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Piano Concerto - Forum pianoforte

La Nona è solo l’inizio. Perché non possiamo non ascoltare Beethoven oggi


Azzurro
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Grazie per il link Azzurro

 

sull'accostamento a Francesconi non mi esprimo (non conoscendo la sua musica).

 

L'articolo è bello, anche se ricalca una certa visione di Beethoven come semidio. Inoltre una frase come:

 

«Il senso di indipendenza da qualsiasi strettoia accademica in nome di una totale libertà ideale e creativa».

Induce i più a pensare che:

1) Beethoven fosse uno che non avesse regole (tali intendo per 'strettoie accademiche'). Ed è un peccato perchè, appena una riga prima parla, giustamente, di 'reinvenzione' della forma e non 'distruzione'.

2) che le 'regole' sono nemiche della libertà creativa (e di qui a dire 'nemiche dell'arte' il passo è breve)

3) che basta sentirsi 'liberi' per essere veri artisti.

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Sono stato al concerto di Santa Cecilia e sono uscito decisamente soddisfatto.

Non commento la nona perché l'articolo proposto da Azzurro è ampiamente condivisibile.

Il brano di Francesconi era una novità e come tale mi ha lasciato molto perplesso.

Ho rivisto il concerto su youtube ed il mio giudizio è diventato positivo.

Nella sala la prima parte del brano impostata su vocalizzi risultava un po' impastata e non si capiva da dove provenissero (solista o coro?) ma guardando il video tutto risulta più chiaro e notevole.

E' vero che le nuove musiche vanno ascoltate più volte per apprezzarle.

Molto interessante il testo e le note del programma di sala che andrebbero abbinate al video ma che per ragioni di spazio non posso riprodurre.

 

https://youtu.be/xL1yuZ6cvGo

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Grazie per il link Azzurro

 

sull'accostamento a Francesconi non mi esprimo (non conoscendo la sua musica).

 

L'articolo è bello, anche se ricalca una certa visione di Beethoven come semidio. Inoltre una frase come:

 

«Il senso di indipendenza da qualsiasi strettoia accademica in nome di una totale libertà ideale e creativa».

Induce i più a pensare che:

1) Beethoven fosse uno che non avesse regole (tali intendo per 'strettoie accademiche'). Ed è un peccato perchè, appena una riga prima parla, giustamente, di 'reinvenzione' della forma e non 'distruzione'.

2) che le 'regole' sono nemiche della libertà creativa (e di qui a dire 'nemiche dell'arte' il passo è breve)

3) che basta sentirsi 'liberi' per essere veri artisti.

Io penso che Beethoven intraprese, fin dalle sue prime opere del catalogo principale, una lotta estrema verso la forma - e in quel momento lì, per forma si intendeva soprattutto la forma-sonata - proprio per usarla, dapprima per i suoi fini e poi per superarla. Cosa che sostanzialmente gli riuscì nelle sue opere estreme e, in specifico nell'Opus 111, come Thomas Mann affermò nel suo Doktor Faustus. 

Che Beethoven infrangesse le regole e che fosse per lui assai stretta la via academica è, direi, inappuntabile e sacrosanto.

Che le regole siano nemiche della libertà creativa è anche vero  ma nessuno pensa che lo siano dell'Arte. 

Sicuramente però l'Arte vive e si evolve soprattutto perché ci sono artisti che infrangono le regole.

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La Nona è solo l’inizio. Perché non possiamo non ascoltare Beethoven oggi

http://www.ilfoglio.it/cultura/2015/10/07/la-nona-solo-linizio-perch-non-possiamo-non-ascoltare-beethoven-oggi___1-v-133588-rubriche_c350.htm

 

..e come ce lo vedete l'accostamento a Francesconi?

Lo vedo come, non solo assolutamente pertinente dal punto di vista del testo cantato ma assolutamente in linea con quello che è lo spirito di questa serie dedicata a Beethoven dal titolo "Beethoven e i contemporanei", dove per contemporanei si intendono i contemporanei del compositore e i contemporanei di oggi.

La musica e il messaggio di Beethoven sono ancora contemporanei e tali resteranno, finché la libertà non sarà un bene acquisito in tutto questo mondo e, in questo - e per questo, ma non solo per questo, - Beethoven va ancora ascoltato oggi come allora.

