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Piano Concerto - Forum pianoforte

Programmi di sala


Frank
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Programmi di sala

http://www.nuthing.eu/2015/06/programmi-di-sala.html?spref=fb

 

di Andrea Agostini

 

Mi annoiano profondamente i programmi di sala in cui il compositore mi spiega quali intervalli ha usato, su quale principio combinatorio è basata la forma del pezzo o quali inedite tecniche di trattamento del suono elettronico ha impiegato. Mi fanno sempre pensare che non ci sia nulla di più interessante da sapere sulla musica, su ciò che vuol dire o che vi posso leggere: mi interesserebbe piuttosto conoscere i libri o i film o i cibi preferiti del compositore, capirei di più. E se invece provassimo a immaginare, per i nostri pezzi o quelli dei nostri amici o dei nostri idoli, degli shameless ads, dei piccoli furbi testi che provino a suggerire a chi non è del mestiere, a chi se ne frega degli intervalli e della combinatoria e dell'informatica musicale, dove guardare, che cosa si può cercare in questo o quel pezzo e perché, magari, lo si potrebbe anche amare? Nel mio mondo ideale ci sarebbero dei bravi copywriter che farebbero questo mestiere. In mancanza di meglio, così, per scherzo o per esperimento, ci provo io, con tre pezzi che hanno fatto la storia (di uno avevo già parlato tempo fa, mi perdonate?), scelti apposta per rendermi il compito facile.

 

 

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Da una parte anche sì, dall'altra però a me non dispiace sapere che cosa ha fatto il compositore, sta a lui non è essere noioso nella presentazione, secondo me non è il concetto che annoia ma chi te lo espone . Di per sè uno può  anche spiegarmi tutte le tecniche che ha utilizzato, magari sarebbe più bello leggerle dopo, un po' come i post-titoli dei preludi di Debussy

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Concordo con Micamahler, la cosa migliore sarebbe evitare un gergo tecnico nei programmi di sala orientandosi verso un linguaggio più comune...anche al costo di sacrificare qualche dettaglio sui costrutti del brano. Entrare nel dettaglio tecnico richiede un interlocutore tecnico....e in sala ci potrebbe essere chiunque. Io non scrivo per tecnici :)

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 E se invece provassimo a immaginare, per i nostri pezzi o quelli dei nostri amici o dei nostri idoli, degli shameless ads, dei piccoli furbi testi che provino a suggerire a chi non è del mestiere, a chi se ne frega degli intervalli e della combinatoria e dell'informatica musicale, dove guardare, che cosa si può cercare in questo o quel pezzo e perché, magari, lo si potrebbe anche amare?

Per me le parole sono superflue per far amare un qualsiasi brano di musica...non sono certo che un bel discorsetto cambi la sostanza di una cosa. Nessuno può far miglio dell'orecchio.

 

Da un lato mi piace il proposito di scrivere una guida d'ascolto accessibile ai più...senza barbosi dettagli, ma dall'altro non sono convinto che una fuga di Bach piaccia di più solo perchè qualcuno è stato più bravo di un altro perchè non ha parlato di contrappunto e invece ha parlato di specchi ... etc.

 

Non so se ho reso l'idea ....

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Un programma di sala... che cosa ostica :rolleyes:

Cinque anni fa, riflettendo proprio su questa cosa, ho scritto questo piccolo distinguo tra 'guida all'ascolto' e 'chiave di ascolto'

 

 

Guida all’ascolto e chiave di ascolto

 

Come si può ‘parlare di musica’? Cosa è corretto, e cosa è scorretto, dire riguardo un’opera musicale? Senza arrivare alla questione mai chiusa se la musica significhi o meno qualcosa (questione troppo ampia), è interessante osservare quello che accade quando per un’opera è necessario dare qualche stimolo per un ascolto più consapevole e partecipato: intento che si presume quello di ogni guida all’ascolto, libretto CD, o nota di sala che sia.

