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Piano Concerto - Forum pianoforte

Elaborazione, narratività e conseguenzialità nella musica


Zaccaria
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Vorrei che lo spunto di Bianca non venisse perso, per cui apro questo topic:

 

Mi chiedo però, come fai a determinare se una "sezione" è "conseguenza" di un'altra o meno?

Inoltre chiedo, allargando il discorso, chi cerca di eliminare la "narratività" (termine fuorviante e non azzeccato secondo me) dalla musica, come si può raffrontare con questo principio?

 

Mi piacerebbe che si proseguisse qui nella discussione. Grazie.

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Come dicevo oggi si è smesso di eliminare la narratività da una composizione musicale. In passato ci hanno già provato e hanno giutamente "pagato" per questo.

 

Secondo me in un brano è fondamentale la coerenza ...la narratività non penso vada ad interferire nel senso che uno può non raccontare nulla ed essere coerente lo stesso.

 

Una cosa si percepisce subito, una strada non è mischiare linguaggi in quanto si va a minare la coerenza... se una delle forze in gioco fosse la tonalità, la coerenza ne risentirebbe ulteriormente perchè la tonalità stessa include la narratività, è congenita nella conseguente "estetica"...

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se una delle forze in gioco fosse la tonalità, la coerenza ne risentirebbe ulteriormente perchè la tonalità stessa include la narratività, è congenita nella conseguente "estetica"...

 

Se tu ripeti una sequenza tonale di 12 note per mille volte la narratività dove la trovi?

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Secondo me in un brano è fondamentale la coerenza ...la narratività non penso vada ad interferire nel senso che uno può non raccontare nulla ed essere coerente lo stesso.

 

 

riporto quanto nell'altro topic:

"Ci sono più sistemi sulla terra che rispettano la "conseguenza" e che non sono coerenti di quante stelle in cielo. A parte questo, anche interpretandola al meglio la tua risposta, non è una risposta. Il concetto di conseguenza non si costruisce su quello di coerenza. "

 

snapback.pngrstrauss, su 03 luglio 2013 - 09:07 , ha detto:

 

 

sono legati da qualcosa, una ripetizione di note, un frammento ritmico, tonalità, una modulazione ecc. ... tanto per citare Frank (in una delle analisi a un mio brano) i 2 temi dovrebberi essere in qualche modo "imparentati".

 

 

Questo ha già più senso e mi pare permetta di proseguire nel ragionamento.


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Se tu ripeti una sequenza tonale di 12 note per mille volte la narratività dove la trovi?

 

Diverse precisazioni, diatonismo è una cosa, tonalità è un altra. La tonalità è una cosa ben precisa:

- armonia per terze

- bipolarità fra tonica e dominante

- funzionalità/gerarchia fra i gradi della scala

- appunto una scala di 7 note (per cui quale sequenza di 12 note tonali)

- Un brano è tonale se si rimane nell'ambito del circolo delle quinte, oltre si può parlare già di tonalità allargata.

 

L'estetica tonale si basa sulla bipolarità che è la base della narratività...che ovviamente si può realizzare anche con altri linguaggi, ma nella tonalità sono una cosa sola (gerarchia/bipolarità).

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Ci sarebbero molte cose da scrivere e non ho molto tempo in questo momento...per cui a caldo....

 

In primis meditarei sul contesto iniziale di un brano (molti ingenuamente lo trascurano). Le prime battute, i primi secondi di musica dichiarano una connotazione fatta da tanti aspetti non di meno il linguaggio, per cui la sua grammatica e le sue regole; scrivo questo perchè è da qui che si è partito. Ognuno può avere le proprie regole, come giustamente faceva notare Bianca, ma le stesse sono dichiarate (per cui è difficle barare).

 

Dal mio punto di vista il compositore non le può disattendere, è come se non mantenesse la parola data (che avvenga in modo consapevole o non consapevole).

 

Esempino: nella classica conferenza inizio a parlare in italiano, faccio tutta una bella introduzione, catturo l’attenzione dei passanti e spettatori e poi faccio un sermone che salta qua e la dal russo al cinese all’aramaico antico. Perdo tutti per diversi ed evidenti motivi...

 

RStrauss parlava di vincoli di parentela, qui secondo me siamo in un’altra sfera, quella dell’elaborazione. Il linguaggio ha le sue dinamiche, nell’ambito di queste si deve muovere lo sviluppo, che può presentare elementi di novità ma nel rispetto del contesto dichiarato/scelto/etc.

Cioè, il linguaggio non può essere l’elemento di novità, altrimenti si finisce nell’esempio della conferenza.

Prendendo qualsiasi opera di un grande maestro, si troveranno sempre tante idee imparentate e raccontate (presentate e sviluppate) magistralmente in un contesto.

 

Il topic recita anche narratività. La narratività è quella capacità della musica di essere ricordata, se non possiede questa capacità la narratività decade. Ci sono tanti modi per realizzare ciò, prima del ‘900 si faceva nella tonalità usando appunto lo stracitato bipolarismo. Non è l’unico modo e i codici sempre più personali nel ‘900 hanno fornito tanti esempi.

