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Piano Concerto - Forum pianoforte

Fidelio. Caratterizzazione dei personaggi... Come?


LucaCavaliere
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Rai Cultura presenta “Petruska incontra Daniel Barenboim”.  È il grande musicista argentino Daniel Barenboim il protagonista della puntata che Rai Cultura trasmette giovedì 4 dicembre alle 21.15 su Rai5  (ch. 23 del digitale terrestre e ch. 13 TivùSa). In attesa della prima della Scala, in diretta su Rai5 il 7 dicembre, Michele dall'Ongaro incontra il grande protagonista dell'evento, che dirigerà il “Fidelio” di Beethoven. “Fidelio è stato trattato molte volte come un'opera politica – dice Barenboim – ma il soggetto principale è la storia di una donna di grande coraggio, che fa tutto ciò che può per liberare il marito, rinchiuso in carcere ingiustamente. È una storia d'amore coniugale”.

 

Michele Dall'Ongaro ha fatto a Baremboim una domanda che trovo davvero interessante.

«Come Beethoven caratterizza musicalmente i suoi personaggi?»

Qualcuno può scrivere qualcosa a riguardo? Vi ringrazio tantissimo fin d'ora.

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Da profana io ho una domanda a monte: secondo voi il Fidelio è un opera? Lo chiedo perché di fatto è basato su una storia non so quanto teatrale.

Di sicuro ha la sua unità assoluta, ha la sua caratterizzazione dei personaggi, ha il suo dramma e il suo lieto fine.  Mi sembra che i dialoghi servano a cucire le parti della storia, non a frammentarla, ma questo non gioca a “sfavore” dell’ "opera" e anche la Carmen ha la versione con i parlati (abbastanza noiosi a dire il vero).

 

Che ne dite?
 

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Alla domanda che tu poni, Luca, sarebbe stato bello se avesse risposto Barenboim e, dunque in mancanza del maestro proverò, immeritatamente io. Anche se penso, potrebbe farlo meglio, di gran lunga, chiunque conosca quest’opera e sappia di musica ben più di me.

Inizio dunque dalla domanda di Barbara perché, di conseguenza potrò riallacciarmi a quella tua.

Fidelio, in effetti, non è un’opera come la si può intendere nell’ambito del melodramma italiano, è un Sigspiel tedesco. Il Singspiel nacque verso la fine dell’età barocca in Germania e proprio, in contrapposizione al melodramma italiano – allora imperante – e sulla falsa riga dell’opéra-comique francese che, invece, si accostò alla già vigente tragédie-lyrique. (“Carmen” appartiene all’opéra comique e per questo, inizialmente ebbe i recitativi parlati).

Il Sigspiel fu caratterizzato dalla narrazione di vicende quotidiane, avventurose o anche storiche ma non mitologiche o tragiche. I recitativi erano esclusivamente recitati – e dunque non cantati come nell’opera italiana – e i pezzi vocali erano semplici e strofici, proprio come nei Lieder.

Con l’arrivo di Mozart le cose cambiarono: “Die Entführung aus dem Serail” e “Die Zauberflöte” pur avendo recitativi parlati, introducono nel Singspiel il sinfonismo e, almeno in parte, il vocalismo italiano.

E arriviamo dunque al nostro Fidelio. La sua eredità, e il suo debito a “Die Zauberflöte” è totalmente evidente, lo stesso Beethoven lo definì un  Die Zauberflöte ambientato non nel mondo favolistico: il tema è lo stesso – che è poi il tema tipico dell’Illuminismo e della massoneria del tempo – la vittoria della luce sulle tenebre. Ma, in esso, si vengono a mescolare la tradizione sinfonica a quella operistica e, all’interno di quest’ultima, si sovrappongono, opera buffa e opera seria, tra Singspiel e opéra de sauvetage francese.

Per questo motivo è assai importante che il direttore che decide di interpretarla, sappia integrare queste particolarità, creando sempre continuità, anziché fratture tra i vari aspetti dell’opera. All’orchestra è affidato il duplice compito di unificare e differenziare le varie parti: essa non accompagna esclusivamente, ma assume un ruolo prioritario nel racconto della vicenda.

