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Piano Concerto - Forum pianoforte

Correlazione tra registro vocale e possibilità dinamica


Destroyed
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Io ho una domanda inerente la relazione fra dinamica e registro.

 

Intendo dire che ad esempio gli archi nel registro grave sono grassocci ed è più semplice realizzare dei forti "veri", per cui, nell'ipotesi di suonare un arpeggio dal grave all'acuto sarà più "naturale" un diminuendo.

 

Lo stesso concetto vale anche per la voce? Oppure, al limite acuto dell'estensione è più difficile mantenere un volume contenuto.

Dividendo il registro in 3 parti, sono giuste le seguenti consideraizoni?

 

Registro grave: pp < mf

Registro medio: p < f

Registro acuto: mp < ff

 

...che ne dite?

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Riprendo un intervento di Destroyed (presente sul topic http://www.pianoconcerto.it/forum/index.php?/topic/3258-intonazione-corale/ )

 

Il suo intervento era precisamente questo:

 

"

Io ho una domanda inerente la relazione fra dinamica e registro.

 

Intendo dire che ad esempio gli archi nel registro grave sono grassocci ed è più semplice realizzare dei forti "veri", per cui, nell'ipotesi di suonare un arpeggio dal grave all'acuto sarà più "naturale" un diminuendo.

 

Lo stesso concetto vale anche per la voce? Oppure, al limite acuto dell'estensione è più difficile mantenere un volume contenuto.

Dividendo il registro in 3 parti, sono giuste le seguenti consideraizoni?

 

Registro grave: pp

Registro medio: p

Registro acuto: mp

 

...che ne dite?

"
La domanda è interessante e ho pensato di aprire un topic specifico.
 
Se parliamo di vocalità, sia corale che solistica, dobbiamo ASSOLUTAMENTE correlare i registri alle dinamiche.
La relazione fra i due ambiti è fisiologica, molto più che nella maggior parte degli strumenti musicali. Tanto che quando si cerca di identificare il registro a cui appartiene una voce, la possibilità che quella voce ha di eseguire una dinamica piuttosto che un'altra è un'ottima cartina di tornasole.
Mi spiego meglio: se ascolto una ragazza che canta un Re quarto rigo in chiave di violino, e questo Re è un po' "traballante", posso pensare che sia un mezzo soprano che si avvicina un po' ai suoi acuti, e quindi ha difficoltà o paura. Ma potrebbe anche essere un soprano che si avvicina al "passaggio" della voce, il punto in cui la laringe cambia posizione e abbandona il registro medio proprio per il registro acuto. Come fare a capire se chi ho di fronte è un mezzo o un soprano? Non c'è un solo modo, ma in tutti questi modi devo prendere in considerazione il VOLUME dinamico a cui quella voce riesce a cantare quel Re, le note superiori e le note inferiori. 
La tabella di Destroyed è tutto sommato giusta. In genere una voce (solista) riesce a cantare alla massima potenza le note tra il proprio registro medio e quello acuto. Le note gravi sono le più difficili da cantare forte e le note acute sono le più difficili da cantare piano. Ma la voce ha delle peculiarità... bisogna sempre tenere presente che ogni voce ha un range di note dette "passaggio", che cambiano molto rispetto alla singola voce, e queste note di passaggio offrono difficoltà maggiori... la note prima del passaggio è in genere la nota più comoda e forte di ogni range vocale, quasi per natura, perché è la nota prima del registro di "urlo". Per molti tenori è il Mi quarto spazio o il Fa quinto rigo. Allo stesso modo, la prima nota "passata" è, in genere, l'acuto meno forte che si può fare, nonché la nota più complicata da emettere per gran parte delle voci (il Fa# quinto rigo è quasi sempre la bestia nera dei tenori, come tutte le note attorno al Mi quarto spazio per i soprani).
Queste eccezioni per il passaggio, però, contano soprattutto quando si ha a che fare con voci non fino in fondo educate... un buon cantante studia bene il proprio passaggio. E quando parlo di note naturalmente comode o forti non parlo necessariamente di note belle. Un Fa fortissimo per un tenore si trasforma spesso in una nota allargata e un po' urlata che a lungo andare logora la voce. Scrivere bene per voce è difficilissimo, si sa, e anche queste cose contano! Dicevo da qualche parte che settimana scorsa ho cantato in coro la Seconda di Mahler. Nel finale c'è un lungo pezzo in cui tenori e soprani cantano in fortissimo fff e unisono Do terzo spazio-Re quarto rigo -Mib quarto spazio-Sib terzo rigo, una frase centrale che seguiva una serie molto pesante di acuto e precedeva una serie ancora più pesante di acuti. Ecco, pur essendo una frase centrale, quella era una delle frasi più DIFFICILI di tutto il pezzo, perché il fortissimo che una voce può fare sull'acuto è un fortissimo DIVERSO da quello che si può fare su quelle note. Ma Mahler forse non lo sa, o, piuttosto, Mahler si riferisce alla sonorità corale, non alla sonorità delle singole voci. Quindi l'effetto è che tutti urlavamo in quelle note gravi, "spaccandoci" la voce e ritrovandoci affaticati sugli acuti successivi.
In tal senso, lo specchietto di Destroyed va utilizzato con coscienza. Come nel contrappunto, è bene individuare un acme della linea vocale, da mettere possibilmente in acuto, e che non collida con quello che c'è scritto prima. 
 