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Io penso che Beethoven intraprese, fin dalle sue prime opere del catalogo principale, una lotta estrema verso la forma - e in quel momento lì, per forma si intendeva soprattutto la forma-sonata - proprio per usarla, dapprima per i suoi fini e poi per superarla. Cosa che sostanzialmente gli riuscì nelle sue opere estreme e, in specifico nell'Opus 111, come Thomas Mann affermò nel suo Doktor Faustus. 

Che Beethoven infrangesse le regole e che fosse per lui assai stretta la via academica è, direi, inappuntabile e sacrosanto.

Che le regole siano nemiche della libertà creativa è anche vero  ma nessuno pensa che lo siano dell'Arte. 

Sicuramente però l'Arte vive e si evolve soprattutto perché ci sono artisti che infrangono le regole.

 

il fatto (personale, non so quanto condiviso) è che ascoltando Beethoven, anche quello avanzato, non ho l'impressione di 'regole infrante' ; semmai, talvolta, di 'regole nuove'.

 

Sul discorso regole vs libertà creativa non sono d'accordo, ma lascerei perdere.

 

E poi... Nell'opus 111 (primo movimento, forma-sonata), a parte il fatto che è stupendo, lapidario, cosa ci sarebbe di 'informe'?

 

introduzione - esposizione - due temi - sviluppo - ripresa - coda... Cosa manca !?... che direbbe in proposito Thomas Mann?

 

Forse io sento/vedo cose che non esistono

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Mi trovo abbastanza d'accordo con LucaCavaliere, e aggiungo alcune considerazioni, forse un po' naive...

Le restrizioni formali che il compositore si auto impone non sono un limite alla creatività, al contrario, la stimolano... costringono a escogitare soluzioni ai problemi posti. La forma è tutto sommato il contenitore, nel senso che si colloca in un ordine di grandezza (estensione nel tempo) che tocca solo marginalmente la nostra (mia) percezione della musica. Quello che davvero ci tocca sta negli oggetti musicali di media grandezza, di cui siamo in grado di cogliere il senso, perchè hanno una durata tale da essere comprensibili alla nostra attenzione... è principalmente lì che trovo il senso di una composizione... nelle frasi, il loro incatenarsi, il contrasto, lo sviluppo degli elementi melodici, il contrappunto, le armonie, i "gesti" musicali che il compositore compie. Ed è questo l'aspetto che più ammiro in Beethoven. La sua capacità di parlare in prima persona, che si traduce nella possibilità per l'interprete di dentificarsi con ciò che si sta suonando, e non avere la sensazione di compiere un "esercizio di stile" come può capitare in Mozart o Haydn, questo è per me il principale contributo di LVB alla musica...

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Regole nuove rispetto a cosa?

 

Questa domanda che ti faccio ne nasconde un'altra soggiacente che eventualmente porrò più avanti.

Rispetto alle consuetudini. Ovviamente. :)

 

Mi viene in mente la Sinfonia Pastorale i cui ultimi tre movimenti non hanno soluzione di continuità. Cosa che all'ascolto non suona (a me) come trasgressione ma come norma intrinseca all'opera. Mi viene in mente anche il Quarto concerto per piano: col pianoforte che apre da solo la scena sonora.

Queste cose viste dal versante 'tradizionale' si potrà anche giudicarle come tentativi "dirompenti"... Magari anche sì.

Ma non in direzione di un'estetica di negazione della forma.

 

la «soggiacente eventualmente» mi fa un po' paura :) . . . ovviamente

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> Rispetto alle consuetudini

 

L'ho immaginato, però abbiamo tutti un percorso di ascolto molto variegato (almeno spero :) )per cui il modo di esprimersi sull'argomento in ogni caso può sempre essere soggetto a vizio senza le dovute premesse. In che senso? Immaginiamo la seguente astrazione:

Nel caso tu avessi ascoltato nella tua vita solo tardo romanticismo, di fronte alla prima volta con Beethoven potresti sentirci quelle tracce, quella base che ti potrebbe portare a parlare di “nuove regole” … poi “sviluppate”.

Nel caso contrario, ipotizzando che tu avessi ascoltato solo barocco e classicismo, di fronte alla prima volta con Beethoven potresti essere portato a parlare di “trasgressione”.

 

(S)fortunatamente non siamo in nessuna delle 2 condizioni perchè il nostro orecchio è viziato da ascolti dei più svariati periodi storici. A questo punto per essere obiettivi bisogna classificare le regole estetiche dei diversi periodi (che non sono mai a se stanti ma fortemente relazionati a quelli precedenti)  e capire come un compositore vi ci si pone. Partendo da questi presupposti il resto del discorso nella stragrande dei casi potrebbe diventare una conseguenza, soprattutto se si tratta di un articolo, seppur pregevole, abbastanza stringato.