 

Il punto è che in musica non sempre il codice è dissociato dall’estetica, anzi, spesso c’è uno stretto legame tale che capita spesso che si ricada nel gioco dei richiami stilistici. Se lo si fa in modo unitario allora c’è connotazione, senso, etc. … se lo si fa senza criterio o un apparente criterio (se però non arriva l’apparente conta poco) i risultati sono deludenti o comunque non all’altezza dell’aspettativa, che ripeto, nasce dal contesto stesso.

 

Personalmente parlando, ci sono tanti addetti ai lavori che trovano noioso Beethoven, altri Mozart, altri Chopin, ognuno con le proprie sacrosante motivazioni …ma il punto non è questo, il punto è scrivere un brano coerente, unitario, che non disattende le aspettative, che mantiene le promesse fatte, che diventa interessante. E questo non avviene tramite la schizzofrenia linguistica ma tramite un grande lavoro di scelta e rinuncie sulle possibilità che il materiale stesso fornisce e può fornire…e ovviamente la propria capacità elaborativa, al servizio della propria estetica …raccontando o non raccontando qualcosa.

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Argomento interessante e complesso, su cui moltissimi hanno riflettuto. Parlarne in modo esaustivo è quasi impossibile...

Vorrei però concentrarmi un attimo sui termini, per fare dei distinguo che mi sembrano giusti.

1) La SINTASSI, ovvero la regola di articolazioni di unità armoniche o melodiche, esiste in quasi tutti i sistemi compositivi. Nella modalità, nel contrappunto, nella tonalità ci sono regole che dicono quali accordi potrebbero stare bene dopo ogni accordo o che, comunque, studiano gli effetti diversi di diverse successioni. Ricordiamoci, però, che quasi nessuna sintassi è veramente normativa. Ovvero, non esistono obblighi che non sono mai stati disattesi.

2) La sintassi di molti sistemi compositivi è TELEOLOGICA, individua, cioè, delle tensioni che portano verso una meta il discorso musicale. Le tensioni verso la tonica o verso la finalis sono un esempio di teleologia. Ma esistono modi diversi di affrontare questa teleologia. Possiamo usare la solita logica triadica di tesi-antitesi-sintesi, tipica della forma sonata. La "negazione", costituita dalla modulazione sulla dominante, non è altro che una "tensione" che ci porta in modo più forte alla tonica. Ma non tutte le teleologie sono così nette. Le svariate cadenze che precedono la cadenza alla finalis in un corale, per esempio, non creano "tensione" in senso puro, non sono tensive verso la finalis. Sono solo distrazioni, dal punto di vista della teleologia...

3) Come conseguenza al punto precedente, bisogna sforzarsi di distinguere tra TELEOLOGIA e NARRATIVITA'. Una composizione può essere narrativa anche se non ha un punto di arrivo. E viceversa. Nella storia dell'armonia il più grande smacco alla teleologia, e alla sintassi tonale, è la defunzionalizzazione degli accordi tensivi, soprattutto delle settime. Ovvero, un accordo che dovrebbe portare alla tonica, a un certo punto impazzisce e porta da un'altra parte. Paradossalmente queste defunzionalizzazioni ci hanno regalato alcune delle composizioni più narrative della storia, visto che la vita, lo sappiamo bene, non è sicuramente una strada dritta con una bella chiara e gigantesca meta prestabilita. Escludendo la morte, ovvio. Se la teleologia individua una meta, la narratività dovrebbe individuare e rendere sensato un percorso.

4) dal punto precedente, arriva un'altra conseguenza, delineata anche da Frank. La narratività non è solo armonica, non è fatta solo di tensioni e funzioni armoniche, ma è più complessa. Il ruolo della RIPETIZIONE, per esempio, è fondamentale. Ed è in un discorso "tra" teleologia e narratività che si situa il concetto di ELABORAZIONE. Perché, ricordiamoci, elaborare un elemento musicale non serve a raggiungere la meta, ma a ritardare il raggiungimento, a creare un percorso. Anzi, paradossalmente, se consideriamo il fattore ripetitivo dell'elaborazione, riformulante, potremmo dire che la variazione è esplicitamente un metodo per forzare il versus temporale della musica.

5) Questo è un punto che suscita molto i miei interessi, e che è un po' alla moda. La musica è l'arte del tempo, si dice spesso. Ma da sempre i compositori hanno cercato di variare il flusso temporale, di forzarlo, fin quasi abolendolo o rigirandolo al contrario. Canoni inversi, forme ritornellate, cicli lunghissimi di variazioni, bassi ostinati, sono tutti mezzi musicali che possono facilmente essere interpretati come forzature della temporalità naturale di un brano. La TEMPORALITA' dovrebbe essere la dimensione temporale suggerita da un pezzo musicale, ed è diversa dal TEMPO, che è cronometrico. Giocare con la sintassi, con il ritmo (soprattutto quello armonico), con la teleologia serve ad influenzare le nostre percezioni temporali, ed è un gioco che è stato fatto molto spesso dai compositori, soprattutto nel '900.

