza musicale così forte? Mi sorge quindi il dubbio che i dolori di ventre e la sordità, seppure innegabilmente segni della sofferenza dell’umanità, si rivelino ben poca cosa se confrontati con una complessiva visione del mondo, quale è quella che emerge ascoltando l’opera di un compositore (e mi trattengo dallo scrivere “di un vero compositore”!). Chissà perché mi vengono in mente, assieme, due figure lontane come quelle di Sibelius (di nuovo) e di Feldman!

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Lo schock che tu hai provato è probabilmente molto simile al mio, quando parlando di Brahms in passato, hai affermato cose molto discutibili circa il suo valore compositivo.

Allora  - a differenza di te - ti risposi immediatamente celando il mio disappunto anche perché mi chiesi se aveva un senso che un mero ascoltatore di musica classica si anteponesse ad un professionista della musica.

Oggi, come allora, me lo chiedo ancora una volta ed è per questo che anch'io questa volta, ti rispondo in ritardo.

Lo faccio perché se una cosa mi è assolutamente chiara da tanto tempo è che anche fra i professionisti della musica non esiste qualcosa che sia vero o il contrario del vero quando pronunciano le loro opinioni in materia di musica. Basti pensare ai giudizi che i compositori - o i musicisti in generale - hanno dato - o danno  - nei confronti dei loro contemporanei o di quelli a loro precedenti e ci si rende immediatamente conto di quanto tutto sia estremamente relativo e soprattutto , di quanto quei loro giudizi siano in realtà legati ai loro personali gusti

 

Sgombriamo dunque innanzi tutto il campo da quello che fu il merito del direttore Mendelsshon e cioè di avere rifatto rinascere Bach in quanto, chiaramente e ovviamente, non c'entra nulla con il discorso che io facevo.

 

Io parlavo del compositore Mendelsshon e della sua influenza nell'ambito della storia della musica e solo di questo.

 

E allora andiamo a vedere cosa diceva nel 1963 Massimo Mila:

 

Genio originale e nuovo. Mendelsshon,è nello stesso tempo un genio conservatore e classico. (...)  a Schumann apparve come "il Mozart del secolo XIX" (...) quello che ci attira e ci commuove nella sua musica, non è lo strano e il nuovo, ma proprio l'amabile e il consueto.

 

Veniamo a Giordano Montecchi nel 1998:

 

(...) Mendelssohn può definirsi musicista romantico (e se sì in che senso) o non è piuttosto da intendere come epigono della classicità o come esponente di una pacificazione all'insegna del Biedermeier. Sia stilisticamente , sia ideologicamente, Mendelssohn espresse senza dubbio un orientamento piuttosto vigile, a volte severo, di fronte alle novità, alle fughe in avanti, al messianismo musicale che in quegli anni cominciavano a circolare (...).

 

E infine Daniel Barenboim nel 2007:

 

Vi sono diversi criteri per stabilire l'importanza di un compositore: da un lato. c'è la semplice questione del pregio ovvero della bellezza di un'opera; dall'altro, c'è da tenere conto della sua posizione nello sviluppo storico della musica: Senza dubbio saremmo infinitamente più poveri senza la musica di Mendelsshon (,,,) tuttavia se non fosse mai esistito, lo sviluppo della storia musicale sarebbe stato più o meno lo stesso.

 

Dunque a questo punto qual è il vero e il contrario del vero?

 

Per quanto poi riguarda gli altri compositori che tu citi e Adorno, capisco e non capisco bene che c'entri con tutto ciò e soprattutto con la sofferenza - forse bisognerebbe parlarne in altri topic - ma penso che oggi come oggi quello che ha detto e scritto Adorno sia completamente superato e che comunque vada inserito nel suo contesto storico politico e musicale. E anche su questo penso sia chiaro come la penso.

 

ps: Čajkovskij in quanto a sofferenza penso che non abbia molto da invidiare a nessuno.

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Anch’io credo che il mio giudizio su Brahms sia discutibile, come del resto il mio giudizio su qualsiasi cosa: discutibile nel senso che sono assolutamente disposto a discuterne, e magari a metterlo in discussione. Dovrei quindi precisare che per la sua musica provo in realtà una specie di amore sconfinato venato però da alcune riserve su quella che potrei definire una forma di autorappresentazione affiorante in certi momenti… Ci vorrebbe un po’ per spiegarmi (si tratta in un certo senso di una proiezione psicologica), ma non è questo il punto, ora (anche se in qualche modo c’entra con il tema “attraverso la sofferenza”). Il punto è proprio il rapporto fra il giudizio e il gusto, di cui giustamente parli. Il problema è: il nostro giudizio deve essere mediato da qualcosa di oggettivo? E questo qualcosa di oggettivo dovrebbe essere la storia? (Ma già qui vorrei aprire un’altra parentesi per chiedermi se non sarebbe meglio sostituire “giudizio” con “ascolto”).

