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Piano Concerto - Forum pianoforte

thallo
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In questi giorni sono a Torino a cantare con un coro, giovedì e venerdì faremo la Seconda Sinfonia di Mahler con l'Orchestra Sinfonica della RAI. Il coro in questione si chiama Coro Maghini ed è diretto dal

M° Chiavazza, un maestro di formazione polifonica, uno di quelli che cura moltissimo l'intonazione del coro.

Volevo perciò approfittare dell'occasione (e del tempo libero che ho in questi giorni) per introdurre quest'argomento, poco conosciuto ma molto importante (e molto "di moda"). E' un argomento vasto, quindi proverò uno dei mille possibili accessi. Eventualmente, se la cosa vi interessa, approfondirò col tempo.

 

Una serie di persone intonate non necessariamente formano un coro intonato. 

Cos'è un coro intonato? E' un coro che esegue soprattutto accordi (o sovrapposizioni armoniche) intonate. E cosa, nella pratica corale, un accordo intonato? E' un accordo il cui grado di consonanza sia il più alto possibile.

Quello che ho scritto può sembrare banale o può sembrare inconcepibile. Banale, perché ho parlato di nulla. Inconcepibile perché ho introdotto l'argomento della consonanza come se fosse l'unico elemento della teoria armonica. In realtà non lo è, ma è l'elemento più importante dell'intonazione di un coro.

La consonanza non è solo un concetto della teoria musicale, è soprattutto un concetto di fisica acustica. Io ho imparato a definirlo come la qualità di una sovrapposizione armonica esprimibile con una frazione di numeri interi dove più bassi sono questi numeri più è elevato il grado (di consonanza). In parole povere, la consonanza più alta possibile è un unisono, che si esprime con il numero 1. La seconda sovrapposizione armonica più consonante è l'ottava. Due voci che cantano ad un'ottava di distanza formano una sovrapposizione armonica esprimibile con la frazione 2/1. Sono due numeri interi molto bassi, i più bassi possibili dopo 1. Andando avanti così, possiamo esprimere l'intera serie di intervalli (semitono, tono, terza minore, terza maggiore etc) con delle frazioni. E arriveremo ad un prospetto di intonazione molto simile al famoso sistema naturale pitagorico.

Presa in questo modo, la questione sembra solamente matematica. In realtà le conseguenza pratiche sono gigantesche. 

Prendiamo due cori. Uno canta una quinta vuota, tipo Do-Sol, e la canta intonandosi perfettamente sulla quinta giusta 3/2 . L'altro coro, invece, non fa una quinta giusta perfetta, ma sporca un po' l'intonazione e canta, non so, una quinta 300/197. Che differenza sentirete? Probabilmente nessuna :-) ancora di più, è molto probabile che il coro "stonato" vi appaia più ricco, più complesso, e questo perché quando parliamo in termini astratti di intonazione, ci riferiamo quasi a dei file midi, a delle onde sinusoidali, ovvero a delle fonti sonore che emettano UNA SOLA FREQUENZA. La voce non emetta una sola frequenza, è un casino di cose diverse, perciò un accordo non sarai mai perfettamente perfetto.

Quando però la differenza tra i due cori diventa più significativa, allora succede prima di tutto una cosa: il coro stonato canta più piano.

La prima e meno considerata conseguenza di una polifonia intonata è il VOLUME. Perché due note consonanti corrispondono a due onde consonanti, e quando due onde sono consonanti entrano in fase e in RISONANZA. Ovvero, si amplificano vicendevolmente. 

Questo meccanismo non è nuovo alle conoscenze musicali. In realtà è uno dei meccanismi vocali più conosciuti da sempre. Quando ancora non si conosceva il do di petto, la tecnica dell'emissione "lirica" e tutte le altre cose di cui si parla nei teatri d'opera, le cattedrali europee venivano costruite per amplificare triade perfette perfettamente intonate e incredibilmente risonanti. Io c'ho cantato nelle chiese, anche con cori belli grossi, e vi assicuro che è tremendamente difficile farsi sentire. Tutto rimbomba e tutto fa schifo. Poi arriva un corettino inglese di 20 persone e fa cadere i muri... questo è possibile proprio perché la musica antica E' SCRITTA per essere pazzescamente intonata.