Questa vale come introduzione, ci sono molte altre cose da dire ;-)
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La domanda è interessante e ho pensato di aprire un topic specifico.
 

 

L'aveva fatto anche Destroyed, poi mi aveva fatto spostare dei messaggi (avete avuto la stessa idea)...adesso c'è un topic unico :)

 

Sto leggendo la tua risposta ;)

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per un cantante sembrano normali, ma capisco che un compositore o uno strumentista non le considerino banali :-)

 

al discorso precedente aggiungo almeno una postilla:

ci sono piccole differenze tra una voce solista e una sezione corale. Riferendosi sempre alla relazione tra ambito vocale e dinamiche. Ovviamente il fortissimo di una sezione corale è più forte del fortissimo di una voce, ma in realtà è "pericoloso" scrivere in fortissimo una frase per una sola sezione di coro. Ha senso scriverla per almeno due sezioni o per il coro intero. E questo perché gli unisoni in fortissimo diventano spesso brutti, sguaiati, a meno che non si ricerchi una sonorità molto particolare. L'unisono di cui parlavo sopra era una sonorità particolare, e rimane, secondo me, un punto pericoloso e un po' estremo di una scrittura corale.

 

Di contro, un solista può cantare davvero quello che vuole, basta che adatti le dinamiche in modo relativo all'intero brano e alla propria voce. Questo rende più "musicale" ogni indicazione dinamica, il che è molto da cantanti. Cosa intendo dire... un Sib acuto pianissimo per un soprano non è poi così difficile, basta che sia brava. Ma nella retorica della storia del canto, quella specie di dizionario che ad ogni "gesto" musicale accoppia un significato, un acuto pianissimo significa essenzialmente due cose: 1) nota "filata", ovvero eseguita molto piano con colore diafano e spesso con un opportuno punto coronato; 2) oppure nota attaccata piano e continuata in crescendo, un crescendo che forse può trasformarsi in un diminuendo, o forse no. Questo succede non solo perché la difficoltà di un acuto piano è tanta, ma succede soprattutto perché un acuto è pur sempre un acuto, è il momento culminante di una frase o di un pezzo intero.

Questa cosa va capita nella sua complessità: se scrivo un duetto per soprano e mezzosoprano, e decido di scrivere un passaggio imitativo, o contrappuntistico, in cui serve che la velocità sia costante, ma lo scrivo con il soprano in acuto e in piano, DEVO specificare che non sopporto le corone o i rallentati. Perché se no è matematico che il soprano rallenterà per far sentire quanto piano riesce a fare quelle note lì. Allo stesso modo, la storia del canto mi dimostra (...) che è IMPOSSIBILE far eseguire un acuto in piano ad un tenore e, più in generale, ad una voce maschile... a meno che il cantante in questione non sia già estremamente famoso in tutto il mondo. Nessun cantante maschio perderà l'occasione di mostrare quanto forte sa fare quell'acuto, perché le mezze voci e i filati non solo non vengono considerati valori aggiunti per le voci maschili ma vengono, piuttosto, presi per mezzucci atti a nascondere problemi vocali. Gran parte delle arie per tenore di Puccini hanno acuti in piano e mezzo piano ma è una rarità sentirle eseguite come sono state scritte. E non tanto per la loro difficoltà, ma per la sindrome da tenore.

