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Piano Concerto - Forum pianoforte

Sillabazione latino


Lucas
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"Au" è uno dei dittonghi che fanno sillaba unica per cui au-res; invece deprecationis è de-pre-ca-ti-o-nis ("io" è uno iato cioé non fa sillaba unica).

 

In ogni caso, nei testi sacri, è buona cosa cercare dei brani con quel particolare testo (per il De profundis, vedi http://imslp.org/wiki/Special:ImagefromIndex/78469 ad esempio) e vedere come viene sillabato nell'opera in questione.

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dipende dalla musica ... entrambe le versioni vengono tranquillamente usate con le vocali unite o no.

anche se au-res sarebbe giusto sillabando nella lingua "codificata", in musica se c'è la necessità si può usare anche a-u-res

 

Stesso discorso per il deprecationes. Giusto sarebbe de-pre-ca-ti-o-nis ma se c'è la necesità diventa de-pre-ca-tio-nis.

 

Non importa chi canta : francese o tedesco o cinese, il latino è uguale per tutti.

Se poi il coro francese ha difficoltà a pronunciare questa sequenza sono problemi suoi ... come per il tedesco "agnus" diventa l'orrendo "aghnus" ... sono problemi suoi.

Il compositore non deve mai pensare a questo.

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Io sul secondo "dipende" non sono per nulla d'accordo. La sillabazione è una sola. Se poi, per vari motivi, qualcuno nei secoli ha sbagliato è solo per incapacità o ignoranza. Io un de-pre-ca-tio-nes/nis (parola che all'accusativo plurale si trova nel "Gloria" per cui è molto utilizzata), non lo ricordo, sempre trovato ti-o come è giusto che sia.

Sul dittongo la questione è diversa: essendo due vocali consecutive a volte può essere comodo separarle. E' un po' come la questione della "L": quando è seguita da consonante, cantandola viene naturale metterla a ridosso di essa per cui "al-tus" diventa "a-ltus", ma non è la sillabazione in gioco.

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Io sul secondo "dipende" non sono per nulla d'accordo. La sillabazione è una sola. Se poi, per vari motivi, qualcuno nei secoli ha sbagliato è solo per incapacità o ignoranza. Io un de-pre-ca-tio-nes/nis (parola che all'accusativo plurale si trova nel "Gloria" per cui è molto utilizzata), non lo ricordo, sempre trovato ti-o come è giusto che sia.

Sul dittongo la questione è diversa: essendo due vocali consecutive a volte può essere comodo separarle. E' un po' come la questione della "L": quando è seguita da consonante, cantandola viene naturale metterla a ridosso di essa per cui "al-tus" diventa "a-ltus", ma non è la sillabazione in gioco.

la questione non è sbaglio o non sbaglio ... la questione è che se ti trovi in una certa situazione devi adattare il testo ... motivo : l'accento tonico della parola è proprio sulla 'o' e quindi se ti trovi su un tempo forte con la sillaba 'ti' potresti non avere alternative ed essere costretto ad unire 'tio'.

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mmmhmm, io sono concorde con Zedef, se non vogliamo fare la fine di Vinicio Capossela, in un contesto tradizionale, la musica dovrebbe rispettare la sillabazione...sta al compositore usare un materiale compositivo adatto al testo da musicare...e non viceversa.

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Sulla sillabazione "sarei" d'accordo con Zedef, nel senso che la sillabazione è una caratteristica intrinseca alla lingua e, nello specifico, alla lingua latina (au- di aures è un dittongo di per sè, non perché lo decide il compositore), ma la mia anima freakkettona ci tiene a sottolineare che, comunque, ogni compositore fa quello che vuole. Non solo, da cantante posso testimoniare che i bravi esecutori decidono sempre delle divisioni interne relative alla pronuncia spicciola. Cioè, se ho una bella sillaba "au" su un do che dura due quarti, mi segnerò con la matita dove pronunciare la "u" che chiude la sillaba e lo farò seguendo la divisione ritmica della frase (metti che l'accompagnamento è puntato, magari deciderò di mettere la "u" sull'ultimo ottavo o sedicesimo disponibile) o un mio particolare pensiero interpretativo (potrei sfumare dalla "a" alla "u" passando per la vocale intermedia "o", per esempio). In questi casi avere delle indicazioni da parte del compositore non fa schifo. Nella polifonia vocale sarebbe molto utile, non solo sulle vocali ma perfino sulle consonanti, soprattutto finali. Non c'è una prassi esecutiva codificata per le "esse" finali, per esempio. Le esse hanno una durata e sforano molto, hanno un valore ritmico molto udibile, e capire quanto debbano o possano durare potrebbe essere utile nella costruzione di una frase di polifonia. Stessa cosa per tutte le altre consonanti. Mi viene in mente una frase tipica, "Fac me Crucem custodire". Prendiamo "Fac Me Crucem", dividiamolo in una battuta di 4/4 come Fac-Me-Cru-Cem. Se il tempo lo permette, la "vera" pronuncia di tutti gli elementi fonetici della frase presupporrà una suddivisione molto più complessa. Un solista probabilmente canterebbe così (dividendo in sedicesimi):