Se Marzelline e Jaquino, sono due personaggi completamente appartenenti all’opera buffa e dunque, come tali, musicalmente e scenicamente inquadrabili, ben più complessa è la figura di Rocco.

Rocco è, da un punto di vista strettamente musicale, un “basso buffo” e, questo suo ruolo, è insito nella scrittura di tutta la sua parte. Egli però, solo attraverso la modulazione della voce, deve riuscire a esprimere le varie sfaccettature del personaggio: il suo rapporto con Leonore e la figlia Marzelline, il conflitto suo interiore che prova verso gli ordini di Pizarro e, infine, la pietà per il prigioniero Florestan. Sembra facile ma non lo è affatto.

La difficoltà nell’interpretare don Pizarro è nel saperne restituire a chi ascolta la monumentalità della malvagità. Pizarro deve apparire cattivissimo, inflessibile, completamente senza alcun tratto d’umanità e, in questo, il fraseggio accompagnato ad una interpretazione impeccabile fa la differenza.

Assolutamente difficile è invece dal punto di vista canoro, - e dunque musicale - la parte di Leonore a causa di una scrittura che batte insistentemente sull’impervia zona del passaggio di registro, che passa con estrema disinvoltura da si naturali a notte sotto al rigo e, altro ancora.

La figura musicale di Florestan è data, soprattutto, ovviamente, dal recitativo e aria “Gott!! Welch Dunkel hier!...”, assolutamente impervia anche per il tenore, il quale dovrebbe amalgamarsi completamente al suono dell’orchestra a tal punto che il suo canto sembri provenire da quella buca che la ospita e prendere potenza espressiva dall’unisono con i violini, dal cui piano esplode in un grido disperato e drammatico che proviene dall’oscura prigione, perché il lavoro sul suono che fa Beethoven, in quasi tutta quest’opera e, in particolare in questo suo momento,non è mai fine a se stesso, ma ha sempre precisi scopi drammaturgici. Ed è soprattutto su questo particolare che risiede l’attualità di questa partitura che rimanda a certe tecniche usate nel XX secolo come lo Sprechstimme schönberghiano.

Ma l’attualità della composizione e più in generale della produzione di Beethoven, come sappiamo, non è avvertibile solo dal punto di vista del linguaggio musicale, ma anche da quello della Storia in senso lato. Tutto quello che è accaduto nel secolo scorso e ancora quello che accade in questo secolo ne è la dimostrazione più lampante purtroppo ed è per tutto ciò che Fidelio assurge a simbolo mai fuori tempo.

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«Tutto quello che è accaduto nel secolo scorso e ancora quello che accade in questo secolo ne è la dimostrazione più lampante purtroppo ed è per tutto ciò che Fidelio assurge a simbolo mai fuori tempo».

 

Purtroppo è vero Daniele.

Per il resto, per quanto concerne gli aspetti musicali, ti ringrazio.

 

 

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Leggendo la domanda di Luca avrei voluto suggerire un approfondimento sullo sviluppo dell'opera seria e comica nel primo settecento e come  si sono evolute dopo la metà del '700 con riferimento alla Francia; in effetti leggendo l'intervento di Daniele, non mancano espliciti riferimenti:

 

Se Marzelline e Jaquino, sono due personaggi completamente appartenenti all’opera buffa e dunque, come tali, musicalmente e scenicamente inquadrabili, ben più complessa è la figura di Rocco.

Rocco è, da un punto di vista strettamente musicale, un “basso buffo” e, questo suo ruolo, è insito nella scrittura di tutta la sua parte. Egli però, solo attraverso la modulazione della voce, deve riuscire a esprimere le varie sfaccettature del personaggio: il suo rapporto con Leonore e la figlia Marzelline, il conflitto suo interiore che prova verso gli ordini di Pizarro e, infine, la pietà per il prigioniero Florestan. Sembra facile ma non lo è affatto.

 

La questione però è un po' articolata e come sempre serve molto spazio e sarò purtroppo prolisso; importante è conoscere il sistema produttivo dell’opera nel primo settecento e come nello stesso si inquadra il ruolo del cantante e del compositore.
Fondamentale è conoscere la struttura del libretto e masticare le opere precedenti al Fidelio. Non so se Zeno, Metastasio e Hasse suggericono qualcosa; anche in relazione alla forma si possono fare diversi ragionamenti.