 

Diciamo che mi sorprende relativamente questo duplice modo di vedere la questione, soprattutto se riferiti ad un contesto di grammatica strattamente tonale e perchè no? Formale

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Sono stato al concerto di Santa Cecilia e sono uscito decisamente soddisfatto.

Non commento la nona perché l'articolo proposto da Azzurro è ampiamente condivisibile.

Il brano di Francesconi era una novità e come tale mi ha lasciato molto perplesso.

Ho rivisto il concerto su youtube ed il mio giudizio è diventato positivo.

Nella sala la prima parte del brano impostata su vocalizzi risultava un po' impastata e non si capiva da dove provenissero (solista o coro?) ma guardando il video tutto risulta più chiaro e notevole.

E' vero che le nuove musiche vanno ascoltate più volte per apprezzarle.

Molto interessante il testo e le note del programma di sala che andrebbero abbinate al video ma che per ragioni di spazio non posso riprodurre.

 

https://youtu.be/xL1yuZ6cvGo

Grazie Terenzio, in questo momento non riesco a vedere youtube.... ma c'è anche il brano di Francesconi?

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Solo un contributo, minuscolo, alla conversazione: usare estrema cautela quando si utilizza la parola regola in musicaNoto infatti che spesso quando si dice regola in musica si intende in realtà qualcosa di ben diverso: non si tratta di regole, si tratta piuttosto di strumenti per costruire, o qualcosa del genere. La tonalità, ad esempio, non è una regola nel senso comune del termine: è uno strumento per costruire la musica.

Del resto non sono sicuro di capire cosa si intende con

 

 

 restrizioni formali che il compositore si auto impone 

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@ Frank

 

Ma io intendevo proprio le consuetudini compositive della sua epoca... non le consuetudini dei miei ascolti e dei miei gusti.

Sei d'accordo che è una dato "calcolato"? Noi non c'eravamo :)

Per cui da qui secondo me derivano le sofisticazioni del linguaggio

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Solo un contributo, minuscolo, alla conversazione: usare estrema cautela quando si utilizza la parola regola in musicaNoto infatti che spesso quando si dice regola in musica si intende in realtà qualcosa di ben diverso: non si tratta di regole, si tratta piuttosto di strumenti per costruire, o qualcosa del genere. La tonalità, ad esempio, non è una regola nel senso comune del termine: è uno strumento per costruire la musica.

Del resto non sono sicuro di capire cosa si intende con

Semplicemente che se decidi di comporre un rondó, una fuga o un allegro di sonata ti stai ponendo volontariamente dei confini entro i quali stare...

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Semplicemente che se decidi di comporre un rondó, una fuga o un allegro di sonata ti stai ponendo volontariamente dei confini entro i quali stare...

Allora diciamo che ho capito, ma non sono d'accordo. I mattoni e il cemento sono degli ostacoli per chi vuole costruire una casa? No, non sono degli ostacoli, sono degli strumenti per costruire la casa (questa è una metafora, e come tale va intesa). Un rondò, una fuga o un allegro di sonata delimitano dei confini? Non credo. Sono anch'essi degli strumenti nelle mani del compositore, e solo un compositore da pochi soldi può sentirsi da essi vincolato.

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Allora diciamo che ho capito, ma non sono d'accordo. I mattoni e il cemento sono degli ostacoli per chi vuole costruire una casa? No, non sono degli ostacoli, sono degli strumenti per costruire la casa (questa è una metafora, e come tale va intesa). Un rondò, una fuga o un allegro di sonata delimitano dei confini? Non credo. Sono anch'essi degli strumenti nelle mani del compositore, e solo un compositore da pochi soldi può sentirsi da essi vincolato.

Precisamente, se rileggi il mio post è esattamente quello che dico :)

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scusa ma... non ho capito :huh:

...e ne hai tutte le ragioni :)

 

Il discorso sarebbe troppo esteso per il tempo che ho a disposizione in questo periodo, ricordamelo al prossimo giro che ci vedremo....così ti darò "grande" soddisfazione.

Comunque sia tutto ruota intorno al "proprio le consuetudini compositive della sua epoca"

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...e ne hai tutte le ragioni :)

 

Il discorso sarebbe troppo esteso per il tempo che ho a disposizione in questo periodo, ricordamelo al prossimo giro che ci vedremo....così ti darò "grande" soddisfazione.