6) Ci sono composizioni che criticano la teleologia, composizioni che criticano la narratività e composizioni che criticano entrambe, o nessuna delle due. In senso generale è sempre bene ricordare che ci sono anche opere liriche dodecafoniche (non seriali, a quanto mi risulta...) e che cose come il tematismo, l'elaborazione, la variazione, sono ampiamente utilizzabili in sistemi non tonali.

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Argomento interessante e complesso, su cui moltissimi hanno riflettuto. Parlarne in modo esaustivo è quasi impossibile...

Vorrei però concentrarmi un attimo sui termini, per fare dei distinguo che mi sembrano giusti.

1) La SINTASSI, ovvero la regola di articolazioni di unità armoniche o melodiche, esiste in quasi tutti i sistemi compositivi. Nella modalità, nel contrappunto, nella tonalità ci sono regole che dicono quali accordi potrebbero stare bene dopo ogni accordo o che, comunque, studiano gli effetti diversi di diverse successioni. Ricordiamoci, però, che quasi nessuna sintassi è veramente normativa. Ovvero, non esistono obblighi che non sono mai stati disattesi.

Le regole sono fatte per essere disattese ... puoi plasmare una forma sonata e renderla diversa, cambiare gli elementi, spostarli ... ma la coerenza e la misura secondo me ci devono sempre essere.

 

3) Come conseguenza al punto precedente, bisogna sforzarsi di distinguere tra TELEOLOGIA e NARRATIVITA'. Una composizione può essere narrativa anche se non ha un punto di arrivo. E viceversa. Nella storia dell'armonia il più grande smacco alla teleologia, e alla sintassi tonale, è la defunzionalizzazione degli accordi tensivi, soprattutto delle settime. Ovvero, un accordo che dovrebbe portare alla tonica, a un certo punto impazzisce e porta da un'altra parte. Paradossalmente queste defunzionalizzazioni ci hanno regalato alcune delle composizioni più narrative della storia, visto che la vita, lo sappiamo bene, non è sicuramente una strada dritta con una bella chiara e gigantesca meta prestabilita. Escludendo la morte, ovvio. Se la teleologia individua una meta, la narratività dovrebbe individuare e rendere sensato un percorso.

questo mi stuzzica ... è l'aspirazione di tutti i compositori ... creare qualcosa di inaspettato che susciti interesse/sorpresa ecc. pur restando all'interno del proprio stile.

 

4) dal punto precedente, arriva un'altra conseguenza, delineata anche da Frank. La narratività non è solo armonica, non è fatta solo di tensioni e funzioni armoniche, ma è più complessa. Il ruolo della RIPETIZIONE, per esempio, è fondamentale. Ed è in un discorso "tra" teleologia e narratività che si situa il concetto di ELABORAZIONE. Perché, ricordiamoci, elaborare un elemento musicale non serve a raggiungere la meta, ma a ritardare il raggiungimento, a creare un percorso. Anzi, paradossalmente, se consideriamo il fattore ripetitivo dell'elaborazione, riformulante, potremmo dire che la variazione è esplicitamente un metodo per forzare il versus temporale della musica.

avevo incontrato questo aspetto studiando il notturno op.55 in fa minore di Chopin. Le battute 2-3 si ripetono per 5 volte in una pagina, sopratutto all'inizio 4 volte una dopo l'altra.

L'insegnante mi disse : non le puoi suonare tutte uguali sarebbe noioso ... le note sono sempre le stesse.

In questo caso tutto è lasciato all'interprete ... Chopin ha scritto le stesse note a parte una piccola acciaccatura ... come la mettiamo ?

O Chopin era troppo avanti o i romantici avevano già pensato a quanto detto da Thallo.

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Perché, ricordiamoci, elaborare un elemento musicale non serve a raggiungere la meta, ma a ritardare il raggiungimento, a creare un percorso.

 

Chi sa Webern come si cala in questo discorso con la sua aforisticità...ecco perchè si è estinto :D

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dire che Webern si è estinto, poi... è uno dei compositori che ha influenzato maggiormente le generazioni dopo di lui!

@RStrauss, non sono un grande conoscitore di Chopin, ma da tempo immemore quello che si scrive non si scrive mai per caso. Le idee fisse, gli ostinati, i cantus firmi sono presenti da secoli nella nostra musica, e se vuoi sottolineare la loro presenza devi giocoforza affrontare la ripetizione con... rispetto. A me la ripetizione piace, da ascoltatore, e a volte mi piace sentirla uguale uguale. A me piace il minimalismo, non per caso.