 

La storia è, purtroppo o per fortuna, qualcosa di complesso; di tutte le sue sfaccettature, una delle più complesse è l’evoluzione delle tecniche compositive (in realtà non ricordo di aver mai letto niente di davvero persuasivo sull’apporto del singolo compositore alla storia della musica). Inoltre mi sembra che nel corso del Novecento il “manuale di storia della musica” sia diventato una specie di “oggetto impossibile”, se non come cornice da mettere continuamente in discussione: insomma deve essere oggetto di critica, e non fondamento del giudizio. Non mi fido quindi della storia ridotta a formula lapidaria. Soprattutto, non riesco a fidarmi della storia quando si tramuta in “giudizio storico”. Lo studio della storia – sto parlando della storia della musica, ma forse vale in generale – dovrebbe per me significare una cosa in particolare: apertura. Curiosità, conoscenza, magari comprensione, infine apertura. Il contrario dunque del “se non fosse mai esistito”. Non mi fido della storia quando, ridotta a “oggettivo” (dimenticando quindi che si tratta di una nostra costruzione), diventa argomento di giudizio estetico. Al confronto, mi fido – direi quasi ciecamente – del “soggettivo” di chi, praticando la musica ogni giorno, non riesce più a distinguere fra la “portata storica” e il “valore estetico”, ma osserva – anzi sente – in modo globale, organico, ecologico; di chi si orienta in base a un “presentimento” che è stato plasmato anche dalla razionalità, ma che a tale razionalità non si arresta e non ne rimane imprigionato (ma non limiterei assolutamente questo discorso al musicista di professione – si pratica la musica prima di tutto ascoltando); di chi non ha bisogno, per riconoscere il valore di qualcosa di fondamentale per la propria vita, di sapere dove essa si colloca in una classifica stilata in base all’importanza nell’evoluzione del linguaggio musicale. Questo perché, in fondo, quando ascoltiamo, o magari quando suoniamo, o quando guardiamo una partitura, quella cosa – pur portando con sé secoli di storia passata e futura – diventa irriducibilmente presente, proprio davanti a noi, anzi dentro di noi, e tutto assorbe nel presente che l’attenzione richiede o impone quasi fisicamente.

 

Nulla è più rivelatorio delle autorità che scegliamo per rafforzare o per fondare i nostri argomenti. Le tre citazioni – esempi perfetti (o imperfetti) di “giudizio storico” in cui “l’oggettivo” si rovescia nel suo contrario – non fanno quindi che consolidare le mie convinzioni.

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Il punto è proprio il rapporto fra il giudizio e il gusto, di cui giustamente parli. Il problema è: il nostro giudizio deve essere mediato da qualcosa di oggettivo? E questo qualcosa di oggettivo dovrebbe essere la storia? (Ma già qui vorrei aprire un’altra parentesi per chiedermi se non sarebbe meglio sostituire “giudizio” con “ascolto”).

 

Le tre citazioni – esempi perfetti (o imperfetti) di “giudizio storico” in cui “l’oggettivo” si rovescia nel suo contrario – non fanno quindi che consolidare le mie convinzioni.

 

Io penso che ogni nostro giudizio sia sempre mediato da qualcosa di oggettivo

 

La Storia non è quella che da le pagelle, in questo caso ai compositori, ma quella che ci racconta come la musica si è evoluta nel corso dei  secoli.

 

Le tre citazioni che io ho riportato non hanno come fine quello di sminuire il compositore in questione perché tutte partono da una constatazione assolutamente condivisibile: Mendelsshon è stato un grandissimo compositore  del primo Ottocento e questo perché si può essere grandi, nell'ambito di un'arte, sia che si operi in maniera rivoluzionaria sia che lo si faccia in maniera conservatrice e su questo non c'è alcun dubbio direi.

 

Il punto oggettivo non è dunque la Storia ma quello che noi riteniamo sia più importante da valutare nel giudicare un compositore: il tipo di musica composta, come è stata composta,se si è stati rivoluzionari o conservatori. Ma anche la vita, l'uomo, il pensiero. Tutti noi non siamo immuni da questo nel dare un giudizio. Fermo restando che ognuno però ha le sue priorità e su quelle basa il tutto.

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