Comunque sia tutto ruota intorno al "proprio le consuetudini compositive della sua epoca"

 

Ahhh... ok!   Facciamo con comodo allora :)

[non per fare lo sborone - ma un po' sì :P - guarda che io per fare Milano-Lodi in bici ci metto 1 ora 08' ad andar tranquillo]

 

Comunque visto che il discorso ha preso pieghe di una certa finezza, vorrei dire che, sulle metafore architettoniche, mattoni e cemento non sono equiparabili a rondò, forma-sonata ecc.

 

Gli allineamenti a mio avviso più corretti sono:

 

mattoni, cemento, acciaio... = tonalità, modalità.... [sostanza materiale]

 

chiesa, villa, teatro, stadio... = fuga, forma-sonata, rondò, aria... [forma costruita]

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.

 

Gli allineamenti a mio avviso più corretti sono:

 

mattoni, cemento, acciaio... = tonalità, modalità.... [sostanza materiale]

 

chiesa, villa, teatro, stadio... = fuga, forma-sonata, rondò, aria... [forma costruita]

...però se ragioni in termini urbanistici, il comune, la chiesa, la villa, i palazzi e le zone verdi potrebbero essere i "mattoni" degli architetti per disegnare i "paeselli"

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Avevo scritto "questa è una metafora, e come tale va intesa" proprio perché il gioco delle metafore è un gioco tanto simpatico quanto inconsistente. Cemento, mattoni, case, viali ... Ci manca solo qualcuno che paragoni la tonalità alle leggi della statica, e così chiudiamo il cerchio! Non chiediamo alle metafore più di quello che ci danno. Ho parlato di mattoni e di case, ma avrei potuto parlare di lievito e farina e di teglie per preparare le torte. Badiamo al significato: quello che voglio significare è che la tonalità e la forma sonata e tutte le altre cose sono strumenti per i compositori, e non ostacoli da superare o aggirare.

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...però se ragioni in termini urbanistici, il comune, la chiesa, la villa, i palazzi e le zone verdi potrebbero essere i "mattoni" degli architetti per disegnare i "paeselli"

 

mmm... insomma.

Vuoi dire che qualcosa di formato può essere sempre considerato "mattone" rispetto a entità più allargate?... Te la posso anche concedere.

Ma, vedi anche tu, che ti tocca usare virgolette su virgolette ;)

[io ragionavo in termini strutturali, non urbanistici]

 

Ma la tua imbeccata urbanistica mi piace, e allora:

 

paeselli, frazioni, metropoli = sonate, suite, sinfonie, cantate . . . B)

 

 

@ RedScharlach

Per carità!... ognuno gioca con ciò che vuole.

Per me le metafore sono anche un bel gioco; a volte sono belle a volte mal riuscite. Ma è proprio perchè bado al significato (perlomeno, ci provo) che le considero seriamente. Consistenti.

 

Comunque concordo pienamente con la tua conclusione: quando dici che tutto ciò non sono ostacoli da superare e aggirare.

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In attesa che tu  Luca vada in bicicletta a Lodi o che, ci si ritrovi – mi piacerebbe esserci anch’io naturalmente – in quei di Milano vorrei fare a tergo alcune considerazioni così per parlare o per scrivere e chiedendo scusa per i miei limiti.

Ogni volta che sento parlare di forma e di Beethoven, la prima cosa che mi viene alla mente è questa frase : «La forma è il corpo individuale della poesia (…); ma non dovrebbe esserci anche una poesia profondamente penetrata nel vivo senza i limiti stabiliti da una forma? »

Fu la domanda che la poetessa Bettina Brentano fece a Goethe e, attraverso il massimo poeta tedesco, di riflesso a tutto l’Ottocento. Come ben sappiamo fra Bettina e Beethoven si instaurò una grande amicizia nel 1810, fatta di lunghi pomeriggi a discutere di musica e poesia. Non mi meraviglierebbe – anzi mi farebbe piacere – pensare che fra i due anche di queste cose si sia parlato perché l’argomento era comune ad entrambi: il superamento della forma.

Ho probabilmente sbagliato – o quanto meno sono stato assai riduttivo - nel parlare di forma-sonata: in realtà la forma classica era soprattutto quella che costringeva le sonate, quartetti e le sinfonie a 4 movimenti richiamandosi in questo all’ethos del dramma aristotelico, questo perché non bisogna infatti dimenticare che caratteristica fondante del Classicismo tedesco fu proprio l'anelito ad un ritorno agli splendori della Grecia classica.