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ho letto con molto interesse questa discussione. ma a volte, quando cominciano a volare 'paroloni' tendo spesso a fraintendere i concetti. ho trovato molto illuminante l'intervento di thallo, a cui faccio ora riferimento. parlando dei concetti di TELEOLOGIA e NARRATIVITA'...giusto per capire se ho inteso bene i concetti:

 

TELEOLOGIA = concetto 'vitale' che caratterizza il linguaggio utilizzato (p.es. contrapposizione tonica-dominante bimodale, per il sistema tonale; degerarchizzazione dei suoni per la dodecafonia seriale; ecc.)

 

NARRATIVITA' = percorso coerente che si identifica nella forma (fuga, sonata, improvviso, variazione, ecc.)

 

le cose stanno sostanzialmente così?

 

ScalaQuaranta

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NARRATIVITA' = percorso coerente che si identifica nella forma (fuga, sonata, improvviso, variazione, ecc.)

 

Non è detto...scrivevo appunto che la narratività è quella capacità della musica di essere ricordata. Non è la forma a decidere questo, o meglio, può essere usata come ingrediente per perseguire l'obiettivo di narrare...o meno.

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Non proprio, almeno non nel mio discorso.

Teleologia significa, letteralmente, discorso orientato ad un fine, ad un obiettivo. Si dice spesso che la visione storica del cristianesimo è teleologica, perché pensano che la storia sia orientata verso l'apocalisse e la resurrezione. In teoria la teleologia parla di "un" fine, non di "una" fine.

Il sistema tonale classico è teleologico perché la sua sintassi dovrebbe avere un obiettivo finale. L'obiettivo è la risoluzione di tutte le tensioni sulla tonica. Non è teleologico perché ci sono le tensioni ma perché si sente o si dà per scontato che quelle tensioni si risolveranno. Da qui, tutta una serie di teorie compositive, analitiche e dell'ascolto che tirano in mezzo l'attesa, la costruzione dell'attesa e il discorso direzionato in avanti. Negli ultimi anni del '900 una corrente musicologica statunitense chiamata in modo generico "New Musicology" ha iniziato a parlare di teleologia criticandola. E paragonandola, in chiave strutturalista, all'orgasmo maschile :-) ovvero una costruzione progressiva della tensione (armonica, melodica, espressiva) che porta ad un culmine finale. Il punto è che questo NON E' l'unico modo di scrivere musica. Un rondò, con la sua costruzione ripetitiva, è teleologico solo fino ad un certo punto; il lunghissimo duetto del secondo atto del Tristano e Isotta non è affatto teleologico, almeno non in senso macro-formale; molta musica da danza non è teleologica, moltissima musica antica non lo è; la musica modale lo è solo in parte, proprio perché alcune tensioni sono vissute in maniera meno strutturante che nel sistema tonale, cioè, per esempio (come dicevo), la sequenza delle cadenze non è regolata dalle funzioni tensive, secondo il circolo delle quinte ascendente, insomma.

La narratività, invece, è una caratteristica meno tecnica e più metaforica. Tu l'hai definito come un percorso coerente che si identifica nella forma. Tradizionalmente può essere giusta come definizione, ma tra le forme andrebbero inserite anche le microforme. Non è la forma sonata "ebbasta" che rende narrativa una composizione (per quanto la forma sonata sia molto narrativa), è l'uso del tematismo, dello sviluppo, dell'organicismo, della processualità. L'uso dei Leitmotive in Wagner, per esempio, non è legato a delle forme. Ma le sue opere sono narrative in un modo profondissimo proprio perché, a prescindere dalla forma, c'è un continuo sviluppo delle idee musicali. La carica narrativa di un brano si sviluppa anche con il timbro, caratterizzando uno strumento o un gruppo di strumenti. Magari cercando da qualche parte troverei una bella definizione, ma forse potrei definire la narratività come la capacità di un brano musicale di trascinare l'ascoltatore in un percorso forzato.

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Dimenticavo, per questo

TELEOLOGIA = concetto 'vitale' che caratterizza il linguaggio utilizzato (p.es. contrapposizione tonica-dominante bimodale, per il sistema tonale; degerarchizzazione dei suoni per la dodecafonia seriale; ecc.)

La degerarchizzazione è stata operata sui gradi della scala, perchè su quella avveniva... ma alla fine la bipolarità si è spostata sulle altezze...per cui in opere dove la dodecafonia è diventata più matura, trovi lo stesso due poli contrapposti, rappresentati appunto da certe altezze.

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Non è la forma sonata "ebbasta" che rende narrativa una composizione (per quanto la forma sonata sia molto narrativa), è l'uso del tematismo, dello sviluppo, dell'organicismo, della processualità.

Esatto, per Scala, puoi usare una forma sonata ma nella ripresa usare una tecnica di sviluppo del materiale (appunto materiale e non tema) che te lo rende irriconoscibile ... nonostante lo stesso mantenga tutta una sua coerenza interna.

 

A orecchio probabilmente non riconosceresti neanche la ripresa ma concettualmente quella forma ha organizzato il tuo materiale. Per cui rimane una forma sonata...non narrante :)

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Vorrei ricapitolare un attimo per capire quali sono le possibili risposte al quesito di partenza.

