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Piano Concerto - Forum pianoforte

il Quarto Concerto di Beethoven


Dante
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Arrau / Bernstein E un'accoppiata vincente e, dunque, il risultato non puo Essere Che meraviglioso. Io poi, li adoro entrambi,

 

OGNI Volta Che ascolto il Quarto o il Quinto concerto, continuo a domandarmi Quale mi piace di Più. La risposta non Riesco Proprio a trovarla: un voltafaccia propendo per Uno A Volte per l'Altro. Fatto sta Che Sono entrambi meravigliosi!

Se Penso al Primo Movimento, probabilmente preferisco quello del Quarto ma é una vittoria ai Punti.

Il Secondo Movimento dell'Imperatore E, Quanto di più Bello Beethoven abbia Composto da Un Punto di vista squisitamente melodico ma, il Secondo del Quarto, continua ad Essere, per me, nonostante Gli innumerevoli ascolti, Assolutamente sconvolgente Nella SUA Costruzione e Concezione.

Nel Terzo Movimento la vittoria Ai Punti va All'Imperatore: Ricordo Ancora La Prima Volta Che l'ascoltai con Artur Rubinstein al pianoforte, ne rimasi estasiato.

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Un mio parere su questi due concerti.

 

Apparentemente, in queste opere Beethoven sembra superare lo schema usuale che prevedeva un'introduzione orchestrale prima dell'ingresso del solista. Ricordiamo che in tutti i concerti solistici di Mozart c'è un'introduzione solo orchestrale; l'unica parziale eccezione è il concerto K.271 "Jeunehomme", che comincia con una frase spezzata tra orchestra e solista (segue poi la normale introduzione). Il IV concerto di Beethoven si apre con questo "colpo di genio": un brevissimo "prologo" di otto battute, una frase che rimane in sospeso sulla dominante (notare che poi l'orchestra, inizialmente con i soli archi, riprende il tema ma in una tonalità lontana, precisamente si maggiore, poi con una progressione circolare scende di nuovo a sol maggiore). Bene, nonostante l'apparente eccezione (Schnabel diceva che questo concerto era difficilissimo, "perché dopo le prime battute il pianista ha un intero minuto per pensare a quanto ha già suonato male" :D ), in realtà qui LVB non rinuncia alla sua solita introduzione orchestrale, che per la verità si basa quasi tutta sul primo tema e non presenta il secondo (c'è solo, a partire da b. 29, una frase secondaria, inizialmente in la minore, che però non è il secondo tema: esso appare invece molto più tardi, a b. 119). L'ingresso del solista (dovremmo dire il "secondo ingresso"), in questo caso è diverso dai concerti precedenti: non arriva dopo una frase "conclusiva" dell'orchestra, ma interrompe il discorso dell'orchestra (questo ingresso sarà poi ripreso, in modo forse anche un po' troppo evidente, nell'unico concerto per pianoforte di Dvorak). Però possiamo osservare che, a parte queste eccezioni, il resto del primo tempo procede in modo tradizionale, comunque non molto diverso da quanto LVB aveva fatto nei precedenti concerti (c'è sì il solista che continua a suonare dopo la cadenza, ma questo già era stato fatto nel terzo concerto). Questo per quanto riguarda l'aspetto formale; ovviamente lo stile è diverso dai concerti precedenti, ed anche le sonorità sono, in questo primo tempo, molto "sommesse" rispetto a quello che ci si aspetta di solito da un concerto pianistico (notare anche l'economia di mezzi: nel primo tempo non si usano né trombe né timpani, la stessa cosa che l'autore ha fatto nella sinfonia "Pastorale", dove l'organico si allarga a mano a mano).

