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Piano Concerto - Forum pianoforte

Murat Çolak - NEFES.PAS.ÇIRA.IŞI (2015)


RedScharlach
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Murat Çolak è un ragazzo turco che studia all’Università di Boston. Spesso lo si vede in Europa, come del resto succede per molti compositori di formazione USA.

 

NEFES.PAS.ÇIRA.IŞI è un brano per flauto e percussioni del 2015. È molto semplice: all’inizio un suono acuto tenuto a lungo, il tempo di apprezzare le trasformazioni della sua qualità; poi una serie di percussioni secche sopra un suono grave (una piccola apocalisse interrotta); quindi dei sospiri sopra una materia raschiata; infine “a song sung alone”, come scrive il compositore. I suoni sono belli, e ci viene concesso il tempo necessario per gustarceli. Mi piace perché so che non riuscirei a fare qualcosa del genere.

 

Composed for and premiered by Christian Smith (crotales/prepared bass drum/prepared bass marimba/prepared singing bowl) and Rosa Soler (piccolo/bass flute/floor castanet/sine tones) in 2015 at impuls festival - Graz, Austria.

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  • 1 month later...

Rispetto ad altre proposte, questo lo trovo veramente molto freddo come brano.

È sempre un piacere confrontarsi con le idee e con le impressioni altrui, anche se diametralmente opposte alle proprie. Si impara sempre qualcosa. Ad esempio, non avrei mai pensato alla freddezza come attributo di questo brano. Non è comunque la mia impressione - per quel poco che conta. Mi sembra anzi che ci sia una grande aderenza al suono, un vero gusto per il suono: certo, un suono povero, fatto di poche cose, come un piatto semplice ma preparato con gusto, e assaporato con gusto sia da chi scrive sia da chi suona - se è così, non è una cosa da poco.

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Prima o poi scriverò una breve considerazione su "pezzi di questo tipo", perché questo in particolare l'ho ascoltato tempo fa ma avevo dimenticato di commentarlo.

A me comunque piacciono queste composizioni per (diciamo) strumento solista, proprio perché mi rimandano ad una percezione più introspettiva e meno volta alla ricerca di qualcosa di nuovo a tutti i costi, oppure a qualcosa di "sensazionale".

Ho costantemente una sensazione dentro di me che in parte va di pari passo a quella che hai espresso RedScharlach, ma che contrasta anche (ma non so se per te sia la stessa cosa, ovvero lo stesso motivo per cui dici che non riusciresti a scrivere un pezzo come questo) con questa affermazione: non mi sembrano pezzi impossibili da scrivere, ma possono (per me) essere concepiti e scritti da chi (ipotizzo ma non è detto) ha un certo rapporto con la musica (che non è detto ovviamente che sia a senso unico), in pratica riesce a trasporre da se stesso alla partitura quello che è, sempre ipoizzando: una persona pacata, riflessiva, non impulsiva.

I motivi per cui sento che non riuscirei a scriverne uno simile non hanno a che fare con gli studi che non ho proseguito, ma proprio con la necessità (che deve comunque rispondere ad un minimo di gusto musicale) di dover esporre il proprio temperamento, che per quanto mi riguarda è impulsivo seppur affascinato dalla riflessione, nervoso anche se necessito di un senso di pace che non riesco a trovare.

Pezzi come questo, estratti i loro punti più tenui, pacati e a mio avviso promotori della riflessione, hanno su di me (ma non sempre) quell'effetto di pace di cui ho bisogno.

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Per quanto riguarda la corrispondenza fra ciò che si è e ciò che si fa, non so cosa dirti. Senz’altro è una questione complessa. Siamo portati a immaginare la personalità di Beethoven in base alla sua musica, che nel complesso presenta delle situazioni limite nell’intero spettro delle possibilità: ferocia e dolcezza, impulsività e riflessività. Può essere, ma non so se è corretto. Al contrario, trovo difficile riferire in modo altrettanto diretto Stravinskij (per l’idea che me ne sono fatto in base alle sue dichiarazioni, alle sue foto, alla sua opera presa nel complesso) alla Sagra della primavera. Non conosco di persona Murat Çolak: lo ho sentito parlare, una volta sola, e mi ha colpito per una notevole ironia – una combinazione di acume e sensibilità.


