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Piano Concerto - Forum pianoforte

Turandot


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Ciao a tutti. 

È da un mese a questa parte che sono andato praticamente in fissa per la Turandot, è diventata praticamente una droga. Sarebbe bello se Claudio (Thallo) volesse scrivere qualcosa su questa bellissima opera, una sorta di guida all'ascolto. Mi farebbe veramente felice. 

Grazie anticipatamente, 

 

Simone

 

P.S. Di Pavarotti su youtube stranamente sono riuscito a trovare pochissime cose, praticamente solo il "Nessun Dorma" che era uno dei suoi cavalli di battaglia insieme a "Ah ! mes amis" di Donizetti (Un Pavarotti eccellente a mio avviso). Non sono riuscito a trovare la stessa aria di Donizetti né eseguita da Domingo né da Carreras, oltre a Pavarotti c'è solo eseguita da Florez (di petto ma tenuti poco) e da Kraus (che mi sembrano più di testa che di petto) ; non mi sembrano al livello di quella eseguita da Pavarotti. Effettivamente 9 do di petto sono belli tosti.

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In attesa di Claudio, dico la mia su quest'opera che amo particolarmente, a parte il finale che non è di Puccini e che non sopporto.

 

Turandot” è la tredicesima e ultima opera di Giacomo Puccini. In essa convivono influssi di Debussy, di Stravinskij. Si tratta, dunque, di una ricerca musicale spesso inusuale a quella fino a quel punto elaborata dal compositore. La grandezza musicale della “Turandot” sta nel suo offrirsi come frutto dai molteplici sapori di una stagione operistica ormai esaurita. Il compositore riiuscì a fondere mirabilmente bellissime arie di stile ottocentesco quali “Non piangere Liù”, “Nessun dorma”, “Signore ascolta”, “Tu che di gel sei cinta”, “In questa reggia”, con un aggiornatissimo respiro corale e una squisita e moderna orchestrazione. Già fin dall’inizio, dopo che il Mandarino annuncia la legge di Turandot, la folla con accenti barbarici, è accompagnata da una musica che ricorda lo stile stravinskjano di quegli anni. Poco dopo il sublime “Inno alla luna” è impregnato di una sonorità tipicamente debussyana. Seguono poi passaggi politonali, melopee dal gusto sacrale, scale pentatoniche, orientaleggiamenti ed altro ancora, il tutto accompagnato da un’orchestra veramente possente mai prima usata dal compositore. Il motivo della grandezza musicale di “Turandot” sta, secondo me, proprio qui: nel sapersi offrire come un frutto dai molteplici sapori in una stagione operistica ormai esaurita, ormai inesorabilmente al tramonto e, come molti sostengono, la tomba di Liù fu anche la tomba del melodramma italiano.

Purtroppo dove Puccini si impantanò fu nel libretto. L'opera, infatti, non fu terminata per causa della sua morte come solitamente si afferma o si pensa, ma proprio perché il compositore non sapeva come fare per terminarla. Già dal 1923, Puccini si era fermato alla tragica morte di Liù perché il dilemma, fu a quel punto, quale conclusione degna potesse avere l’opera dopo quell'evento tragico, di cui il responsabile, seppur indiretto, era Calaf?

D'altra parte, in quel rebus, il compositore si gettò proprio lui stesso. Fu lui a volere vistose variazioni rispetto all’originale fiaba di Carlo Gozzi e fra queste, la più importante, fu l'introdurre la figura di Liù, - che nella fiaba originale non c’è – donna che riunisce in sé due funzioni: fido sostegno di Timur e d'innamorata segretamente di Calaf. (In Gozzi al posto di Liù c’è Adelma, principessa tartara, schiava favorita di Turandot). Questa situazione sconvolge completamente la situazione: Adelma è rivale in amore di Turandot ma è un personaggio completamente negativo, e le sue trame che ordisce per portare via Calaf a Turandot sortiscono l’effetto contrario di far si che questi se ne innamori. Ma è proprio nel finale che avviene, di conseguenza, uno sconvolgimento totale. In Gozzi l’aspirante suicida è Calaf che, vedendosi scoperto, minaccia di uccidersi e a salvarlo è Turandot. In Puccini invece, come si sa, chi veramente si suicida – o meglio, si fa uccidere - è Liù e questo come atto estremo di un amore che sa di non poter consumare.