Insomma, un primo tempo stupendo e ricco di sorprese. Però... so che qui scandalizzerò qualcuno, ma devo dire che il secondo e il terzo tempo mi convincono un po' meno. Certo anche l'idea di basare il secondo tempo sul contrasto (dinamico e ritmico) tra pianoforte e archi può essere considerato una geniale idea, ma per la verità non mi emoziona come il primo tempo, e neanche come gli altri tempi lenti dei concerti pianistici del Nostro. Lasciamo stare un attimo le stupende variazioni dell'Adagio un poco mosso del V concerto (di cui dirò dopo), ma anche il semplice lied "Largo" del primo concerto mi sembra un'altra cosa. Soprattutto, non capisco bene "dove vuole andare a parare". Mi spiego meglio. Anche un pezzo breve ha di solito un discorso che si sviluppa e si conclude con il pezzo stesso, e ciò indipendentemente dal fatto che esso sia più o meno lungo o che poi si attacchi direttamente ad un tempo successivo. Basta pensare, tanto per rimanere a Beethoven, al secondo tempo del concerto per violino: pur essendo breve, ci sono due temi che vengono ripetuti entrambi (una specie di forma sonata abbreviata, senza sviluppo). Invece, il secondo tempo del IV concerto per pianoforte mi sembra che non abbia "un senso in sé", ma trovi la sua ragion d'essere solo come introduzione al rondò. Qui io noto un'analogia con la sonata op. 53 "Waldstein". Tutti conoscono la storia: il secondo tempo dell'op. 53 doveva essere un vasto "Andante" in fa maggiore; nonostante fosse un pezzo che all'autore piaceva molto, tuttavia egli si convinse a sostituirlo con un breve pezzo (nella stessa tonalità), che in fondo non è che un'introduzione al rondò (forse questa scelta fu dettata da considerazioni di "equilibrio"): ebbene, non vi sembra di notare una somiglianza? Non so se quello che sto per dire abbia un fondamento storico, ma chissà se tra i quintali di appunti lasciati da LVB ci fosse qualche idea da sfruttare per un "Adagio" o un "Largo" (magari in do maggiore) che doveva essere inizialmente il tempo lento di questo concerto, e poi l'autore abbia pensato di cancellare tutto e lasciare tra i due tempi allegri solo un breve intermezzo, essenzialmente un'introduzione al rondò.

Infine... anche il rondò procede in un modo un po' strano, inusuale. La forma più o meno è la stessa degli altri rondò, ma stranamente il secondo "couplet" non sembra proporre idee diverse, e alla fine assomiglia agli altri due. Insomma, il concerto complessivamente non è certo "brutto" (ci mancherebbe!), ma dopo aver ascoltato il primo tempo, mi dà la vaga impressione di una grande promessa non del tutto mantenuta. (scatenatevi pure, amici beethoveniani, e tiratemi tutti i pomodori virtuali che volete!)

E veniamo invece al V concerto (a proposito, ma chi ha avuto la balzana idea di soprannominarlo "Imperatore"?) Questo mi sembra l'apice della creazione di LVB in questo campo. Anche qui il primo tempo sembra cominciare in un modo eccezionale, ma se ci pensiamo un attimo notiamo che l'autore non fa altro che riproporre lo schema del IV concerto: solo che il "prologo" è estremamente dilatato. Non più una semplice frase di otto battute suonate piano, ma una presentazione prepotente del protagonista, che sembra dire "mettiamo subito in chiaro chi comanda qui": tre accordi a piena orchestra a ciascuno dei quali segue una frase che assomiglia ad una cadenza. Ma anche qui l'autore non rinuncia alla sua solita vasta introduzione orchestrale, che questa volta contiene tutti gli elementi che saranno poi elaborati. Notare poi il secondo ingresso inaspettato, quasi in secondo piano, del solista. Se fosse una rappresentazione teatrale, si potrebbe immaginare all'inizio un'entrata con alcune battute molto incisive del personaggio principale, il quale poi esce di scena e rientra dopo un po', quando la storia si sta già snodando, e quando rientra lo fa in punta di piedi, quasi come se non volesse farsi vedere. A questo punto però il primo tempo procede secondo l'usuale schema formale (sia pure con molta libertà nell'uso delle tonalità, e infatti il secondo tema appare in tonalità lontane da quella d'impianto). La vera sorpresa arriva alla fine di questo primo tempo: c'è il solito accordo di quarta e sesta che fa pensare all'usuale cadenza; ma sulla partitura (ovviamente l'ascoltatore la prima volta non lo sa) c'è l'annotazione "N.B. Non si fa una cadenza, ma s'attacca subito il seguente". E' ovvio che l'autore ha messo lì questa precisa indicazione perché conosceva i suoi polli (non dimentichiamo che questo è stato l'unico concerto che B. non ha potuto eseguire, perché ormai l'avanzare della sordità glielo impediva): dunque un avviso al solista di non inventare nulla, ma andare avanti. Solo che... il "seguente" sembra proprio cominciare come una cadenza, con ripresa del primo tema, trilli, poi cenno al secondo tema. Dunque tutto fa pensare ad una normale cadenza. Invece.. sorpresa! D'improvviso i corni riprendono il secondo tema in maggiore (come già si era sentito prima). E' come se, tornando al parallelo col teatro, pochi secondi dopo che il protagonista si è lanciato nel suo monologo, entrasse un altro personaggio ad interromperlo. Però qui il solista non si scompone, non si "arrabbia", anzi questo è uno dei momenti di maggiore "integrazione" tra solista e orchestra, che terminano il primo tempo suonando insieme (raccontano le cronache che una volta Celibidache si arrabbiò moltissimo con Pollini, che a suo dire eseguiva questa parte finale del primo tempo troppo "da solista", ignorando l'integrazione con l'orchestra).

