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Piano Concerto - Forum pianoforte

Alla fine del concerto


Kappa
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La prima sonata di Boulez è così.

Il giusto programma l'ha scritto il giusto programmatore :D

Xenakis:

Per quel che riguarda Feldman che ti posso dire, un brano da 25 ore è per me una tortura, qualunque autore lo componga. Ma come ho detto, Feldman non è solo questo, poi può naturalmente non piacere. Ma se ti basta l'esperienza di Gerardo per giudicare un compositore allora non ti piace nemmeno Britten perchè a me non piace! :P

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In realtà a me Feldman piace molto ed ho quasi tutte le sue partiture in PDF, per cui il post di Gerardo ha solo sottolineato qualcosa che fa riflettere. Il fatto che mi piaccia non mi vieta di riconoscere che la logorrea può tediare...e non parlo di me che sono particolarmente masochista :)

 

In realtà anche a me Britten non piace...ma è molto equilibrato e si lascia seguire comodamente...

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Pian pianino si aggiungono nuovi elementi. La butto li, cosa sapete o pensate della moglie di Verdi e del suo rapporto con il maritino?

 

:D

 

... per Micamahler, con calma tornerò su Scelsi, il minimalismo, etc. ...perchè c'è ancora da confrontarsi sul tema della ripetizione

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Non so se sai cos'è la musica algoritmica? L'IRCAM, di cui si è fatto cenno da qualche parte, ha ricostruito con un solo algoritmo brani tipo l'opera 27 di Webern

 

Quando ho posto la seguente domanda al mio maestro: "sarebbe carino sperimentare la cosa con autori tipo Brahms, Beethoven, etc.", mi ha risposto testuali parole...l'algoritmo non funziona con la tonalità perchè è una musica fatta di eccezioni. Dal mio punto di vista per assurdo la tonalità diventa musica più interessante di altre perchè nonostante sia tutto previsto è sempre nuova e imprevedibile (ad essere capaci)...invece chiunque può essere Webern. Non parlo come spessore culturale, ma sicuramente con il giusto programma uno può scrivere l'opera 27. Ce ne sono altre di opere ricostruite da algoritmi, mi sembra qualcosa di Ligeti e di Boulez.

 

Giusto 2 parole: un algoritmo è una serie di passi per ottenere un certo risultato. Una ricetta può essere (ed è) essa stessa un algoritmo. Il vero algoritmo l'ha scritto Webern....qualcun altro l'ha solo ricostruito. Diverso sarebbe stato se qualcuno avesse scritto l’opera 27 di turno tramite un algoritmo.

 

Detto per inciso, con Open Music puoi scrivere anche musica tonale( e nel codice esistono anche le eccezioni). Di sicuro trovare un algoritmo di un brano già scritto è più difficile che crearne un ex-novo, praticamente la composizione algoritmica nasce per scrivere e non per analizzare.

 

Giusto per completezza, se non sbaglio L’IRCAM aveva messo in cantiere di occuparsi anche di Bach (un bel progetto, ma non so come è finito)….e a completamento di quello che ha detto il tuo maestro, posso dirti che alla fine forse non ne vale neanche la pena ricostruire l’ algoritmo di una composizione tonale in quanto scopriresti cose che già sai….

 

Comunque trove interessanti le considerazioni

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x Ilenia

 

No, non sapevo cosa fosse la musica algoritmica, e nemmeno che esitesse l' IRCAM. Prima di scrivere questo messaggio ho dovuto prendere una minima nozione di ciò (anche grazie a Frank).

Devo dire che il mio scetticismo rimane: quello scetticismo che mi ha fatto scrivere "musica" (tra virgolette) nel mio messaggio precedente a proposito di quelle cose-sperimentali il cui fine principale è sperimentare.

 

Se la composizione algoritmica nasce per scrivere, come appena scritto da Frank, questa cosa mi pare come un 'sub-appalto' del lavoro di composizione.

 

Si potrebbe dire che l'utlizzo di mezzi altamente tecnologici in grado di produrre una certa quantità di 'materiale semi-lavorato' sia inaccettabile per chi ha un'idea romantica dell'eleborazione interiore di una crazione musicale.

