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Piano Concerto - Forum pianoforte

Helmut Lachenmann - Concertini (2005)


RedScharlach
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Si era parlato di Lachenmann e di scrittura criminale”. 

http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/4191-christophe-bertrand-vertigo-for-2-pianos-and-orchestra-2006-07/

Ora sto ascoltando Concertini: è sconcertante come la musica concreta strumentale” dura e pura di Kontrakadenz (1970-71) riesca, trentanni dopo, ad aprirsi a un’esperienza che accoglie la “consonanza” a ogni livello, una musica dove tutto viene trascinato in avanti da un ritmo inesorabile e travolgente.

 

Helmut Lachenmann

Concertini (2005)
Musik für Ensemble
Klangforum Wien

Johannes Kalitzke, direction

 

https://www.youtube.com/watch?v=b5r-jDxh7DI&index=1&list=PL10623DC8848EF358

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Ho ascoltato solo il primo

Ora sto ascoltando Concertini: è sconcertante come la musica concreta strumentale” dura e pura di Kontrakadenz (1970-71) riesca, trentanni dopo, ad aprirsi a un’esperienza che accoglie la “consonanza” a ogni livello, una musica dove tutto viene trascinato in avanti da un ritmo inesorabile e travolgente.

 

Era un po' che non ascoltavo Lachenmann e devo dire che nonostante questa sua nuova apertura rispetto ai lavori di mezzo secolo fa, io ho l'impressione che stilisticamente ha ancora troppi "strascichi" del passato; a me appare come un brano già datato. Chiaramente il mio è solo un parere sll'approccio estetico, del resto è Lachenmann...cosa gli si potrebbe dire mai :)

 

Ma ... in particolare in quale dei 4 brani riscontri un ritmo inesorabile e travolgente...lo direi del brano tratto nel topic linkato di Bertrand, ma questo...? ...!

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Era un po' che non ascoltavo Lachenmann e devo dire che nonostante questa sua nuova apertura rispetto ai lavori di mezzo secolo fa, io ho l'impressione che stilisticamente ha ancora troppi "strascichi" del passato; a me appare come un brano già datato.

Datato rispetto a qualche altro brano di Lachenmann oppure a qualche altro compositore contemporaneo in particolare?

 

All’inizio la “melodia” del trombone [00.50], coi suoi intervalli sconnessi e gli sforzati improvvisi, “suona” inequivocabilmente puntillismo anni 50. Volendo, suona più datata di quel che si ascolta in Kontrakadenz. Per quanto mi riguarda, non è interessante in sé. Però è un segno: il mondo di Concertini la accoglie, come accoglie tante altre cose diverse – belle e brutte? Forse. C’è anche un tagliente Do maggiore di armonici degli archi [2.41]. Cos’è che tiene assieme il tutto? Secondo me è proprio quel ritmo… lo si sente esplicitamente per la prima volta – ma ancora un po’ nascosto – in una rapida scala del clarinetto [2.00]. 

 

Certo, non lo si può paragonare ai vortici di Vertigo: lì il ritmo è sempre esplicito. Concertini, per la cronaca, è un unico movimento da 40 minuti (non 4 da 10 minuti): il metronomo principale è fisso sulla semiminima a 56, e il flusso ritmico è la terzina di biscrome. Ma questa pulsazione è interiore, sottocutanea (ma non per questo meno incalzante). Chi vuole sentirla esplodere deve andare al secondo video.

 

La differenza principale fra Concertini e Vertigo – o una delle più evidenti – è che in Bertrand abbiamo sezioni omogenee che possono durare da 26 a 306 secondi; in Lachenmann il paesaggio cambia praticamente ad ogni battuta, ogni momento c’è qualcosa di nuovo da ascoltare – e in questo senso Lachenmann esige molta più rapidità di ascolto di Bertrand.