 

Tornando al coro, gli acuti in piano sono "possibili", anche se con difficoltà. Ed è il modo migliore per farli eseguire, secondo me, è utilizzando il bocca chiusa. Questo lo potrei dire a quelli che nel laboratorio corale hanno inserito note estreme da eseguire in piano: il bocca chiusa aiuta molto i cantanti, anche psicologicamente. Una semplice indicazione "quasi a bocca chiusa" risolve molti problemi. Ma, ovviamente, presuppone una sorta di vocalizzo, ovvero la possibilità di NON pronunciare e articolare parole complesse. Altrimenti, gli acuti in piano per un coro rimangono bestie nerissime.

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il modo migliore per farli eseguire, secondo me, è utilizzando il bocca chiusa.

 

presuppone una sorta di vocalizzo, ovvero la possibilità di NON pronunciare e articolare parole complesse.

 

Ad esempio la "o" è una vocale che già naturalmente richiede la bocca chiusa...in ordine è sbagliato mettere prima "o" e poi "u"?  (mi sembra proprio che "a" "e" "i" non si prestino troppo, o sbaglio?)

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cambia molto dalla tecnica con cui hai studiato canto. Credetemi sulla parola, la facilità di emissione delle vocali dipende moltissimo dai tuoi maestri di canto. Dividendo per vocali:

La "A" è comoda, ma non per gli acuti, dove diventa sempre qualcosa di più simile alla "O" (in ogni tecnica);

La "E" è scomoda nel registro medio, perché tende a scappare, a farti allargare l'emissione, mentre negli acuti è la vocale preferita dai tenori; sarebbe sempre buona norma distinguere la E aperta dalla E chiusa...

La "I" viene vissuta come difficile dalle voci maschili e facile da quelle femminili, questo perché è la nota delle risonanze acute, "di testa"; viene meglio alle voci leggere, squillanti, e nei vocalizzi viene utilizzata nella zona grave, proprio perché tende a "tirarla su", ad evitare che la voce risulti troppo cavernosa; è molto difficile cantare una I forte...

La "O" è un passepartout, secondo me; è la vocale con cui vengono le note più belle, perché non è troppo chiusa e non è troppo aperta, utile per far bene gli acuti;

La "U" viene considerata comoda ma poco risonante; in acuto quasi sempre diventa una "O", a meno che non si abbia davanti un buon cantante o non si studi bene come fare, ma qui torniamo ai limiti di cui sopra, tutto dipende dalla tecnica; e rispetto alla tecnica, la U e il dittono IU' sono tipici dei vocalizzi di chi usa l'affondo della laringe e vengono spesso usati per far abituare le voci pesanti agli acuti; anche per la U è mooolto difficile cantare forte.

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Nell'ultimo discorso di Thallo sulle vocali si ricollega anche ad aspetti logopedici e in particolare la "i" e la "e" sono vocali che "costringono" ad accorciare le corde vocali, vocali come la "u" a distenderle...per capirci corda lunga, suono grave, corda corta suono acuto

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A me viene un dubbio, voce per voce si possono devinire i "perimetri" del registro?

Tu prova a pensare alle corde di un violino a distanza di quinta :)

 

Per il soprano ad esempio mi verrebbe da dire:

- Do3(cetrale)-sol3, registro grave

- Sol3-re4, registro medio

- re4-la4, registro acuto

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ovviamente cambia da persona a persona, ma più o meno immaginate dei salti di quarta-quinta, intervallati da due-tre note di passaggio, e così per tutta l'estensione. 