Poi c'è il bellissimo "Adagio un poco mosso" in si maggiore (la sequenza delle tonalità è simile a quella del I concerto). Un bellissimo tema (anzi, c'è pure un tema secondario), con alcune variazioni. Nell'ultima variazione i fiati riprendono il tema principale, gli archi accompagnano pizzicando, il solista esegue delle semplici quartine all'unisono: una straordinaria trovata d'orchestrazione che tanto piaceva a Berlioz, il quale era convinto che il pianoforte si potesse e si dovesse usare anche come strumento d'orchestra, e si rammaricava che questo esempio di Beethoven non fosse stato seguito.

Alla fine, il si diventa si bemolle... e attacca direttamente il rondò. Pezzo vivacissimo ed interessantissimo, anch'esso costruito come i rondò degli altri concerti (rondò-sonata, cioè tre couplets di cui prima e terza sono uguali ma proposte in tonalità diverse come in una forma sonata, poi periodo di conclusione e coda). Anche qui l'autore trova il modo di aggiungere una simpatica trovata d'orchestrazione: la frase conclusiva è preceduta da alcuni colpi di timpano "pianissimo" (ahimè, in alcune registrazioni questi colpi neanche si sentono). Va osservato che in questo concerto, sebbene non vi siano le cadenze, tuttavia il pianoforte viene trattato con un virtuosismo senza precedenti. Per me questo è il concerto più perfetto dei cinque, e mi dispiace solo che nel suo ultimo periodo creativo LVB non abbia più scritto concerti per pianoforte e orchestra (sarebbe stato interessante, alla luce di certi capolavori come le ultime sonate, gli ultimi quartetti, la IX sinfonia, vedere quali altre trovate geniali B. avrebbe potuto escogitare in un concerto solistico).

Per concludere questo lungo sproloquio: se non ricordo male, in questo stesso forum si era accennato ad un frammento di un sesto concerto per pianoforte (in re maggiore). Personalmente, penso che B. abbia fatto bene ad abbandonare il progetto, perché quel poco che possiamo sentire non mi pare all'altezza dei concerti precedenti.

 

Un saluto agli amici del forum

Gino (da Roma)

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Caspita Gino! Altro che pomodori, virtuali o meno. Ce ne fossero come te!

Allora, quello che farà seguito è quello che io penso dell'Opus 58 di Beethoven e del perché non sono d'accordo con te sul Secondo Movimento. Scusa se inizierò a contestualizzarlo nella vita di Beethoven ma, dal mio punto di vista, questa operazione, non solo con Beethoven ma soprattutto con Beethoven, va sempre fatta, nell'avvicinarsi ai suoi massimi capolavori

 

Beethoven e il Concerto per Pianoforte e orchestra Opus 58, ovvero la lotta fra principio d'opposizione e principio implorante

 

Beethoven lavorò al suo «Quarto Concerto per pianoforte e orchestra Opus 58» dal 1802 al 1806, ma c'è chi ritiene che anche nel 1807 egli vi operasse ulteriori ritocchi. Quel che però è sicuramente certo è che il grosso del lavoro fu fatto fra il 1805 e i primi mesi del 1806 e, per tanto, esso fu contemporaneo alla «Sonata n.23 per pianoforte “Appassionata” in fa- Opus 57», ai «3 Quartetti Razumowsky Opus 59», alla «Sinfonia n.4 in sib+ Opus 60» e al «Concerto per violino e orchestra in re+ Opus 61». Ma non bisogna dimenticare che comunque, la sua lunga gestazione, lo fa contemporaneo, seppur più indirettamente della «Sinfonia Eroica Opus 55», della «Quinta Sinfonia Opus 68» e del «Singspiel Leonora-Fidelio» nelle sue due prime versioni. Tutto questo per dire che, in questo bellissimo concerto, è riassunto il Beethoven di quegli anni con tutte le sue contraddizioni psicologiche e biografiche del momento.