 

Cosa impressiona in Concertini? Che è diretto. Sì, ci sono i punti di dispersione (un suono qui, un suono lì, ma che relazione c’è? rimane il dubbio) ... però ogni dispersione viene subito riassorbita – con un gesto violento e assieme quasi giocoso – dal flusso inesorabile di un ritmo che tutto travolge. Voglio dire, il problema per l’ascolto sono stati sempre gli eventi irrelati o difficili da mettere in relazione (Kontrakadenz), per cui mancava l’appiglio, ci si perdeva (difficile mettere in relazione all’ascolto, lavoro molto complesso, bisogna avere orecchie veloci perché è necessario tenere assieme questo con quell’altro, anche quando questo e quell’altro sono estremamente eterogenei, due punti lontanissimi nello spazio acustico), mentre in Concertini, appena manca il terreno sotto i piedi, appena manca l’appiglio, ecco di nuovo il ritmo che ti trascina via insieme a tutto il resto. 

 

Esempio: il secondo video, a 05.30, dopo la sezione in cui l’arpa è protagonista (ma in realtà anche prima, fin dall’inizio).

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Intanto Red ti ringrazio per il ricco contributo che ho veramente gradito molto, fra le righe hai perfettamente descritto perchè è un brano che a me risulta datato e se ci pensi bene:

 

- Puntillismo anni '50,

 

> in Lachenmann il paesaggio

> cambia praticamente ad ogni battuta,

> ogni momento c’è qualcosa di nuovo da ascoltare

> – e in questo senso Lachenmann esige molta più

> rapidità di ascolto di Bertrand.

- Più che altro tutto ciò rimanda allo strutturalismo, che è un estetica che ha fatto il suo corso (e decorso)

 

- Aggiungo che inoltre è ancora molto legato al mondo del concreto

 

Ecco che questi tre fattori, ben mescolati, riportano l'orecchio a quei favolosi anni '80 già trascorsi. Niente di male, anche a Brahms dicevano che scriveva un po’ datato, ma è talmente bello che non gli si può dire nulla. A proposito, mi piace che nel tuo intervento sia velato il riferimento a “cose belle e brutte”.

 

Comunque sia tu dici che questi strascichi non sono interessanti in se e ci sta; da compositore ti concentri  di più su questa sua apertura all'ascoltatore (a proposito, adesso ho capito cosa intendevi con trascinato in riferimento al ritmo. Certo, come ben descrivi, è un modo per dare un minimo di certezze all'ascoltatore, ma di fatto questa non è una novità in senso assoluto, di certo per Lachenmann). E’ proprio da ascoltatore che dico che per tutto questo trovo più centrato nel ventunesimo secolo il buon Bertrand che il "nuovo" Lachenmann.  Lo scrivo non perchè mi interessa chi fra i due ce l'ha più duro, ma perchè entrambi hanno cercato di rispondere ad un'esigenza ma Lachenmann mi sembra più appesantito da quei “fardelli” tipici della sua estetica ... che hanno fatto epoca, per cui tanto di cappello.

Oggi come oggi, con tutta la mia soggettività di puro ascoltatore, non mi impressiona più di tanto questo brano di Lachenmann; se vado in una sala di concerto di musica Contemporanea spero di non trovarmi il Lachenmann di turno rispolverato ma qualcosa di relativamente nuovo…altrimenti finisce come la Contemporary Music Hub Milano

 

 

Ovvio che compositori della cifra di Lachenmann ne escono sempre egregiamente…però mi interessa che passi il concetto di fondo e non sono convinto che la classica rispolverata sia nello spirito della Contemporanea. Mi sbaglio? ... o meglio, a me tutto ciò inizia a confermarmi che Lachenmann ormai sta veramente diventando un classico … detto con le più nobili intenzioni.

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Ma sai ... datato ... bisogna capire cosa si intende. Senti un momento di puntillismo, lo percepisci datato, perché effettivamente è datato (cioè facilmente riferibile a una modalità diffusa negli anni 50), e così l’intero brano risulta datato? Oppure bisogna sentire quell’oggetto e però riconoscere che nel brano ci sono una moltitudine di cose differenti, e allora bisogna anche porsi il problema di come quello sta assieme a tutto il resto?