Puccini, molto comprensibilmente, si trovò in forte imbarazzo sul come fare a terminare l’opera e si bloccò. Quel che è certo che il finale poi fatto da Alfano è veramente inappropriato e assolutamente non convincente. Ci sono direttori che, come il grandissimo Toscanini alla sua prima avvenuta nel 1926, si ferma alla morte di Liù ma, molto più recentemente, nel 2001, il Maestro Luciano Berio, approntò un nuovo finale, eseguito per la prima volta il 24 gennaio 2002 alle Isole Canarie con la direzione di Riccardo Chailly. Dal mio punto di vista è un bellissimo finale e assolutamente appropriato e, a tal proposito, propongo alcuni passi di un’intervista che Berio rilasciò a Sandro Cappelletto sul giornale “La Stampa”:
 

Cappelletto: Maestro Berio, è stata la malattia a fermare Puccini?»

 

Berio: «No, è stato il libretto, che definirei vergognoso. Lui aveva capito che dopo la morte di Liù non poteva terminare in gloria con un duetto d´amore tra Calaf e Turandot. Ha lasciato delle precise indicazioni in questo senso: "Turandot finirà pianissimo". Questa nuova Turandot finirà esattamente così»

 

Cappelletto: «Nel suo lavoro ha tenuto conto degli appunti, degli schizzi di Puccini?»

 

Berio: «Naturalmente sì. Gli appunti sono numerosi e interessanti, spesso disordinati e qui e là addirittura sperimentali, con accenno di una serie dodecafonica. Sono anche ritornato a momenti precedenti, soprattutto al primo atto, che è un capolavoro».

 

Cappelletto: «Ascolteremo - solo - Puccini o i suoi frammenti incontreranno spunti, cellule creative di altri compositori?»

 

Berio: «Le prime due battute di Turandot propongono una vera e propria cellula generatrice dalla quale derivano riferimenti alla Settima Sinfonia di Gustav Mahler e ai Gurrielieder di Arnold Schönberg. E, a non finire, al Tristano di Wagner».

 

Cappelletto: «Tra gli appunti relativi al finale, Puccini ha lasciato un´annotazione affascinante: «Qui Tristano». Perché questo riferimento a Wagner?»

 

Berio: «Era ossessionato da Wagner, che aveva per lui un effetto liberatorio, e dagli sviluppi armonici della sua musica. L´ultima aria di Liù, "Tu che di gel sei cinta", è preceduta da alcune battute direttamente riconducibili al Tristano. Puccini è stato, tra gli italiani, il primo musicista europeo».

 

Cappelletto: «Che cosa gli ha impedito di essere considerato un radicale innovatore del linguaggio musicale?»

 

Berio: «Era un uomo intelligentissimo, che mirava al successo, essendo consapevole degli eventi musicali a lui contemporanei, ma era pur sempre condizionato dal fatto che qualunque cosa facesse doveva avere successo»

 

Cappelletto: «Ha musicato tutte le parole del libretto, oppure ha operato dei tagli?»

 

Berio: «Non tutte, ma questa non è una novità. Dei tagli li fa, ad esempio, anche Zubin Mehta nella sua registrazione discografica. Ci sono delle parole assurde nel libretto: "Ride e canta l´infinita nostra felicità", dice il coro nel´inno conclusivo e Calaf si esprime con frasi come "La bocca fremente". E´ sempre eccitato

 

Cappelletto: «Come definirebbe il carattere del Principe Ignoto?»