Fa-a-a-c/ Me-e-e-Cr/ u-u-u-u/ ce-e-m-m. In un contesto polifonico, però, fonemi come la "c" gutturale di "fac" potrebbero servire come articolazioni ritmiche o fraseologiche. Se dopo un Fac di un quarto ci fosse una pausa sempre di un quarto, allora probabilmente avrebbe senso far durare la "a" solo un ottavo e troncare con la "c" gutturale. E questo perché la scrittura di prima, ovvero fa-a-a-c provocherebbe un fortissimo accento sul quarto sedicesimo, che è tempo debole.

Tutte queste considerazioni, che spesso riguardano gli esecutori, potrebbero proficuamente essere prese in considerazione anche dai compositori (che in genere le ignorano...).

 

Quello su cui sono veramente in disaccordo, però, è il discorso sull' "aghnus".

E' un discorso complesso quindi cercherò di essere schematico.

1) non conosciamo fino in fondo la pronuncia corretta del latino classico. Chi ha fatto latino al liceo o all'università dovrebbe sapere che la nostra pronuncia è errata, poiché molto probabilmente nel latino classico non esisteva la "c" palatale, non esistavo i dittonghi per come li pronunciamo noi e tutte le consonanti e le vocali di derivazione greca venivano pronunciate alla greca. Ovvero, "Caesar" si pronunciava "Ka-e-sar", etc etc.

2) il latino di cui stiamo parlando noi, però, è latino medievale, e il latino medievale non ha mai avuto una e una sola pronuncia. E questo perché non era e non è una lingua morta. E' un discorso particolare, assimilabile a quello sull'inglese di oggi. Ha senso andare in Jamaica e dire ai giamaicani che pronunciano male l'inglese? Il loro inglese è una lingua viva, quasi una lingua autonoma, tanto che i linguisti dividono fra jamaican english e british english. Allo stesso modo, nel 1500 è praticamente certo che i teologi francesi che parlavano latino lo pronunciavano con una serie di "particolarità" fonetiche, tipo gli accenti sulle ultime sillabe, tipo le "c" che invece di essere palatali erano simili alle "s", tipo alcuni dittonghi pronunciati come i dittonghi del volgare francese. Ma ha senso dire che il modo "italiano" è più corretto del modo francese? La risposta è no.

3) in una esecuzione veramente informata, e non fintamente filologica, i criteri di "scelta" di una pronuncia possono essere tanti. Quello più ovvio, e LEGITTIMO, è che si pronuncia nel modo in cui il tuo coro o il tuo solista sono più comodi. Ovvero, cori tedeschi pronunciano alla tedesca (con le "c" che diventano "z"), cori italiani pronunciano all'italiana. Altro criterio potrebbe essere la nazionalità del compositore, e quindi Palestrina si pronuncia all'italiana ma Mozart si pronuncia alla tedesca. Se possibile, un criterio molto "di classe" sarebbe pronunciare secondo quello che la partitura ti chiede... ho cantato mesi fa per MiTo una messa di Cherubini, e l'accentuazione musicale ci ha fatto capire che era tutto "alla francese": matèr, patèr, nostrùm. Ecco, se avessimo voluto avremmo potuto, non so, pronunciare la "u" come una "iu", o i dittonghi "au" come "o". Esempio ancora più lampante è un bellissimo carol di William Walton che ho cantato l'altra sera. Si intitola "Make we joy now in this fest" ed è tutto basato sulle assonanze tra inglese e latino. Le frasi sono metà in latino e metà in inglese, e il latino DEVE essere pronunciato alla inglese altrimenti non ci sono le rime. Ecco uno stralcio del testo

Make we joy now in this fest,

In quo Christus natus est.

Eya, eya.

 

A Patre Unigenitus,

Is through a maiden come to us:

Sing we of Him and say

'Welcome' Veni, Redemptor gencium.

 

Agnoscat omne seculum,

A bright star made three kings to come,

Him for to seek with their presen's,

Verbum supertum prodiens.

 

"A patre unigenitus" va pronunciato con la finale "as" in modo che faccia rima con "is through a maiden come to US", in inglese. Ora, pronunciare queste frasi latine "all'italiana" significa non solo fare una cosa che il compositore non voleva (l'intenzione del compositore è palese, qui), ma distruggere dalle fondamenta l'unica trovata carina di questo pezzo. Ignorando ancora una volta il fatto che nel '500 probabilmente l'inglese in Inghilterra era pronunciato in questo modo e non nel modo che i nostri prof. liceali ci hanno insegnato

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