Queste potrebbero essere le premesse per capire lo sviluppo teatrale a Parma e Vienna, e ci siamo quasi :)

Ovviamente si parla di Ranieri de Calzabigi e C.W. Gluck e di una riforma che ha più il saprore di "trasformazione". Si può capire cosa succede nell'ambito dell'opera Seria e perchè nasce, come si sviluppa, e che impatti ha l'opera comica.
Considera che nonostante si parli di due generi, gli interpreti sono gli stessi. Cambia la destinazione:
- Opera seria à destinata ad un pubblico aristocratico
- Opera comica à destinata ad un pubblico borghese o popolare

Ecco che bisgona fare cenno alla commedia musicale, che è di dimensioni ampie e si basa su personaggi e ruoli definiti, dove venivano rappresentate scene di vita quotidiana di carattere giocoso. Considera anche il fatto che il successo di tutto ciò deriva anche dal fatto che i costi dell’allestimento erano decisamente bassi. I soldi comandano e hanno sempre comandato e in effetti questo nuovo genere avvenne grazie al fatto che poteva essere rappresentato da una compagnia formata da pochi elementi.

I teatri nuovi si specializzano nell’allestimento di opere buffe e quelli più importanti allestiscono opere di entrambi i generi.
Il compositore assume un ruolo più importante in quanto viene limitato l’intervento del solista virtuoso che non condizionava più le scelte compositive.
Il compositore deve impegnarsi a comporre brani di carattere diverso, duetti, arie, pezzi di insieme, strettamente legati all’azione scenica e alle caratteristiche psicologiche dei personaggi.
Anche J. J. Rousseau apprezza la naturalezza e la semplicità dell’opera comica italiana e, stimolato da questo nuovo genere, scrive “l’indovino del villaggio” (Parigi, 1752), ritenuta prototipo dell’opéra comique.
La prima produzione di questi intermezzi per due personaggi buffi (un uomo e una donna) viene presentato a Venezia all’inizio del ‘700.
Dal 1720 al 1730 a Napoli si forma la tradizione comico musicale con struttura più complessa, in 2 o 3 atti, che prelude al dramma giocoso (Hasse, Vinci, Leo e Pergolesi).

Ecco che entriamo nel vivo della questione:
I libretti non hanno un grande pregio dal punto di vista letterario, dove era importante l’intreccio, il gioco della parti, i travestimenti; i meccanismi erano perfetti per la funzionalità scenica, e gli intrecci sono strettamente legati all’azione verbale mimica.
I personaggi sono 2 o al massimo 3, la vicenda si svolge tra bisticci, raggiri, equivoci che si risolvono a lieto fine.
Gli argomenti sono tratti dalla commedia dell’arte:
- come la prevaricazione del servo scaltro sul padrone babbeo
-quello della ragazzetta furba che raggira il marito o l’amante. Vedi anche il tema del marito geloso o della moglie infedele che alla fine si riconciliano

Il tema ricorrente è il contrasto fra passione e il pregiudizio di classe, il personaggio emblematico è la servetta che, con l’astuzia e la simpatia, seduce il padrone ricco e lo convince a prenderlo in sposa.

Un esempio e “La serva padrona” di Pergolesi è scritta per un basso, un soprano, un terzo personaggio e archi.

Va in scena come intermezzo di un’altra opera seria, sempre di Pergolesi, la struttura dell’intermezzo è formato da recitativi, 7 pezzi chiusi, 2 duetti e 5 arie.