 


Sull’impossibilità, o perlomeno sulle difficoltà che troverei nello scrivere una musica simile: forse quello che mi manca, e che ammiro, è il senso dell’attesa – una attesa costruita con elementi poveri, minimi. L’attesa mi sembra proprio il segno principale del brano. Tutto questo trova un senso perché dopo l’attesa c’è effettivamente qualcosa – qualcosa che mi suona come i resti di un antico imponente monumento mezzo coperto dalle sabbie del tempo (di nuovo una metafora!). Non riesco insomma ad isolare, come mi sembra stai proponendo, i momenti più tenui e pacati dai momenti più viscerali. Forse il tutto è fin troppo lineare, ma apprezzo questo modo diretto di esprimersi, soprattutto perché alla fine riesce a ricostruire l’attesa, senza più darle un esito, senza chiuderla, semplicemente allontanandosene con grande lentezza.


 


Leggerò con interesse tue altre considerazioni su “pezzi di questo tipo”!


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Leggendo la parola "senso" dopo la parola "attesa", ho pensato ad una conferenza (ma non solo in quell'occasione, parla costantemente di questa "connessione") in cui Galimberti (per chi non lo conosce, si tratta di un filosofo) parla di quanto la scienza, secondo lui, sia in realtà molto più legata alla religione di quanto si pensi, perché le tre fasi che nel cristianesimo sono denominate peccato, redenzione e vita eterna, nella scienza possono essere riassunte in ignoranza, ricerca e progresso.

In effetti molte delle cose che si fanno e si dicono, trovano un riscontro in questa configurazione ( che mi trova d'accordo).

Ho voluto fare questa premessa (molto più lunga del prosieguo) perché in musica è di estrema importanza il senso, molto superficialmente la ricerca a volte di un "appiglio" (il tipico punto di riferimento), per cui nel momento in cui una composizione risulta essere funzionale (oltre che piacevole) e dotata (secondo alcuni, ma non è legge) di senso, oltre a non lasciare perplessi, va così costituendo quel percorso a cui ho poco accennato, ma musicalmente parlando: idea, sviluppo e senso compiuto.

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Diciamo che il concetto di attesa può anche andare bene ma se se poi succede poco e niente e si allontana con grande lentezza il rischio che il brano diventi una lunga e noiosa attesa in una fredda sera d'inverno all'aereoprto è molto alto. Diciamo che io lo sento questo brano un po' ibernato, come appena uscito da un congelatore...nonostante il riascolto e la lettura dei commenti, onestamente poco hanno influito e variato il mio primo. Ho però trovato i commenti molto utili per dare una chiave di lettura ai probabili intenti del compositore, la vanità dell'attesa può essere un concetto interessante....il risultato però è molto noioso. Sempre per me che non sono nessuno :)

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Senz’altro! Non è del resto compito mio convincere qualcuno di qualcosa. Mi colpisce però una parola che usi: rischio. Anche questa è una cosa che personalmente ammiro e invidio: il coraggio di correre il rischio di quattro minuti in cui succede “poco e niente”, come dici tu – certo, il giudizio su questo “poco e niente” è diametralmente opposto, nel nostro caso. Pazienza! Conosco tanta gente che si annoia ascoltando le Cantate di J.S. Bach!

 

 

Ripensando però alla parte finale del brano, correggo il tiro. Il “si allontana con grande lentezza” viene infatti rovesciato: niente più attesa. Di nuovo un passaggio molto graduale, ma stavolta davvero risolutivo, definitivo.

 

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  • 1 year later...

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