Spesso si parla del compositore: delle vicende biografiche, liete o tormentate, negli anni della gestazione dell’opera; o anche dei fatti di cronaca riguardanti la prima esecuzione, con decisioni pratiche, cambiamenti dettati da necessità, accoglienza riservata da pubblico e critica, e tutto quanto stava a contorno dell’opera quando nacque: poco prima e poco dopo. Altre volte si entra nel corpo della musica a livello ‘chirurgico’. È il caso di quelle analisi in cui non si tratta altro che di entrate del tema, ponti modulanti, cellule ritmiche, salite alla dominante, aree tonali; analisi da cui anche l’appassionato di musica più motivato, ma non addetto ai lavori, difficilmente tra beneficio nel suo rapporto vivo con quell’opera.

Che questi due modi di affrontare un’opera musicale siano corretti è fuor di dubbio. Le perplessità sorgono riguardo la loro utilità, non certo in sede di ricerca storica o di analisi stilistica, ma quando si voglia produrre una guida all’ascolto.

Sul versante opposto c’è un’altra osservazione da fare. Un’osservazione doverosa anzitutto per me che non considero ‘eresia’ osare parole, certamente discutibili, ma tese a sforare il cuore di un’opera d’arte. Ossia che non tutte le opere musicali si prestano ad essere avvicinate in tal modo. Prendendo ad esempio le sole sinfonie di Beethoven, la Settima e l’Ottava non sono minimamente interessate, o lo sono ben poco, da tanto inchiostro ‘extramusicale’ versato per l’Eroica e per la Nona.

Prendere atto di queste differenze tra varie opere anche dello stesso genere, e accettarle, per chi voglia ancora tentare simili riflessioni, comporta la rinuncia a considerarle scientificamente serie.

Ma la ricerca di una rapporto vivo con un’opera del passato è qualcosa che fa parte dell’umano, e che non si lascia esaurire in termini rigorosi e scientifici. Riflettere su un eventuale significato di un’opera musicale, netto o vago che sia, è sempre ‘compromettente’ sul piano personale: costringe l’autore della riflessione a far emergere, anche se in modo velato, qualcosa di intimo. Questo perché di fronte a un’opera d’arte avviene lo stesso che accade in un rapporto non superficiale tra due individui: cercando l’altro si scopre, in parte, anche se stessi.

Di fronte a simili riflessioni occorre dunque passare dalla nozione di ‘guida all’ascolto’ a quella di ‘chiave di ascolto’. Chi si affida a una guida si lascia guidare: in questo caso è necessario che la guida sia sobria e corretta. Chi accetta una chiave d’ascolto deve sapere di avere a che fare con qualcosa di più problematico. Essa è frutto di una relazione personale con l’opera, sicuramente veritiera per l’autore di tale riflessione, ma chi la riceve non ha la garanzia che anche nelle proprie mani, in rapporto al proprio vissuto, quella chiave ‘apra’ ugualmente il cuore dell’opera. È però uno stimolo al confronto e a cercare a propria volta una via – personale – per entrare in un rapporto vitale con l’opera in questione.

 

 

Mah... Non rinnego queste cose che avevo scritto. Oggi come oggi però penso che nel trambusto di una sala da concerto che si riempie di gente, di amici che si salutano, persone che tengono posti occupati per altri che arriveranno... penso che in un tale clima sia meglio avere per le mani una sobria corretta - breve - guida all'ascolto.

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Begli spunti. Provo a dire la mia.

 

Il programma di sala è in forma scritta e non interlocutoria, per cui non adattabile "live" come un dialogo, una conferenza, etc. Partendo da questo assunto si può desumere che viene preparato per un' occasione e in asincrono rispetto all'evento che verrà. E' fondamentale conoscere il target, a chi ci si rivolge. Stiamo chiaramente parlando di lettori, ma soprattutto ascoltatori, persone.

 

Per cui tutte queste persone saranno in sala per le più svariate motivazioni/esigenze. Uno scritto che soddisfi tutti non c’è mai ecco perché secondo me non esiste il programma di sala “ideale”.

 

Di sicuro però l’esperienza mi insegna che in generale il tecnicismo (in tutti gli ambiti) non facilita mai la comunicazione in una platea eterogenea.

Abbiamo strumenti linguistici molto potenti tipo la retorica, si può ricorrere ad immagini, sicuramente bisognerebbe puntare all’essenzialità...cito solo alcune cose sul quale fare leva.

 

Probabilmente cose all’apparenza semplici, eppure ….

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