La commedia per musica nasce a Napoli, parallelamente alla commedia dialettale in prosa. La sua struttura è più complessa e prevede la presenza di diversi personaggi che sviluppano la trama in 2 o 3 atti.
Si presenta anche l’elemento sentimentale e malinconico delle vicende in cui agiscono personaggi seri e comici presentando così linguaggi diversi e pluralità di stili; i personaggi seri appartengono alla borghesia, quelli buffi di astrazione plebea.
L’opera “lo frate innamorato” (Napoli, 1732) di Pergolesi narra gli intrecci sentimentali e di matrimoni progettati ed impossibili fra alcune candidate spose e un personaggio maschile.
Dal 1730 in poi il testo utilizzato sarà in lingua italiana.
Nel dramma giocoso si sviluppano i temi del travestimento che si svela solo alla fine dello spettacolo.
Nel rispetto della veridicità dei fatti e delle vicende narrate le voci sono reali (non dei castrati).
La voce femminile interpreta personaggi con specifiche sfumature; la voce di soprano viene affidata a personaggi di carattere, la voce di contralto a personaggi come la vecchia o la suocera.
Il personaggio maschile principale era il basso o il baritono, personaggio buffo con caratteristiche mimiche particolari.
Al tenore vengono affidate parti di mezzo carattere: l’innamorato, il nobile, l’alto borghese.
L’azione scenica assume una predominanza rispetto al recitativo e all’aria, è importante il dialogo fra i personaggi. I famosi concertati d’azione, che si trovano spesso alla fine dell’atto, servono allo scopo di contrapporre i vari personaggi e rendere dinamica la scena e i finali d’atto spesso coincidevano con i momenti culminanti della vicenda.

Ecco che puoi rintracciare la caratterizzaizone dei personaggi.


Cosa succede poi all'opera buffa?
-La diffusione dell’opera buffa è favorita dall’incontro fra la musica veneziana e quella napoletana.
-Grazie al commediografo e librettista veneziano Carlo Goldoni, autore di 15 intermezzi e 55 drammi giocosi, che vengono musicati da diversi compositori con la struttura definita in 2 o 3 atti
La struttura del libretto è varia e presenta situazioni caricaturali, e con l’aumento di personaggi seri.
Egli contribuisce allo sviluppo della componente sentimentale del dramma buffo (commedia lacrimosa).
Nei libretti di Goldoni sono presenti effetti comici, ironici e storici fondati sul contrasto di stili e il tema constante è il contrasto fra le classi sociali (nobili, contadini e artigiani) e i loro conflitti amorosi.
Il libretto “Il filosofo di campagna” viene musicato dal veneziano Baldassarre Galuppi, compositore che musica ben 20 drammi comici di Goldoni.
Un esempio interessante è rappresentato dal libretto “Arcadia in Brenta” dove si manifesta il teatro nel teatro ovvero la storia di un gruppo di villeggianti che si preparano ad eseguire una commedia.
La tendenza sentimentale dell’opera buffa è presente nel libretto “Cecchina”, ossia la buona figliuola, musica da E. Romualdo Duni e da Nicolò Piccinni (successo dell’opera con diverse repliche in diversi teatri d’opera).
Si presenta un nuovo genere denominato semi-serio dove vengono distinti 3 livelli stilistici legati alle diverse estrazioni sociali.
-Le parti serie affidate ai nobili
-I ruoli di mezzo carattere a personaggi innamorati
-Le parti buffe ai personaggi plebei
I tre piani stilistici si contrappongono nei pezzi solistici e si sovrappongono nei concertati d’insieme.
Alle parti serie vengono affidate le arie con il da capo, di taglio virtuosistico e ricche di espressività.
I personaggi comici si esprimono in modo più semplice e con un linguaggio più immediato.
I compositori dell’epoca prestano particolare attenzione ai concertati posti alla fine degli atti, vedi ad esempio anche i finali concertati delle opere serie (“Clemenza di Tito” di Mozart, Praga 1791)
I pezzi di insieme vengono posti anche in altre parti, ad esempio anche all’inizio del I o II atto

Detto questo, bisognerebbe capire anche cosa succede in Francia. Lo ritengo fondamentale perchè l'intervento di Daniele giunge alla conclusione, ma l'opera di Beethoven è frutto di un percorso che penso sia utile esplicitare.