 

Si potrebbe dire - al contrario - che è alla fine è sempre il compositore (l'architetto) colui che decide cosa gli piace e cosa non gli piace di tutte le campionature che le sue 'maestranze algoritmiche' gli hanno messo davanti perchè se ne serva a suo piacimento.

 

è lecito sub-appaltare?... diciamo di sì.

E dicendo di sì, io mi devo forzare, perchè ho un'idea romantica del creare musica (idea da cui mi posso anche liberare). Ma la convinzione da cui non mi voglio staccare, è che, quando si producono 'cose-musicali', io sono disposto a chiamare 'musica' quelle in cui l'intento prioritario fosse 'creare bellezza' e non 'sperimentare'. In questo ammetto una mia rigidità. Ma nel pormi così ho prima (onestamente) risposta a questa domanda: «cosa posso/voglio chiamare 'musica'?».

 

Mi consola che c'era (molto tempo fa) gente così rigida da considerare 'musica' solo l'armonia delle sfere, ritenendo quello che producevano gli strumenti un femomeno di bassa lega.

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...invece chiunque può essere Webern. Non parlo come spessore culturale,

Meno male! Quando ho letto "chiunque può essere Webern" mi è mancato il respiro, ma poi ho proseguito la lettura e mi sono ripreso! :)

 

Si potrebbe dire - al contrario - che è alla fine è sempre il compositore (l'architetto) colui che decide cosa gli piace e cosa non gli piace di tutte le campionature che le sue 'maestranze algoritmiche' gli hanno messo davanti perchè se ne serva a suo piacimento.

Esattamente! Conosco diversi compositori della generazione '70-'80 che si interrogano sul naturale/artificiale, oppure sulla macchina (il problema è grosso modo lo stesso). Secondo me, la chiave che hai dato è quella giusta: nel senso che si interroga la macchina per avere dei risultati, per ottenere del materiale di partenza o delle elaborazioni di tale materiale, ma quello che conta davvero è la capacità di formulare la domanda. Se la domanda è banale, o fine a sé stessa, la risposta non potrà che essere poco interessante.

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E dicendo di sì, io mi devo forzare, perchè ho un'idea romantica del creare musica (idea da cui mi posso anche liberare).

Non te la voglio togliere io, ma è una favola. La tonalità stessa è una macchina...ci sono ingranaggi, pistoni ed eccezioni :)

 

Un saggio una volta diceva he il lavoro di ispirazione cuba l'1%, il resto è espiazione...ed è verissimo, quando arriva l'idea è un lampo...ma poi bisogna sostenerla e saperla portare avanti. Come? Con tanto lavoro di mestiere (e si, comporre è anche un mestiere) e tecnica.

 

 

Li vedi i discorsi che facciamo?...non saranno mica frutto di ispirazione :D

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x Tiger,

 

sono perfettamente d'accordo con tutto quel che hai scritto qui sopra.

Ma non hai capito cosa io intendessi con 'idea romantica' del crare musica. Ci riprovo.

 

Non intendevo che non sia necessaria la fase dell'elaborazione ('sostenere', 'portare avanti', 'mestiere', 'tecnica'...). L'eleborazione (che a me piace chiamare 'gestazione') c'è sempre. Anche in quelle opere che si crede siano nate "di getto" in una notte... sono proprio favole.

 

Con 'idea romantica' del creare musica (di cui posso fare a meno) intendevo l'immagine - idealizzata appunto - del compositore chiuso nel proprio mondo interiore, che crea i suoi capolavori senza aiuti esterni: senza aiuti tecnologici, senza pianoforte, e magari (per assurdo) essendo anche un po' sordo.

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Che non può essere, la tecnologia è solo un mezzo...quello che ci mettiamo dentro è frutto del nostro ingegno. Allora dovresti togliere anche la carta, e allora sarebbero dolori...è stata proprio la carta che ha permesso all'occidente di avere la musica che conosciamo :)

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Quando ho posto la seguente domanda al mio maestro: "sarebbe carino sperimentare la cosa con autori tipo Brahms, Beethoven, etc.", mi ha risposto testuali parole...l'algoritmo non funziona con la tonalità perchè è una musica fatta di eccezioni. Dal mio punto di vista per assurdo la tonalità diventa musica più interessante di altre perchè nonostante sia tutto previsto è sempre nuova e imprevedibile (ad essere capaci)...invece chiunque può essere Webern. Non parlo come spessore culturale, ma sicuramente con il giusto programma uno può scrivere l'opera 27. Ce ne sono altre di opere ricostruite da algoritmi, mi sembra qualcosa di Ligeti e di Boulez.