La filosofia aristotelica si basa su quattro temi principali, come sono del resto, i movimenti delle sonate e delle sinfonie classiche-romantiche:

 

1) Interesse per la natura, intesa come un tutto ordinato e autosufficiente organizzato secondo il principio della necessità razionale: Allegro scritto in forma-sonata.

 

2) La considerazione di Dio come pura intelligenza, garante dell'ordine del mondo, nel quale non interviene: Adagio scritto in forma di lied

 

3) La considerazione dell'uomo sopratutto come essere dotato di intelligenza, in piena armonia con la natura: Minuetto o uno Scherzo scritto in forma moderata.

 

4) La considerazione del mondo come eterno: Allegro finale

 

Quello che Beethoven cercò – e in buona parte riuscì a fare – fu quello di uscire da questa forma che in qualche maniera gli stava profondamente stretta. E anche in questo stette il suo trasgredire rispetto alle regole date.

Oggi per noi posteri è ovvio che tutto può sembrare del tutto lineare e scontato, ma non lo fu certamente per un compositore che componeva nel primo Ottocento e che si distinse, non solo rispetto ai suoi predecessori ma anche rispetto a tutti i suoi contemporanei.

Milan Kundera ha ben delineato questo traguardo e risultato beethoveniano: «Beethoven è il più grande architetto della musica post-bachiana. Egli ha ereditato la sonata concepita come un ciclo di quattro movimenti (...) Tutta l'evoluzione artistica di Beethoven è contrassegnata dalla volontà di trasformare questo raggruppamento in una vera unità (...) egli cerca però di introdurre in questa unità il massimo di diversità formale. Più volte inserisce nelle sue sonate una grande fuga, segno questo di grande coraggio, giacché in una sonata, la fuga doveva sembrare allora tanto eterogenea (...). Il quartetto Opus 131 è il vertice della perfezione architettonica.»

Quanto all’Opus 111, è vero che il primo movimento è in forma-sonata ma Thomas Mann si riferisce al secondo di movimento: «(...) La caratteristica  di questo tempo è infatti il grande distacco fra il basso e il canto, fra la mano destra e la sinistra, e c'è un momento, una situazione estrema in cui sembra che quel povero motivo rimanga sospeso, abbandonato e solitario sopra un abisso vertiginoso – un istante di pallida elevazione cui segue subito una paurosa umiliazione, quasi un trepido sgomento per il fatto che una cosa simile sia potuta accadere. Ma molte cose accadono prima che si arrivi in fondo. E quando ci si arriva e mentre ci si arriva, dopo tanta collera e ossessione e insistenza temeraria, avviene alcunché d'inaspettato di commovente nella sua dolcezza e bontà. Il ben noto motivo che prende commiato, ed è esso stesso tutto un commiato e diventa una voce e un cenno d'addio, questo re-sol sol subisce una lieve modificazione, prende un piccolo ampliamento melodico. (...) È come una carezza dolorosamente amorosa sui capelli, su una guancia, un ultimo sguardo negli occhi, quieto e profondo. È la benedizione dell'oggetto, è la frase terribilmente inseguita e umanizzata in modo che travolge e scende nel cuore di chi ascolta come un addio, un addio per sempre, così dolce che gli occhi si riempiono di lacrime. “Non pensare al mai!” dice. “Dio fu – sempre in noi.”(...). » E allora: «(...) perché Beethoven non abbia aggiunto un terzo tempo all'Opus. 111? (...)

Un terzo tempo? Una nuova ripresa (...) dopo questo addio? Un ritorno (...) dopo questo commiato? Impossibile. Tutto era fatto: nel secondo tempo, in questo tempo enorme la sonata aveva raggiunto la fine, la fine senza ritorno. E se diceva “la sonata” non alludeva soltanto a quella sonata in do minore, ma intendeva la sonata in genere come forma artistica tradizionale; qui terminava la sonata, qui essa aveva compiuto la sua missione, toccato la meta oltre la quale non era possibile andare, qui annullava sé stessa e prendeva commiato (...) un addio grande come l'intera composizione, il commiato dalla Sonata.(...) »

Tutto questo Sciarrino lo definisce: «la grinta originaria di Beethoven» che «rimane ancora oggi percepibile nella sua musica» e che fa si «che Beethoven fa da spartiacque» fra il prima e il dopo di lui e lo rende individuabile come prototipo dell’evoluzione musicale che porterà la storia della musica alle Avanguardie del Novecento dove lì, sì, la forma e le regole vengono del tutto stravolte e superate.

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