Si diceva, l’opera–comique....
L’evoluzione e la trasformazione dell’opera francese avviene grazie alla maturazione dello stile letterario/musicale dell’opera-comique (l’aggettivo comique indica la presenza della recitazione).
Il nuovo genere di spettacolo è formato da arie, duetti, etc., e dialoghi parlati senza accompagnamento musicale spesso in alternanza alla musica orchestrale. Prima del 1700 questo era un genere più teatrale che musicale con più dialoghi che musica e con l’uso di melodie semplici popolareggianti denominate “vaudevilles” e con l’inserimento di arie tratte dalla Tragedie Lyrique.
Nella seconda metà del settecento aumentano le parti cantate e sotto l’influsso del genere letterario del “dramma lacrimoso” il tono comico e satirico viene superato a favore di argomenti di carattere sentimentale, serio o semiserio. L’opera-comique, nella fase più matura, viene denominato anche “dramma mescolato di arie” e utilizza le seguenti forme:
1. La romanza è un brano vocale solistico a struttura strofica di carattere poetico/sentimentale con semplici armonie, ritmi e giri melodici.
2. Le forme vocali solistiche in forma di rondò con i ritornelli nella stessa tonalità e medesimo testo alternate da strofe in tonalità di diverse.
3. Il vaudeville final (Canzone finale) con una serie di strofe eseguite dai singoli personaggi e il ritornello collettivo.
Egidio Romualdi Duni (1708-1775), compositore originario di Matera, formatosi a Napoli, opera a Parigi dal 1757 al 1770 e compone 22 operas-comiques attuando una trasformazione con l’inserimento di elementi dell’opera buffa italiana. Altri autori si dedicano all’opera-comique come F.A. Philidor, P.A. Monsigny e N.M. Dalayrac, autore di “Nina ou la folle par amour” (Nina o la pazza per amore - Parigi, 1786). Da segnalare l’inserimento di toni patetico-sentimentali tipici della commedia lacrimosa. Quet’opera avrà successo grazie anche alla partitura di G.B. Pergolesi rappresentata presso la reggia di Caserta nel 1789.
Grazie a A.E.M. Getry (1741-1813), l’opera-comique diventa simile all’opera seria con l’inserimento di soggetti patriottici e liberali come Riccardo Cuor di Leone (1784), il Guglielmo Tell (1791); questo compositore ha il merito di aver inserito il timbro orchestrale per introdurre e rendere espressivo e realistico il paesaggio o una situazione particolare.

Nel decennio rivoluzionario e nel periodo napoleonico 1790-1815 il linguaggio operistico si arricchisce di temi letterari e viene favorita la produzione di grandi spettacoli eseguiti all’aperto per tenere unita la popolazione con la rappresentazione di temi ispirati al patriottismo. L’opera viene aperta anche al pubblico borghese e artigiano e viene caratterizzata da spettacoli eroici e da scene fantasiose e stravaganti. La novità è data dall’inserimento di soggetti “gotici” o “neri” con vicende lugubri ambientate nel periodo medievale. Questi soggetti, soprattutto dei romanzi di Horace Walpole (1717-1797), vengono trasferiti nell’opera-comique con l’inserimento del piece à souvetage caratterizzato da un intreccio che comporta una liberazione “in extremis” del personaggio protagonista da diverse peripezie (ad esempio la contrapposizione fra tiranno e eroe che si libera da ingiuste torture).

In questo conteso molto favore lo incontrò prorpio la storia di “Léonore, ou L’amour conyugal” (Leonora, o l’amore coniugale) messa in musica (1798) da P. Gaveaux e fonte di successive opere di Pear, Mayr e Beethoven (Fidelio, 1805).

Come sappiamo bene il soggetto si basa su un fatto realmente avvenuto in un carcere francese nel periodo del “terrore” dove una signora travestita in abiti maschili riesce a entrare in cercere dove è imprigionato ingiustamente il marito e lo difende, pistola alla mano, contro il suo persecutore in attesa dell’arrivo del ministro che libererà poi tutti i carcerati innocenti (qui si introduce il coup de theatre/colpo di scena, avvenimenti imprevisti che mutano il corso degli eventi e che vengono inseriti nei momenti chiave della vicenda).

La cosa interessante è che lo sviluppo della teatralità è ampiamente illustrata dalle dettagliate indicazioni sceniche contenute nelle partiture e nei libretti.

In un altro topic si discuteva del colpo di pistola...una riflessione andrebbe rivolta anche verso la realizzazione tecnica di un coup de theatre
http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/4224-domenica-7-dicembre-la-scala-apre-con-fidelio/

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In un altro topic si discuteva del colpo di pistola...una riflessione andrebbe rivolta anche verso la realizzazione tecnica di un coup de theatre

http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/4224-domenica-7-dicembre-la-scala-apre-con-fidelio/

 

 

Mi sta bene tutto quello che hai scritto Frank ma ho una qualche perplessità su questa tua ultima affermazione. 