 

Sta a vedere a quale tonalità ci si riferisce. O meglio... ogni compositore usa eccezioni, e le regole che noi ricaviamo sono sempre a posteriori. Webern è stato geniale ANCHE perché è riuscito a trovare e a usare quelle regole. Detto questo, ci sono moltissimi compositori "tonali" che perseguono l'ordine come ideale. In realtà l'ordine è uno dei principi fondamentali del classicismo, come stile. Comunque, nel libro "Le regole della musica" della Dalmonte, Baroni e company, si parla di come alcune composizioni come quelle di Legrenzi possano in un certo senso essere analizzate e ricreate secondo logaritmi. Anche lì ci sono molte eccezioni, comunque...

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Che non può essere, la tecnologia è solo un mezzo...quello che ci mettiamo dentro è frutto del nostro ingegno. Allora dovresti togliere anche la carta, e allora sarebbero dolori...è stata proprio la carta che ha permesso all'occidente di avere la musica che conosciamo :)

 

ma certo . . . come si potrebbe non essere d'accordo? :)

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Con 'idea romantica' del creare musica (di cui posso fare a meno) intendevo l'immagine - idealizzata appunto - del compositore chiuso nel proprio mondo interiore, che crea i suoi capolavori senza aiuti esterni: senza aiuti tecnologici, senza pianoforte, e magari (per assurdo) essendo anche un po' sordo.

 

Mah, insomma... :rolleyes: questo in realtà ha poco o nulla di romantico, è proprio un'idealizzazione che non ha molto a che vedere con la realtà. Nemmeno Beethoven, cui tu fai neanche troppo velatamente riferimento, era immune dal “mestiere”, rifacimenti, scarabocchi e pianoforte compresi, anche da sordo - lo sapevi? - quando per poter verificare quello che scriveva metteva una cannuccia di bambù tra i denti e la appoggiava alla cassa del pianoforte metre suonava... :)

 

In realtà il mondo interiore di ciascun artista ha bisogno che ci si sporchi abbondantemente le mani. È molto interessante, a tal proposito, una registrazione di Bernstein, realizzata quando era direttore della NYPhil.: Bernstein “registrò” con l'orchestra gli appunti preparatori della Quinta di Beethoven - pagine intere, non solo abbozzi in realtà - rivelando che quelle che siamo da sempre portati a credere siano idee scaturite tali e quali noi le conosciamo dalla mente del Sommo, in realtà, sono frutto di un accuratissimo lavoro di elaborazione, limatura, perfezionamento, che ha portato a quel linguaggio essenziale che ha fatto la fortuna e ha garantito l'immortalità a quello come ad altri suoi pezzi.

 

“Gestazione” dà, a tal proposito, l'idea di un processo passivo o quanto meno che avviene in modo autonomo e preordinato (come è la gestazione di un bambino prima del parto); mentre si tratta sempre di “elaborazione” di un'idea, di un insieme di idee, attraverso un procedimento compositivo che di quell'elaborazione traccia il percorso, a sua volta guidato da un'idea originaria (ispirazione?) che, come diceva Tiger qui sopra, costituisce l'1% di tutto il lavoro (lo diceva anche Mozart, e se lo diceva lui!!! :o) . Sarà che “elaborazione” ha come termine contrario “improvvisazione”, ma continuo a preferirlo per sottolineare proprio come nell'attività del compositore (e dell'artista in generale) ci sia un lavoro attento e progressivo che poco ha a che vedere con lo stare ad aspettare che le cose si risolvano per loro conto... ^_^

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Carlos . . . messa in questi termini 'gestazione' non piace più nemmeno a me. è vero: dà un'idea di passività. Può andare meglio allora... 'travaglio'!?...

 

in ogni caso (sapevo tutte qulle cose su Beethoven. Grazie comunque)...

Ribadisco che sono d'accordo con Tiger e con te: con tutto ciò che hai appena scritto. E penso che leggendo i miei due messaggi precendenti (10:47 e 16:31) si possa capire. ^_^

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  • 3 weeks later...