E' il Beethoven che, dopo essersi ripreso dalla storia con Giulietta Guicciardi, dopo il Testamento di Heiligestadt, ebbe una reazione assolutamente contraria a quello che il testo di quella terribile lettera avrebbe fatto presagire, è il Beethoven che prese atto, con rassegnazione, di un destino cinico e baro ma che si ribellò a tutto ciò. E' un Beethoven che riprende di gran lena a comporre, sfornando capolavori dopo capolavori e che entrò a pieno tondo nel suo secondo stile, quello “Eroico”, il più romantico e che, infine conobbe un periodo di pace perché s'innamorò di un'altra donna: Josephine Brunsvik. Se questa pace interiore trovò la sua espressione più significativa nella sua Quarta Sinfonia, o nel Concerto per Violino e orchestra,certamente questa si riversò anche sul primo movimento di questo concerto “Allegro Moderato.

Sul piano musicale è un Concerto assolutamente importante. Se le sue forme non sono certo rivoluzionarie dal punto di vista di una più forte drammaticità rispetto ai concerti precedenti e al modello mozartiano perché, come dice Piero Rattalino è «un ritorno alla forma-concerto nella sfera dell'interiorità», rappresenta pur, ciò nonostante, la definitiva rottura con lo stile mozartiano e l'affermazione dell'avvenuta completa maturità spirituale del suo autore. Con questo concerto si chiuse definitivamente l'era del concerto settecentesco e si aprì quella dove il solista e l'orchestra non sono più antagoniste e si fondono fra di loro: il primo esempio è dato proprio dall'inizio del primo movimento, dove per la prima volta è lo strumento solista a cominciare e non l'orchestra. Fu questo il movimento dove Beethoven rinunciò a quel suo linguaggio tipico di quell'epoca, il linguaggio “eroico” con forte tinte epiche e marziali, dove sempre centrale fu un forte senso di lotta fra le parti. Beethoven, per la prima volta nella storia non volle più porre in antagonismo il solista e l'orchestra ma integrarlo all'interno, fonderlo con l'orchestra. Dunque se non fu rivoluzionario dal punto di vista di un'accentuazione della drammaticità, lo fu invece in quest'ultimo senso. Berlioz si domandò come mai non si fosse proseguito per quella strada. La risposta è come sempre con Beethoven la stessa: perché il compositore, da grandissimo visionario quale fu, fu sempre molto più avanti dei suoi tempi e anche di quelli che lo seguiranno. Bisognò aspettare Brahms e i suoi due Concerti – soprattutto il Secondo Opus 83 – perché questa rivoluzione arrivasse al suo naturale compimento

Dal punto di vista psicologico fu la pace interiore, seppur molto precaria e passeggera, di un uomo che attraversò uno dei suoi rari momenti di vita serena a dominare e, questo, si esprime pienamente, il tutto scandito da sonorità crepuscolari di carattere intimo e malinconico. Luigi della Croce individua in questo movimento quell'anelito al matrimonio che pervase il Beethoven di quel tempo e che venne espresso così compiutamente nella contemporanea Leonora-Fidelio, quel desiderio di un focolare domestico che la vita gli negò sempre.

Il Secondo Movimento “Andante con Moto” una delle pagine più belle in assoluto della letteratura musicale tout-court. Bello e assolutamente spiazzante nei confronti di quella pace malinconica del primo movimento. Qui Beethoven introdusse i suoi due principi fondamentali: il principio d'opposizione assegnato all'orchestra e il principio implorante assegnato al pianoforte. I due contendenti intonano due temi assolutamente diversi. Dapprima entra l'orchestra con un forte, imperioso e autoritario, a cui, il pianoforte, risponde con un tema di tipo assolutamente dimesso, cantabile, d'implorante dolcezza. Dopo un alternarsi fra i due temi, quello d'opposizione un po' alla volta si spegne e, in contrapposizione, quello implorante prende sempre più quota in un canto d'intensa forza ma sempre assolutamente infelice e malinconico. Poi l'orchestra torna a far sentire i bassi, ma questa volta la sua forza è ridotta notevolmente rispetto a quella che aveva all'inizio, mentre il pianoforte si esibisce in bellissimi trilli.