 

Sono state definite:

la narratività come “la capacità di un musica di essere ricordata” oppure come “percorso”;

la sintassi come “l’insieme di regole di successione”;

la temporalità definita come “dimensione” (soggettiva o oggettiva?).

 

Da qui però non mi è molto chiaro quale potrebbe essere il criterio che stabilisce “se una sezione è conseguenza o meno di un’altra”.

Lo è se rispetta la sintassi? Ma le regolo possono essere disattese… allora lo è se la rispetta un pochettino, fino ad un certo punto?

Lo è se rispetta la narratività? Oppure se è in grado di suggerire una dimensione temporale?

 

Mi pare tuttavia che, a questo stadio, se ci si deve basare solo su queste premesse la prima definizione risulti ancora troppo debole, la seconda troppo ampia, la terza bivalente.

Il concetto di telos è anche interessante, ma credo possa aiutare solo lateralmente.

È possibile dire qualcosa di più o ci si deve accontentare? Non sarebbe forse meglio prima capire cosa si intende (o cosa vogliamo intendere) con il termine “conseguenza”?

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È possibile dire qualcosa di più o ci si deve accontentare? Non sarebbe forse meglio prima capire cosa si intende (o cosa vogliamo intendere) con il termine “conseguenza”?

 

Facciamolo. Cioè, proponi.

Io penso che rischiamo di sfociare nel nominalismo. Ci sono termini tecnici e ci sono termini non tecnici. "Conseguenza" non è un termine tecnico, quindi possiamo definirlo solo in modo vago, relativo ai NOSTRI intenti (analitici, compositivi o quello che è) o riferendoci a qualche definizione di altri. "Conseguente" è un termine relativo alla fraseologia musicale, quindi forse possiamo adattare il termine "conseguenza" alle caratteristiche degli elementi conseguenti. I termini conseguenti, siano essi frasi, semifrasi, temi, sono conseguenti in presenza di un antecedente. Questa dinamica è presente in modo molto forte nel classicismo, ma in realtà fa parte anche della sintassi della fuga (dux e comes sono antecedente e conseguente, anche se in una dimensione contrappuntistica e non melodica in senso stretto). In questi sistemi compositivi di riferimento, è ben chiara la presenza di un prima e di un dopo, e di elementi che hanno senso (o aumentano il proprio senso) nella loro posizione di prima o dopo. Definire questo senso è un'operazione analitica, parte da dati di fatto, cioè, mi trovo un periodo e sono io a dover capire quali legami ci siano tra antecedente e conseguente. La storia della composizione dà degli esempi, un "frasario", ma non limita le possibilità. Immagino che questo frasario possa comprendere le infinite tecniche di sviluppo (trasformazione in arpeggi, in scale, frasi a specchio, progressioni e Fortspinnung etc...), ma in una logica triadica di tesi-antitesi-sintesi, potrebbero anche non esserci legami forti tra antecedente e conseguente. Ed è qui che una necessità narrativa, quella dello scontro tra due elementi, rende di fatto coerente l'avvicendarsi di elementi non derivati l'uno dall'altro. Forse "avvicendarsi" non è uguale a "conseguirsi", ma neppure "derivare" è uguale a "conseguirsi". Cioè, i legami tra antecedenti e conseguenti sono legami la cui forza varia rispetto alle libere scelte di ognuno. I termini dell'analisi musicale, come della composizione, non sono scritti nel marmo, hanno sempre un margine di interpretazione.

Ed è da questo che prendo la mia risposta agli altri tuoi quesiti.

 

la narratività come “la capacità di un musica di essere ricordata” oppure come “percorso”; (...)

 

Mi pare tuttavia che (...) la prima definizione risulti ancora troppo debole,

 

quando ho letto usare il termine narratività, l'aggettivo narrativo, e quando ho letto usare nuovi spunti analitici nel campo della "narratologia", ho sempre considerato la debolezza delle definizioni come un vantaggio. Si parla di uno scenario analitico molto ampio, poco normativo, che di volta in volta tira fuori nuovi conigli dal cappello. Io non sono un esperto, non mi è mai capitato di usare tecniche di narratologia, ma so che esiste anche lì un "frasario" di archetipi narrativi utili ad interpretare alcune dinamiche del discorso musicale. Ci sono dei dogmi iniziali a cui devi cedere, probabilmente. Devi "credere" che esistano delle forme narrative nella musica, anche quando nessuno le ha coniate nella storia della composizione, oppure devi credere che gli esseri umani percepiscono secondo forme narrative, e che quindi anche quando non c'è una specifica volontà del compositore rimane una struttura percettiva in un certo senso "gestaltica" che incasella quel discorso.

Forse potrei riformulare la definizione dicendo che la narratività è la capacità di un discorso musicale di adattarsi a degli archetipi narrativi, siano essi volutamente intesi dal compositore o fisiologici all'atto dell'ascolto.

 

la sintassi come “l’insieme di regole di successione”; (...)