 

Berio: «Un principe priapico»

 

Cappelletto: «Nel programma di sala scritto per l´occasione, Marco Uvietta mette in risalto l´importanza di alcune sue scelte ed esclusioni, soprattutto per quanto riguarda il lieto fine del´opera, che è sempre sembrato troppo rapido, poco motivato. Come si conclude la sua Turandot

 

Berio: «In modo meno diretto, meno teleologico. Turandot finisce più sospesa, come accade nel teatro orientale, senza dare al racconto una finalità esplicita. Molto delicatamente, poco prima della fine, ritornerà il ricordo di Liù. Turandot termina con una meditazione».

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In attesa di interventi puntualissimi sull'opera, in generale posso dirti che Puccini è un musicista molto raffinato e rappresenta la prosecuzione ideale del melodramma ottocentesco di stampo verdiano ma con l’inserimento del filone “verista” e degli ideali piccolo-borghese del tempo. Scrive 12 opere dal 1884 al 1926 e riscuote un grande successo in tutti i teatri del mondo.

Oltre a possedere doti poetico/letterarie ha una grande consapevolezza della struttura teatrale e del rapporto fra musica e azione scenica. Come Verdi impone ai librettisti la sua volontà di trovare soluzioni drammaturgiche idonee alla qualità del melodramma. I suoi collaboratori sono Luigi Illica (1857-1919) e Giuseppe Giocosa (1847-1906), autori dei libretti delle opere: La Bohème, Tosca e Madame Butterfly. Il materiale tematico dei libretti presenta sempre torbide vicende d’amore ambientate nei paesi del nord: Le Villi (Milano, 1884), Edgar (Milano, 1889). La prima opera della maturità che lo renderà famoso è “Manon Lescaut” (Torino, 1893), la storia di un amore fatale tra un gentiluomo e una donna affascinante ma amorale. Da quel momento gli si apriranno le porte di tutti i teatri più importanti del mondo.

Turandot (Milano, 1926), tratto da un dramma di Carlo Gozzi (1720-1806), è una vicenda fantastica, fiabesca e umana ambientata in Cina.

 

I temi centrali delle opere di Puccini sono l’amore e la morte dove si evidenziano i diversi aspetti psicologici:

  • Eroina fragile, sentimentale/sensuale;
  • L’amore sincero e disposto a tutto (felice e tragico).

L’amante dell’eroina è di solito concepito come un personaggio sentimentale oppure deciso come appunto in Turandot (ma anche nella Fanciulla del West). Caratteristica dell’opera pucciniana è la graduale crescita della tensione che porta alla catastrofe finale.

I primi atti, in genere, presentano l’incontro fra i due amanti (duetto d’amore), nel secondo atto viene introdotta la prima svolta del dramma che di solito termina con un colpo di scena.

L’atto finale di solito è più breve con lo scioglimento rapido della vicenda dove è presente un lamento disperato di uno dei protagonisti. Per creare una coesione e coerenza formale dell’opera Puccini usa alcuni procedimenti basati sulla tecnica dei leitmotiv di derivazione wagneriana.

I temi ricorrenti sono alternati nella struttura ritmico/armonica e ripresentati come frammenti di richiamo tematico. Le arie e i duetti presentano una certa estensione che è giustificata dalla situazione drammatico/narrativa. In generale però le arie sono più brevi e sono di grande lirismo (“Che gelida manina” in Bohème, “E lucean le stelle” in Tosca) e spesso i temi sono anticipati dall’orchestra. La trama orchestrale contribuisce a delineare i sentimenti che agitano i personaggi e spesso cantano all’ottava con l’orchestra. La ripetizione di disegni orchestrali brevi e incisivi viene usata per delineare situazioni cariche di emozioni (dolore, disperazione, tristezza).

In tutte le opere Puccini utilizza la tavolozza dei colori strumentali con particolare raffinatezza ed espressività così pure la costruzione armonica si allontana gradualmente da quella di tipo ottocentesco sperimentando l’uso di accordi paralleli, quinte vuote, sesta aumentata etc. e usa pure le scale per toni interi. Questo linguaggio armonico si arricchisce grazie all’influsso di Wagner e dei francesi.