Fermiamoci un attimo. È del tutto evidente che la pace del primo movimento viene dunque interrotta dalla tipica dualità beethoveniana, qualcuno volle vedere nell'orchestra – Vincent d'Indy - un personaggio tirannico che si oppone ad un personaggio supplichevole ma, ancora una volta e, proprio per quel carattere intimistico di quest'opera di cui dicevo, penso che sia più probabile che ad essere figurato da Beethoven sia sempre quel destino che lui avrebbe voluto «prendere per il collo» contro cui, egli, attraverso il pianoforte che, non bisogna mai dimenticare, fu il suo strumento prediletto, si ribella con voce dapprima sommessa, poi sempre più forte, ma in una maniera – quei trilli, quei meravigliosi e strani trilli – quasi smarrita o rabbiosa.

Poi senza una soluzione di continuità, rispetto al secondo, inizia il terzo movimento, dapprima l'attacco degli archi dell'orchestra è in pianissimo, quasi impercettibile, il tema però viene ripreso immediatamente dal pianoforte, mentre un violoncello suona una melodia completamente indipendente dal resto. La stessa cosa accade con la seconda idea e a questo punto l'orchestra riafferma con una grande forza il tema iniziale. È un canto di tripudio, di gioia, di vittoria, il destino, la prepotenza è stata ancora una volta sconfitta. I vari episodi si collegano fra di loro e si variano e, a collegarli, è un tema musicale che parecchi anni dopo – sarà un caso? Io penso proprio di no ovviamente - un po' cambiato, Beethoven usò per dare l'inizio al canto dell'Inno alla Gioia. L'ottimismo beethoveniano ha ancora una volta trionfato a dispetto di tutto, a dispetto delle tante avversità della vita e la conclusione sul motivo di testa del tema principale è assolutamente sfolgorante e intensa.

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Per concludere questo lungo sproloquio: se non ricordo male, in questo stesso forum si era accennato ad un frammento di un sesto concerto per pianoforte (in re maggiore). Personalmente, penso che B. abbia fatto bene ad abbandonare il progetto, perché quel poco che possiamo sentire non mi pare all'altezza dei concerti precedenti.

 

Un saluto agli amici del forum

Gino (da Roma)

Vorrei però ora riprendere questa parte del discorso di Gino perché mi consente di dire il mio pensiero circa il completamento – o che dir si voglia – di opere beethoveniane rimaste a livello di schizzi e abbozzi.

Non so se tu, Gino nell'affermare questo tuo giudizio ti riferisci agli abbozzi rimasti tali di Beethoven, risalenti al 1815 e che sono stati catalogati da Hess col numero 15 e da Biamonti col n. 641, oppure ad una ricostruzione postuma sul genere di questa.

Nel secondo caso – ed è anche il caso della decima sinfonia – si tratta di un'operazione assolutamente lecita ma la critica, nel bene o nel male, va unicamente rivolta a quel compositore che ha pensato di fare quell'operazione. Insomma, Beethoven è il punto di partenza e basta, tutto il resto è frutto del secondo protagonista dell'operazione.

Se invece ti riferisci unicamente e puramente agli abbozzi lasciati da Beethoven e cioè, circa 70 pagine del primo movimento, alcune completate, altre solo abbozzate, di una stesura della partitura orchestrale che arriva fino a metà del solo, con segnali di indecisione ed insoddisfazione da parte del compositore, ebbene posso dirti che chi l'ha analizzata e ne sa astronomicamente – ad esempio Lewis Lockwood - più di me, afferma che si tratta di una delle più importanti opere di Beethoven non realizzate.

Sul perché Beethoven non proseguì e portò a termine quest'opera si possono, ovviamente fare solo delle illazioni. Probabilmente la più gettonata è quella che fu perfettamente consapevole che un concerto che andasse oltre ai suoi due ultimi e che dunque proseguisse nella via della sua rivoluzione, non sarebbe stato assolutamente accettato dalla critica e dal pubblico del tempo e, questo lo consigliò di lasciare perdere ed di accantonare, almeno per il momento, la cosa.