 

la seconda troppo ampia,

 

su questo non sono d'accordo. La seconda è, anzi, fin troppo stringente, perché non esiste solo una sintassi prescritta, ma anche una sintassi "de facto". Io posso dire che ad un accordo di dominante non dovrebbe seguire un accordo di sottodominante, ma in realtà esistono milioni di casi in cui questo avviene. Anche nelle teorie della composizione la normatività è labile, e ovviamente lo è ancora meno nell'analisi. Per allargare ancora di più la mia definizione di sintassi potrei semplicemente dire che la sintassi è la regola che soggiace alle sequenze di elementi musicali (siano esse regole prestabilite o regole di fatto). Si parla spessissimo di sintassi armonica, ma esistono sintassi melodiche, sintassi formali, sintassi agogiche (ci sono delle regole, scritte e non, che definiscono dove rubare, dove rallentare, dove accelerare), sintassi espressive, sintassi dinamiche. Per comprenderle tutte mi sembra giusta una definizione vaga.

 

a temporalità definita come “dimensione” (soggettiva o oggettiva?). (...)

 

la terza bivalente.

 

e tu sei pignola...

in un senso stretto, neppure il tempo è oggettivo. Ho detto (perché l'ho detto) che tempo e temporalità sono cose diverse e la temporalità è sicuramente soggettiva. Come molte soggettività inerenti alla musica, però, è, a volte, condivisa (non esiste solo soggettività e oggettività). Perché? Ogni volta per ragioni diverse. E' dimostrato che esistono meccanismi percettivi che creano un legame temporale tra l'ascoltatore e i pezzi musicali, soprattutto in presenza di alcuni specifici elementi musicali. L'effetto di trascinamento provocato dai ritmi ossessivi agisce in modo quasi inconscio e interviene in modo considerevole nell'elaborazione di una temporalità. Elaborazione, proprio perché rimane, comunque, un meccanismo soggettivo legato all'ascolto.

Modificato da thallo
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Peccato che si può mettere un solo like, perché l'ultimo post di Thallo ne meriterebbe almeno tre :)

"Conseguenza" non è un termine tecnico [...]. "Conseguente" è un termine relativo alla fraseologia musicale [...].

Aggiungo solo un paio di cose.

Prima che lo faccia notare Carlos (che sull'italiano è giustamente pignolo), bisognerebbe correggere il titolo del thread: non si dice conseguenzialità, ma consequenzialità. Di per sé, poco male! Però, riflettendoci meglio, è necessario chiarire un punto: in musica, diciamo in una costruzione musicale classica (narrativa, teleologica, ecc.), un nesso fra differenti idee è valido perché la seconda idea è una conseguenza della prima, oppure perché la prima e la seconda idea sono in sequenza?

Lo so, sto giocando con i termini. Però capita spesso di incappare in un equivoco (corroborato da certe pagine di Schönberg): la coerenza sarebbe determinata dalla possibilità di ricondurre la seconda idea alla prima tramite qualche processo di derivazione motivica, grazie alla presenza di qualche elemento comune. Questo talvolta è vero (è senz'altro il caso dei due temi dell'op. 117 n. 2 di Brahms), ma nella maggior parte dei casi non si tratta di una necessità: il secondo tema di una forma-sonata è legato coerentemente al primo tema non perché deriva da esso, ma perché fa parte di un percorso comune, e proprio nell'ambito di questa "traiettoria" trova una propria funzione - armonica fraseologica emotiva... - completamente diversa eppure organica a quella del primo tema (se il pezzo è riuscito!).

 

Per fare un esempio famosissimo: quando il secondo tema dell'ottava Sinfonia di Schubert si blocca all'improvviso sulla dominante, per una battuta di silenzio cui segue un ancora più inatteso ff sulla sottodominante minore - un evento che diventa sempre più sconvolgente ogni volta che lo si riascolta - mi sembra che la forza di questo nesso sia determinata proprio dalla deliberata non consequenzialità. Si potrebbe invece parlare di logica narrativa: imprevedibile interruzione dell'idillio - colpo di scena - niente è più come prima!

 

(Eppure, ci sarà sempre qualcuno che osserva: questo passaggio è coerente perché è basato sulla quinta discendente, come il primo tema!).

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Facciamolo. Cioè, proponi.

 

Volentieri, purché

e tu sei pignola...

 

non voglia dire: "noi sappiamo già tutto, quindi ogni precisazione la prendiamo come un puntiglio", nel qual caso va da sé che sarebbe inutile. Poi magari ho condensato un po' troppo il precedente messaggio.

 

Supponiamo che io sia qualcuno che non sa nulla di teoria musicale, né di analisi, né di musicologia, come in effetti sono. Se sento dire o leggo che le parti di un opera musicale devono avere un certa consequenzialità, è lecito che ponga delle domande fino a che non mi si chiarisca il significato dell'affermazione.