Le uniche cose al mondo veramente universali sono 2:

- l'archetipo della condizione di figlio

- le espressioni del viso

 

Il resto è convenzione, anche la cosa più elementare per la musica (e non pe l'acustica) come il timbro è un fattore culturale...

 

Lessi una ricerca tempo fa il cui contenuto ho ritrovato nel seguente articoletto, che potrebbe forse interessare:

http://www.scienceda...90319132909.htm

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Non lo so Bianca, tu cosa ne pensi?

 

Da quanto leggo è stata proposta musica occidentale ad un pubblico misto di persone a digiuno della stessa. Secondo me per valere veramente il concetto di universalità della musica andava fatta anche la prova contraria (diciamo almeno con la musica orientale? Poi quale? In entrambi i sensi), altrimenti il titolo è forviante...si parla di "linguaggio della musica" e non "linguaggio della musica occidentale" (sempre con tanti interrogativi).

 

E in effetti l'articolo poi dice: "Questi risultati potrebbero spiegare perché la musica occidentale ha avuto tanto successo nella distribuzione di musica globale"

 

 

Questa cosa è da cornice:

 

 

"L'espressione delle emozioni è una caratteristica fondamentale della musica occidentale, e la capacità della musica di trasmettere emozioni è spesso considerata come un prerequisito per il suo apprezzamento nelle culture occidentali, hanno spiegato i ricercatori. In altre tradizioni musicali, però, la musica è spesso apprezzato per altre qualità, come il coordinamento di gruppo nei rituali."

 

Questa affermazione tralascia completamente tutta quella musica scritta consapevolmente ignorando la sfera emozionale o meglio, forse vuole giustificare perchè certa musica non è apprezzata dal grande pubblico? Per cui, non universale...

 

...e ...

 

 

"Manipolando la musica, i ricercatori hanno anche scoperto che gli ascoltatori (occidentali e africani) trovano la musica originale più piacevole di versioni modificate. Tale preferenza aumenta con l'aumentare della dissonanza nei brani manipolati."

 

mmhmm, dissonanza...mmhmm

 

 

Magari ho capito poco per via della traduzione ma non lo so Bianca, ci sono pochi elementi per essere persuasi…tu cosa ne pensi?

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anch'io sono molto scettico.

Da una parte, scettico nei confronti degli scienziati (spesso USA) che affrontano questi temi con molta leggerezza.

Dall'altra, scettico verso le riduzioni giornalistiche. Senza vedere la ricerca in sé è difficile capire quanto seria sia stata.

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Dipende molto da cosa intendiamo con “universale”. E soprattutto da cosa “sottintendiamo” quando ci riferiamo ad esso.

L’articolo riporta la sostanza di una ricerca ovviamente più dettagliata, la principale debolezza della quale, a mio avviso, potrebbe stare nel numero limitato di osservazioni effettuate (forzatamente limitato, in quanto i soggetti esaminati sono di una piccola comunità, mentre il gruppo di controllo era formato da una ventina di tedeschi). Tuttavia lo reputo un valido spunto di riflessione, oltretutto non unico nel suo genere, che permette se non altro di ragionare per ipotesi. Senza farne strumentalizzazioni, come troppo spesso capita a chi coglie suggestioni nei campi delle diverse scienze teoriche o applicate per suffragare la propria posizione di pensiero, credo che lo studio volesse semplicemente investigare quale sia la probabilità che il cervello umano presenti una determinata risposta a determinati fenomeni musicali a prescindere dalle convenzioni e dalla cultura. Se ricerche di questo tipo meritano credito, e io credo che in parte lo meritino, ritengo sia opportuno tenerne conto soprattutto quando si parla di sperimentazione (musicale intendo).