 

Considera che diversi compositori hanno attinto dalle sue musiche (di Puccini) come i compositori di colonne sonore di film e musical.

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  • 2 weeks later...
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Grazie ad entrambi per le vostre preziose considerazioni. Claudio non lo vedo da un po' di tempo, forse sarà il caso di avvertirlo su Facebook.

Mi sono permesso di contattarlo in quanto anche io non avevo più sue notizie...ma fortunatamente, come molti di noi, ha avuto solo un periodo molto denso di impegni :)

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  • 2 weeks later...

Ragazzi scusate la lunga attesa, a novembre ho avuto 3 giorni liberi 3, che ho dedicato alla pulizia di casa... oggi iniziano i primi 3 giorni liberi di dicembre, e ho deciso di lasciare casa sporca :D 

 

su Turandot ci sarebbe tantissimo da dire. Prima cosa, è la mia opera preferita di Puccini, probabilmente perché è la prima opera che ho cantato in coro, quindi ho un imprinting molto forte... seconda, a spanne dovrebbe essere l'opera pucciniana con più interventi di coro. E' il sintomo di un percorso che si nota raramente nelle opere di Puccini ma che è fondamentale, a mio avviso: i personaggi principali sfumano sempre di più. Il che non significa che non siano importanti, ma che emergono dal fondo in modo sempre più naturale, meno artefatto. L'entrata di tre dei personaggi principali, Liù, Timur e Calaf, è infatti in totale e perfetta prosecuzione del coro precedente. Il vero personaggio in primo piano è il banditore di Turandot. Non solo non c'è una vera aria di sortita, l'aria che nelle convenzioni teatrali presenta il protagonista alla sua prima entrata, ma non si ha neppure il tempo di capire davvero chi sono questi tre che inizia subito la lunghissima scena corale con "Gira la cote" etc...

normalmente si dice che tutto questo è derivato da Wagner. Non ho ragioni per negarlo, anzi, Turandot è famosa per essere l'opera in cui Puccini cita l'accordo del Tristano, quindi, più Wagner di così... dire che ci sono influenze wagneriane, però, non vuol dire che questa sia un'opera in stile wagneriano. Turandot "proviene" dalla linea del Gesamtkunstwerk ma va verso qualcos'altro. Molti dicono che vada verso la musica da film, forse è vero, non so, l'effetto comunque è quello di un flusso continuo in cui non solo, come ho detto, i protagonisti non hanno il tipico spazio dei protagonisti, ma le arie dei protagonisti sono un po' meno belle dei ponti tra un'aria e l'altra. 

Un po' di esempi. Ho preso i primi video che capitavano su youtube, quindi non rassicuro sulla qualità delle interpretazioni...

Finale primo atto, in sequenza due arie, la prima aria di Liù "Signore ascolta" e la prima aria di Calaf "Non piangere Liù". Prima di tutto, sono in totale sequenza, quindi hanno un senso narrativo, tanto che, effettivamente, Liù inizia a piangere alla fine della sua aria e Calaf le dice di smetterla di piangere... un po' come in "Boheme" alla fine di "Che gelida manina" Rodolfo chiede a Mimì di raccontare la sua vita e Mimì la racconta nell'aria "Sì, mi chiamano Mimì" subito dopo

 