Potrei per esempio rovesciare la domanda e chiedere: ma cosa può mai stabilire che B non sia "conseguenza" di A, o più "debolmente", che una sezione non c'entri con un'altra? In questo modo forse l'esigenza di una risposta "non troppo vaga" diventa più cogente.

Se la risposta alla fine fosse: "lo stabiliscono gli esperti" allora dovrei arrendermi, a meno di non voler studiare un poco per diventare una di loro, nel qual caso quelli che mi precedono saranno obbligati (per modo di dire) a darmi i chiarimenti.

 

Io credo che “l’indebolimento” di una teoria vada spesso a tutto vantaggio della stessa, ma non prima che questa sia acquisita con fondamento. Questo in tutti i campi. Io posso benissimo accettare di definire un concetto in modo impreciso, purché sia consapevole del fatto di poter essere chiamata a dare un’ulteriore precisazione quando me ne sia chiesto conto, oppure sia consapevole del fatto che quel concetto sia di per se impreciso e che quindi non lo posseggo veramente. In effetti sono pochi i concetti umani fondati di questa seconda specie.

 

Dire per esempio che “conseguenza” è definibile solo in modo “vago” significa o non conoscere il significato del termine o non possederne il concetto. Inoltre è storicamente falso. La definizione di questo termine è uno dei più grandi successi della storia del pensiero umano. Uno può anche non condividerlo, criticarlo o migliorarlo, ma deve almeno prima conoscerlo. Il ragionamento umano è per gran parte di tipo “inferenziale”. Persino il ragionamento “associativo” si potrebbe leggere da un punto di vista inferenziale.

Con ogni probabilità quindi tu intendevi che il termine è un termine vago in campo musicale. Certo non esiste nei testi di teoria musicale una sua definizione (almeno a quanto ne so). Ma dobbiamo allora pensare di dargli un altro nome. Il che porterebbe la risposta alla domanda del topic ad essere:

“in musica non si può stabilire se B è conseguenza di A, oppure non lo è.”

Se così stanno le cose, però, dobbiamo accettarne tutte le conseguenze (conseguenze?!?, di nuovo?, oh no!) e non potremo mai utilizzare questo come criterio di costruzione o di valutazione di un’opera musicale.

Altrimenti dovremo sforzarci (noi o qualcun altro più bravo e in grado di noi) di perfezionare la nostra conoscenza fin dove è possibile (ossia sempre). Come fai tu nel tuo discorso, per esempio, con spunti interessanti. Se interpreto bene quello che dici, spetta all’ascoltatore stabilire il legame tra antecedente e conseguente, sulla base di un “frasario” messo a disposizione dal repertorio (idea tra l’altro che ha una certa letteratura a sostegno, molto stile common law diciamo), non esaustivo e non vincolante. In questa “apertura” io ci vedo positivamente la possibilità di ampliamento del suddetto “frasario”. E questo è senz’altro un bene dal mio punto di vista, anche perché chiama in causa la possibilità di una definizione “ricorsiva” (tutta da verificare comunque) almeno di una parte del problema (e le definizioni ricorsive sono definizioni fondate). Tuttavia la solita amica ignorante potrebbe insistere e chiederti o chiedermi ancora:

“ma questa apertura chi la convalida? Se è qualcosa che non rientra nel frasario (semplifico tenendo le parti della mia amica ignorante), o si può dedurre da esso in qualche modo oppure chi decide che va bene?”

E allora siamo di nuovo punto accapo a chiederci perché ci dovrebbe essere qualcuno più nobile di me a decidere se qualcosa va bene o meno. Perché ha più gusto? Perché a più soldi e quindi paga per questo piuttosto che per quello (ipotesi per altro non avulsa dalla realtà)? Perché ha più “esperienza”? Io non sarei contenta di una cosa del genere a meno di non accettare in un modo o nell’altro di nuovo che:

“in musica non si può stabilire se B è conseguenza di A, oppure non lo è.”

 

Purtroppo molte persone che amano la musica si sentono in qualche modo protette nei confronti della prepotenza del rigore da quella che loro pensano essere la natura della musica stessa. Dico purtroppo perché questo genere di persone (perdonami la locuzione che detesto) crede erroneamente che il rigore sia una gabbia per la fantasia, mentre è tutt’altro e questo più di ogni altra cosa al mondo è proprio la musica ad insegnarlo. Ora io non parlo del rigore nell’applicazione delle regole di armonia e contrappunto o di altre come quelle da te citate, ma del rigore nella ricerca e nella comprensione. È un atteggiamento che si percepisce bene soprattutto nelle discussioni in materia. Molti dialoghi e confronti, per non dire tutti, sfociano in una lotta di opinioni che, quando va bene, si accomoda su questioni di gusto. E dietro a questi procedimenti si nasconde sempre il presupposto che tanto in musica non si può dimostrare niente, che non esiste un metodo “scientifico” per dirimere le questioni, perché tanto

“in musica non si può stabilire se B è conseguenza di A, oppure non lo è.”