Certo bisogna sempre fare i conti con la definizione dei concetti che di volta in volta utilizziamo, ma ci si può anche mettere d’accordo sul chiamare la numerazione in base 10, universale, in quanto comune agli esseri umani dotati di 10 dita, consapevoli però del fatto che anch’essa è il risultato di un compromesso e che in un altro pianeta potrebbero esistere esseri con 13 dita che usano un’altra base, o addirittura un’altra aritmetica. Dire tuttavia che si tratta semplicemente di una convenzione è fuorviante, se si intende con convenzione qualcosa che potrebbe essere in un modo o nel suo opposto con lo stesso o anche solo simile grado di probabilità. L’adozione della base 10, nell’evoluzione culturale dell’umanità, non ha la stessa probabilità dell’adozione della base 7 o 45 o 1234. Ha una probabilità più vicina a quella del 5 (una sola mano) o del 20 (mani e piedi), ma l’aver abbandonato queste ultime ha motivazioni che non sono semplicemente arbitrarie. Faccio questo discorso perché talvolta, parlando di convenzioni, ci si toglie un gran peso, ma sono sempre pesi che, prima o poi, si fanno sentire. E il merito di ricerche di questo tipo è proprio quello di stimolare la riflessione sul perché vi sia una convenzione piuttosto che un’altra. Vale quindi la pena di porsi il problema anche solo a livello ipotetico, come dicevo pocanzi, ossia di chiedersi che cosa succederebbe a una parte della ricerca musicale degli ultimi anni se una certa tesi fosse confermata e condivisa (con tutte le precisazioni su cosa voglia dire confermare una tesi scientifica): magari nulla, magari ne verrebbe rafforzata o magari verrebbe sminuita. Questo è da discutere, ma è importante rifletterci senza cadere, come per secoli si è caduti in quello opposto dell’universale, nel dogmatismo della convenzione.

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Dipende molto da cosa intendiamo con “universale”. E soprattutto da cosa “sottintendiamo” quando ci riferiamo ad esso.

 

A me sembra molto chiaro, universale vuol dire che vale per tutti. Restando nel primo esempio proposto da Frank, tutti siamo figli di qualcuno...non esiste al mondo nessun uomo nato in laboratorio, tutti passati dall'utero della madre. Per cui è una condizione universale.

 

Musicalmente parlando, l'articolo non mi sembra chiaro sul cosa della musica debba essere unviersale. Si parla di linguaggio, per cui immagino sintassi. Sappiamo bene che la musica non è una e le chiavi di lettura sono molteplici. Ad esempio ho un amico iraniano, quando ha sentito la prima volta la quinta di Beethoven mi ha detto: "carina, peccato che sia tutta scritta su un unico modo". Cosa vuol dire questo? Che per lui la richezza è data dalla varietà di modi e della melodia, per noi conta anche la varietà armonica. Ergo, nonostante stiamo parlando della quinta e di Beethoven, la sua musica non arriva universalmente a tutti allo stesso modo, questo perchè di fondo c'è una stratificazione d'ascolto culturale per cui un africano ascolta diversamente da un iraniano o da un tedesco.

 

Viceversa, inequivocabilemente, siamo tutti figli di qualcuno...

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A me sembra molto chiaro, universale vuol dire che vale per tutti. Restando nel primo esempio proposto da Frank, tutti siamo figli di qualcuno...non esiste al mondo nessun uomo nato in laboratorio, tutti passati dall'utero della madre. Per cui è una condizione universale.

 

le scienze non dovrebbero limitarsi ad un'affermazione simile. Che è più filosofica che scientifica. Se trovi un fenomeno devi sforzarti di tracciarne le modalità, le occorrenze, le "cause". Quindi parlando di condizioni universali bisognerebbe almeno chiedersi perché sono universali, in che modo si è sviluppata questa universalità, di che natura è.

L'idea di Frank per cui la condizione di figlio sia universale è un ottimo gioco logico per eludere la questione :-) dire "condizione di figlio" significa aprire un mondo di possibili condizioni. Siamo noi, con il nostro linguaggio, a dare unità a questa espressione, "condizione di figlio", e a supporre una specie di essenza comune che sta sotto a tutte le condizioni di figlio. In realtà sono tutte condizioni diverse, e anche se "in laboratorio" possiamo sforzarci di trovare le somiglianze, sappiamo bene tutti che essere figlio in una tribù africana ed essere figlio nel centro di Pechino sono condizioni diverse.