Esempio

Soprano:

do-sol registro grave

sol-la passaggio

la-re registro medio

re-mi passaggio

fa-do registro acuto

 

le cose cambiano moooolto da persona a persona, ma il mio concetto di "molto" è un concetto tecnico-vocale. Per un compositore queste differenze sono più labili

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Per un compositore queste differenze sono più labili

Dipende :)

 

Comuqnue le differenze poi fra cantante e cantante non sono mai gestibili a priori ammenochè non si conosca già bene l'inteprete destinatario/a del brano. Come ci ricorda Exit, nel caso di sezione di coro...la vedo dura essere precisissimi. Tanto più che mediamente da noi ( :( ) i cori non hanno un intero reparto di soprani ma molti contralti e qualche soprano "vero".

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i cori che sento io nel circondario hanno molti soprani, il problema è che sono soprani che non sanno cantare su tutta l'estensione :-) ma è un problema che hanno anche i professionisti, sembrerà strano ma nelle classi di canto dei nostri conservatori (e di quelli di tutto il mondo, credo) l'estensione viene vissuta in un modo un po' anacronistico... si studia da solisti e se quel solista non sa fare quella nota là, allora sceglie un repertorio in cui quella nota là non c'è. Questo è anti professionale. Cantare in coro ti insegna che se sullo spartito c'è scritto Do, e sei un tenore che sostiene di non avere il Do, ti devi arrangiare e farlo. Male che vada in falsettone, che non è mai morto nessuno

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Concordo con Thallo ma c'è una contro indicazione: musica troppo difficile, troppe ore di lavoro per dargli giustizia...meglio un brano d'autore piuttosto che uno inedito....

 

Ecco che il compositore non va oltre il lab sopra il rigo (per i soprani)

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Dicevo da qualche parte che settimana scorsa ho cantato in coro la Seconda di Mahler. Nel finale c'è un lungo pezzo in cui tenori e soprani cantano in fortissimo fff [...] Ma Mahler forse non lo sa, o, piuttosto, Mahler si riferisce alla sonorità corale, non alla sonorità delle singole voci. Quindi l'effetto è che tutti urlavamo in quelle note gravi, "spaccandoci" la voce e ritrovandoci affaticati sugli acuti successivi.

Un altro esempio: la Nona Sinfonia di Beethoven. Si può dire che il movimento finale è scritto bene per il coro? Penso ad esempio a quando i Soprani devono cantare i La acuti ff  per battute e battute... Praticamente impossibile evitare l'effetto "grido".

Ovviamente di fronte alla grandezza assoluta di questo brano anche eventuali problemi "tecnici" finiscono in secondo piano, e credo che lo stesso discorso valga anche per Mahler.

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come si accennava anche parlando del Fidelio, Beethoven scrive per voci come se scrivesse per strumenti. Questo è possibile e può pure portare a dei capolavori, ma è molto più facile cantare il Requiem di Verdi che cantare la Nona di Beethoven... il Requiem di Verdi non è "facile", è più facile da cantare, cioè è un pezzo scritto bene per le voci.

Ma questo discorso è possibile farlo anche scollegandolo dal discorso sui registri...

In questi giorni sto cantando tanta polifonia antica. E, non so se lo sapete, ma nella polifonia antica i nostri concetti di registri (bassi, baritoni, tenori, alti etc...) si perdono molto. Le chiavi antiche non indicano dei "tipi" vocali ma delle estensioni. Ancora di più, era molto comune che i cori fossero fatti solo da uomini, ragione per cui non dovremmo considerare la parte di contralto come parte per donne ma come parte per tenori acuti-contraltini o per controtenori o per voci bianche contralto, e la stessa cosa per i soprani. Tutti i nostri discorsi sul passaggio, sulla fisiologia della voce collegata alle dinamiche sarebbero insensati in una prassi esecutiva storicamente informata. E quindi non ci giustificano gli stilemi compositivi (cioè, i compositori del tempo non scrivevano conoscendo le cose che conosciamo noi oggi, ragionavano in modo diverso).

Aggiungiamo anche che i segni dinamici non venivano scritti...