 

Per ora mi fermo qui. Ditemi se l'argomento vi interessa ;-)

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Personalmente mi interessa perché, in questo periodo, grazie ad uno strumento virtuale (organo) che mi permette di scegliere tra diversi temperamenti storici, sto cercando di comprendere come da questi sia stata condizionata la composizione "pre-equabile" nelle sue soluzioni melodiche e armoniche.

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L’argomento è interessante Thallo e personalmente parlando sono dedito (da compositore) alla musica corale. Secondo me la cosa più difficile soprattutto quando si scrive a cappella è quella di rispettare le esigenze di intonazione del coro senza rinunciare ad esempio alla propria cifra armonica che non è detto sia tonale e che più facilmente può includere o “alludere” ad alcune delle logiche di intonazione che ha descritto  Thallo, per cui come permettersi ad esempio di inserire in un proprio brano un cluster? Ammesso che sia più o meno ancora attuale utilizzarli. Per me è solo un iperbole in questo caso.

A questo punto in effetti è interessante che Thallo abbia citato la musica antica, che pur non essendo tonale, anche prima in ordine temporale, proprio per effetto di quanto ha descritto Thallo, ha usato e abusato delle possibilità di intonazione del coro portando a risultati notevoli.

 

Adesso Thallo mi odierà in quanto ho cambiato il punto di vista del discorso…nel senso che i cori potrebbero non essere intonati per colpa di quello che c’è scritto in partitura e non solo per loro incapacità (o meglio del suo direttore).Per me in  tutti i casi e un problema del direttore … e riferendomi alla composizione, non si può eseguire qualsiasi cosa, senza tenere conto di robaccia che viene scritta (anche in ambito tonale, aimè).

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Tutto questo mi fa  venire in mente che tempo fa ho avuto qualche “problemino” teorico proprio con i registri di mutazione dell’organo. Personalmente a volte mi capita di provare fastidio ad ascoltare brani scritti per un certo strumento ed eseguiti con l’organo. Secondo me certi strumenti si possono permettere certe non-consonanze e certi altri no. Mi ero anche messa ad analizzare lo spettro di una nota emessa da diversi strumenti trovando che ciascuno ha una serie di ipertoni (ottava 1/2, quinta 1/3, ecc..) differenti e che non tutti sono “puri”, cioè vere armoniche.

Quello che non ho mai fatto è analizzare lo spettro di un tenore e tanto meno di un coro. Questo mi interesserebbe.

A naso direi che la voce umana produce ipertoni differenti da individuo a individuo (questo ovviamente accade anche negli strumenti artificiali di uno stesso tipo, ma essendo artificiali sono fatti appunto più somiglianti l’uno all’altro), e questo potrebbe influenzare grandemente la “consonanza” in un coro. Ma faccio solo supposizioni e spero che Thallo chiarirà la questione.

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L’argomento è interessante Thallo e personalmente parlando sono dedito (da compositore) alla musica corale. Secondo me la cosa più difficile soprattutto quando si scrive a cappella è quella di rispettare le esigenze di intonazione del coro senza rinunciare ad esempio alla propria cifra armonica che non è detto sia tonale e che più facilmente può includere o “alludere” ad alcune delle logiche di intonazione che ha descritto  Thallo, per cui come permettersi ad esempio di inserire in un proprio brano un cluster? Ammesso che sia più o meno ancora attuale utilizzarli. Per me è solo un iperbole in questo caso.

A questo punto in effetti è interessante che Thallo abbia citato la musica antica, che pur non essendo tonale, anche prima in ordine temporale, proprio per effetto di quanto ha descritto Thallo, ha usato e abusato delle possibilità di intonazione del coro portando a risultati notevoli.

 

Adesso Thallo mi odierà in quanto ho cambiato il punto di vista del discorso…nel senso che i cori potrebbero non essere intonati per colpa di quello che c’è scritto in partitura e non solo per loro incapacità (o meglio del suo direttore).Per me in  tutti i casi e un problema del direttore … e riferendomi alla composizione, non si può eseguire qualsiasi cosa, senza tenere conto di robaccia che viene scritta (anche in ambito tonale, aimè).