 

Cosa vuol dire che è ancora concreto? Lachenmann è quello, il suo mondo è il concreto, dobbiamo chiedergli di fare altro per essere aggiornato?

 

Lachenmann è nato nel 1935; la sua ricerca è cominciata a diventare paradigmatica alla fine degli anni 60, quando aveva trent’anni circa; la musica concreta è il suo mondo, che esplora da cinquant’anni (Bach ha esplorato il contrappunto tutta la vita, mentre alla sua epoca chi voleva essere aggiornato – e voleva fare soldi – si dava al melodramma) solo che a differenza dei suoi numerosi epigoni, per i quali questa ricerca si riduce alla ricerca di “effettazzi”, il discorso di Lachenmann è articolato e complesso. 

http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/4316-helmut-lachenmann-il-mio-percorso-esistenziale-e-musicale-2011/?hl=lachenmann

Tutto il suo discorso è sul suono: non è teoria, è prassi, è la sua esperienza. Che differenza c’è fra Lachenmann e le centinaia di epigoni sparsi in giro per il mondo? Fra le tante, c’è la differenza che in Lachenmann ogni suono fa parte di una visione – del mondo. Una visione assieme articolata e unitaria, dove l’eterogeneità viene accolta, ma prima di essere accolta viene compresa (o forse accoglimento e comprensione sono contemporanei – poco importa). Ogni suono è vissuto dal pensiero – e dallo stomaco.

 

E negli anni non è rimasto fermo. Il suo mondo si è progressivamente allargato, includendo sempre più cose: ed era questo che notavo in Concertini, era questo che intendevo con apertura: apertura ad altri suoni, a suoni già conosciuti (un arpeggio di Do maggiore del pianoforte è più eterogeneo allo sciabordio dell’acqua nel catino di zinco rispetto agli armonici degli archi). Apertura agli ascoltatori? Mah, non lo so, forse sì; ma probabilmente non molto di più di Kontrakadenz.

 

A proposito, ne approfitto anche perché riascoltando Kontrakadenz devo dire che ci ho ripensato. Non è solo musica concreta dura e pura. Anche qui – pur essendoci tutta la valenza dimostrativa del momento della scoperta del nuovo mondo della musica concreta strumentale – il suono ha tutto il suo valore di istitutore di relazioni. Ma ha anche una valenza più immediata: è seducente.

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Sarà interessante da a analizzare ... ma per quanto mi riguarda (parlo a livello d'ascolto) non mi è piaciuto per niente. Sono consapevole che il mio parere non vale nulla ma, scusate la franchezza, non sono certo di voler pagare i soldi per un biglietto dove si esegue la musica di questo compositore.

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La discussione mi ha indotto a dare una scorsa alle 4 pagine della sezione del forum di brani di questo secolo, in effetti Lachenmann è l'unico che usa il rumore in modo strutturale. Un mio maestro diceve sempre che un gratatto è un fatto storicizzato quanto un intervallo di ottava, in questa ottica uno può essere libero di usare entrambi gli "stilemi" senza troppi scrupoli. Per cui, anche se da un lato capisco che Lachenmann porta avanti da decenni questo suo filo conduttore, questo rapporto spasmodico con il mondo del concreto, dall'altro ha lo stesso valore che se lavorasse con il suono.

 

A me non fa impazzire Lachenmann, ma sui opera in questa nicchia, è una sua scelta, e a prescindere dal gusto, ha la mia stima.

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In questi giorni continuamente riascolto Lachenmann. Salut für Caudwell è del 1977. Quello che mi stupisce è trovare continuamente delle aperture nelle direzioni più inattese. Delle specie di segnali. Certo sono segnali a volte molto tenui, ma pur sempre segnali, come quando [2:08] si ascolta un arpeggio che apre una sezione di pulsazioni regolari che poi accolgono il parlato. Non so bene cosa vuol dire narrativo, ma questo mi sembra davvero narrativo. La forma è chiarissima: impossibile non cogliere le differenti sezioni. All’interno di questa forma c’è spazio anche per le sorprese, magari molto evidenti [11:20].

 

 

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