Nonostante questo, la polifonia antica "suona" in modo impressionante. E' sempre comoda, anche quando è scritta o trascritta in modo strano. E tutto questo perché usa l'armonia e il moto delle parti in modo perfetto. Le dissonanze sono sempre sostenute da note lunghe, che funzionano naturalmente da rinforzi dinamici; le frasi melodiche complesse sono anch'esse sostenute da armonie ben definite; le consonanze durano molto, dando un senso di scarico, di sollievo; i fraseggi seguono la frase del testo, non solo quella musicale, e quindi non abbiamo solo momenti armonici importanti sugli accenti tonici della parola ma anche su un accento tonico principale dell'intera frase.

Ecco, questa è una cosa che mi sentirei di scrivere nel marmo: dagli antichi polifonisti si impara che il fraseggio lo scrive IL COMPOSITORE. Non è un'invenzione o una scoperta dell'interprete. E un pezzo scritto bene non permette all'interprete di sbagliare.

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(...) gli unisoni in fortissimo diventano spesso brutti, sguaiati, a meno che non si ricerchi una sonorità molto particolare.

 

Scusa Thallo ma (giusto per capire meglio)... «Über Sternen muß er wohnen» (b. 643-646, ff) del finale della Nona, è uno di questi casi?

Se così fosse capisco un po' di più perchè una volta facevo fatica a... gustarmelo (diciamo così)

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quello è un pezzo complicato, senza dubbio, ma non è un unisono. Tenori e soprani sono in ottava e se non sbaglio bassi e contralti sono in ottava tra di loro e una terza minore sotto gli altri. Rimane un momento un po' insensato, secondo me, preferisco l'accordo dopo...

il momento vocalmente pesantissimo, in tema di unisoni, è prima: "seid umschlungen Milionen diesen Kuss der ganzen Welt", e l'unisono dell'intervento successivo. Sono gravi per i tenori e sono difficilissimi da intonare bene.

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Le dissonanze sono sempre sostenute da note lunghe, che funzionano naturalmente da rinforzi dinamici; le frasi melodiche complesse sono anch'esse sostenute da armonie ben definite; le consonanze durano molto, dando un senso di scarico, di sollievo; i fraseggi seguono la frase del testo, non solo quella musicale, e quindi non abbiamo solo momenti armonici importanti sugli accenti tonici della parola ma anche su un accento tonico principale dell'intera frase.

Ecco, questa è una cosa che mi sentirei di scrivere nel marmo: dagli antichi polifonisti si impara che il fraseggio lo scrive IL COMPOSITORE. Non è un'invenzione o una scoperta dell'interprete. E un pezzo scritto bene non permette all'interprete di sbagliare.

Tutti i grandi compositori del passato e i Compositori di oggi con la C maiuscola prestano attenzione esattamente a tutti questi aspetti, non è una prerogativa dei fiamminghi. Io mi sentirei di dire che ci sono compositori che riescono a cogliere gli insegnamenti della tradizione, farli propri e traslarli nella propria estetica (senza risultare anacronistici) e chi vogliono fare i "fighi"... poi il tempo come sempre mette a posto tutte le cose :)

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Credo si possa fare una distinzione fra compositori che scrivono bene per le voci (in particolare per il coro, perché il solista apre un altro discorso) e compositori che non hanno questa "sensibilità". Ovviamente è una generalizzazione un po' brutale, ma forse utile!

 

Abbiamo detto, fra i compositori realmente "idiomatici" per coro, gli antichi polifonisti, Verdi, e aggiungerei senz'altro Monteverdi (che pure è difficilissimo rendere bene) e anche Mendelssohn, che con il coro è sempre infallibile.

 

Problemi li abbiamo trovati in Mahler, in Beethoven...

 

E J.S. Bach? Ovviamente sapeva scrivere per coro... Ma quanto spesso troviamo dei passaggi in cui la voce deve realmente trasformarsi in uno strumento? Penso alle lunghe sequenze di quartine di semicrome nel "Fecit potentiam" del Magnificat. Non sono forse più da violino, o da oboe, che da voce?

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