Un conto è parlare di coup de théatre e un conto è parlare di scelte di regia a carattere arbitrario e che, in quanto tali, hanno come scopo quello di mandare un messaggio che appartiene solamente al regista.

Dal mio punto di vista quello che è accaduto nel Fidelio milanese fa parte della seconda categoria e, come tale, va giudicato, ovviamente, nel bene e nel male.

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ho una qualche perplessità su questa tua ultima affermazione. 

La mia affermazione è un invito alla riflessione, in generale non penso che si possa o meno concordare su un invito; al massimo si può decidere o meno di riflettere.

 

Ma in altri termini (posso immaginare di essere stato poco chiaro) posso dire che io non ho potuto seguire quella regia per cui non posso pronunciarmi sul colpo di pistola ma per chi ha visto e sentito l' invito era di relazionare i commenti a eventuali colpi di scena, di bello o cattivo gusto. A tal proposito, una regia deve o non deve tenere conto del tempo in cui un opera viene rappresentata? E nel caso specifico, oggi siamo nel tempo del bello o cattivo gusto?

Questa domanda è molto legata alla contemporaneità di un interpretazione ma si adatta anche al mondo della composizione.

 

... una scelta può essere anche l'interpretazione filologica. Insomma tutti elementi di riflessione.

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scelte di regia a carattere arbitrario e che, in quanto tali, hanno come scopo quello di mandare un messaggio che appartiene solamente al regista.

Non trovate che si potrebbe dire lo stesso di Gould su Bach? Eppure il messaggio di Gould è valido lo stesso. Del resto, gusti a parte, fin dove può arrivare l'autonomia di un interprete?

 

 

 

oggi siamo nel tempo del bello o cattivo gusto?

 

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La mia affermazione è un invito alla riflessione, in generale non penso che si possa o meno concordare su un invito; al massimo si può decidere o meno di riflettere.

 

... una scelta può essere anche l'interpretazione filologica. Insomma tutti elementi di riflessione.

 

E in effetti c'è da riflettere per almeno tre differenti discussioni :)

 

Caro Frank,

il tuo escursus storico-teatrale è utile bello, non prolisso (quel che ce vo' ce vo'), ed è leggibile anche da un ascoltatore sinfonico/cameristico come me che di teatro musicale conosce praticamente zero. Però, riscrivendo la domanda che Dall'Ongaro ha fatto a Barenboim, «Come, Beethoven caratterizza musicalmente i suoi personaggi?», mi sarei aspettato risposte sul tipo della discussione 'il linguaggio armonico di Brahms'.

 

insomma: volevo un branzino! :D

se tu mi cucini un'orata... me la mangio lo stesso.

L'orata mi piace, tra l'altro tu l'hai cucinata da dio!

 

Dal tuo intervento mi porto a casa che, anche in campo teatrale, uno come Beethoven è figlio della propria epoca.

Anche in altri ambiti artistici io trovo molto interessante indagare le radici storiche di un'opera. Nessuno, per qualto grande e innovatore, è staccato dal proprio retroterra artistico.

E dunque... 'like this'. :)

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Mi sta bene tutto quello che hai scritto Frank ma ho una qualche perplessità su questa tua ultima affermazione. 

Un conto è parlare di coup de théatre e un conto è parlare di scelte di regia a carattere arbitrario e che, in quanto tali, hanno come scopo quello di mandare un messaggio che appartiene solamente al regista.

Dal mio punto di vista quello che è accaduto nel Fidelio milanese fa parte della seconda categoria e, come tale, va giudicato, ovviamente, nel bene e nel male.

 

La mia affermazione è un invito alla riflessione, in generale non penso che si possa o meno concordare su un invito; al massimo si può decidere o meno di riflettere.

 

 

Frank io non ho scritto che non concordo su un invito ho scritto che sono perplesso verso quell'invito e, questo penso sia ben diverso e ... legittimo.