 

E' un bel punto di vista quello della composizione corale. Io sono sempre convinto che più cose si scrivono su una partitura, meglio è, così i direttori di buona volontà ma di scarse conoscenze possono comunque capire cosa fare.

Del resto anche i compositori spesso non conoscono fino in fondo le "implicazioni" acustiche di quello che scrivono. Da cantante io mi chiedo spesso quale sia l'idea tecnica del compositore, e questo perché da cantante io posso lavorare solo in modo tecnico. Sono uno strumento che si auto-crea ogni volta e mi piacerebbe che il compositore mi dicesse ogni volta cosa fare, come farlo, o a quale PRECISO risultato devo tendere.

Ma questo è davvero un altro discorso.

 

Tutto questo mi fa  venire in mente che tempo fa ho avuto qualche “problemino” teorico proprio con i registri di mutazione dell’organo. Personalmente a volte mi capita di provare fastidio ad ascoltare brani scritti per un certo strumento ed eseguiti con l’organo. Secondo me certi strumenti si possono permettere certe non-consonanze e certi altri no. Mi ero anche messa ad analizzare lo spettro di una nota emessa da diversi strumenti trovando che ciascuno ha una serie di ipertoni (ottava 1/2, quinta 1/3, ecc..) differenti e che non tutti sono “puri”, cioè vere armoniche.

Quello che non ho mai fatto è analizzare lo spettro di un tenore e tanto meno di un coro. Questo mi interesserebbe.

A naso direi che la voce umana produce ipertoni differenti da individuo a individuo (questo ovviamente accade anche negli strumenti artificiali di uno stesso tipo, ma essendo artificiali sono fatti appunto più somiglianti l’uno all’altro), e questo potrebbe influenzare grandemente la “consonanza” in un coro. Ma faccio solo supposizioni e spero che Thallo chiarirà la questione.

 

L'analisi spettrale è piombata nell'analisi musicale da un bel po', ma il suo utilizzo è ancora molto settoriale. 

La cosa che andrebbe capita è che la storia dell'armonia e della composizione risolvono in gran parte da sole anche i problemi analitici relativi agli spettri armonici, alla teoria della consonanza e della dissonanza. Cioè, per capire cosa significano gli accordi di Monteverdi, "basta" Zarlino. Che è il discorso iniziale che facevo, cantare consonanze da un punto di vista acustico, basandosi sulla "natura" dell'armonia per come la intendevano i teorici del periodo di quella composizione. Questa è filologia musicale vera, cioè interpretazioni storicamente informate. E per storia non si intende la data di nascita e di morte di un compositore, ma qual era la quinta giusta secondo il suo periodo, quanto larghi dovevano essere alcuni intervalli per lui, quanto diversi potevano essere i la# rispetto ai sib etc...

I veri problemi arrivano proprio "dopo" la polifonia vocale, quando cioè la polifonia e la teoria armonica si rassegnano ad essere utilizzate per strumenti a intonazione fissa, con tutti i vari temperamenti e modelli di intonazione che conosciamo. Un direttore di coro, o un analista, o un compositore di musica corale, deve porsi una domanda pesante: la coralità ai tempi del sistema temperato segue le regole vecchie o ne segue di nuove, a copia degli strumenti? No perché i problemi armonici e acustici dell'800 non sono più i problemi delle voci, e in effetti non sono più neppure i problemi dei compositori, che si disinteressano dei vecchi concetti di consonanza. In questi giorni di prove su Mahler questa è una domanda pesantissima, di cui si sente proprio il bisogno. Per fortuna le sonorità dei cori tendono ad adattarsi alle sonorità delle orchestre, e un'orchestra come quella Mahleriana, piena di ottoni e percussioni, scivola con molta facilità verso una grande intonazione naturale. Gli armonici sono così tanti che ci si stona tutti assieme :-)