Ma è anche vero che il 1815 coincise con quella serie di eventi personali e politici che lo portarono ad un silenzio quasi totale, rotto solo dall'armonizzazione di canti popolari per lo più provenienti dalla Gran Bretagna. Finito questo silenzio, il compositore si gettò sul pianoforte solo, prima, poi sulla Missa Solemnis e sulla Nona e, infine sugli ultimi Quartetti. Se fosse ancora vissuto, almeno nelle intenzioni, c'erano ben altre cose che avevano la priorità: Decima Sinfonia, Ouverture sul nome di Bach, un Oratorio nello stile di Händel e un'opera sul Faust di Goethe. Tutt'altra cosa insomma, rispetto ad un Concerto per pianoforte e orchestra.

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Ciao a tutti.

 

Per la terza volta consecutiva sono d' accordo con Daniele!

Per quanto riguarda la Decima, il frutto è un frutto del peccato; per quanto riguarda Hess 15, la questione è molto diversa: il materiale è di ottima qualità e già parzialmente orchestrato. Vi consiglio, per conoscenza personale, questi testi:

 

Intanto l' autografo della partitura: Staatsbibliothek zu Berlin, MS Artaria 184.

Gli abbozzi: Grasnick 20b, Landsberg 10, Mendelssohn 1, Mendelssohn 6, e Scheide sketchbooks, e B.M. Add. MS 29997. (lo Scheide sarà pubblicato quest anno, o giubilo!!)

 

per i dettagli: Nicholas Cook, 'Beethoven's unfinished piano concerto: a case of double vision?' (below).

 

e gli articoli sull argomento:

 

Cook, Nicholas, 'Beethoven's unfinished piano concerto: a case of double vision?', nel Journal of the American Musicological Society 42 (1989), 338-74. A response to this article by Lockwood appeared, together con una replica a Mark Zimmer, nel Journal of the American Musicological Society 43 (1990).

 

poi

 

Cook, Nicholas, 'A performing edition of Beethoven's Sixth Piano Concerto?'. Beethoven Newsletter, 8/3-9/1 (1994), 71-80

 

Lockwood, Lewis, 'Beethoven's unfinished piano concerto of 1815: sources and problems', Musical Quarterly, 56 (1970), 624-46; ristampato da Paul Henry Lang (ed.), The creative world of Beethoven (New York, 1971), 122-44.

 

Nottebohm, Gustav, 'Ein unvollendetes Clavierconcert', in Zweite Beethoveniana: nachgelassene Aufsatze (Leipzig, 1887), 223-4.

 

Io ho comunque a casa la copia manoscritta della ricostruzione di Nicholas Cook, ma una copia si può ottenere scrivendo a:

 

Department of Music, University of Southampton, Highfield, Southampton SO17 1BJ, UK (email ncook@soton.ac.uk).

 

Ciao------------

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Arrau / Bernstein E un'accoppiata vincente e, dunque, il risultato non puo Essere Che meraviglioso. Io poi, li adoro entrambi,

 

OGNI Volta Che ascolto il Quarto o il Quinto concerto, continuo a domandarmi Quale mi piace di Più. La risposta non Riesco Proprio a trovarla: un voltafaccia propendo per Uno A Volte per l'Altro. Fatto sta Che Sono entrambi meravigliosi!

Se Penso al Primo Movimento, probabilmente preferisco quello del Quarto ma é una vittoria ai Punti.

Il Secondo Movimento dell'Imperatore E, Quanto di più Bello Beethoven abbia Composto da Un Punto di vista squisitamente melodico ma, il Secondo del Quarto, continua ad Essere, per me, nonostante Gli innumerevoli ascolti, Assolutamente sconvolgente Nella SUA Costruzione e Concezione.

Nel Terzo Movimento la vittoria Ai Punti va All'Imperatore: Ricordo Ancora La Prima Volta Che l'ascoltai con Artur Rubinstein al pianoforte, ne rimasi estasiato.

A proposito del Quarto e Quinto concerto e su quale sia il più bello, anche su questo - ma non solo su questo -, il musicologo Attilio Piovano dice la sua!

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Oltre a Schubert e Mozart, i Concerti e i pezzi per pianoforte di Brahms incisi da Radu Lupu sono fra i pochi dischi che riascolterei volentieri!

Per quanto riguarda questi Concerti di Beethoven, ho sentito solo il Primo e il Quarto, e mi sembrano davvero un equilibrio miracoloso di un oggetto levigato alla perfezione, di un virtuosismo senza alcuno sfoggio di spettacolarità gratuita, con un suono e con tempi che si basano su una reale comprensione dell'armonia e della forma.

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