 

il bello, però, almeno secondo me, inizia alla fine dell'aria di Calaf. L'aria di Calaf ha delle cose che tradizionalmente potrebbero essere definiti "pertichini". I pertichini sono degli interventi di altri personaggi durante un'aria. In Calaf prima intervengono Liù e poi Timur, ma man mano intervengono tutti, trasformando, di fatto, quest'aria nella conclusione dell'atto. I pertichini fanno molto opera buffa, servono a mettere più piani drammatici, a rendere ritmata e allegra la situazione. Qui, invece, è una caduta libera ed è anche la conseguenza drammaturgica delle azioni di Calaf. Calaf, per chi non lo sapesse, sta per suonare il gong che richiamerà Turandot e lo renderà un pretendente alla mano della principessa. Ping Pong e Pang prima dell'aria di Liù hanno già fatto notare a Calaf che la testa del principe di Persia è appena stata issata sulle mura (dal video non si vede, ma è un effetto molto bello, quando loro dicono "ecco l'amore", indicando la testa mozzata...). Calaf, cantando la sua aria, fa baccano davanti alle mura e più o meno tutti iniziano a capire cosa vuole fare. Il crescendo musicale e drammaturgico sminuisce l'importanza della sua aria, tanto che gli acuti più acuti sono alla fine, su "Turandot, Turandot, Turandot!". Questa è una cosa che a me piace moltissimo di quest'opera, il fatto che le arie siano fino in fondo parte di una narrazione complessiva. Altra piccola cosa... l'utilizzo delle melodie è molto ciclico in Turandot. Cioè, il temino dell'aria di Calaf viene ripetuto tantissime volte, viene saturato, e secondo me questa fa molto Cina. E fa molto poco opera italiana. Puccini ha avuto un'idea geniale che lo avvicina davvero a Debussy... Su questa scena, una cosa che a me è sempre piaciuta e che mi fa spezzare una lancia a favore del libretto: proprio sul finale, subito dopo che Calaf ha suonato il gong tre volte, assieme al coro ci sono Ping Pong e Pang che cantano (e che in genere non si sentono), e cantano "e lasciamolo andar/inutile è gridar/ in sanscrito, in cinese, in lingua mongola/ quando rangola il gong la morte gongola/ ahahahah". E a me piace da morire questa frase...

 

Ed ecco che arriva Turandot, con un'aria che è veramente un'aria, e una Turandot che ci avrebbe fatto diventare biondi tutti quanti, Ghena Dimitrova

 

 

ma, a mio gusto, la parte più bella è un'altra. Di nuovo riassunto: Calaf entra nella città proibita, l'imperatore lo cazzia, lui vuole comunque vedere turandot, lei urla e gli pone i tre enigmi, lui li risolve e turandot va dal padre (l'imperatore) a chiedergli di cacciare lo straniero. E lui, ovviamente, gli dice che i patti sono patti. In questo pezzo Turandot smette di urlare ma canta una specie di arioso che, anch'esso, diventa pian piano una scena d'assieme. E secondo me è stupendo.

 

 

sentite quante poche note canta Turandot, tutte per gradi congiunti. E, ancora una volta, gli acutoni ci sono soprattutto qua, in "mi vuoi fra le tue braccia a forza, riluttante, fremente?", insieme al coro, minuto 3.45 circa. Perché è questo il punto, la vera domanda che fa fremere Calaf: vuoi una donna che non ti vuole? Anche qui, il libretto ha senso. E' altisonante, vero, ma è musicato bene.

 

Ultimo esempio, l'aria finale di Liù, poco prima che si uccida. Ufficialmente è rivolta a Turandot, a cui dice "Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma avvinta, l'amerai anche tu". Ma poco prima, rivela fino in fondo il suo amore, con un arioso che mi fa venire le lacrime, "tanto amore segreto", dove la saturazione ripetitiva la fa da padrona.

 

https://www.youtube.com/watch?v=imNdpkkBe0E

 

Anna Moffo, un po' dimenticata ma bravissima. Sembra un carillon che si ripete, con la melodia della frase "tanto amore segreto" che ritorna e alla fine sboccia in un acuto pianissimo, "è l'offerta suprema del mio amore". Ah, qui, Corelli dimostra la sua ignoranza musicale sbagliando l'entrata e mandando fuori TUTTO il coro, e si sente la voce del maestro rammentatore che dice "sia!", che è l'inizio della frase di Ping "sia messo alla tortura"... 

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