Detto questo, il numero e la natura degli overtones emessi da una voce cantata cambiano dalla tecnica con cui quella voce cambia. Anche questa tecnica dovrebbe essere adeguata al tipo di musica. Come dicevo prima, in un repertorio di polifonia antica sacra, dove la consonanza ha un senso molto profondo, la tecnica dovrebbe portare a rendere intellegibili un alto numero di parziali armoniche. E in soldoni questo avviene rendendo molto precisa la fondamentale, eliminando del tutto il vibrato, provano a far risonare tutte le voce del coro e sfruttando le cavità di risonanza di ognuno. E' un lavoro difficilissimo, soprattutto per gli italiani, che vedono il canto come uno "sport" solistico, e che considerano le voci scure e vibrate come ricche e piene di armonici. Questo è vero per i solisti, ma è falso per i coristi. In coro non si cercano armonici e basta, si cercano armonici naturali. E le onde con più armonici naturali sono le onde più vicine a quelle sinusoidali, ovvero onde pure, intonate, precise.

 

Quello che scrive Thallo è sempre "troppo interessante"...! :)

 

ma smettila...

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http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2014-03-13&ch=31&v=338501&vd=2014-03-13&vc=31#day=2014-03-13&ch=31&v=338501&vd=2014-03-13&vc=31

 

comunque, volevo precisare una cosa rispetto a un messaggio precedente.

Ho buttato lì una ipotetica e probabilmente inesistente "ratio" 300/197 ... non mi ricordo a memoria tutte le principali relazioni intervallari, men che meno quelle molto lontane. Ma quasi sicuramente questa non esiste :-) e allora approfitto anche per spiegare il semplice criterio con cui si segnano gli intervalli.

L'altezza assoluta si indica in Hertz, l'unità di misura della frequenza. Anche le altezze relative, gli intervalli, possono essere indicati in Hertz, ovviamente, ma essendo il concetto di intervallo "modulabile", allora ha senso parlarne in modo ancora più generale, riferendosi alle relazioni tra una qualsiasi tonica e l'altra nota che incornicia l'intervallo. Nelle intonazioni naturali, come dicevo, si privilegiano le note molto consonanti e quindi i numeri delle frazioni (ratio) che indicano gli intervalli sono sempre molto piccoli. Ma cosa sono questi numeri? Indicano l'armonico naturale in cui avviene l'unisono tra i due suoni.

Ovvero... se prendiamo la ratio 2:1 (in genere si mettono i due punti quando si indica un salto e lo slash quando si indica la sovrapposizione armonica), che indica l'ottava, quindi ipoteticamente do1 e do2, noi sappiamo che il secondo armonico di do2 crea un unisono con il primo armonico di do2. Questi "ordinali" degli armonici comprendono anche la nota fondamentale, quindi il secondo armonico di do1 è do2 e il primo armonico di do2 è do2. La quinta do1 - sol1 si indica 3/2 perché il terzo armonico di do1 (sol2) crea un unisono con il secondo armonico di sol1 (sol2). E così via, la quarta do1-fa1 si indica 4/3, la terza maggiore do1-mi1 5/4, la settima minore do1-sib1 7/4 oppure 7/5, la seconda maggiore do1-re1 9/8, la terza minore do1-mib1 6/5 etc etc

Lungi da essere delle cose fisse e immutabili, queste relazioni di consonanza hanno avuto vicissitudini continue. Soprattutto per la modalità con cui sono state "scoperte" e adottate. Esempio, la settima minore 7/4 pur essendo un intervallo molto consonante non è mai stata considerata una settima "naturale". Semplicemente perché nel sistema ciclico di "temperamento" della scala, ovvero in quel calcolo molto coerente da cui si ricavano gli intervalli della scala naturale, non viene fuori. Esiste, tutti ne conoscono l'esistenza, ma storicamente è poco usata. Questo è un problema matematico-logico che potremmo definire come indecidibilità, il fatto, cioè, che ci sono proposizioni vere a cui, però, è quasi impossibile arrivare.

Ecco, ci sono moltissime consonanze acustiche possibili, ma i nostri strumenti musicali non sempre le emettono.

La voce, essendo uno strumento a intonazione totalmente libero, può potenzialmente emettere ogni consonanza esistente, sia in ordine melodico che in ordine armonico. 

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