Sono perplesso - e mi ripeto - perché non riesco a considerare il colpo di pistola del Fidelio milanese un coup de théatre ma un arbitrio del regista e dunque, tu mi (ci ) inviti a riflettere, dal mio punto di vista, su una cosa che, merita certamente tutta la riflessione che si vuole ma che non c'entra con quello che è accaduto.

Dici che non l'hai visto e allora mi permetto di raccontare la cosa: dopo che il coro canta quello che più su ho scritto, Pizarro, nell'allestimento milanese non viene portato via, come dice il libretto ma scappa e, una volta uscito di scena si ode lo sparo, il cui significato lascia ben pochi dubbi in merito, a meno che non mi si dica che trattasi di un suicidio, ma non ci credo.

Dunque per me si tratta non di un coup de téatre ma di un arbitrio che il regista si è preso sul testo. 

Per tagliare la testa al toro, comunque lo si voglia definire, si tratta dal mio punto di vista di una scelta infelice, non per l'arbitrio o il coup de téatre che dir si voglia, ma per il messaggio che ne scaturisce e qui mi riallaccio alla seconda parte di quest'ultimo intervento

 

 

 

Ma in altri termini (posso immaginare di essere stato poco chiaro) posso dire che io non ho potuto seguire quella regia per cui non posso pronunciarmi sul colpo di pistola ma per chi ha visto e sentito l' invito era di relazionare i commenti a eventuali colpi di scena, di bello o cattivo gusto. A tal proposito, una regia deve o non deve tenere conto del tempo in cui un opera viene rappresentata? E nel caso specifico, oggi siamo nel tempo del bello o cattivo gusto?

Questa domanda è molto legata alla contemporaneità di un interpretazione ma si adatta anche al mondo della composizione.

 

Anche qui la domanda giusta su cui riflettere, a mio avviso, potrebbe  essere: quale messaggio vuole trasmettere un regista quando mette in scena un'opera che è stata concepita un secolo o due secoli fa, in altri contesti storici e con linguaggi ben diversi da quelli attuali?  Fidelio viene, oggi come oggi, rappresentata solitamente come inno all'amore coniugale, alla passione, alla giustizia. Nel Fidelio milanese è assolutamente centrale questo intento in tutta la sua messa in scena. Attualizzazione ai giorni nostri: la storia si svolge in una di quelle fabbriche dove potrebbero essere sfruttati come schiavi delle manovalanze provenienti dal terzo o quarto mondo; quando i prigionieri salgono dalle lugubri prigioni per prendere un po' d'aria sembra di assistere alla scena di Metropolis di Fritz Lang, quando gli operai salgono nella loro fabbrica: la scena e pressoché identica. Poi quel colpo di pistola che, d'un colpo - appunto - vanifica, adombra tutte le buone intenzioni fino quel momento espresse dalla regia e scenografia - che non dobbiamo dimenticare nell'allestimento delle opere del passato svolgono un ruolo in simbiosi d'intenti - in quanto non c'è giustizia dove trionfa la logica della condanna a morte, anche se quello che viene ucciso è il più terribile degli umani.

Questo è tutto ciò su cui dovremmo riflettere dal mio punto di vista.

Oggi siamo nel tempo del cattivo o del buon gusto?

Mi viene da darti questa risposta: tutto sommato, se ci pensiamo bene, stiamo uscendo dal tempo migliore che la storia del mondo occidentale abbia vissuto dall'età della pietra: ben 60 anni di sostanziale pace e crescita economica, mai accaduto prima; ma ci troviamo ora di fronte ad una svolta epocale e quello che sarà dipenderà molto dalle scelte che oggi si faranno. In questo clima storico,sociale ed economico, l'Arte occidentale ha paradossalmente spesso dato prodotti di assoluto cattivo gusto. E anche su questo dovremmo riflettere.

 

Non trovate che si potrebbe dire lo stesso di Gould su Bach? Eppure il messaggio di Gould è valido lo stesso. Del resto, gusti a parte, fin dove può arrivare l'autonomia di un interprete?

Anche qui: l'autonomia di un interprete musicale - anche quella di Gould - non può comunque prescindere dalle note scritte, mentre l'autonomia del regista e dello scenografo può prescindere liberamente  da quello che è stato scritto. E questo, fa una grossa differenza fra le due cose. No?

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