E allora tutto viene portato davanti al tribunale degli “esperti”, poiché da essi in definitiva viene la legge, e tali “esperti” a loro volta formano schiere di altri “esperti”, e il gioco si ripete.

 

Ora intendiamoci, potrebbe essere davvero così, che la musica debba rimanere per sempre, nei suoi più intimi recessi, relegata alla sfera dell’opinione e dell’autorità. Tuttavia io spero che la ricerca procederà ancora, con o senza di me, sino a quando almeno questa proposizione si presenti non come un dogma, ma come un dato di fatto, se non provato, almeno fondato. Fino ad allora asseconda anche chi ti sembra pignolo, perché probabilmente costui agisce con buone intenzioni. Ma soprattutto, fino ad allora, chiunque ami davvero la musica, non commetta l’errore di credere che, se qualcuno mai potrà stabilire con un calcolo che B è davvero conseguenza di A e che C invece davvero non può esserlo, questa prova e questo calcolo renderanno la musica grigia e prevedibile, perché è proprio il contrario. Dal mio canto posso solo dire che, se dovessi vedere arrivare quel giorno, io smetterei da subito di amare la musica perché vedrei il suo mondo inesorabilmente rimpicciolito.

 

Io capisco bene che è fin troppo facile venir fraintesa e la colpa è senza dubbio tutta mia, perché non posso che dare per scontate, consapevolmente, cose che invece non lo possono essere. Ma se l’intenzione è quella di accrescere la nostra consapevolezza, come ho più volte detto, questo è un problema superabile (non facilmente, ma superabile). Quello che io pensavo venisse fuori dalla discussione è il “contrasto” che il termine narratività porta nei confronti del termine “conseguenza”. Questo perché muovo probabilmente da definizioni di partenza che non sono in questa sede condivise. Il termine narratività, che non è un termine di origine musicologica così come non lo è il termine conseguenza, parla di un aspetto ermeneutico dell’oggetto (detto male, non indica solo la narrazione ma anche la sua interpretazione), laddove la conseguenza parla di un aspetto logico. Se tu (tu generico) non distingui queste due dimensioni, finisci per confondere la conseguenza con la narratività e a dare di questa definizioni vaghe e troppo deboli, anche se molto indicative di un “preconcetto”. Il fatto che la narratività sia definita come la caratteristica della musica di essere ricordata è topico: in essa vi è tutta la commistione con la consequenzialità e il legame che entrambe hanno con il tempo e con la temporalità. Dal mio punto di vista questa riduzione è percorribile con senso nella narrativa, nel teatro o in (parte della) poesia. Meno nella musica. Voglio dire che nella musica è un grosso rischio attuare questa confusione, proprio perché ci si costringerebbe a rinunciare a priori a una dimensione che è potenzialmente di una fertilità e di una vastità sterminate. Proprio quella dimensione mancando la quale, come dicevo prima, io vedrei sgonfiarsi d’un fiato questo mondo. Pensa se a un gabbiano dicessero improvvisamente che può volare solo su di un piano!

 

Per quanto riguarda il tempo vale un discorso corrispettivo, che mi pare dal tuo accenno, tu comprenda e sia in grado di sostenere. Tuttavia non è un discorso parallelo, ma strettamente connesso. La mia considerazione poteva suonare anche provocatoria, ma ti assicuro che è il punto su cui finora ho trovato più convergenza.

 

Quindi il mio suggerimento è quello di non rinunciare a quella distinzione, e di sforzarsi di capire come poter fare per non rinunciarci. Non so, spero di aver reso chiara la mia “proposta”. Se non lo è posso provare a fare di meglio, se non sembra sensata, pazienza e peccato.

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Il tuo commento è molto articolato.

Ma mi preme chiarire subito una cosa:

1) io non sono stato aggressivo con te. Ma ho la sensazione chiarissima (qui come nella discussione su Beethoven) che tu sia aggressiva con me. Per quale ragione? Ho detto che sei pignola e hai risposto che "noi" sappiamo tutto. Mi sembrano livelli diversi. Io non sono qui a pontificare, metto a disposizione le cose che so, e decine di volte i miei messaggi contengono la frase "non sono un esperto". Perché non mi considero un esperto di nulla. Sono aperto alle discussioni, ma non mi piacciono i commenti incentrati alla demolizione di miei messaggi. E' anche per questo che ho iniziato il precedente intervento con un pacato "proponi".

2) sono intervenuto in questa discussione senza aver partecipato a quella di cui questa (mi pare di capire) è una propaggine. Solo ora dal tuo commento capisco che c'erano dei precedenti. Non ne ero a conoscenza.

3) nei tuoi messaggi noto una certa sistematicità. Sarei curioso di capire che studi svolgi o hai svolto. Ci sono molte cose in questo tuo ultimo messaggio, molte elementi metodologici, che cozzano con il modo di trattare tipico della musicologia. Mi piace chiarire le questioni, non per questo parlo ex cathedra, ma in definitiva capire quale sia il tuo background potrebbe aiutarmi a mostrarti un punto di vista diverso.

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