Io penso che ci sia stata, nella filosofia come nella psicologia o nell'antropologia, una voglia di universali che ci ha portato ad analizzare molti eventi umani secondo il paradigma del "normale" e dell' "anormale", o del comune e del non comune. Questi studi possono essere fatti in modo interessante o in modo dannoso. Il discorso di Bianca sulla convenzione dell'aritmetica su base dieci è un modo interessantissimo, secondo me, per capire cosa significa convenzione e cosa significa universale, o base fisiologica. Mi è capitato più di una volta di usare l'espressione "base fisiologica" parlando di armonia. Le regole dell'armonia sono convenzionali MA seguono delle basi fisiologiche. Immagino che anche la stragrande maggioranza di modelli di calcolo su base dieci nelle culture segua delle basi fisiologiche (non ne sono certo, non sono un esperto). Questo non significa che la base dieci stia nella natura o che l'armonia sia una funzione della natura, e infatti esistono molti esempi che dimostrano come la cultura possa sviare le basi fisiologiche e approdare a modelli inaspettati, fuori dalla norma.

Come dicevo prima, io tendo ad essere diffidente sulle ricerche di psicologia della musica "made in USA", perché trovo una banalizzazione dei concetti musicali. Per avere risposte interessanti bisogna fare domande interessanti, e non ci si dovrebbe limitare alla prima risposta, ma spaccare il capello, problematizzare di continuo.

Pare che un numero non precisato di persone non appartenenti alla cultura occidentale abbia individuato dei sentimenti nella musica occidentale che ha ascoltato. Bene. Che pezzi? Sono stati in grado di dire quali parti comunicavano cosa? Questo sarebbe utile. Gli etnomusicologi hanno più o meno dimostrato che le culture musicali non occidentali danno un peso molto grande al ritmo, più che all'armonia. Cosa hanno fatto ascoltare a sti poveri cristi, la marcia funebre di Chopin? Poi. Cosa si intende per "paura"? Si parla di paura come di sentimento fondamentale, o una cosa così. Da ASCOLTATORE OCCIDENTALE io avrei grossi problemi a individuare la paura tra i sentimenti suscitati da un pezzo musicale. Cosa si intende per paura? In quali pezzi l'hanno trovata? Era l'unica verbalizzazione presente o è stata frutto di un ragionamento di quelli che hanno analizzato le reazioni degli ascoltatori?

Alcune di queste domande hanno delle parziali risposte. Ovvero, si sa già che esistono alcuni universali musicali, gli etnomusicologi se ne occupano da decenni. La loro universalità non è proprio universale, forse, ma su cose come l'intervallo di ottava, la regolarità ritmica, la connotazione poetica dei testi musicali, le connessioni tra ritmo e danza siamo su un livello quasi universale. Sono i passi successivi il problema, capire perché una cosa è universale, quando cessa di esserlo, da quando lo è diventata nell'evoluzione umana e cose così.

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le scienze non dovrebbero limitarsi ad un'affermazione simile. Che è più filosofica che scientifica.

 

Nemmeno tanto filosofica a dire il vero :rolleyes:

Certo, se vogliamo criticare l’articolo la cosa è abbastanza semplice. Io certo non penso che la musica occidentale sia un linguaggio universale nemmeno in senso “astratto”. Penso piuttosto che la ricezione estetica degli oggetti musicali sia fortemente condizionata dalla cultura. Ma non è questo il punto. Non è quello che trovo banale o sbagliato di una pubblicazione che mi interessa, ma ciò che in essa trovo di stimolante per la riflessione. Trovo interessante domandarmi per esempio come mai un certo modo produca una determinata risposta emotiva con una probabilità superiore ad un altro modo, e questo non solo in me ma, secondo questi studi, nella maggior parte degli esseri umani a prescindere dalla cultura. Il contenuto di quella ricerca è poi semplicemente questo. Purtroppo non riesco a recuperare l’originale, che è comunque di un istituto tedesco, non americano. Ricordo però che gli ascolti proposti erano estratti di vari generi musicali e le risposte consistevano nel far corrispondere ai vari pezzi fotografie di volti con espressioni di emozioni differenti, o qualcosa del genere. Ciò che risaltava era la funzione dei modi maggiore e minore e del ritmo. Il fatto che nella musica occidentale siano riconoscibili certe forme espressive anche da chi non ha mai avuto a che fare con la musica occidentale, non implica a priori una sua qualche superiorità rispetto ad altre musiche. Tra l’altro la ricerca non indaga se ci siano altri casi reciproci, come ha notato Frank. Sicuramente invece potrebbe mostrare come sia fallace ritenere che sia tutta basata su convenzioni e quindi porre una problematica nei confronti di teorie musicali che si fondano, esplicitamente o meno, su tale presupposto.

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